«E che cosa stanno dicendo, ora?» domandò Teseo.
Gli occhi a mandorla della strana principessa scrutarono i tre uomini dalle lunghe vesti, radunati sul ponte di comando dell’altra galera.
«Quello dalla veste gialla,» gli disse Tai Leng, «è Amur l’Ittita, in persona. È l’uomo più ricco del mondo, e probabilmente è il più astuto. Non è uno stregone, ma la sua ricchezza può convincere molti stregoni a servirlo.»
«Ho sentito parlare di Amur,» disse Teseo. «Che cosa vuole?»
«Amur,» disse la donna gialla, «ha conosciuto a sua volta il motivo futuro che ha indotto Minosse a ordinare la tua morte. E l’ittita, essendo un uomo astuto, ha escogitato un piano per risolvere la situazione in suo favore, sotto forma di oro e d’argento.»
«E qual è questo piano?»
Tai Leng guardò l’ammiraglia per qualche tempo, senza parlare.
«Amur non vuole rivelare il suo piano, davanti al sacerdote minoico,» disse, alla fine. «Ma lo conoscerai presto. Perché lui e l’ammiraglio stanno per salire a bordo, con l’intenzione di parlarti.»
Teseo vide che la nave ammiraglia si stava rapidamente avvicinando alla sua.
«Qualunque sia l’intrigo che egli medita,» continuò la principessa, «non ti porterà certo vantaggi superiori a quelli che ti offre il papiro di Minosse. A volte c’è qualcosa di peggio della morte. Perché Amur è spesso chiamato lo scorpione’, e la sua astuzia è un veleno che colpisce molti uomini.»
Ancora una volta, i marinai cretesi abbordarono il mercantile, e lo assicurarono alla nave ammiraglia. I piccoli ufficiali bruni aiutarono l’ammiraglio Phaistro e Amur l’Ittita a scavalcare la fiancata. Teseo andò loro incontro, fissando con curiosità il famoso mercante.
Amur era un uomo bruno, con il poderoso naso aquilino della sua razza. I suoi occhi neri erano calcolatori, astuti, ed erano troppo vicini tra di loro. Rasato, alla maniera cretese, il suo viso aveva un aspetto esangue, malato. Le sue membra erano sottili, ma il corpo pareva gonfio, grasso. Era carico di gioielli e d’oro. I suoi occhi avidi osservarono il ponte deserto, poi si fissarono su Teseo, con malizia.
«Questa è la mia nave, la stessa che era comandata da mio nipote!» La sua voce era rauca e bisbigliante. «Dove sono l’ambra e lo stagno e l’argento, che lui portava dalle coste boreali? E le casse di pelli, e le schiave bionde?»
«Puoi andare a pescarli,» sorrise Teseo, «o a chiederlo ai maghi.»
«Io l’ho chiesto ai maghi,» mormorò, «sono salito sull’alta torre del grande Dedalo, e gli ho pagato cinque talenti d’argento per guardare nella sua sfera lucente… gli stregoni pensano soltanto a derubare gli onesti mercanti, con le loro tariffe!
«Ma lui mi ha mostrato la tua galera dalla vela rossa, capitan Fuoco, che fuggiva verso le isole con il mio tesoro. Io ho parlato a Phaistro, che è mio amico.» Amur sorrise all’ammiraglio. «E un’altra flotta verrà inviata, sorretta da un vento favorevole, per intercettare la galera pirata.»
Strinse con la mano il suo mento sottile, e Teseo vide che le dita dellttita erano coperte di anelli dorati.
«Tutto il mìo tesoro verrà recuperato,» disse la voce piatta di Amur. «Fino all’ultimo granello d’argento! I pirati saranno catturati, per diventare schiavi a bordo delle mie galere.» Gli occhietti dell’uomo brillarono di gioia. «E tu, capitan Fuoco, mi farai recuperare i cinque talenti d’argento… anzi, mi farai recuperare venti volte di più.»
Teseo aspettò, accarezzando con aria meditabonda l’elsa della Stella Cadente. Ecco un altro tipo d’uomo, che veniva da lui, e il cui potere era quasi più maligno di quello degli stregoni. Amur fece un passo indietro, ansiosamente.
«Non sfoderare la tua lama, capitan Fuoco!» ansimò, apprensivo. «Perché io sono venuto per salvarti la vita.» Si avvicinò di nuovo, e abbassò la voce. «Gli stregoni hanno letto le tavole del tempo,» mormorò frettolosamente. «Hanno trovato dei segni e degli auspici che sembrano indicare una tua vittoria, se entrerai nei giochi minoici.»
