CAPITOLO III

Teseo ritornò a bordo della nave pirata per prendere la piccola borsa di cuoio che conteneva i suoi effetti personali. Ritornando a bordo del vascello catturato, scoprì che i preparativi per abbandonarlo si erano interrotti. Una dozzina di pirati, carichi di bottino, erano in piedi intorno all’albero maestro. E Vorkos, il cuoco guercio di Tirinto, era in ginocchio, per aumentare il suo fuoco, che riscaldava la punta di una lunga lancia di bronzo.

Teseo entrò nel circolo dei pirati. Trovò Cirone che torreggiava, rabbioso, su di un ometto giallo-bruno, che era legato all’albero maestro. Il prigioniero stava squittendo di terrore, cercando di evitare la punta di un’altra lancia arroventata che l’infuriato pirata stava dirigendo contro di lui.

«Tenta adesso la tua stregoneria!» grugnì Cirone. «Contro il bronzo rovente!»

Teseo guardò sbalordito il prigioniero. Era quasi un nano. Con la bocca larga, simile a un rospo, il suo volto grinzoso era notevolmente brutto. Il terrore gli aveva dato un vago colore verdastro. Aveva il cranio completamente calvo, ma aveva delle folte sopracciglia bianche. Gialli, enormi e cerchiati di bianco, i suoi occhi quasi uscivano dalle orbite, per la paura.

«Da dove è sbucato costui, capitan Volpemaestra?» domandò Teseo.

Cirone borbottò qualcosa, incoerentemente. Teseo guardò di nuovo, con aria meditabonda, il prigioniero che continuava a squittire. Vide con sorpresa che l’uomo indossava una veste cremisi, stracciata e lacera, e che il collo e le braccia erano coperti d’oro e di giada.

Teseo strinse il braccio del rabbioso dorico.

«La flotta cretese sta arrivando,» lo avvertì. «E la tempesta si sta addensando rapidamente a nord. Se speri di andartene, Volpemaestra, è tempo di muoverti!»

Cirone lasciò cadere la lancia rovente sul ponte, e tentò di calmarsi. Guardò con aria apprensiva la lontana linea di punti neri, a sud, e gridò al cuoco di ravvivare la fiamma.

«Andremo subito, capitan Fuoco!» disse. «Ma prima voglio bruciare gli occhi di questo piccolo stregone.»

«Da dove è saltato fuori uno stregone?» domandò Teseo. «E che ne è stato della tua donna gialla?»

Cirone cercò di parlare, annaspò, e diede un calcio al piccolo individuo legato all’albero.

«Non c’è mai stata una donna gialla,» brontolò. «C’era soltanto questo piccolo stregone maligno.» Si lamentò con violenza perché, scalciando lo stegone, aveva colpito l’albero maestro. «Aveva preso le sembianze della donna, per salvare dalla morte la sua miserabile carcassa.»

Sputò contro il piccolo stregone.

«Ho cercato di baciare la donna dorata, e lei è cambiata nelle mie braccia, trasformandosi in… questo affare!» Tremò per la rabbia. «E pensare che ho dato tutta la mia parte del bottino, e i miei gioielli, e perfino il mio mantello purpureo… per comprare una scimmia ghignante!»

Tirò il naso dell’ometto.

«Comunque, avrò il piacere di bruciargli gli occhi… e ho intenzione di godermelo!»

Il prigioniero emise un altro squittio, e si dibatté disperatamente, stretto com’era dalle corde. Gli occhi parvero schizzargli dalle orbite, poi, finalmente, egli fissò Teseo.

«Oh… capitan Fuoco,» La sua voce era nasale e pigolante. «O grandissimo, eccelso tra i pirati, il cui onore e l’audacia sono leggendari anche nella mia remota Babilonia! Oh, ti supplico e ti scongiuro, eccelso comandante, valoroso guerriero… lasciami salva la vita, abbi pietà!»

Teseo si infilò i pollici nella cintura, e scosse il capo.

«Gli stregoni non mi piacciono.»

Gli occhi gialli lo studiarono, speranzosi.

«Ma io sono il più insignificante e meschino degli stregoni,» si lamentò. «I miei incantesimi sono soltanto i più deboli e i più inutili. Nessuno di loro può far male a un uomo. Se possedessi i poteri degli stregoni di Cnosso, sarei forse qui, legato, torturato?»

Gli occhi gialli fissarono con terrore Cirone, e Teseo fece un passo avanti.

«Così eri tu la principessa dorata?»

