Mezz’ora dopo il tramonto del giorno successivo a quello della disastrosa ribellione a Tyrrel, Jake si trovava nella grotta con il suo nuovo padrone parlando con calma di lavoro. Il suo braccio destro faceva ancora male quando lo muoveva in un certo modo, ma a parte quello, era come se la zuffa del giorno prima non fosse mai accaduta.
Edgar stava ispezionando il lavoro svolto quel giorno da Jake. In genere lo commentava in modo favorevole, anche se di quando in quando si dichiarava insoddisfatto di questo o quel particolare.
Jake aveva trascorso l’intera giornata a scavare nel profondo scisto Visnù in fondo alla grotta in cerca dei piccoli noduli bianchi. Edgar voleva averne sempre parecchi a disposizione, di forma e dimensioni variabili. Li teneva in pesanti latte metalliche circolari e, naturalmente, sul banco di lavoro. Per le sculture usava solo i più belli; gli altri venivano portati sul fondo della grotta, davanti alla fessura che faceva da ingresso alla camera segreta. Come se fossero destinati a finirvi una volta o l’altra.
Quel giorno il lavoro, il duro lavoro da minatore svolto solo con mazza e piccone, procedeva davvero lentamente. Per fortuna sembrava proprio che a Edgar non interessasse la rapidità, ma solo che la ricerca dei bianchi noduli fosse completa e che lo tenesse occupato per la maggior parte delle ore del giorno. Ogni volta che trovava un grumo della candida pietra, Jake doveva scavare sotto di esso con la massima attenzione per estrarlo intero. Poi lo portava sul banco di lavoro dove i noduli venivano divisi per forma e dimensioni.
Il tavolo da lavoro era un lungo e rozzo tavolo di legno bene illuminato sistemato lungo una parete in prossimità dell’ingresso. Qui erano sparsi una dozzina o poco più di bianchi noduli di modeste dimensioni, mentre un paio erano fissati al tavolo con delle morse, pronti evidentemente per venire lavorati e assumere le fattezze di cose vive. Il candido materiale era pietra, o almeno Jake non avrebbe saputo come altro classificarlo, ma alla vista e al tatto appariva diverso da qualsiasi materiale avesse mai maneggiato.
Edgar rivelò a Jake di essersi procurato alcuni dei noduli che vedeva sul tavolo da lavoro direttamente dalle rapide del Colorado, avvisandolo che lui e Camilla non potevano utilizzare i suoi metodi di raccolta e aspettarsi di sopravvivere.
Sembrava esservi una grande abbondanza di noduli nella grotta in quel momento, come Jake poteva vedere da sé. Si chiese se davvero Edgar ne avesse bisogno o se non lo facesse lavorare solo per tenerlo occupato e lontano dai guai. Le parole di Camilla riguardo quel qualcosa in più che Edgar voleva da loro gli tornavano ogni tanto in mente, drammatiche e inquietanti.
La maggior parte delle volte Jake lavorava a torso nudo, sudando come un matto. Là dentro era decisamente più fresco che fuori, dell’aria del roccioso anfiteatro che cuoceva giorno dopo giorno sotto il sole, ma vi faceva comunque caldo. Doveva dunque fermarsi abbastanza spesso, e nelle ore più calde del giorno, Camilla gli portava limonata fresca. Teneva la luce elettrica sempre accesa: ne aveva bisogno, se voleva vedere bene quello che faceva, e la spegneva solo quando un raggio di sole entrava con l’angolazione giusta nella caverna. In quel momento per esempio erano accese. Edgar però non ne aveva bisogno quanto lui: la vista del vecchio uomo era estremamente acuta e gli consentiva di notare in quella penombra particolari minimi anche alla distanza.
Sul lavoro Jake usava picconi, mazze e martelli, scalpelli, piedi di porco e ceselli. Edgar aveva degli esplosivi a portata di mano, chiusi in una baracca appena fuori dalla caverna, ma evidentemente non li gradiva molto.
E proprio quella sera ne parlarono. — Ho provato la dinamite — disse Edgar. — Ma questo è un posto insidioso per usare gli esplosivi. Molto meglio estrarre a mano ciò che serve. Ecco perché sei qui.