Teseo toccò la Stella Cadente, e sogghignò.
«Ho letto gli stessi auspici sulla mia lama,» disse.
Gli occhi di Amur si socchiusero.
«Minosse ha dato l’ordine di ucciderti,» gracchiò. «Ma io sono venuto per salvare la tua vita, per i giochi. Perché Minosse chiede, come unica prova della tua morte, la tua spada, e il cadavere di qualsiasi schiavo potrebbe riempire la cassa che getteremo in mare.»
Teseo sorrise di nuovo.
«Anche il tuo cadavere andrebbe bene!»
Amur esitò, ma poi riprese a parlare rapidamente:
«Io ti porterò a Creta, a bordo della mia galera. E c’è un mago laggiù che ha alcune cose da nascondere. Per pochi talenti d’argento… e per salvare la sua miserabile vita… lui ti trasformerà in un nero nubiano. Io invierò questo nubiano a Minosse, offrendolo in dono per i giochi. E il nubiano… a meno che gli stregoni non abbiano mentito… vincerà.»
«Ma come riuscirai a guadagnare del denaro, da tutto questo?» domandò Teseo.
Gli occhi di Amur brillarono di una luce astuta e famelica.
«I giochi minoici sono divisi in nove prove,» mormorò. «Una per ogni anno del ciclo. Tu dovrai affrontare tre tori selvaggi, tre guerrieri, e tre dei. Ed è abitudine dei nobili e dei mercanti di Creta fare delle scommesse su ogni cimento.»
Amur si passò la mano sul volto.
«Come possa un uomo disarmato vincere queste nove prove, io non lo so. Questo è un tuo problema. Ma Minosse deve credere che tu puoi riuscirci. E il mio negro nubiano vincerà tutto quello che sarà scommesso quel giorno!»
Teseo si voltò, lentamente, e i suoi occhi fissarono Phaistro. L’ammiraglio aveva assistito alla scena, in silenzio. Il suo viso magro pareva pallido e sconvolto.
«Che ne dici, adesso, ammiraglio?» domandò Teseo. «Ora che Minosse ti ha ordinato di uccidermi.»
Amur posò una mano gelida sul braccio di Teseo, e rispose per l’ammiraglio:
«Farà quello che io chiedo, capitan Fuoco. Io non sono uno stregone, eppure possiedo un certo potere. Il nobile Phaistro farà tutto quello che io gli chiederò, anche se gli domando di tagliarsi una mano. Non è forse vero, ammiraglio?»
Le labbra rosse di Phaistro tremarono, ed egli annui, con espressione infelice.
Gli occhi gelidi di Amur, che parevano gli occhi di un rettile, tornarono a fissare il corpo scultoreo di Teseo.
«Come vedi, capitan Fuoco, il mio piano non ha trascurato niente. Ora consegna la tua spada all’ammiraglio, e sali a bordo della mia galera… e presto salirai sul trono istoriato di Minosse!»
Teseo allungò la mano verso l’elsa della Stella Cadente. Estrasse la lunga lama dal suo fodero, e guardò lo specchio limpido dell’acciaio, e vide riflesso il volto triste di suo padre.
Era stato durante quella notte solenne, molti anni prima, quando l’orgogliosa Atene si era infine inchinata alle navi e alla magia di Cnosso. Suo padre, il re acheo, stava percorrendo a grandi passi il pavimento del salone di pietra che dominava l’Acropoli. Vagamente, essi potevano sentire le donne, nei loro quartieri, che piangevano gli uomini che erano morti quel giorno.
Teseo seguiva i lenti passi stanchi di Egeo.
«So che tu sei stato costretto a cedere, padre,» disse. «Ho visto i lampi azzurri che hanno abbattuto i tuoi capitani. So che i tuoi uomini sono fuggiti, davanti agli incantesimi di Creta. La tregua ha salvato Atene dall’onta del fuoco e del saccheggio, ha salvato il nostro popolo dall’essere trascinato in ceppi, per nutrire il dio malvagio di Cnosso.
«Ma io,» aggiunse poi Teseo, «io non ho intenzione di arrendermi, padre!»
Il re ferito si fermò, e abbassò lo sguardo su suo figlio.
«Ma tu… tu sei soltanto un ragazzo, Teseo… tu non puoi certo sfidare un impero, il cui re è un dio!»
«Sì, lo posso fare, padre. Devo fuggire stanotte, verso le lontane terre che ancora non subiscono il giogo di Creta. Imparerò laggiù a essere forte e coraggioso, e crescerò fino a diventare un guerriero. E io sarò in guerra con Minosse, fino all’ultimo dei miei giorni!»