«Sì, è vero,» pigolò l’ometto. «Quell’incantesimo è il più grande dei miei poteri, e anch’esso è debole e inutile. Perché ogni tocco lo indebolisce, e un bacio lo spezza.» Stava guardando Cirone, e la sua voce si fece ancora più affannosa. «Non volevo fare alcun male, capitan Fuoco. Mi sono servito del travestimento solo per salvare la mia miserabile esistenza. Aiutami, grande capitano, e sarò il tuo umile schiavo. Potrai comandare la mia misera magia. Ti prego solo di salvar…»

Cirone ritornò vicino, con la lancia arroventata, e la sua voce era stridula per la collera.

«Te la farò vedere io, miserabile!» gridò, furioso. «Non perdiamo tempo in chiacchiere, adesso!»

Teseo fece segno al rabbioso pirata di tirarsi indietro.

«Aspetta, capitan Volpemaestra,» disse. «Lasciami parlare a questo piccolo stregone. Si dice che la magia si combatta meglio con la magia. E io combatto contro la magia di Creta.»

Cirone agitò la lancia arroventata, con gesto impaziente.

«Ma io ho comprato questo stregone,» brontolò. «E certamente i suoi occhi sono miei, per bruciarli quando e come mi pare. E probabilmente i suoi incantesimi saranno altrettanto utili, anche se sarà cieco.»

L’ometto pigolò flebilmente.

«Tutto il tesoro della mia cabina è tuo, Volpemaestra,» disse Teseo. «Puoi comprarti una delle schiave bionde.»

«Non sono come la principessa dorata,» brontolò Cirone. «Ma tu puoi parlargli, prima che io goda del piccolo piacere che mi rimane, dopo i suoi trucchi magici.»

Teseo si avvicinò al prigioniero pigolante, e chiese:

«Chi sei, e come sei venuto a bordo?»

«Il mio nome è Snish,» pigolò l’ometto bruno, ansiosamente. «Sono nato nella remota Babilonia. Ci sono molti maghi, stregoni e incantatori, a Babilonia. Ma nessuno di loro è grande come il più debole stregone di Creta. E io ero il più piccolo e il più debole di tutti, nel mio lontano paese.»

«In questo caso,» volle sapere Teseo, «perché stavi andando a Creta?»

«È una disgraziata faccenda di clima,» gli disse Snish.

«Di clima?»

Il piccolo stregone guardò ansiosamente il barbuto Cirone.

«Solo gli stregoni più dotati e progrediti sono effettivamente in grado di governare gli elementi,» spiegò, con un certo disagio. «I maghi minori, però, sono a volte riusciti a fondare una notevole reputazione sulle naturali incertezze del tempo, giovandosi solo di coincidenze fortunate.

«Ora, si trattava di un’estate molto calda e arida, quando io affrontai la mia carriera di mago a Babilonia. I campi erano bruciati, intorno alla città, i canali erano asciutti, e il fiume era in secca, e non permetteva l’irrigazione. In queste circostanze, era sicuramente poco saggio sottoscrivere un contratto per portare la pioggia.

«Tutte le siccità, io lo sapevo, erano alla fine terminate con la pioggia… e alcuni maghi abbastanza audaci e con sufficiente faccia tosta erano riusciti a stabilirsi una solida reputazione, prendendone tutto il merito. Perciò, costruii una torretta di fango nei campi, e bruciai delle erbe in cima a essa, e sacrificai un bambino, e vegliai sotto le stelle, e aspettai, come gli agricoltori, che venisse la pioggia.

«Ma non c’era mai stata una siccità simile a Babilonia. Il cielo di giorno era una tazza rovente di rame, e le stelle di notte brillavano come gioielli. I germogli del grano avvizzivano e venivano portati via dal vento, e il bestiame moriva per la fame, e i portatori si facevano una fortuna, vendendo tazze d’acqua fangosa per le strade della grande Babilonia.

«I miei clienti cominciarono a perdere la pazienza. Invano discussi con loro delle fenomenali difficoltà che si ergevano di fronte alla mia impresa, e triplicai le mie tariffe. Finalmente, essi domandarono la restituzione di tutto quello che mi avevano pagato. Il denaro, sfortunatamente, era già stato speso. Ma i miei clienti partirono, senza di esso, e sottoposero il loro problema a un altro mago.

«Quest’altro mago era uno straniero, giunto a Babilonia solo di recente… quasi nel giorno, in realtà, in cui era iniziata la siccità. Si sapeva ben poco di lui. Ma una voce improvvisa si era diffusa per la città, e diceva che egli veniva da Creta, e aveva studiato le arti di Dedalo e Minosse.

«Lo straniero offrì, per una cifra favolosa, di dare la pioggia in quella stessa notte. I miei vecchi clienti erano disperati. Si recarono dagli usurai ittiti, offrirono le loro terre, i loro schaivi e il loro bestiame, e perfino le loro mogli, come pegno, e riuscirono a pagare la somma chiesta dallo straniero.

