16

Sdraiati uno accanto all’altra a letto, quasi completamente immobili, Jake e Camilla si tenevano per mano con la sinistra di lui che stringeva la destra di lei. Entrambi ascoltavano intensamente i rumori della notte del Canyon Profondo. Qualcosa che suonava quasi come un coyote ululava in distanza. Attraverso la finestra aperta echeggiava il rassicurante martellare del vecchio uomo, dimostrando che era al lavoro come al solito.

Sia Camilla che Jake si trovavano in uno stato di veglia assoluta, anche se erano passate delle ore dalle ultime, sussurrate parole. La notte era stata un inferno in cui dormire si era rivelato impossibile. Dormire era diventato una speranza ultimamente, poiché nessuno poteva più prevedere quando il loro demoniaco padrone sarebbe comparso all’improvviso nella stanza chiedendo il sangue, la vita di Camilla, di Jake o di entrambi.

Sia lui che lei erano molto vicini alla totale prostrazione fisica e mentale.

Jake aspettava solo il momento di ringraziare Dio per lo scorrere di una notte senza abusi. Naturalmente non un singolo orologio funzionava nella casa e fino al sorgere del sole i due giovani non potevano fare altro che convivere con la paura che il vampiro avesse in qualche modo scoperto il loro piano, col timore che il satanico Tyrrel stesse solo giocando con loro e che comparisse nella stanza più adirato che mai nell’ultima ora o addirittura nell’ultima mezz’ora della notte. Jake continuava a ripassare mentalmente ogni parola proferita da Tyrrel la sera prima, ogni cambiamento nell’espressione del suo volto. Poteva quel maledetto avere capito tutto?

Una delle finestre della casa dava a est. Jake giaceva sdraiato nel letto matrimoniale guardando i bordi delle tende, chiedendosi per molto tempo se il sole stesse finalmente sorgendo o se si trattasse semplicemente di falsa speranza. E quando fu certo di vedere il primo, fioco chiarore illuminare il cielo notturno mosse silenziosamente una mano e strinse il polso di Camilla. Grazie a Dio, finalmente, grazie a Dio.

Meno di cinque minuti dopo, il cupo martellare proveniente dalla grotta cessò. Quello indicava certamente l’inizio dell’alba.

A meno che non avesse smesso presto per ingannarli.

— Ascolta — sussurrò Camilla, intenta ad ascoltare ogni rumore con Jake.

— Sssh.

Nessun rumore venne più dal laboratorio di Tyrrel. Senza dubbio il cielo a est stava schiarendo.

Un attimo più tardi Jake scese silenziosamente dal letto e cominciò a vestirsi.


Il sole non aveva ancora illuminato il margine orientale del canyon, quando Jake e Camilla si avvicinarono alla baracca in cui il vecchio teneva l’esplosivo. Sembrava gelosamente chiusa, ma non così efficacemente. Camilla disse che Tyrrel teneva la chiave d’ingresso appesa al collo, ma la lunga sbarra di ferro di Jake si rivelò più che sufficiente per far saltare il lucchetto insieme alla piastra.

Jake aprì la porta della baracca e prese la scatola di dinamite, tozzi candelotti avvolti in pesante carta cerata con sopra stampate in rosso le prescrizioni di sicurezza. Per un attimo provò un tuffo al cuore pensando che forse gli inneschi necessari a farli esplodere fossero nascosti altrove; ma no, eccoli là in un’altra scatola coperta anch’essa di avvisi e sistemata su uno scaffale. E su quello stesso scaffale trovò, oltre agli inneschi, anche parecchi metri di miccia e il detonatore elettrico, una piccola cassa quadrata con una grossa impugnatura a T dall’aspetto molto più moderno di quello usato dagli artificieri del Ccc.

Perché Tyrrel non custodiva meglio quel materiale? Jake pensò che forse si sentiva talmente sicuro di sé da giudicare i suoi schiavi, chiunque fossero, incapaci di trovare abbastanza coraggio da cercare di ucciderlo.

In quel momento Jake udì i passi affrettati di Camilla, che aveva riempito due contenitori di cherosene prendendolo dal grosso barile sistemato dietro la casa, per poi raggiungerlo al di là del torrente, sulla salita che portava alla tana di Tyrrel. Uno dei contenitori era la tanica da dieci litri da cui si riempivano le lampade, l’altro la pentola più grande disponibile.

Il piano, elaborato nel corso di quegli ultimi giorni, consisteva nell’impregnare di cherosene il vampiro addormentato, mediante un imbuto e un tubo metallico, e dargli fuoco, oltre a far saltare la grossa lastra di roccia che lo nascondeva al sole. Lo scoppio, pensò Jake, avrebbe quasi certamente dato fuoco al cherosene, altrimenti avrebbero dovuto pensarci loro con degli stracci o delle torce.

Jake appoggiò l’esplosivo vicino alla lastra che chiudeva l’accesso alla tana del vampiro. Poco più indietro, Camilla si dava affannosamente da fare per riempire di cherosene tutti i barattoli e le brocche di vetro della casa.

Non appena ebbe finito, Jake prese una brocca, vi sistemò il coperchio e la scagliò con tutta la forza e la mira di cui era capace nel buio antro del mostro. La brocca si fracassò in alto sulle rocce e il liquido cadde a terra allargandosi a ventaglio. Jake e Camilla si guardarono vagamente soddisfatti: per quanto potevano dire, il corpo di Tyrrel doveva esserne stato impregnato.