Jake annuì. Quel giorno il vecchio uomo dava mostra di un’attitudine tanto pacata e confidenziale che lui non poteva evitare di pensare che, nonostante quanto fosse accaduto, quello si sarebbe dimostrato un lavoro decente e accettabile. Era una speranza folle, si diceva ogni tanto, ma in qualche maniera quando Tyrrel parlava in modo tanto ragionevole sembrava solo naturale.
— Cosa c’è là dietro? — si decise a domandare Jake, accennando verso la cavità quasi completamente bloccata in fondo alla caverna. Era tale l’atmosfera in quel momento che sperava di ottenere una risposta.
Edgar lo guardò. — Il mio lavoro — replicò seccamente, ponendo l’accento sulla seconda parola.
— Ehi! — esclamò Jake mezz’ora dopo essere tornato nella piccola casa, un’ora circa dopo il tramonto. Era praticamente la prima sillaba che pronunciava da quando Edgar gli aveva detto che poteva tornare a casa per la sera.
Si trovava in piedi davanti al frigorifero, tenendo la porta aperta e guardando dentro. Qualcosa di strano aveva attratto la sua attenzione e si chiedeva come poteva essere stato tanto lento a notarla.
— Cosa c’è? — fece Camilla muovendosi qua e là dietro Jake, prosaicamente presa dalla preparazione della cena.
— Si direbbe che qualcuno abbia fatto compere.
Soltanto la notte prima Jake aveva notato, senza però pensare più di tanto alla faccenda, che le provviste nel frigorifero cominciavano a scarseggiare. Gli scaffali della credenza erano ancora pieni di cibo secco o inscatolato e non si correva certo il rischio di soffrire la fame; quindi lui non si era chiesto neppure per un attimo da dove venissero le uova, il prosciutto e il formaggio. Ma quella mattina aveva trovato del cibo fresco nel frigo, il cibo che adesso si ritrovava a contemplare.
In qualche modo, il frigo era stato riempito nella notte. — Da dove diavolo viene questa roba? Ehi, ma questa sembra birra!
— La porta Edgar. Ieri notte, mentre tu dormivi, ha riempito il frigo. Ogni settimana parte per quello che chiama il ritorno alla realtà. Va sull’altopiano, quello vero, quello dove vive la gente. Qualcosa la prende al centro commerciale dell’El Tovar (proprio così ha detto) e il resto in altri posti.
Pensosamente, Jake prese e guardò una scatola di formaggini Kraft. Nonostante la strana confezione, provò un tuffo al cuore osservando il nome tanto familiare sulla scatola. Dimostrava che il vero mondo non era completamente fuori portata. — In qualche modo credevo che restasse qui tutto il tempo.
— Lui dice che gli piacerebbe. Restare qui e lavorare, ecco tutto ciò che vuole. Brontola sempre prima di questi suoi viaggi. Ma ha bisogno di attrezzi e di altre cose. E di comprare cibo per noi che respiriamo.
— Scusa?
— È questo ciò che siamo: quelli che respirano. Edgar no. Non lo hai ancora notato? Edgar non respira.
Jake la guardò sgranando gli occhi. Ma ormai aveva capito che nel Canyon Profondo più una cosa sembrava assurda e più probabilità aveva di essere vera.
Camilla stava annuendo. — Non sto scherzando. Osservalo bene la prossima volta e vedrai che non respira, tranne quando ha bisogno di aria per formare le parole — disse, per poi ridurre la voce a un sussurro. — Perché così sono i vampiri.
— Vampiri? Vuoi dire come nei film?
— Be’, non esattamente — fece Camilla, guardando il frigo pieno e ridacchiando stranamente. — A giudicare da tutta questa roba, si direbbe che voglia mantenerci entrambi in forma.
Dopo qualche attimo di silenzio, Jake disse: — Un po’ sarà per lui.
— Lui non mangia come me o come te. Non è come quelli che respirano.
— Spiegati meglio.