Un sorriso illuminò il volto grinzoso del re.
«Ne sono felice, figlio mio,» disse dolcemente Egeo. «Tu mi hai fatto di nuovo felice, con queste tue parole. E io ti darò la mia spada, da portare con te… se tu sei abbastanza forte da sollevare la pietra che protegge il luogo dove essa è nascosta agli occhi e alle mani dei cretesi!»
Il re, zoppicando, si avvicinò alla grande botola che si apriva nel pavimento, insospettabile per coloro che non conoscevano i segreti del palazzo. Teseo afferrò subito il piccolo anello di ferro, e tirò e spinse, finché la pietra non si fu rovesciata. Suo padre tirò fuori la spada, e la porse al figlio, e Teseo ammirò il colore brillante dell’acciaio.
«Si chiama Stella Cadente,» gli disse il re, «poiché questo strano metallo di cui è composta è caduto dal cielo, in una notte durante la quale un disco di fiamma è esploso sull’orizzonte. Il fabbro che l’ha forgiata era un uomo molto saggio, e ha dato alla spada un solo incantesimo, molto semplice.
«Essa proteggerà la libertà dei greci, mi ha promesso il fabbro; aprirà loro la strada della grandezza. Ma non dovrà mai essere ceduta. Perché colui che la consegnerà al nemico o all’amico, cederà anche il suo onore e la sua vita.»
Tremando d’orgoglio, Teseo aveva fatto roteare la spada. Era pesante, per il suo giovane braccio, e l’elsa era troppo grande per la sua mano. Ma gioì soppesandola, sentendone la consistenza, il freddo contatto dell’elsa, e il magico fuoco che correva sulla sua lama.
«Ti ringrazio, padre,» mormorò. «Non cederò mai la Stella Cadente. E la porterò con me, levandola contro la magia di Cnosso, e combatterò per la libertà dei greci, finché avrò forze per stringerla in pugno!»
Pianse, abbracciando suo padre, e, presa la pesante spada, sparì nella notte. Strisciando, passò oltre i fuochi di guardia delle sentinelle cretesi, scese per una via conosciuta a lui solo dai ripidi gradini dell’Acropoli, e fuggì, nell’oscurità che gravava sulle terre sconfitte ma non vinte dell’Attica.
Ora, nello specchio della lama, Teseo vedeva la veste gialla di Amur e la veste purpurea dell’ammiraglio. Essi si muovevano, impazienti.
«Consegna la tua spada,» mormorò Phaistro, duramente. «O farò cenno ai miei arcieri di tirare… e ti seppellirò in mare, come ha ordinato Minosse.»
«Scegli!» gracchiò l’ittita. «La vita, la vittoria e il trono di Minosse… oppure la morte!» I suoi occhi guardarono con ansia l’orizzonte settentrionale. «E decidi in fretta. Perché gli stregoni stanno mandando una tempesta, per affrettare il nostro ritorno in patria.»
Teseo vide la lama rabbiosa di un lampo uscire dalla nera parete di nuvole, a nord. I suoi occhi si posarono di nuovo su Tai Leng, che era ferma al timone, rigida e pallidissima, come se fosse stata in preda al terrore. E il corpo agile di Teseo si tese, in una decisione ferma e incrollabile.
«Se tu vuoi la Stella Cadente,» disse all’ittita, e sorrise anche all’ammiraglio, «dovrai venire a prenderla!»
Il viso di Amur si trasformò in un’orribile maschera di sdegno. Nero per la collera, l’ammiraglio si voltò, come se intendesse fare un cenno ai suoi arcieri in attesa. Ma Teseo lo fermò, indicando con un gesto le nubi temporalesche.
«Aspetta un momento, ammiraglio… se speri ancora di rivedere la terraferma!»
I due osservarono con diffidenza Teseo, il quale fece un cenno a Tai Leng. Muovendosi con la pigra grazia di una regina, la donna gialla lasciò il timone, e si avvicinò a Teseo. Una ventata fredda sollevò i lembi della sua veste strappata.
«Snish,» ordinò Teseo, «riprendi il tuo vero aspetto.»
Il volto dorato diventò pallido di paura. «Ma… padrone mio…»
«Obbedisci,» ordinò Teseo. «Oppure verrò io a toccarti.»
«Padrone,» singhiozzò Tai Leng, «la mia vita e la mia arte sono sempre tue!»
Bruscamente, allora, il piccolo Snish, con la sua faccia di rospo, apparve al posto della principessa del lontano Catai, e la veste di seta ricadde, formando buffe pieghe, sulla sua figura magra e deforme.
Lontano, un altro lampo squarciò la massa delle nubi.