Da dentro la piccola grotta non venne alcun cenno di vita. L’odore di cherosene, oleoso e pungente, riempì velocemente l’aria.

— Ne è stato impregnato. Deve esserlo.

— Ma sei sicuro che sia là? L’hai visto?

Nessuno dei due ne fu completamente certo, ma in ogni caso non potevano fare altro che andare avanti. Mentre Camilla avvitava il coperchio su un grosso barattolo di vetro, Jake si si lamentò di nuovo di non avere benzina a portata di mano.

— Perché la benzina?

— Brucia molto più calda.

— Questo non brucerà?

— Ma certo che brucerà. Il cherosene brucia abbastanza caldo, altrimenti non l’avrei provato. Passami quella brocca.

Jake lanciò un altro missile, che s’infranse come sperato.

Benzina purtroppo non ce n’era, e neppure gasolio. Tyrrel non aveva veicoli a motore nel Canyon Profondo e quindi non ne aveva bisogno. Il generatore funzionava completamente ad acqua, e Jake si era discretamente accertato che non vi fosse un motore ausiliario.

Chiuse e lanciò la terza brocca, imprecando perché l’aveva lanciata fiaccamente e troppo bassa disperdendo a terra la maggior parte del suo prezioso contenuto.

Porgendogli un ultimo, grosso contenitore, Camilla domandò all’improvviso quasi urlando: — Jake, Jake! Cosa facciamo se tutto questo non funziona?

— Troppo tardi adesso per preoccuparsene.

— Ma cosa facciamo se…

— Tu mi hai detto che il fuoco può danneggiarlo.

Camilla rabbrividì. — No. Io ho detto che non l’ho mai visto avvicinarsi alla cucina.

— Brucerà, maledetto, brucerà anche lui come ogni cosa. Dobbiamo ucciderlo in un modo o nell’altro adesso che abbiamo iniziato. Dobbiamo ucciderlo. — E così dicendo scagliò l’ultimo barattolo nella grotta.

Il numero penosamente piccolo di contenitori a disposizione era già finito. In quel momento parve a Jake che il cherosene presente nella grotta fosse terribilmente poco. Era stata follia pensare di impregnarla tutta in quel modo. Comunque, non c’era tempo di preoccuparsi per questo. Avanti con la seconda parte del piano. Un pezzo di tubo di gomma, preso dal sistema di irrigazione dell’orto, venne subito impiegato per mandare il liquido dove volevano.

Come Jake aveva previsto, usare il tubo si dimostrò un calvario. Dapprima fu necessario infilare un’estremità nella fessura tra la lastra e la parete di roccia, spingendola dentro piano piano in modo da avvicinarla al punto dove Tyrrel stava teoricamente dormendo.

Si sarebbero aperti a questo punto gli occhi del vampiro? Questo si chiedeva Jake mentre lavorava. Si sarebbe reso conto di quanto accadeva attorno a lui? Doveva pur sentire l’odore di cherosene, a meno che non fosse morto!

Dopo dovettero sollevare da terra l’altra estremità del tubo. Due mani umane lo mantennero in quella posizione, mentre altre due vi versavano il liquido attraverso l’imbuto normalmente usato per riempire la tanica. Jake dovette correre alla casa a prendere una sedia su cui Camilla potesse stare in piedi mentre versava il cherosene.

Tra le varie fasi di quello sforzo per il quale erano entrambi necessari, Camilla tornò indietro ancora e ancora per travasare nella tanica tutto il cherosene rimasto nel bidone. Nel frattempo Jake preparava la miccia, ispezionando da vicino la lastra di roccia calcarea che riparava Tyrrel per scegliere i punti in cui sistemare la dinamite. Tutto sommato, si disse, un paio di candelotti sarebbero bastati.

Non appena terminarono di versare il cherosene, Jake cominciò a perforare la roccia per sistemare le cariche. Con la mano sinistra prese lo scalpello, una sorta di trapano a mano molto rudimentale con il lungo manico e la punta a stella. Poi impugnò una delle mazze di medie dimensioni trovate nel laboratorio e prese a martellare. Polvere e schegge schizzavano via a ogni colpo di mazza, mentre Jake ruotava la punta a stella per il colpo successivo.

Lo scalpello, tenuto da nulla più che un braccio umano, penetrava con sfibrante lentezza, una piccola frazione di centimetro a ogni colpo. Il laboratorio contava diversi attrezzi elettrici, ma non c’era prolunga in grado di arrivare fin lì.

Camilla attendeva lì vicino trepidante, osservando Jake quasi sempre in silenzio e puzzando di cherosene. I loro vestiti erano fradici: bastava un fiammifero a mandarli al Creatore.

— Cosa posso fare per aiutarti? — supplicò lei.

— Nulla, per adesso.

La puzza di cherosene saturava l’aria. Jake poteva immaginare la fradicia poltiglia che doveva essere diventato il pavimento della grotta asciugarsi pian piano all’aria e seccare prima che avessero il tempo di buttarvi un fiammifero. Ma subito si disse che non era passato molto tempo, e riprese a lavorare.

Finalmente il primo dei fori fu pronto. