Il viso di Snish era pallido quanto lo era stato quello della principessa, e i suoi occhi sporgenti erano l’immagine stessa del terrore. Debolmente, pigolò:
«Capitan Fuoco, che cosa desideri dal più insignificante dei tuoi schiavi?»
In piedi accanto a lui, Teseo mormorò:
«Credo che le tue difficoltà col tempo salveranno la vita a entrambi!»
Si rivolse ad Amur e all’ammiraglio. Entrambi avevano già tradito con l’espressione dei volti il timore per le arti dello stregone. Ora il viso di Phaistro era pallido e rigido. Amur, esangue, stava mormorando rapidamente un incantesimo.
«Temo proprio che vi siate ingannati,» disse loro Teseo. «Perché la tempesta che si sta avvicinando non è affatto opera di Minosse… né di nessuno, ammiraglio, che consideri con molta tenerezza la tua flotta.»
Indicò la valanga furiosa di nuvole nere che giungevano da nord, e poi indicò Snish, che stava visibilmente tremando.
«Questo è il mio mago,» annunciò, e alzò la voce, per farsi intendere al di sopra di un cupo mormorio di tuono che giungeva dalle nuvole tempestose. «È un grandissimo incantore babilonese, molto famoso in quelle lande remote, ed è lui il responsabile di questa tempesta. Dillo, Snish.»
Il piccolo mago annuì, con aria spaventata. Fece un breve inchino ad Amur e all’ammiraglio.
«Padroni, questo è vero,» gracchiò, mentre il vento ululava più forte. «La tempesta mi segue!»
Dando una rapida occhiata alla tempesta ormai vicina, l’ammiraglio si irrigidì, rabbioso.
«È assurdo!» disse, immediatamente. «Si vede benissimo che questo nanerottolo è spaventato a morte. Non cederò a un trucco così evidente. La tua spada, capitan Fuoco, oppure la tua vita!»
Ma Amur gli stava tirando il braccio, spaventato a morte, quasi quanto il mago:
«Tutti i maghi sono vigliacchi e codardi,» mormorò l’ittita. «Sta’ in guardia!»
«State in guardia!» ripeté Teseo, e il mare, a nord, si coprì di alte creste di spuma bianca. Improvvisamente, delle grosse gocce di pioggia si infransero sul ponte, e il vento sibilò con furia selvaggia. La galera rollò più velocemente.
«Tagliate i cavi,» gridò Teseo, al di sopra dell’ululato del vento e del ruggito del tuono, «finché siete in tempo!»
Amur e l’ammiraglio corsero sul ponte, e saltarono a bordo della nera ammiraglia. I marmai colpirono disperatamente le corde che tenevano unite le due galere, facendo balenare le asce. I vascelli si separarono, e il mare li fece scontrare di nuovo, con un terribile frastuono che imperversava ovunque, mentre gli elementi scatenati facevano udire ciascuno il suo grido.
Correndo ad aiutare Snish, al timone, Teseo si buttò a terra, per evitare un nutrito lancio di frecce. Ma quasi tutti i cretesi erano troppo occupati a sostenere l’assalto della tempesta, per preoccuparsi troppo di lui.
Teseo si appoggiò al timone, e la galera fu assalita dalle onde tempestose. Il fianco della galera si alzò, a causa del rollio, e il legno assorbì il secondo lancio di frecce. Poi la vela nera della nave ammiraglia si ruppe, con un rumore lacerante, e la sagoma nera del vascello cretese rimase indietro.
«Capitan Fuoco!» ansimò Snish, che non aveva ripreso le sue sembianze femminili. «Sciogli la vela! O ci rovesceremo!»
Teseo si aggrappò al timone, con tutte le sue forze, e il vascello avanzò in un’oscurità terrificante. Snish divenne verdastro, e si piegò sulla fiancata della nave.
Nella luce irreale della tempesta, si allontanarono dalla flotta, spinti dai venti turbinosi. La luce di un lampo rivelò gli scafi neri, disseminati sul mare, con le vele abbassate e gli uomini ai remi che cercavano di contrastare la furia degli elementi scatenati. E poi quelle immagini furono nascoste da una cortina di pioggia.
