Bill Burdon e Maria Torres, entrambi detective di una grande agenzia di Phoenix, arrivarono finalmente al Grand Canyon dopo un lungo e faticoso viaggio. Nessuno dei due giovani vi era mai stato prima di allora ed entrambi avevano accolto con entusiasmo la notizia dell’incarico, già pregustando panorami mozzafiato e giri turistici a dorso di mulo.
Ma i sogni oziosi svanirono dalle loro menti non appena appresero qualcosa in più sul compito che li attendeva. Il problema, come spiegò il loro capo poco prima che partissero, era una ragazza svanita nel nulla: la diciassettenne Cathy Brainard, scomparsa nel Grand Canyon circa un mese prima. Nessuno aveva mai avanzato richieste di riscatto e l’ipotesi di un rapimento non veniva più considerata plausibile. Gli agenti federali premevano per archiviare il caso e di fatto non svolgevano più indagini, ma un ricco parente della ragazza aveva preso a cuore la faccenda e il caso era passato nelle mani degli investigatori privati.
Naturalmente la scomparsa di un adolescente non era certo un fatto eccezionale, ma in quella faccenda c’era qualcosa che aveva convinto il ricco parente a rivolgersi a specialisti provenienti nientemeno che dal Michigan. Tuttavia, o il loro capo non sapeva cos’era questo qualcosa oppure aveva scelto di essere reticente a riguardo. Si limitò infatti a dire a Torres e Burdon che avrebbero ricevuto tutte le informazioni necessarie da un certo Joseph Keogh, che dirigeva l’agenzia investigativa di Chicago incaricata di ritrovare la ragazza. Keogh li attendeva all’hotel El Tovar, pochi metri dal limite meridionale del canyon e molto dentro il parco nazionale del Grand Canyon.
Qualcuno su al vertice della grande agenzia di Phoenix doveva evidentemente un favore a questo Keogh: il loro diretto superiore si era mostrato immediatamente disponibile a prestare un paio dei suoi migliori detective.
Keogh aveva chiesto un uomo e una donna atletici e intelligenti in grado di trattare con il cliente e di lavorare efficacemente in un ambiente “non urbano”, come l’aveva messa il loro capo.
La settimana di Natale era un periodo di alta affluenza turistica al Grand Canyon. Trovare una stanza per i due nuovi arrivati, per non parlare di due stanze, nei molti alberghi della zona presentò notevoli difficoltà e quindi a Bill e Maria venne detto di portarsi i sacchi a pelo. Probabilmente potevano dormire, se ne avevano il tempo, nell’appartamento o nella suite di questo Keogh all’El Tovar, un alloggio presumibilmente già utilizzato da chiunque lo affiancasse da Chicago. Be’, Bill veniva dai marine e Maria dai reparti ausiliari dell’esercito, ed entrambi avevano seguito corsi intensivi di sopravvivenza: dormire nel sacco a pelo nella suite di un albergo a quattro stelle non li turbò certamente più di tanto.
Bill e Maria non avevano mai lavorato insieme, e al momento di iniziare il viaggio di cinque ore che li avrebbe portati a destinazione da Phoenix non erano altro che semplici colleghi. Ma già al momento di lasciare l’autostrada 40 a Flagstaff e prendere la strada statale che conduceva a nord, verso il canyon, i rapporti tra loro si erano fatti più personali, più caldi: su un gran numero di persone e di faccende la pensavano esattamente allo stesso modo.
La luce del sole mattutino e il caldo primaverile erano rimasti nel basso e desertico altopiano che formava il sud dell’Arizona, dietro di loro ormai da qualche ora. Una volta passata Flagstaff con la macchina di Burdon, si trovarono a più di duemila metri sul livello del mare in un freddo e grigio pomeriggio invernale. Chiazze di neve comparvero qua e là attraverso la fitta foresta di abeti a lato della strada, mentre il cielo color piombo lasciava intuire che presto ne sarebbe arrivata altra.
Il Grand Canyon e le mille e più miglia quadrate di territorio circostante che formavano il parco nazionale del Grand Canyon si trovavano ancora a più di ottanta miglia a nord, raggiungibili tramite una stretta strada statale e varie strade secondarie che attraversavano un altipiano parzialmente coperto da fitte foreste.
Quelle ottanta miglia passarono senza particolari novità, ma non appena pagato il pedaggio per l’accesso al parco, il traffico sulle piccole, strette e tortuose stradine di accesso divenne semplicemente caotico. Alla fine si ritrovarono intrappolati in una coda chilometrica lungo la strada per l’altopiano meridionale. Ogni tanto un rustico segnale indicava la via per Pima Point, per il museo degli indiani Tuskaya o per qualcuno dei motel o campeggi sparsi un po’ dappertutto e chiamati con nomi esotici quali Yavapai, Maswik, Kachina e il classico Thunderbird, “uccello di tuono”.
Infine l’hotel El Tovar comparve alla vista tra i bassi edifici di un piccolo agglomerato largamente nascosto dagli alberi; pietra, legno e tavole di mogano per una costruzione di tre piani. Le sue numerose ali si estendevano tanto tra gli abeti da accogliere più di cento stanze matrimoniali. Secondo l’opuscolo dato loro al casello, il margine dell’altopiano si trovava a un tiro di schioppo dall’albergo: forse era vero, ma purtroppo la pendenza del terreno era tale da impedire del tutto la vista diretta del Grand Canyon.
Bill, a cui toccava l’ultimo turno al volante, fece del suo meglio per trovare velocemente un posto nel parcheggio più vicino all’El Tovar, ma molte altre macchine stavano facendo esattamente la stessa cosa. Maria imprecò in silenzio quando il solito furbo rubò loro il posto sotto il naso. Era una donna dai capelli neri, giovane e attraente, dal fisico solido e ben proporzionato e l’aspetto più giovanile dei suoi venticinque anni. Bill aveva due anni più di lei, i capelli e la carnagione molto più chiari e un fisico estremamente robusto. Le mille manovre e il ritardo necessari a procurarsi un parcheggio non gli impedirono minimamente di fischiettare tutto il tempo il morbido ritmo di una canzone alla moda.
E finalmente anche loro trovarono un posto.
Uscendo dalla macchina con la giacca a vento multicolore e i moon-boot ai piedi, spazzatura standard in quel momento e in quel luogo, Bill e Maria si stiracchiarono con piacere dopo il lungo viaggio per poi infilarsi gli zaini e controllare gli orologi. Avevano qualche minuto a disposizione prima che l’onnipotente Mr. Keogh cominciasse seriamente ad aspettarli.
— Perché non diamo un’occhiata al canyon? C’è un po’ di nebbia, ma possiamo perlomeno provare.
— Già, sarebbe un peccato non farlo. E poi lo dice anche il manuale del perfetto detective: “Familiarizzarsi subito con l’ambiente”. Basta questo, no?
Guardandosi attentamente intorno dal punto in cui si trovavano nel parcheggio, i due giovani detective si accorsero di una strana caratteristica del paesaggio che non aveva nulla a che fare con la nebbia. A soli pochi metri oltre il vecchio e grande albergo il mondo terminava bruscamente nel nulla. O almeno questa fu l’impressione che ne ricevettero Bill e Maria: di fatto la salita terminava bruscamente a un certo punto, e solo un parapetto in pietra alto meno di un metro segnava il limite dell’orizzonte. Oltre quella modesta barriera non si vedeva assolutamente nulla, tranne le grigie sfumature del cielo invernale che sembrava essersi abbassato a livello del terreno.
Superato l’albergo, Bill e Maria mossero decisi verso il parapetto solo per accorgersi che era massicciamente difeso dal solito gruppo di turisti giapponesi armati di potenti telecamere e corazzati contro il freddo. Facendosi largo tra la folla, i due americani riuscirono infine a gettare un’occhiata verso il basso. Lo sguardo precipitò sempre più sotto in un infinito abisso di vapore, con una singola eccezione: in una certa zona persa tra la nebbia, ma molto sotto di loro, a una distanza obliqua di un centinaio di metri, un’immensa cresta rocciosa spuntava dal nulla per diventare visibile a intermittenza attraverso le volute in lento movimento. Intorno a quella piccola concessione alla solidità, su cui spuntava una manciata di ispidi abeti, e nel raggio di chilometri, nulla risultava percettibile se non un fluttuante mare di grigie nubi davanti al quale anche le telecamere dei giapponesi dovevano inchinarsi.
Maria Torres si accorse a quel punto che qualcuno stava per unirsi a loro.
Infatti Bill, momentaneamente perso nei suoi pensieri e ancora intento ad afferrare fino in fondo ciò che vedeva, non si era accorto che un uomo di piccola statura con barba e capelli neri era improvvisamente sbucato dalla folla alle sue spalle per muovere verso di lui. Il nuovo arrivato vide Maria, si fermò proprio accanto a Bill e attese in silenzio per alcuni minuti prima di venir notato dal giovane investigatore, una distrazione davvero imbarazzante per un professionista.
Percependo una certa inquietudine nello sguardo di Maria, Bill volse finalmente la testa. L’uomo con la barba, abbastanza vicino a lui da poterlo toccare, si limitò a sorridere amabilmente.
Seguì un breve intervallo in cui i tre si guardarono senza dire una parola, completamente ignorati dai giapponesi e dagli altri turisti dediti a fare avanti e indietro dal parapetto nonostante la visibilità praticamente nulla.
— Posso fare qualcosa per lei? — chiese finalmente Bill.
L’uomo con la barba rispose prontamente, come se avesse atteso solo il momento di parlare. — Mi consenta di presentarmi — disse con voce calma e profonda. — Mi chiamo Strangeway, e credo proprio di esser destinato a lavorare con voi per qualche giorno.
— Cosa? Amico mio, lei deve aver sbagliato…
— Niente affatto.
Bill lo guardò attonito, o perlomeno ci provò, risultando alla fin fine abbastanza convincente. D’altro canto anche Maria non faticava certo a nascondere la sua sorpresa.
— Mi spiace — replicò Bill allo sconosciuto, suonando finalmente deciso. — Lei deve averci confuso con qualcun altro.
Strangeway si concesse un altro pallido sorriso, come di blanda approvazione. — In tal caso, la prego di perdonare la mia impertinenza — mormorò, voltandosi subito dopo e lanciando un’occhiata tanto intensa nella nebbia che riempiva il canyon da far supporre che potesse vedervi attraverso. Vagamente e senza darvi alcun peso particolare, Maria notò che il fiato dello sconosciuto non condensava nell’aria gelida come il suo o quello di Bill.
Dopo un altro minuto di imbarazzante silenzio, Bill fece un cenno a Maria e i due tornarono verso l’albergo lasciandosi il canyon alle spalle. Guardandosi indietro dopo una decina di metri, Maria vide Strangeway ancora intento a guardare in basso, del tutto indifferente alla direzione presa da loro due.
— Che diavolo credi volesse da noi? — mormorò la ragazza a Bill quando furono a distanza di sicurezza.
— Non saprei. Forse è solo un innocuo svitato, ma forse ci hanno scoperti: resta da vedere chi. Amici o nemici?
L’ampio e dispersivo hotel di tre piani, tutto legno, pietre e travi consunte dal tempo, era ormai davanti a loro. Un attimo più tardi Bill e Maria presero a percorrere il lungo porticato di legno che conduceva all’ingresso principale. Visto da vicino, l’edificio appariva ancora più solido e stabile. Incisa nel legno sopra l’ingresso, Maria notò un’iscrizione, una frase o forse un verso celebre, che diceva:
Le immagini evocate nella mente di Maria da quelle parole risultarono incomplete, ma in qualche modo inquietanti. Si chiese vagamente da dove uscisse quella frase. Nel suo breve soggiorno in un college aveva scoperto di essere una sorta di maggiore britannico e provava una profonda irritazione se leggeva o sentiva una citazione e non riusciva a ricordarne la fonte.
Con Bill che apriva la strada, i due entrarono nella hall attraverso una doppia porta che creava una sorta di camera termica indispensabile per tener fuori il freddo d’inverno e la polvere d’estate.
La hall dell’El Tovar consisteva di un grande locale, o meglio due grandi locali come subito notò Maria, alti due piani ognuno. Il soffitto a punta della prima sala era sostenuto da travi e montanti di legno, rozzamente lavorati ma caldi per l’inconfondibile effetto del tempo. E nonostante i moderni negozi di souvenir su entrambi i lati dell’ampio locale e la profusione di luci elettriche, le pareti e il soffitto mostravano una sorta di profonda solidità che confermava la loro esistenza da circa un secolo. Dentro, la vociante massa di turisti imbacuccata nei giacconi da sci con la videocamera a tracolla non riusciva a nascondere del tutto il gran numero di stelle di Natale sistemate ovunque su tavoli e scaffali. Fantasiose composizioni di rametti di vero abete dotate di luci intermittenti e pigne colorate rallegravano le robuste travi e le scure pareti; teste impagliate di animali, alcune con le corna, altre con le zanne esposte per un’ultima, improbabile difesa, guardavano tutti dall’alto in basso con aria di disapprovazione.
Un albero di Natale alto due piani occupava il centro della sala più interna. I suoi rami più alti si perdevano in una sorta di soppalco dalla ringhiera di legno in cui la gente sedeva a mangiare. La reception dell’albergo si trovava in quella sala, sulla destra, appena dietro l’albero.
Mentre Bill si fermava al banco della reception per chiedere un’informazione, Maria si voltò bruscamente per esaminare la folla e vedere se lo strano signor Strangeway li aveva seguiti fin dentro. Ma non ne vide alcuna traccia.
Come ogni buona turista, Maria prese un opuscolo prima di lasciare il lungo e affollato banco dietro cui si affaccendavano diversi impiegati. Un attimo più tardi seguì Bill lungo uno dei corridoi a pianterreno che partivano dalla hall. Lanciando intanto distratte occhiate al suo opuscolo apprese che l’albergo era stato costruito nel lontano 1905, cosa a cui poteva facilmente credere dopo aver visto da vicino le pareti di legno e le vetuste travi del soffitto. Ovviamente l’impianto elettrico, il condizionamento e, si sperava, i servizi delle camere dovevano essere molto più recenti.
Dopo aver passato una dozzina di porte, Bill si fermò e bussò alla tredicesima.
Una cauta voce proveniente da dentro pronunciò poche e incomprensibili parole, almeno per lei; ma Bill rispose e la porta si aprì mostrando un uomo robusto e di media statura che indossava un pesante maglione da sci. I capelli color sabbia cominciavano a mostrare qualche sfumatura grigia: doveva essere sulla quarantina. L’uomo li esaminò entrambi dalla testa ai piedi, poi disse: — Entrate pure. Sono Joe Keogh.
La suite di Keogh comprendeva un salotto, un bagno e una piccola camera da letto, il tutto arredato con pessimo gusto in una sorta di stile pseudo-vittoriano. Attorno al tavolo del salotto facevano bella mostra quattro sedie, tutte spaiate. Una di esse era già occupata. I due giovani detective vennero immediatamente presentati al cognato di Keogh, John Southerland, venuto con lui da Chicago per dare una mano nelle indagini. Southerland aveva circa ventotto anni, la stessa età di John. Alto quasi uno e novanta, sembrava massiccio e affidabile. I suoi capelli castani tendevano irrimediabilmente ad arricciarsi. La barba corta e ispida spinse Bill a pensare che i casi fossero due: o stava facendosela crescere, oppure aveva bisogno di una bella rasatura.
Studiando in silenzio il volto duro e astuto di Keogh, Maria decise che aveva davvero la faccia giusta per quel mestiere. La sua scheda era stata avara di notizie, ma pareva assodato che facesse l’agente di polizia a Chicago prima di sposare la sorella di Southerland e mettersi in proprio con i suoi soldi.
— Sedete, ragazzi — disse Keogh indicando le sedie attorno al tavolo. Parlava con voce bassa, quasi neutra. — Sono felice che siate arrivati adesso. Sembra che debba cominciare a nevicare da un momento all’altro.
Qualsiasi scambio di commenti sul tempo venne interrotto da un battito alla porta. John Southerland si alzò per far entrare, in qualità di fidato collega, il piccolo e sospetto signor Strangeway.
John fece le presentazioni del caso. Da qualche parte spuntò una quinta sedia, diversa anch’essa da tutte le altre, e presto i detective sedettero attorno al tavolo.
Seguì una pausa. Maria ebbe la netta impressione che fossero loro il problema: Keogh non sapeva spiegare ai rinforzi da Phoenix il lavoro da fare.
— Quello che abbiamo davanti può, o meglio potrebbe, venire classificato come un caso insolito — disse Keogh infine per poi tacere, agitarsi sulla sedia e lanciare una strana occhiata a Strangeway, che lo guardò impassibile.
Il vento, che sempre si alzava sul finire del giorno invernale, cominciò a gemere alla finestra.
Bill si schiarì la gola. — Chi è il cliente? — domandò direttamente a Keogh.
Approfittando di una nuova esitazione di quest’ultimo, Maria intervenne per dire: — A Phoenix ci hanno detto che si tratta di una sparizione, una ragazza di diciassette anni, e che il caso presenta dei risvolti insoliti.
Strangeway sedeva con le braccia conserte, impassibile e attento a ogni parola.
Keogh guardò Southerland. — Parla tu. Forse è meglio.
Il giovane uomo si schiarì la gola e cominciò: — La cliente si chiama Sarah Tyrrel ed è una vecchia di ottant’anni, anno più, anno meno. Suo marito, Edgar Tyrrel, era uno scultore attivo negli anni venti e trenta. Nato in Inghilterra, trascorse qui nel canyon la maggior parte dei suoi anni creativi. Le sue sculture sembrano tornate di moda ultimamente, e quindi la signora Tyrrel non avrà problemi a pagare il nostro conto.
Nessuno commentò. — La ragazza scomparsa — riprese John — è Cathy Brainard, sua nipote… o forse bisnipote?
— Bisnipote — confermò Strangeway seccamente. Tutti si volsero a guardarlo.
— Il padre di Cathy, che è un padre adottivo (qualunque cosa significhi), è un certo G.C. Brainard, un mercante d’arte con studio d’avvocato. La nostra entrata in campo lo lascia perlomeno indifferente. Secondo me qualcosa gli dà un gran fastidio, non ho idea di cosa sia ma… Per farla breve, qualcuno ha raccomandato la nostra agenzia alla vecchia e lei ha continuato a chiamare finché non abbiamo accettato. Lui ironizza ogni volta su di lei per questa sua insistenza, ma immagino sia normale per chiunque prendere un po’ in giro la vecchia e ricca zia. Che ne dici, Joe? Secondo te è il modo giusto di mettere le cose?
Keogh si limitò ad annuire in un modo che Maria Torres giudicò non molto convinto. John guardò allora Strangeway, che rispose con un amabile sorriso ma senza far commenti.
— La signora Tyrrel ha preso una stanza qui? — chiese Bill, constatando che nessuno sembrava ansioso di parlare.
— Sta qui, certo, ma non in albergo — spiegò Keogh. — C’è una casa chiamata giustamente Casa Tyrrel a circa mezzo miglio a ovest di qui, proprio sul ciglio del canyon. Era la casa di suo marito all’inizio degli anni Trenta, la casa dove loro due hanno vissuto. Adesso appartiene alla direzione del parco, ma l’accordo stipulato tra lei e le autorità le consente di usarla ogni volta che desidera. In questo momento si trova là con Brainard.
— E Cathy era con loro in quella casa quando è scomparsa? — domandò Maria.
— No — replicò Keogh scuotendo la testa. — La faccenda è più complessa. Lei alloggiava in uno degli alberghi, non questo, con un gruppo di amici della scuola. Tutti hanno confermato che Cathy non era mai stata qui prima di quella visita a fine novembre, nel periodo del Ringraziamento.
“I ragazzi hanno fatto quello che si fa di solito nel Grand Canyon, passeggiate, picnic, eccetera. Avevano tende e sacchi a pelo e inizialmente volevano andare a dorso di mulo giù al Phantom Ranch, mezza giornata di viaggio tra andata e ritorno con pernottamento fuori, ma alla fine hanno deciso di lasciar perdere. Poi, il secondo giorno, Cathy ha cominciato a comportarsi in modo strano. Anche qui i suoi compagni sono tutti d’accordo. Alla fine lei se n’è andata borbottando qualcosa circa una passeggiata. Gli altri hanno pensato intendesse una passeggiata qui, nel parco o al centro commerciale, invece è sparita. C’è un testimone oculare che afferma di aver visto una ragazza somigliante a Cathy e vestita come lei prendere il sentiero del Bright Angel con un grosso zaino sulle spalle, come se intendesse dormire fuori.
“E questa è l’ultima volta che Cathy Brainard è stata vista viva da qualcuno.”
Lentamente, Bill commentò: — C’è ancora molto da chiarire, ma non mi sembra certo un caso di rapimento organizzato. L’aggressione di un maniaco è molto più probabile.
Joe annuì. — Già, è quello che dico anch’io. Nessuno ha chiesto uno straccio di riscatto. Il rapimento è un crimine federale e l’Fbi è venuta, ha interrogato i testimoni e dato un’occhiata in giro. Ma pochi giorni dopo hanno deciso che la ragazza se n’è andata per conto suo, in pratica che è scappata di casa. E per loro il caso è chiuso. Per quanto ci riguarda invece, oltre all’ipotesi del maniaco dobbiamo pensare che iniziava a scendere un sentiero difficile a un’ora tarda del pomeriggio. Un incidente mortale al buio non è certo una sorpresa qui al canyon: succede ogni anno. Tuttavia, Cathy era un’ottima atleta: ecco perché si può anche pensare che sia scesa fin sotto di corsa e poi abbia voluto rinfrescarsi nel Colorado, che è davvero gelido: un malore e via. Caduta nel fiume e annegata, oppure assiderata. Con le acque tanto veloci e profonde, il corpo potrebbe non venire mai più ritrovato.
“Questo è il Grand Canyon, gente, non un parco inglese. Potrebbe essersi persa e finita in un buco, giù da una rupe, nello stomaco di un puma, morsa da un serpente a sonagli… chi lo sa? Avete visto che razza di territorio dovremmo esplorare? Sassi, caverne, precipizi e un sacco di imprevisti!”
— Be’, veramente è la prima volta che veniamo qui — confessarono Bill e Maria vagamente imbarazzati. — Abbiamo provato oggi a dare un’occhiata, ma c’era tanta di quella nebbia…
— Comunque — aggiunse pensierosa Maria — immagino che nessuno degli amici della ragazza si trovi qui oggi.
— Non credo. Non ne avrebbero alcuna ragione. Debbo ancora parlare con loro, in effetti, ed è una cosa che farò in futuro, ma per il momento mi accontenterò dei rapporti della polizia.
— Chi è questo testimone? — chiese Bill.
— Buona domanda. Un’insegnante di mezza età tornata già da tempo alla sua scuola nell’Ohio. Nessun motivo di dubitare della sua testimonianza.
— Come mai ha notato la ragazza in mezzo alla folla di turisti?
— Cathy è andata da lei e le ha chiesto se sapeva dove procurarsi una mappa dei sentieri del canyon. Sembrava preoccupata, agitata, ed ecco perché l’ha notata. Più tardi l’ha descritta con molta precisione, lineamenti e vestiti: nessun dubbio che si tratti della nostra ragazza.
Maria annuì con occhi vagamente scintillanti. — Mi chiedo cosa l’abbia turbata così all’improvviso.
Strangeway le lanciò un’occhiata di sbieco piena di interesse, ma non offrì commenti.
Keogh continuò il suo discorso. — Ho altre informazioni, probabilmente importanti. Anzitutto la faccenda dell’eredità. Ho la netta sensazione che la giovane Cathy sia destinata a ereditare il patrimonio di sua zia un giorno, posto naturalmente che sia ancora viva. Non sembrano esservi altri parenti stretti tranne il patrigno di Cathy. Ora, da quanto ho visto, la vecchia Sarah non rende affatto facile la vita a suo nipote Brainard, e viceversa. Adesso hanno una semplice relazione d’affari, e la cosa sembra finire lì; invece la vecchia zia era… è molto attaccata a Cathy.
— Insomma — intervenne finalmente Strangeway — un possibile conflitto di interessi oppone l’avvocato Brainard alla giovane Cathy.
Maria decise che quello strano personaggio aveva un’aria profondamente autoritaria, nonostante il fatto che raramente parlasse. Poteva avere trentacinque anni al massimo, pensò poi. I suoi capelli neri e la sua barba erano folti, ma tagliati corti; addosso portava una maglia o una felpa a girocollo sotto un giaccone marrone che, a giudicare dalle tasche, sembrava concepito più per un cacciatore che per uno sciatore. Più studiava Strangeway e più si sentiva certa di avere davanti una persona fuori dal comune. E per quanto ci provasse, non era facile definire meglio quella sensazione.
— Pensa che l’abbia fatta sparire? — gli chiese Keogh con vaga deferenza.
— Cose molto peggiori accadono, Joseph.
— Ah, questo è poco ma sicuro! — Keogh sospirò e si passò una mano tra i capelli color sabbia prima di tornare con lo sguardo a Strangeway, come se volesse domandargli ancora una cosetta o due. Ma forse la presenza dei due nuovi arrivati lo frenò. Volgendosi verso di loro, cominciò a porre le più svariate domande come per allentare la tensione. Maria e Bill presentarono le loro credenziali soffermandosi rapidamente su qualche caso risolto in passato.
Apparentemente soddisfatto da quanto aveva udito, almeno sul momento, Joe tornò sull’argomento principale della riunione. — Vi sono delle ragioni, ragioni che non voglio approfondire adesso, che portano a pensare che questo caso possa avere degli aspetti insoliti. E voglio che la gente con cui lavoro sappia affrontare l’insolito in modo razionale ma elastico.
Nessuno parlò. Keogh guardò i due giovani detective aspettando la loro reazione.
— Che tipo di aspetti insoliti? — chiese infine Bill Burdon.
— Chiamiamoli fattori psichici, se vuole. Cosa ne pensa?
Dopo aver posto questa domanda Keogh tacque, di nuovo in attesa della reazione di Bill e Maria. — Nessuno di voi due sembra particolarmente sorpreso — aggiunse, come se questo sorprendesse lui.
— Non siamo pagati per sorprenderci — commentò Maria.
— Fattori psichici? — fece Bill. — Vuol dire medium e tutte queste storie? Io non credo a quella roba.
— Lei non deve credere a nulla — scattò Keogh. — Deve solo obbedire ai miei ordini.
Bill fece spallucce. — Sono qui apposta, signore.
Maria riprese il discorso con l’aria di chi non ama perdere tempo. — Una ragazza sparita resta sempre tale, vi siano coinvolti o meno dei medium veri o presunti. Il nostro compito è trovarla, o almeno scoprire cosa le è successo. Per quanto riguarda quella particolare categoria di persone, mia nonna è stata spennata senza pietà da un falso medium di Los Angeles su cui mi piacerebbe proprio mettere le mani!
— Ah, capisco — replicò Keogh con un sospiro. — Be’, comunque dubito vi siano falsi medium coinvolti in questo caso.
— Avete qualche sospetto? — chiese Maria.
— Non voglio sospettare nulla fino a quando non avrò parlato a quattr’occhi con la cliente. Finora le ho parlato solo brevemente al telefono — spiegò Keogh, guardando Strangeway come se si appellasse silenziosamente a lui per un aiuto.
— Sono d’accordo — affermò quest’ultimo in un tono che non aveva nulla di deferente o esitante nonostante risultasse appena percettibile. Maria, ancora alla ricerca di una collocazione per quello strano personaggio, si chiese improvvisamente se non poteva trattarsi di qualche sorta di medium. Il guaio era che non lo sembrava affatto, non almeno secondo gli standard più comuni.
Vi erano ancora alcune cose da prendere dalla macchina di Bill, compresi dei walkie-talkie e alcune macchine fotografiche e cineprese che facevano parte dell’equipaggiamento portato da Phoenix. Inoltre Joe Keogh insistette per mandarli alla reception e vedere se si era liberato qualcosa per loro.
Non appena i due giovani investigatori uscirono dalla stanza per eseguire questi compiti, i tre uomini rimasti ripresero la conversazione con toni decisamente meno guardinghi.
— Strangeway… — disse Keogh sovrappensiero. Era un commento, quasi una domanda.
L’interpellato accavallò le gambe e aggrottò le sopracciglia. — Esiste forse un motivo per cui non dovrei usare questo nome, Joseph?
— No, nessun motivo. Certo non perderò il sonno per un nome fittizio. È la sua presenza qui, invece, che mi stupisce — replicò Keogh esitando. — A questo punto direi che è assodato che nella sparizione di Cathy Brainard c’entra qualcuno dei vostri, giusto? E poi, come faceva a sapere della presenza qui di John e del sottoscritto?
L’uomo che si faceva chiamare Strangeway annuì lentamente. La sua risposta ignorò la seconda domanda. — Sì, c’entra qualcuno dei nostri. Uno solo, intendo: Tyrrel. E temo proprio che non si tratti di un coinvolgimento casuale.
— Tyrrel? Vuol dire Edgar Tyrrel?
— Sì, lo scultore, l’artista scomparso nel canyon cinquant’anni fa. Ecco, lui è un nosferatu. Oh, invero questa è una faccenda che presenta molti, molti lati oscuri! — commentò Strangeway con tono vagamente apocalittico, alzandosi e lanciando un’occhiata fuori dalla finestra dove la scarsa luce del giorno invernale faticava a morire. — Ma ora torna il momento dell’azione. Esco, Joseph. Immagino che abbia presto intenzione di far visita alla signora Tyrrel…
— Allora ci vedremo sulla strada, amico mio — salutò Strangeway, voltandosi per uscire. Keogh fu decisamente sollevato constatando che usciva tranquillamente dalla porta come tutti; d’altro canto, il sole non era ancora tramontato.
— Vampiri — commentò un meditativo John Southerland non appena la porta si chiuse dietro uno di loro. — Certo che è proprio una strana storia, Joe. Ma ti sei chiesto che diavolo diranno quei due da Phoenix quando dovremo spiegare loro questo lato della faccenda?
Joe si voltò di scatto. — No, perché non ho la minima voglia di spiegarglielo. E tu?
— No grazie.
— E allora ai due di Phoenix non diremo altro che lo stretto necessario sulla natura di Strangeway e di quel Tyrrel. Questo significa però che dovremo stare attenti a come usarli.
— E come li useremo?
— Oh, certamente possono aiutarci a setacciare il canyon. Fondamentalmente è questo che vuole la signora Tyrrel, se ho ben capito quello che diceva al telefono, e quindi… Non ho idea di cosa la spinga a pensare che possiamo far meglio delle centinaia di uomini che l’hanno setacciato il mese scorso: glielo chiederò non appena possibile.
— E Strangeway invece come lo useremo? — John fece in modo di calcare il tono sul punto interrogativo.
— Cristo John, non ne ho idea! Ne so esattamente quanto te sul motivo per cui è qui. L’unica cosa certa è che, stando a lui, la nostra cliente non è esattamente vedova.
— Già. Mi chiedo se lo sappia.
— Be’, se davvero il marito della vecchia Sarah si aggira in questa zona come vampiro mi sembrerebbe strano che la moglie non ne sappia nulla: perché allora rivolgersi proprio a noi, Keogh Co., i discreti specialisti del paranormale? Per quanto riguarda quel Brainard, mi dà l’impressione di uno che non ha mai visto un vampiro neppure in un film. A parte questo, debbo dire che mi sembra un uomo stanco e spossato, come uno a cui manchi l’amata figlia da un mese: certo che la polizia non l’ha aiutato molto.
John si dondolò sulla sedia restando in equilibrio sulle gambe posteriori. — Esiste una signora Brainard da qualche parte, una madre adottiva della ragazza?
— No. Esisteva, ma è morta tre anni fa. Da allora la ragazza non ha fatto altro che girare da una scuola all’altra.
Qualcuno bussò alla porta e John si alzò a rispondere. I due giovani aiutanti erano tornati insieme, carichi di cose. Purtroppo nessuna camera si era resa disponibile in giornata.
Quando tutti e quattro furono nuovamente seduti attorno al tavolo, Joe cominciò a fornire a Bill e Maria le scarse informazioni che possedeva su Cathy Brainard. John fece girare diverse foto della ragazza e quindi una concisa descrizione battuta a macchina e corredata di foto segnaletica. Al momento della scomparsa indossava un giaccone invernale, jeans e scarponi da montagna, aveva un grosso zaino e tutto lasciava presumere che intendesse accamparsi nel canyon.
Mentre i suoi assistenti studiavano la scheda segnaletica, Joe guardò con insistenza il suo orologio. Alzandosi dal tavolo, andò a lato della finestra e guardò fuori senza spostare la tenda nella luce sempre più tenue del pomeriggio. Il passo successivo, si disse, era presentarsi alla signora Tyrrel e a suo nipote con tutti i suoi collaboratori tranne Strangeway, che amava fare eccezione.
Sì, decisamente era giunto il momento di recarsi a casa Tyrrel.
Prima di uscire con i suoi colleghi dalla stanza, Joe aprì una delle valigie portate su da Bill e porse un walkie-talkie a ognuno dei presenti. Ogni radio era abbastanza piccola da stare comodamente nel taschino di una giacca invernale.
Ma vi erano altre cose nella valigia, strumenti richiesti da Joe ai suoi amici di Phoenix. Dopo averli studiati per un attimo, il detective di Chicago decise di lasciarli lì per il momento.
Così equipaggiati, Joe e gli altri si infilarono i giacconi e uscirono lasciando l’albergo dall’ingresso occidentale per evitare di ripassare dalla hall. L’oscurità incombente cominciava a sfoltire il numero di turisti sull’ampia strada pavimentata che costeggiava il margine del canyon attraversando quasi tutta Canyon Village. Joe condusse i suoi uomini oltre Kachina Lodge, Thunderbird Lodge e Bright Angel Lodge, tutti alberghi molto più moderni dell’El Tovar, costruiti con i materiali del Ventesimo secolo e meno alti e pretenziosi.
La piccola squadra di detective non dovette spingersi molto lontano prima di incontrare Strangeway. Li aspettava seduto sul muretto, la testa riparata dal cappuccio della giacca, e si unì a loro senza proferir parola.
Lampioni stradali di modesta potenza e troppo distanziati si accesero improvvisamente lungo tutta la strada pedonale, conferendo all’ambiente l’aspetto di un parco cittadino. Il crepuscolo si avvicinava inesorabile man mano che gli ultimi riflessi del giorno svanivano dalla coltre di nubi. Il sole comunque non era ancora tramontato.
Il gruppo procedette verso ovest seguendo la strada pedonale, con il basso muretto di pietra sulla loro destra. Oltre, le pareti del canyon precipitavano bruscamente per centinaia di metri come la costa di un nero oceano artico. Piena di nebbia e totalmente invisibile, quella gigantesca ferita nella crosta della Terra cominciava a dominare i pensieri di Maria con la sua cupa presenza, surreale come un sogno.
— Sembra — disse Bill per rompere il silenzio, procedendo al fianco dell’attraente collega — che sia profondo più di un miglio e lungo almeno dieci. Peccato per tutta questa nebbia! Ma… cos’è quello strano edificio?
Maria estrasse l’opuscolo da una tasca e lesse qualcosa a riguardo: si trattava senza dubbio del Lookout Studio, costruito nel 1914 dalla Fred Harvey Company con roccia calcarea non lavorata in modo da fonderlo con l’ambiente roccioso circostante.
Pochi passi lungo la strada e passarono davanti al Kolb Studio, eretto secondo l’opuscolo all’inizio del secolo da due fratelli che erano sia fotografi che esploratori. Lo studio era vuoto adesso, espropriato dalla direzione del parco.
E finalmente una volta superata la piazzola che segnava l’inizio del sentiero del Bright Angel, con il relativo recinto dei muli distante pochi metri dal ciglio del baratro, il gruppo di persone giunse in vista di Casa Tyrrel.
Strangeway sembrò volersene andare a questo punto. Dopo aver mormorato qualcosa a Keogh, il piccolo uomo si allontanò dando l’impressione di svanire lentamente nella strada in penombra fino al recinto. Incuriosita, Maria lo guardò allontanarsi.
E ora i rimanenti quattro investigatori erano quasi giunti al termine della loro passeggiata. Da dove si trovavano risultava visibile solo il tetto della casa: il resto, come accadeva con il Kolb Studio, si trovava al di là del muretto proprio sul ciglio del precipizio.
Joe condusse il piccolo gruppo fino alla porta di casa Tyrrel, bussando poi energicamente.
Quasi subito la porta venne aperta da una candida vecchietta che non poteva essere altri che la signora Tyrrel in persona. Sembrava averli attesi tutto il tempo. Era magra e curva sotto il peso dei suoi ottant’anni, con lunghi capelli d’argento; tuttavia i suoi movimenti conservavano un’inaspettata freschezza. Al collo portava una collana Navajo di argento e turchesi su una veste viola, anch’essa indiana.
— Il signor Keogh, suppongo — disse la vecchina con voce più chiara e forte del previsto.
— Molto piacere, signora Tyrrel. Le presento i miei assistenti in questo caso. — Mentre parlava, Joe si rese conto della rigida figura di un uomo che si aggirava nel salotto ascoltando presumibilmente ogni cosa. E quello dev’essere Brainard, si disse. Il nipote della signora Tyrrel era uh uomo sulla cinquantina, di carnagione chiara e fisico legnoso; portava baffi lunghi e ben curati, e indossava un maglione Pendleton su camicia e cravatta.
— Entrate pure, signori, non state sulla porta — li invitò la signora Tyrrel con stanca impazienza, studiando a uno a uno con interesse gli assistenti di Keogh. — Entrate. Anche lei, signorina.
L’ingresso di pietra e legno ricordò subito a Maria, la hall dell’El Tovar, anche se naturalmente in scala molto ridotta.
Joe fece una veloce e concisa presentazione. La vecchia signora strinse calorosamente la mano a tutti, mentre Brainard si limitò a salutarli con un cenno del capo.
Gli occhi dell’anziana donna si soffermarono a lungo su Bill Burdon, guardarono altrove e poi tornarono a lui. Sembrava quasi domandarsi se l’avesse già visto, anche se naturalmente un precedente incontro era da escludere. Ma ultimamente tutti sembravano conoscerlo.
Finalmente l’attenzione dell’anziana donna tornò a Keogh. — Signor Keogh, quasi arrivava tardi! Ho sentito la voce di Cathy pochi minuti fa!