— Lui ha bisogno solo di sangue fresco. Può essere il tuo o il mio, oppure quello di un cane. Qualche volta cattura un animale selvatico e ne beve il sangue.
Jake non trovò risposta.
Troppe cose, cose impossibili, erano entrate a forza nella sua vita divenendo parte della sua visione del mondo in soli tre giorni. Perché per quanto poteva dire dal sorgere e calare del sole, mancava dall’accampamento da tre miserabili giorni. Si chiese però se era davvero così. Ora credeva a Camilla quando diceva che il tempo, come del resto il grande fiume, scorreva in modo diverso nel Canyon Profondo.
— Mi chiedo cosa stanno facendo al campo adesso — fece.
— Ah, potrebbero averti già dimenticato ormai. Sul loro calendario sarà passato forse un mese.
Il giorno prima Camilla aveva proposto casualmente di prendere la doppietta, caricarla con proiettili più leggeri di quelli necessari con un orso e andare a caccia di conigli. E sembrava che non vi fossero particolari problemi a pescare del pesce. Dietro la casa lei aveva anche fatto un orto, in cui Jake poté identificare pomodori e carote tra un fiorire di gramigna che minacciava di soffocare tutto. Una linea secondaria della condotta che portava l’acqua alla casa era sistemata in modo da innaffiare il giardino girando semplicemente un rubinetto.
In ogni caso, quello che veramente lo interessava erano le spedizioni del vecchio scultore nel mondo esterno. — E così Edgar porta qui tutta questa roba, le birre, il cibo in scatola e le uova?
— Esatto. Vuole nutrirci bene — replicò lei di nuovo ridacchiando. — Ti può portare dei vestiti nuovi, se vuoi. A me li ha portati diverse volte. Gli ho chiesto delle sigarette, ma lui dice che fanno male.
— E come fa a uscire di qui quando va a procurarsi quella roba? Che sentiero segue?
Lei rispose con un’alzata di spalle. — Ci va e basta. I vampiri possono farlo. Forse non tutti, ma lui può.
— Ma dai — commentò Jake, cercando in qualche modo di strapparla a quello stato di vaga follia. — Come fai a sapere che è un vampiro?
— Lo so e basta.
— Che idea.
Camilla scosse la testa come se avesse potuto leggere i pensieri di Jake. — Penseresti davvero che sono pazza, amore mio, se ti raccontassi tutto ciò che Edgar può fare. Aspetta e vedrai. Adesso che sei qui ne vedrai delle belle. E ti consiglio di far bene il lavoro che ti ha affidato, te lo consiglio davvero!
Ricordando la morsa che gli aveva stretto e torto il braccio rendendolo innocuo come un bambino, Jake dovette perlomeno darle ragione su questo.
Quando si recò al lavoro la mattina successiva, Jake scoprì che durante la notte Edgar aveva trovato un grosso blocco di scisto Visnù da qualche parte nel fiume (era ancora bagnato, e appariva incrostato di piccole conchiglie su un lato) per poi portarlo in qualche modo su per il Canyon Profondo fino al laboratorio. Rapidamente ne stimò il peso sui cinquecento chili.
L’aveva portato su tutto da solo? Non poteva crederci.
Sul banco di lavoro trovò una piccola nota dalla scrittura chiara e ordinata che cambiava i suoi ordini di lavoro ed era firmata TYRREL.
Jake cominciò a fare quanto ordinato, concentrandosi sul blocco ed estraendo i piccoli noduli bianchi.
Tyrrel ricomparve puntuale al tramonto, proprio quando Jake stava per smettere il lavoro e tornare a casa. Esaminò il raccolto di candidi noduli disposto sul tavolo e si dichiarò ragionevolmente soddisfatto.
Qualche attimo più tardi, solo in casa con Camilla, Jake disse: — Accidenti, il modo in cui maneggia gli attrezzi, la forza che ha: avrebbe potuto fare in mezz’ora ciò che io ho fatto in un giorno. Perché ha bisogno di me? Perché ha bisogno di noi due?
— Ti ho già detto una volta ciò che penso realmente.