La notte scese sopra le nuvole, e il crepuscolo azzurrino s’incupì, e l’oscurità fu completa.
La galera si lamentava, scricchiolando e gemendo, sotto l’impeto degli elementi, e sobbalzò e affondò, mentre l’acqua percorreva il ponte. Ma Teseo rimase accanto a Snish, al timone, e la pilotò attraverso la tempesta, fino a quando la violenza degli elementi non si fu parzialmente placata.
«Raggiungeremo la costa di Creta,» gridò Teseo, «prima che questo vento cada.»
Snish gli venne vicino. Il suo viso era verdastro.
«Possiamo farlo, capitan Fuoco,» gracchiò, debolmente. «Possiamo arrivarci, portati dalle onde, nel buio, ed essere scagliati sulla terribile scogliera.» Un lampo lontano illuminò per un attimo la scena, che apparve cupa e livida. «Andiamo a est,» suggerì raucamente il mago. «Questo vento ci farà superare Creta all’alba. E più oltre, c’è l’Egitto che ci aspetta.»
«Ma Creta è la nostra destinazione.»
Snish ebbe un nuovo attacco di nausea.
«L’Egitto è una destinazione migliore,» borbottò, dalla fiancata della galera. «È una terra antica, capitan Fuoco, e ricca. I suoi dei abitano altrove, e disturbano raramente gli uomini, e i loro preti non possiedono i poteri maligni degli stregoni di Cnosso.»
Ritornò, barcollando, vicino a Teseo.
«Con la tua spada, capitan Fuoco, e le mie misere arti,» gracchiò, speranzoso, «potremo guadagnarci fama e ricchezza in Egitto. Potremo avere terre, e schiavi, e grandi onori.»
«Può darsi,» ammise Teseo, «ma noi andiamo a Creta. Hai udito bene l’ordine. Tu sai che lo stesso Minosse ha previsto che io vincerò i giochi. E lo manderò nel Labirinto, a supplicare pietà proprio dal suo dio nero! E potrò avere per me il trono di Creta e gli incantesimi dei suoi stregoni, e le grazie della bella Arianna… che potrò godere fino a quando non riuscirò a rovesciare l’Oscuro, e a porre fine al regno della magia!»
La mano tremante di Snish gli strinse il braccio, nell’oscurità. «Ma Minosse è forte, sul suo trono,» protestò lo stregone. «E lo ha conservato per mille anni. Mentre i tempi sono incerti in Egitto, e lo stesso Faraone trema davanti alla pressione degli invasori, alle frontiere settentrionali. Perché non unirci a questi invasori, capitan Fuoco? Tu potresti perfino diventare il nuovo Faraone.»
«Andiamo a Cnosso.»
«Ma considera la follia di quest’impresa!» disse Snish, in tono urgente. «Non è la prontezza né il coraggio, e neppure l’abilità guerresca, quello che può far vincere i giochi minoici. È la magia. E Minosse è il più antico e il più grande di tutti i maghi. È un dio lui stesso! Perciò lui vince sempre… e coloro che vogliono conquistare il suo trono periscono sempre, di fronte alla sua magia.»
Teseo guardò il mare tenebroso.
«Vedremo,» disse, «abbiamo già superato la flotta.»
«Ma la flotta è soltanto la muraglia di legno di Cnosso, la città senza muraglie,» si oppose Snish. «C’è Talos, il gigante di bronzo, che i cretesi chiamano la seconda muraglia. E Talos, da solo, potrebbe abbattere le mura di qualsiasi città, e annientare tutti gli eserciti che hanno marciato sotto la luce del sole.
«E anche se riuscissi a superare Talos, c’è il segreto che viene chiamato la muraglia della magia. È conosciuto solo da Minosse e da sua figlia Arianna. Ma il suo strano potere è più forte di quello della flotta, è più forte perfino del gigante di bronzo.»