«Quella notte cominciò a piovere.

«Capii allora che lo straniero possedeva realmente i poteri che io avevo affermato di avere, e che le sue arti superiori dovevano essere state, in realtà, responsabili del mio insuccesso. Andai a cercarlo, deciso a chiedergli di diventare il suo apprendista. Ma scoprii che era già partito. Nessuno sapeva come e dove se ne fosse andato, ma un enorme uccello, di specie a tutti sconosciuta, era stato visto volare tra le nubi tempestose.

«Ritornando per le strade fangose alla mia dimora, trovai alcuni dei miei furibondi clienti, che erano venuti a chiedere la restituzione di ciò che mi avevano pagato. Trovai perciò più conveniente assumere le forme di una donna, e di lasciare Babilonia, a bordo di una nave.»

Il pirata dorico fece un gesto impaziente, con la sua lancia fumante. Il piccolo stregone tremò, dibattendosi tra le corde che lo stringevano all’albero maestro, e Teseo sollevò la mano, per trattenere il furibondo Cirone.

«Aspetta di conoscere la mia grande sfortuna,» lo supplicò Snish. «Lo straniero di Cnosso deve avermi gettato contro un incantesimo molto potente, che ha dimenticato di sciogliere quando è partito. Perché tutte le questioni che riguardano il tempo restano per me molto disgraziate.

«I miei viaggi, da quando ho lasciato Babilonia, sono stati lunghi e spiacevoli, quasi quanto le mie vicissitudini. Fui sbarcato nelle vicinanze di Troia, alcune lune or sono, da un capitano egizio che aveva cominciato a sospettare che la mia presenza a bordo avesse qualcosa a che vedere con i venti avversi.»

Cirone ritornò, con un’altra lancia rovente che aveva raccolto dal fuoco:

«Lasciamelo, capitan Fuoco!» supplicò. «La flotta di Creta si sta avvicinando… e questo piccolo stregone menzognero cerca di trattenerci, con le sue inutili chiacchiere, per farci cadere negli artigli della morte. Lascia che gli bruci gli occhi, e poi finalmente ce ne potremo andare.»

«Aspetta, Volpemaestra.» Teseo lo fermò, e si rivolse al piccolo stregone tremante. «Se hai tanti motivi per temere gli stregoni di Cnosso,» disse, «farai bene a spiegarci perché stavi viaggiando verso Creta! E parla in fretta!»

Snish roteò i suoi occhi sporgenti.

«Stavo appunto giungendo a questo,» pigolò ansiosamente. «Mi sono trovato senza amici, a Troia. A Babilonia, prima che così poco saggiamente cambiassi il mio mestiere, ero stato un ciabattino. Ho cercato impiego nelle botteghe di Troia, ma non riuscii a trovare niente, e dopo qualche tempo la fame mi costrinse a guadagnarmi da vivere con quelle misere arti che possedevo. Cominciai a fare certe profezie ai clienti che venivano da me… con risultati che si dimostrarono disgraziati.»

Snish scosse la testa calva con aria di rimpianto, e i suoi occhi guardarono Cirone, che stava fissando il mare, a sud-ovest, e agitava la lancia fumante con impazienza crescente.

«Vedi, anche Troia è stata costretta a pagare un tributo a Minosse, e molti volevano sapere qualcosa sul futuro di Creta. Ora, qualsiasi cosa uno possa leggere nel futuro… e si dice che gli stregoni di Creta possano indagarne i segreti con considerevole certezza… è quasi sempre una buona politica, per il veggente, ignorare le sue vere scoperte, e dire ai suoi clienti solo quello che essi vogliono credere.

«Ho assicurato ai Troiani, perciò, che Minosse è condannato, e che tutto lo splendore di Creta sarà un giorno dimenticato, e che Troia sarà un giorno la padrona del mondo… ho ignorato certe gravi indicazioni lette nelle stelle sul destino della stessa Troia, limitandomi ad avvertire i troiani di guardarsi dai cavalli.

«Non ebbi rivali a Troia, perché si tratta solo di una piccola città, e per qualche tempo riscossi un grande successo. Un successo troppo grande, in realtà, perché la mia fama giunse alle orecchie del governatore di Creta. Fui denunciato a un sacerdote cretese, e il sacerdote mi fece arrestare.»

Snish rabbrividì.

«A quanto sembra,» disse, «tutte le pratiche magiche nei territori di Minosse sono organizzate in una corporazione compatta e gelosa. Nessun mago, al di fuori della corporazione, ha il permesso di praticare l’arte magica. Senza volerlo, avevo infranto la legge. Venivo condotto a Cnosso, per affrontare quella che viene chiamata la giustizia dell’Oscuro.»