— Mi ricordo. Hai detto che voleva le nostre vite. Ma non riesco a capire.
— Neppure io riesco a capirlo, amore. È una sensazione, ecco tutto, solo una sensazione.
Una o due ore prima dell’alba, Jake si svegliò di soprassalto. Una forza o una presenza estranea aveva scosso il letto in cui dormiva. Si svegliò appieno e vide che Edgar si trovava nella stanza con lui e Camilla.
Solo la tenue luce di una notte senza luna, che entrava dalla finestra priva di tende, illuminava la stanza. Tuttavia bastò a Jake per vedere Edgar, vestito come sempre, fermo in piedi accanto al letto con un braccio attorno al corpo nudo di Camilla. Lei era già scesa dal letto a metà, ed Edgar stava aiutandola a guadagnare un incerto equilibrio sulle gambe.
Con il braccio che ancora doleva per la baruffa di due giorni prima, Jake poggiò un piede a terra e si lanciò senza pensarci e pieno di rabbia contro Edgar.
Senza il minimo sforzo questi lo respinse indietro. Jake attraversò barcollando tutta la stanza, battendo il capo contro la parete opposta e scivolando lentamente a terra, stordito.
Lentamente il giovane si riprese e si rialzò. Camilla adesso era in piedi accanto al letto, le braccia lungo i fianchi. Con un brivido di orrore che lo attraversò da capo a piedi la vide ancora addormentata, mentre il suo corpo ondeggiava un poco. E con nuova sorpresa notò, un attimo più tardi, che i suoi occhi erano chiusi e il suo volto sereno e rilassato.
Edgar era vicino e con le dita della mano destra sfiorava a malapena la spalla di Camilla. Con strani gesti e qualche parola sussurrata istruì Camilla su ciò che voleva. Dopo un attimo di esitazione lei obbedì al comando, qualunque questo fosse. Completamente nuda, mosse verso la porta e uscì. Edgar uscì dietro di lei.
— Camilla, svegliati! Camilla! — urlò Jake vedendola sparire. Ma ne Camilla né Edgar gli prestarono la minima attenzione.
Jake si infilò i pantaloni e si precipitò dietro di loro, passando dalla cucina per prendere il coltello del pane. Fu tanto rapido da riuscire a intercettarli appena fuori dalla porta. Si avventò su Edgar col coltello puntato, ma di nuovo questi gli afferrò il polso gettandolo di lato con la massima facilità.
Incespicando, Jake tornò dentro e afferrò la doppietta appoggiata alla parete in un angolo della stanza. Girando su se stesso, puntò l’arma contro l’uomo ancora visibile attraverso la porta e premette il grilletto. Due secchi, inutili scatti risuonarono nel buio insieme al suo respiro affannato.
Jake urlò a Camilla di svegliarsi subito.
A quel punto il vampiro si voltò verso di lui. — Si sveglierà solo quando io lo vorrò — gli disse con massima calma. Poi sorrise, come se trovasse divertenti i suoi inutili sforzi, e tornò con l’attenzione alla sua preda addormentata. La fermò, mosse qualche passo indietro e con un ultima occhiata a Jake chiuse la porta.
Per qualche istante il giovane non poté far altro che guardare impotente la parete. Poi aprì rabbiosamente la doppietta, vide che era scarica e la gettò di lato con un moto di stizza. Due secondi dopo aprì pian piano la porta e prese a seguire Camilla e il vampiro, già lontani dalla casa.
Con Camilla un metro avanti alla sua scorta ed Edgar che la seguiva quasi con deferenza, la coppia si incamminò verso l’ingresso della grotta.
Jake continuò a seguirli tenendosi a una distanza di dieci, quindici metri. Se Edgar si era accorto della sua presenza aveva deciso di ignorarla.
Le figure scomparvero dentro la grotta, che rimase buia. Avanzando ora con grande cautela, Jake si fermò dapprima sull’ingresso per poi muovere un passo dentro e scrutare nelle tenebre. Un vago, tetro bagliore, malsano in qualche modo e quasi purulento, veniva dalla cavità chiusa che ricordava una camera segreta.
Attraverso l’oscurità, Jake si rese conto che la grande e pesantissima lastra che chiudeva l’ingresso della camera era stata rimossa. Adesso lo spazio bastava appena per consentire a Camilla di passare sfiorando la roccia col corpo nudo. Subito Edgar la seguì, scivolando con facilità attraverso l’apertura nonostante fosse molto più robusto della ragazza.
Quasi affascinato, terrorizzato ma incapace di trattenersi, Jake si avvicinò passo dopo passo.
Fino a vedere il modo in cui i corpi di Edgar e Camilla si unirono. Camilla gemette quando il vecchio la spinse contro un angolo della parete. Jake intravide solo la testa e le spalle dei due, ma dal modo in cui erano disposti non potevano essere in contatto anche sotto la vita. E finalmente Jake vide con i suoi occhi ciò che Camilla aveva inteso accennando all’insolito modo di fare l’amore di Edgar. Tra gemiti lascivi i denti del vampiro, all’improvviso lunghi e acuminati come i denti di un ratto, si avvicinarono alla candida gola di Camilla.
Nauseato, Jake osservò la scena ancora per qualche secondo per poi ritrarsi verso l’ingresso della grotta, dove sedette sulla soglia di pietra con gli occhi persi nel vuoto cercando di non sentire gli occasionali gemiti, forse di piacere, che venivano da dentro.
Passò un’ora, ma poteva anche trattarsi di molte ore. Il cielo a oriente cominciava ormai a schiarire quando Camilla uscì incespicando dalla camera segreta. Jake rialzò la testa per vederla lentamente emergere, spettrale e in qualche modo pietosa nella livida luce dell’alba. Nello stesso momento Jake udì la grande lastra stridere, e comprese che Edgar stava muovendola da solo per richiudere l’apertura come prima.
Quando Camilla fu accanto a Jake, lui si alzò e la cinse protettivamente con un braccio.
— Camilla! Stai bene?
Lei gemette di nuovo e mormorò qualcosa. In quel momento Edgar comparve brevemente, fermandosi per un attimo all’entrata della grotta senza prestar loro la minima attenzione. Un battito di palpebre e il vampiro scomparve.
Jake si guardò attorno, confuso, nella luce del nuovo giorno. Con lui c’era solo Camilla, ora disperata e in lacrime.
Guardandola bene, Jake trovò senza difficoltà i due forellini insanguinati sul collo.
Appoggiandosi uno all’altro per aiutarsi, i due giovani tornarono lentamente alla casa, nella camera da letto dove i loro vestiti erano ancora sparsi dappertutto e dove il loro padrone, come Jake ora comprendeva appieno, poteva trovarli quando voleva.
Non c’era speranza, neppure una, di riuscire a dormire di nuovo. Inutile tentare. Mezz’ora dopo essere tornati a casa, seduti al tavolo della stanza comune fingendo di bere caffè, Camilla disse a Jake: — Lui vuole che tu mi metta incinta, sai?
Jake la guardò esausto. — Cosa? Ma perché?
— Non lo so, non lo so — replicò lei, per poi afferrarlo nervosamente per un braccio e dire: — Quando eravamo lì nella camera segreta…
— Sì?
— Non eravamo soli. C’era qualcos’altro.
— Cosa?
— Una cosa non umana, una presenza…
Jake ricordò la vaga forma intravista con la torcia nel corso della sua precedente esplorazione della grotta. Sentì rizzarsi i peli sulla nuca. — Cos’era, Camilla? Cos’era?
— Non lo so! Non voglio saperlo! Jake, portami via di qui! PORTAMI VIA DI QUI!
Ma Jake non poteva esaudire in alcun modo quella richiesta.
Un paio d’ore dopo lasciò Camilla sveglia e completamente vestita sul letto e tornò trascinando i piedi alla caverna, dove cominciò a lavorare estraendo i dannati noduli bianchi composti da quella roccia senza nome. Non c’era altro da fare, e comunque il lavoro lo aiutava a occupare il tempo.
E per Jake la parte veramente folle, quella che doveva spingerlo a pensare di stare impazzendo a sua volta, doveva ancora venire.
Arrivò quella sera, un’ora dopo il tramonto, quando si ritrovò di nuovo nella grotta in compagnia del vampiro scultore. Arrivò quando si trovava là in piedi con il vecchio Edgar e si sorprese a parlare tranquillamente con lui di sculture e attrezzi, di pesi e di misure come se tutto l’orrore della notte precedente, quell’orrore seducente e sensuale, riguardasse un’altra parte della sua vita.
Osservando il vecchio uomo maneggiare le rocce, vedendolo frantumare grossi blocchi di scisto Visnù con un solo colpo di mazza, Jake non poté far altro che meravigliarsi per la forza e l’abilità del suo padrone. E nonostante l’odio e la paura che provava, cominciava a sentirsi quasi entusiasta di quel lavoro.
E di nuovo la notte successiva Edgar penetrò senza preavviso nella camera da letto. Stavolta Jake continuò a dormire come se fosse stato drogato. Non si accorse di nulla fino a quando Edgar e Camilla non uscirono dalla porta. Poi, svegliatosi di soprassalto, s’infilò i vestiti e si avviò dietro di loro verso l’ingresso della grotta.
La scena della notte prima si ripeté con minime variazioni nei dettagli. Di nuovo il vampiro chiuse la giovane donna nell’angolo più lontano della camera, dove Jake poté vedere solo in minima parte ciò che accadeva. E di nuovo Jake ebbe l’impressione, stavolta supportata da una seconda osservazione, che Camilla fosse perlomeno in procinto di diventare una partner consapevole in quell’atto, qualunque cosa le facesse Edgar.
Ma, soprattutto, stavolta Jake riuscì a seguire bene ogni cosa che accadeva là dentro e così vide, o meglio percepì nettamente la terza presenza di cui parlava Camilla. Era una presenza insostanziale, ma vera come la luce.
Poté vedere quella forma biancastra e trasparente muoversi in modo tale da avviluppare per intero il corpo di Camilla, bevendo come il vecchio il sangue delle sue vene. Quando questo accadde, Edgar si ritrasse appoggiandosi a una parete della piccola cavità.
Poi fu lui a muoversi in avanti…
A quel punto Jake se ne andò con la netta impressione di aver visto tre forme legate in un orgiastico abbraccio.
Tornando di nuovo a casa con lui qualche minuto dopo il sorgere del sole, Camilla disse: — Oh, Jake, se continua a farmi questo tutte le notti… — e la frase restò in sospeso.
Jake poté immaginare una mezza dozzina di esiti se le cose continuavano in quel modo. Nessuna delle squallide immagini evocate nella sua mente aveva una logica, ma ognuna sembrava peggiore della precedente.
— Non possiamo farlo continuare così — replicò. Poi aggiunse, come per un secondo pensiero: — Dobbiamo ucciderlo.
Quell’ultima tetra affermazione aleggiò qualche minuto nell’aria. L’aveva pronunciata con leggerezza, come qualcosa di naturale, come se avesse detto che doveva prendere la legna per il fuoco.
E altrettanto casualmente Camilla annuì il suo accordo. — Sì, dobbiamo ucciderlo… ma non so se è lui che più dobbiamo temere in questo posto!
Per molto tempo dopo essere tornati a casa, Jake e Camilla sedettero al tavolo della stanza comune parlando poco e non facendo niente.
Poi, in modo perverso e quasi terrorizzante, lei si lasciò andare a scherzi e risate, prendendo ferocemente in giro Jake come se liberarsi dal controllo di Tyrrel fosse, dopotutto, l’ultima cosa che aveva in mente.
— Oooh, sei geloso Jake? — ridacchiò, parlando con voce sciocca e sottile. — Non devi proprio, sai? Il nostro caro Edgar non è affatto geloso di te!
Jake balzò in piedi senza rispondere e corse fuori di casa, dirigendosi verso la grotta a lavorare. Quando lei gli portò il pranzo, poco dopo mezzogiorno, sembrò seria e nuovamente padrona di sé.