CAPITOLO XII

Teseo riuscì a rimettersi in piedi, al centro dell’arena, sulla nera insegna della doppia ascia. Tremava, temendo un nuovo attacco a tradimento. Ma non c’era niente, pensò, che lui potesse fare contro il potere di Talos, il gigante di bronzo.

Aspettò, e sentì che la sabbia tremava, a ogni passo del tremendo Talos. Il gigante si avvicinò a lui. Gli occhi di fuoco si abbassarono su di lui, e la voce profonda tuonò:

«Io ti ricordo, Gothung il Normanno. Io ti ho parlato quando tu sei venuto a riva, fuggendo dalla galera affondata del pirata Fuoco.» Ridacchiò, e la sua risata fu un tuono che scosse l’arena. «E ti conosco ancora. Perché Talos non è uno stupido!»

Teseo pensò che il capitan Fuoco, in quel momento, era un argomento molto pericoloso. Rimase immobile, in attesa. Non aveva idea di ciò che lo aspettava… ma, sicuramente, ci sarebbero stati dei nuovi pericoli. La folla silenziosa e sbalordita non aveva l’aria di un popolo pronto ad acclamare un nuovo sovrano. Pareva pazzesco pensare che Minosse avrebbe volontariamente ceduto il suo trono.

Ansiosamente, in cerca di aiuto, guardò in alto, nella ultima fila dell’arena, dove aveva visto Snish. Ma il piccolo mago, come aveva sospettato, era sparito di nuovo. Se Snish gli aveva dato davvero una mano, durante i giochi, era quello che doveva aspettarsi. Allora abbassò lo sguardo, e incontrò gli occhi fiammeggianti del gigante Talos.

«Ebbene?» la sua voce era debole e rauca. «Che cosa vuoi?»

«Padrone, ora tu sarai il nuovo Minosse.» Le parole di Talos rimbombavano. «E io sarò il tuo schiavo. Sono venuto per servirti.»

«Allora,» mormorò Teseo, «mostrami la strada del trono che ho conquistato.»

«Aspetta, padrone,» disse Talos.


L’arena era ancora immersa in un allucinante silenzio. Non si udiva neppure un sospiro. Gli unici che si mossero furono Minosse, Dedalo e Arianna. Essi avanzarono sulla piattaforma dalla quale avevano sottoposto Teseo alla prova degli dei. Parlarono a bassa voce, nella lingua segreta dei sacerdoti, e alla fine Minosse disse qualcosa all’araldo.

I corni squillarono per l’ultima volta, e l’araldo gridò, raucamente:

«Che ora Gothung il Normanno si rechi al palazzo di Cnosso. Là egli si ristorerà, e riposerà dopo gli ardori delle prove che ha superato. Al tramonto, egli andrà nella sacra sala della doppia ascia.

«Là egli riceverà tutti i favori che l’Oscuro ha inteso accordargli. La veste di Minosse sarà posta sulle sue spalle, ed egli occuperà il suo posto tra gli dei. Cibele sarà sua sposa. Ed egli riceverà la doppia ascia della guerra e della pace, che è il simbolo del reggente dell’Oscuro.»

Teseo richiamò l’attenzione di Talos.

«Di’ loro,» mormorò, «che lo farò.»

La grande voce rimbombò, obbediente.

«Ora,» ansimò Teseo, «guidami a Cnosso! Io ti seguirò.»

Talos si voltò, dirigendosi verso il grande cancello, e Teseo lo seguì, barcollando. Per camminare fu costretto a esercitare un terribile sforzo di volontà. Ma riuscì ad avanzare con aria fiera, a tenere eretta la sua testa bionda. Anche se fosse morto ora, pensò, per qualche trucco degli stregoni, o grazie a una vile lama infilata nella schiena, sarebbe morto nel pieno del trionfo, e questo avrebbe potuto per lo meno scuotere il potere di Minosse.

Quando si mosse, un mormorio percorse la folla. Parve un mormorio di sorpresa. In esso c’era del sollievo, e del timore. E anche, pensò Teseo, una grande delusione.

Il grande cancello si aprì davanti a lui, in fondo all’arena. Teseo si fermò per un istante sulla soglia, e si voltò a guardare il luogo nel quale aveva combattuto. La folla cominciava ad alzarsi, e il mormorio cresceva d’intensità. Minosse, Dedalo e Arianna erano scomparsi.


Teseo seguì l’uomo di bronzo che, a grandi passi, attraversò le strade di Eskoros, verso le poderose colonne di Cnosso. Il quartiere che attraversarono era ricco, molto diverso dalle misere strade nelle quali Teseo aveva incontrato il palanchino di Arianna.

Le strade erano larghe e pulite. Non c’erano fogne aperte, e non c’erano bambini piangenti. Delle grandi muraglie di pietra isolavano le ville dalla strada, e oltre i muri si vedevano solo gli alti alberi dei meravigliosi giardini.

Evidentemente, la notizia dell’esito dei giochi si era già diffusa per la città. Perché la strada era deserta. Le sole persone che Teseo vide erano distese a terra, con la testa nella polvere, nei viali vicini. Un silenzio carico di tensione lo seguiva. Solo una volta udì una voce. Veniva da una donna avvolta in un mantello stracciato:

«Oh, nuovo Minosse! Pietà per il tuo popolo, e per i suoi bisogni. Vestilo, perché esso è nudo. Dagli cibo, perché esso muore di fame. Ricorda che sei stato umano, un tempo, e risparmia al tuo popolo il terrore del tuo potere!»

Quando arrivarono di fronte alla lunga massa del palazzo, sulla bassa collina, nessuno venne loro incontro. Teseo udì solo dei lontano bisbigli, e dei passi attutiti e frettolosi, e riuscì a distinguere appena delle figure confuse che sparivano in fondo a lunghi corridoi oscuri.

Malgrado l’ansia e la fatica, provò meraviglia, e reverenza, di fronte all’enorme splendore di Cnosso. I suoi corridoi, le sue corti e i suoi saloni, erano un prodigio di complessità e di arte. Ma i soffici tappeti che coprivano il pavimento, gli affreschi alle pareti, l’oro e l’argento che brillavano ovunque… erano dei segni di ricchezza che risvegliarono lo spirito di capitan Fuoco.

«Che bottino,» pensò «in questo luogo!»

Il pavimento scricchiolava minacciosamente, sotto i piedi di bronzo del gigante. Ma Talos guidò Teseo lungo i corridoi silenziosi, attraverso la splendida corte centrale, e gli fece salire una lunga scala, che portava in direzione del fiume.

Dimenticata in parte la sua stanchezza, Teseo guardava con sbalordimento la ricchezza che si vedeva ovunque. Ed era tutta sua! L’aveva vinta, vincendo i giochi. E tutto gli sarebbe stato consegnato formalmente, dopo il tramonto… a meno che non intervenissero gli incantesimi degli stregoni!

Ma questo non sarebbe stato comunque suo per molto tempo, pensò. Perché l’aveva vinto, non per se stesso, ma per il popolo di Creta, e per quello della sua patria, l’Attica, e anche per i popoli di tutto il mondo. Il prossimo passo… se veramente aveva vinto qualcosa!… era quello di schiacciare i sacerdoti e gli stregoni, porre fine al crudele culto dell’Oscuro, e distruggere il regno della magia!

Poi… ebbene, la lunga abitudine del vagabondare era diventata troppo forte, in lui, per poter essere vinta facilmente. C’era l’Egitto, con le sue antiche meraviglie. C’erano le strane e lontane terre d’Oriente. E, senza dubbio, più lontano, c’erano delle altre terre ancora.

Talos si fermò davanti a una porta.

«Queste camere sono tue, padrone,» disse, «gli schiavi ti ristoreranno, ti serviranno in tutte le tue necessità. Riposa, finché il sole non sarà tramontato. Ti aspetterò qui, davanti alla porta.»

E Talos, improvvisamente, divenne perfettamente immobile, tanto da apparire una grande statua di bronzo. Il suo viso semplice era privo d’espressione, e gli occhi fiammeggianti guardavano nel vuoto.

Teseo gli passò accanto, stancamente, ed entrò in un ricco appartamento, illuminato da un’ampia finestra bianca. Le pareti erano coperte di affreschi, che riproducevano scene dei giochi, tori selvaggi e fanciulli e fanciulle che balzavano sulle loro poderose corna. Le stanze, fresche e silenziose, erano arredate alla moda cretese, semplice e ricca a un tempo, con grandi tappeti e bassi divani.

Due schiavi lo condussero nel bagno, e lo misero in una grande vasca di bronzo. L’acqua profumata e calda, dissolvendo lo sporco delle segrete e dell’arena, gli diede una sensazione di grande benessere. Non sentì neppure il bruciore delle sue ferite, che non erano in realtà molto profonde. Cominciava ad avere sonno.

Per qualche istante la sua attenzione fu attratta dalla novità dell’acqua corrente, del tubo di scarico, e dei diversi impianti che si trovavano in quel bagno prodigioso. Ma quando gli schiavi lo sollevarono, tirandolo fuori dalla vasca, aveva gli occhi già chiusi. Gli schiavi lo profumarono, spalmarono degli olii balsamici sulle sue ferite, lo posarono su di un soffice divano. Ma Teseo si era addormentato già prima di toccarlo.

Era già buio, quando Teseo si svegliò, e uno schiavo era entrato nella stanza, con una lampada d’argilla in mano. Teseo si alzò. Il corpo adesso gli doleva, era rigido e le ferite pulsavano, e aveva una fame terribile. Ma non gli fu offerto alcun cibo.

«Vieni, Normanno,» disse la voce profonda di Talos. «Gli dei ti stanno aspettando, nel salone sacro.»

Ancora nudo, Teseo si alzò e seguì di nuovo l’uomo di bronzo. Delle torce fiammeggianti illuminavano la strada. Attraversarono ancora una volta i corridoi e le corti, scesero e salirono lunghe scalinate, e videro degli schiavi, che si inginocchiavano al loro passaggio. Teseo disse a Talos:

«Di’ loro di seguirmi.»

«Questo è proibito,» ruggì l’uomo di bronzo. «Solo la stirpe reale, i nobili, gli stregoni e i più ricchi mercanti possono entrare nel salone della doppia ascia.»

«Non è più proibito,» disse Teseo. «Perché io domando il trono in nome del popolo di Creta, e voglio perciò che il popolo sia presente. Di’ che mi seguano… tutti gli artigiani e gli schiavi.»

Talos si voltò, e il suo viso semplice era la maschera della perplessità.

«Questo a Minosse non piacerebbe.»

«Ma sono io il nuovo Minosse,» disse Teseo, «e te l’ordino.»

Non troppo convinta, la voce roboante di Talos gridò il richiamo. Teseo sentì dei passi soffocati e timorosi, che lo seguivano.

Finalmente essi giunsero nella solenne immensità del sacro salone, le cui enormi colonne quadrate portavano incisi i segni della doppia ascia. Delle fiamme dai colori spettrali danzavano su grandi bracieri, montati su tripodi, a forma di testa di toro. Un altare circondato da tende nere era coperto da un grande drappo bianco, e un’antica ascia di ossidiana era deposta al centro di esso. Dei sacerdoti dalle vesti nere erano inginocchiati accanto all’altare. Davanti a esso, vestiti di bianco e di nero, si ergevano Minosse e Dedalo.

Talos si fermò davanti a loro, ruggendo:

«Ecco Gothung il Normanno, che è stato scelto oggi dall’Oscuro per salire sul trono. Egli è pronto.»

In piedi, accanto al gigante… rendendosi improvvisamente conto di essere nudo e indifeso… Teseo guardò il volto di Minosse. Il sovrano decaduto gli sorrise allegramente, e, alla luce dei bracieri, i suoi occhi scintillavano di gioia. Poi Minosse guardò oltre Teseo, e vide gli schiavi e gli artigiani che scivolavano silenziosamente nel salone. Ridacchiò, e poi disse, con la sua voce femminea:

«Cacciateli fuori!»

Ma Teseo alzò un braccio, in segno di protesta.

«Ferma! Li ho chiamati io, e ho ordinato loro di seguirmi. Perché essi sono il popolo di Creta, e saranno loro i nuovi padroni. Io domando il trono che ho vinto, in nome loro e per loro. E ora ti avverto che il regno degli stregoni e dell’Oscuro è finito!»

L’uomo dalla veste bianca e quello dalla veste nera si guardarono in faccia. Il volto oscuro di Dedalo era imperscrutabile, e così pure quello roseo di Minosse. Parve a Teseo, però, per un istante, che una luce ironica e perversa si fosse accesa negli occhi neri di Dedalo. Ma Minosse sorrise di nuovo.

«Che restino, allora,» disse, piano, «a vedere il loro dio!»


I preti inginocchiati iniziarono un canto basso e solenne, nella loro lingua segreta. Il mago Dedalo, con la sua voce cupa carica di disprezzo, si fece avanti e disse:

«Vieni avanti, Gothung il Normanno. Ricevi le vesti di Minosse, prendi la tua sposa divina, accetta la doppia ascia dell’Oscuro, e assumi il tuo posto tra gli dei.»

Cercando di celare un brivido di apprensione, Teseo si fece avanti, avvicinandosi all’altare. A un segnale di Dedalo, si inginocchiò davanti a esso. Cantando nella lingua segreta, lo stregone tolse la veste bianca dalle spalle di Minosse, e la posò sul corpo di Teseo. I preti tacquero, improvvisamente. Alzandosi, Teseo notò un silenzio carico d’attesa, vide che gli occhi di tutti cercavano una porta nera, dietro l’altare.

Anche lui guardò, e Arianna fece il suo ingresso. Portava una lampada d’argento, e i raggi illuminavano il rosso splendore dei suoi capelli, e danzavano sul suo viso candido, e mandavano riflessi verdi incontrando le pieghe della sua lunga veste color smeraldo. La colomba bianca era sulla sua spalla, e agitava le ali. Lei girò intorno all’altare, e camminò con grazia regale verso Teseo.

Teseo fissò il suo viso.

Era bianco, immobile, gelido. Freddo come una statua di ghiaccio, e gli occhi verdi erano cupi, e annebbiati da un odio sprezzante.

Si fermò davanti a Teseo, e guardò l’aria.

La voce sepolcrale di Dedalo gracchiò:

«Attraverso Arianna, che è il suo altare in Terra, ed è pure figlia di Minosse e incantatrice dei serpenti, la Madre di Tutti, Cibele, prende colui che è stato Gothung il Normanno come suo sposo onorato, e gli dà il benvenuto nel consesso degli dei.»

Arianna rimase immobile, orgogliosa e sprezzante, di fronte a Teseo, eppure i suoi occhi freddi rifiutarono di guardarlo. Le mani nere di Dedalo le tolsero la lunga veste. Lei rimase con una sottile veste verde, trasparente e aperta, che rivelava tutto lo splendore del suo corpo.

La voce di Dedalo echeggiò cupamente:

«Vuoi tu, Arianna, ricettacolo di Cibele, accettare questo nuovo dio nel tuo cuore?»

La colomba bianca agitò le ali, sulla spalla di Arianna, e il serpente d’argento si agitò alla sua cintura. Gli occhi del serpente erano gemme cremisi, che luccicavano maligne. La voce di Arianna era debole e fredda, quando lei rispose:

«Sì, lo accetto.»

Teseo rimase immobile, e vide un leggero rossore salire alle gote della dea. Si rilassò un poco, e osò sorridere, di fronte al suo sdegno impotente. Le cose stavano procedendo bene, al di là di ogni sua aspettativa.

Ma Dedalo gracchiò, rivolgendosi ad Arianna:

«Allora accogli il nuovo dio con un bacio di sposa… perché ora tu sei la sua sposa.»

Il volto di Arianna era pallidissimo e teso, e gli occhi verdi mandavano lampi di sdegno. Teseo sorrise.

«Abbiamo già discusso sui doveri della maternità,» disse a Dedalo. «Perdoniamole, adesso, il suo carattere così femminile. Troverò tempo, in seguito, per insegnarle gli obblighi di una sposa.»

Il volto contorto dello stregone era una livida maschera di odio. Fissò a lungo Teseo, come se volesse consumarlo con il sinistro potere dei suoi occhi. Alla fine si voltò, furioso, e si avvicinò all’ascia di pietra, sull’altare.

«Essendo io la mano dell’Oscuro,» disse raucamente il grande stregone, «ora offro al nuovo Minosse la sacra ascia, le cui lame gemelle sono la perizia della guerra e l’arte della pace, e che rappresenta il simbolo della reggenza dell’Oscuro.» Allungò la mano verso l’antica ascia, ma…

«Ferma!» sibilò la voce flautata di Minosse. «Egli non è ancora un dio!»

C’era qualcosa di terribile in quel viso roseo e sorridente, e gli occhi azzurri scintillavano di malizia. Roseo e tarchiato, senza il suo bianco abito, Minosse andò accanto alla figlia, e le mormorò qualche parola all’orecchio.

Guardando con apprensione la scena, Teseo vide che il gelido viso di Arianna si riscaldava, che i suoi lineamenti di pietra si addolcivano in un luminoso sorriso. La dea guardò Teseo, e i suoi occhi verdi splendevano di una luce spietata di trionfo. Ansiosamente, la sua voce dorata disse:

«Aspetta! Mi rendo conto dei miei doveri. Il nuovo dio deve ricevere il saluto che gli è dovuto!»

Si avvicinò a Teseo, con aria sollecita e premurosa. La colomba bianca mosse le ali, per mantenere l’equilibrio, e gli occhi di rubino della cintura serpentina brillarono malignamente. Lisce, bianche e calde, le braccia della dea circondarono le spalle di Teseo.

«Mio divino padrone!» La sua voce era dolcissima, piena di un’ironia soave che risplendeva anche nei suoi occhi verdi. «Un bacio!»

Teseo capì che Minosse lo aveva preso in trappola. Disperatamente, cercò una via di scampo. Strinse le spalle levigate di Arianna, e la scostò, rudemente.

«Tu me l’hai rifiutato,» disse, «ora aspetta che io sia pronto.»

Ma Minosse sorrise, un sorriso fanciullesco e ilare, e gli strizzò l’occhio, allegramente. E Teseo scoprì, improvvisamente, di essere avvinto dalle stesse corde invisibili che lo avevano paralizzato al centro dell’arena, sopra il segno della doppia ascia.

«Ora, mio signore.» Gli occhi di Arianna ridevano. «Un bacio!»

Il suo bianco corpo slanciato fu di nuovo contro quello di Teseo, e lui non riuscì a muoversi. Deliberatamente, le calde labbra rosse di lei cercarono quelle dell’uomo, e le toccarono. Teseo, bruscamente, sentì che Arianna lasciava cadere le braccia, e che la veste di Minosse scendeva sul suo corpo in maniera diversa da prima. E Arianna indietreggiò, fingendo una grande sorpresa, con gli occhi meravigliosi che le ridevano.

«Chi sei tu, testarossa?» domandò, ironicamente. «E dov’è il divino sposo di Cibele?»

Libero finalmente dagli invisibili, magici legami, Teseo abbassò lo sguardo, vide le sue mani. Erano abbronzate, e sottili, con le dita affusolate… le sue, non le enormi mani del normanno. Strinse i pugni, sconfitto.

Udì la risata di Minosse.

«Guarda, Talos!» mormorò la voce femminea del re. «Ecco il prigioniero che tu cercavi… il pirata Fuoco! Mi ha rubato la veste! Prendilo! Gettalo nella segreta più profonda, dove aspetterà la giustizia dell’Oscuro.»

Con un suono soffocato, di trionfo, Dedalo strappò a Teseo la bianca veste, e la rimise sul corpo roseo di Minosse. Il sovrano stava tremando, era scosso dalle risa, e il volto era grinzoso come non mai.

«Ma noi stavamo mettendo sul trono il mio successore,» singhiozzò, tra le risa, «dove sarà mai il normanno?»

Il pavimento tremò, e Talos avanzò verso Teseo. Nell’istante che gli era rimasto, Teseo afferrò Arianna, la strinse così forte che lei ansimò per il dolore.

«Questa non è la fine,» alitò, «mia sposa!»

Qualcosa dentro di lui, però, gli diceva che quella era davvero la fine.

Ricordò l’arena. Ricordò che Minosse aveva scommesso con calma sovrumana sulla vittoria di Gothung. Improvvisamente, fu sicuro che quell’ometto roseo e gioviale, dagli occhi perennemente ilari, aveva scoperto il suo travestimento fin dall’inizio, e che la sua sorprendente vittoria nell’arena e questa rivelazione ritardata erano state soltanto un gioco… un gioco per rompere il tedio che doveva giungere, dopo trenta generazioni di vita.

Doveva essere così. Certo, doveva essere proprio così. E che stupido era stato, lui, a credere di poter spezzare il giogo che gravava da mille anni su Creta! E come dovevano avere riso… beffandosi di lui, della sua speranza di vincere quel cimento, di conquistare quel trono inviolabile!

La calda, irresistibile mano di Talos afferrò il braccio di Teseo, e lo trascinò via.

Voltandosi, egli vide che Minosse era ancora scosso dalle risa.

Arianna lo seguiva con lo sguardo, invece, e aveva una strana espressione di sorpresa, e il suo viso era bianco come le piume della sua colomba.

Загрузка...