Il piccolo babilonese tremò, e divenne ancor più verdastro.

«Forse avete sentito parlare della giustizia dell’Oscuro,» ansimò. «È il destino più spaventoso che possa toccare in sorte a un essere umano. Perché la vittima viene posta al di là della giustizia degli uomini. È gettata nel nero Labirinto, sotto il palazzo di Minosse, che è la residenza dell’Oscuro. E questa malvagia divinità, così si dice, divora sia il corpo sia l’anima di coloro che entrano nel suo tenebroso dominio.»

Snish represse un altro brivido, e batté le palpebre, guardando Teseo con occhi colmi di speranza:

«Avevo indotto il capitano ittita a prendermi come sua preda,» disse in fretta. «E speravo di convincerlo a fuggire stanotte, salpando per l’Egitto. Ma questo avrebbe attirato tutta la magia di Cnosso sul mio capo.»

Gli occhi gialli di Snish seguirono i movimenti della lancia fumante di Cirone.

«È stata una grande fortuna per me, capitan Fuoco, che tu abbia preso questa nave,» gemette, immediatamente. «Cioè, lo è stata se riuscirai a dissuadere questo pirata dai suoi malvagi propositi contro il più piccolo, il più amabile, e il più insignificante degli stregoni. Salvami, capitan Fuoco!» Cominciò a squittire. «Lascia che la mia umile e misera magia venga posta al tuo onorato servizio!»

Cirone tirò il braccio di Teseo, e le sue dita tremavano.

«Lasciami questo stregone,» supplicò, con voce rauca. «Perché la flotta sta arrivando in fretta, e il cielo, a nord, ha un aspetto maligno.»

«Aspetta, Volpemaestra,» disse Teseo. «Forse potrò servirmi delle sue arti magiche.»

Snish si dibatté, speranzoso, tra le corde.

«E lo puoi dire davvero, capitan Fuoco!» I suoi occhi ansiosi guardarono le nuvole nere che si stavano alzando. «E ti suggerisco, capitan Volpemaestra,» squittì, «di lasciarmi subito. Perché, come ti ho detto, ho gravi difficoltà con il tempo. Quella tempesta, senza alcun dubbio, mi sta seguendo.»

L’apprensione aveva soffocato lo sdegno di Cirone. Gettò la sua lancia rovente sul ponte, e gridò ai suoi uomini di tenersi pronti a salpare.

«Prenditelo, allora, capitan Fuoco,» brontolò. «Ma sorveglialo. Perché non ci si può fidare di nessun mago… neppure di un cane vigliacco come costui!»

Poi balzò sul ponte della galera pirata, e delle asce brillarono, tagliando le corde che tenevamo unite le due imbarcazioni.

«Addio, capitan Fuoco!» Il suo grido era rauco e carico di angoscia. «Guardati dallo stregone!»

La vela rossa si alzò… perché c’era ancora un alito di vento che spirava dal sud. La lunga frusta del miceneo cominciò a farsi udire di nuovo, e i remi spinsero la galera verso lo stretto, verso nord, incontro alla tempesta incombente.

Rimasto solo con Snish, sulla nave catturata, perché anche gli schiavi ai remi erano stati portati a bordo della galera pirata, Teseo tagliò le corde che avevano stretto il piccolo stregone, e lo mandò a occupare il posto al timone.

Teseo si arrampicò sui sostegni, e alzò la grande vela gialla. Quando il vento del sud cadde, e il primo soffio gelido della tempesta del nord giunse fino a loro, la vela era già spiegata, e si gonfiava.

«Da quale parte, capitan Fuoco?» domandò lamentosamente Snish. «Dobbiamo dirigerci a est, per cercare di sfuggire ai cretesi nelle tenebre cupe della tempesta?»

Teseo sollevò il capo, orgogliosamente, e i suoi capelli rossi, agitati dal vento, formarono una splendida corona intorno al suo viso. Guardò oltre il mare, vide la lunga linea di vele nere che avanzavano portate da quell’incredibile vento del sud. Alla fine si voltò, e fissò, con aria grave, il piccolo stregone.

«No,» disse, piano, «avanti tutta, incontro alla flotta.»

Il viso da rospo dello stregone divenne nuovamente verdastro, e le sue mani rinsecchite si strinsero sul timone, tremando.

«Sì, capitan Fuoco,» pigolò Snish. «Andremo incontro alla flotta.» Scosse il capo, con aria apocalittica. «Ma le mie deboli arti mi dicono che avrei fatto meglio a restare con Volpemaestra, anche a prezzo dei miei occhi!»

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