Snish, tremando per la paura e per il freddo, si aggrappò al braccio dell’alto acheo:
«Ora, capitan Fuoco,» gracchiò, speranzoso, «vogliamo andare in Egitto?»
«Ci andremo, piccolo stregone,» rise Teseo, «dopo aver distrutto Minosse, e spezzato il potere dell’Oscuro.»
«Allora,» disse Snish, con uno strano tono tra l’ironia e lo spavento, e la rassegnazione, «non vedremo mai l’Egitto.»
La notte continuò ad addensarsi intorno alla nave, e il vento del nord continuò a soffiare. Finalmente, a occidente, Teseo vide una luce dallo splendore rosso e verde.
La luce era quella di un faro, un fuoco acceso su di un’alta torre, per guidare le navi di Creta al sicuro, nella rada. Il suo colore, gli avevano detto, era dovuto a magici sali che venivano gettati sulle fiamme.
Svegliò Snish, che era riuscito a prendere sonno, e gli affidò di nuovo il timone; poi andò ad alzare la vela, per dirigersi da quella parte. Il vento era ancora forte, e ostacolava l’impresa.
La galera ondeggiò pericolosamente, e Snish tornò a sentirsi male.
«Non toccheremo mai terra vivi,» ansimò il piccolo stregone. «Il vento ci sta portando verso gli scogli!» Il suo piagnucolio diventò un grido stridulo. «Capitano… davanti a te!»
Teseo vide il riverbero della luce lontana sulle onde che si frangevano spumeggiando. Udì il rumore dell’acqua infuriata, e corse verso il timone. Ma la galera piombò sugli scogli. Dei denti aguzzi di roccia morsero lo scafo, l’acqua entrò nelle fosse vuote degli schiavi. L’albero maestro si spezzò e cadde.
Un istante di silenzio seguì lo schianto, e poi:
«Capitano, è l’incantesimo che mi segue!» piagnucolò Snish. «Nessuna nave, sulla quale io salga a bordo, giungerà mai sana e salva in porto!»
La galera ondeggiò pericolosamente, mentre l’onda si ritirava. L’ondata seguente inondò la prua, e Teseo pensò che, tra un attimo, sarebbero colati a picco. Ma l’onda passò senza provocare altri danni, frangendosi su due denti aguzzi di roccia.
Lo scafo rimase dov’era. Le onde più alte l’investivano, e la stiva cominciò a riempirsi d’acqua. I legni della nave scricchiolavano e gemevano. Teseo sapeva che, tra poco, la nave si sarebbe scomposta nelle parti che la formavano, sfasciandosi. Guardò a sinistra, in direzione del faro a due colori, cercando l’ombra più scura della terra.
Dopo poco tempo, l’alba rivelò le colline di Creta, con le macchie scure delle foreste di cipressi, verso nord. Teseo prese un’asse che si era spezzala, vi legò sopra delle corde, e le spinse in acqua. Snish cominciò a gemere e a piagnucolare, protestando che lui aveva sempre provato un grande terrore per l’acqua, e che non aveva mai imparato a nuotare. Teseo lo sollevò di peso, e lo gettò sull’improvvisata zattera. Il vento e la marea li spinsero lentamente verso la spiaggia.
Voltandosi, e guardando a nord, Teseo vide i raggi del sole illuminare delle vele nere, sparse disordinatamente in mare, molto distanti tra loro, minuscole per la lontananza.
«La flotta!» brontolò. «Phaistro ci sarà presto alle calcagna.»
Il piccolo stregone dava chiari segni di disagio, a cavalcioni com’era sull’improvvisata zattera, e sollevò un braccio per indicare la costa.
«La flotta di Phaistro non è niente,» gracchiò. «Il vero pericolo è davanti a noi. Perché Talos, il gigante di bronzo, vigila sulle coste di Creta.» Abbassò la voce, come se fosse stato preso da un improvviso, nuovo terrore. «Capitano… guarda!»
Teseo guardò.
Molto lontano, verso Cnosso, tra l’azzurro del mare e il verde delle colline, a Teseo parve di intravvedere, per un breve istante, un veloce lampo che aveva il colore del bronzo.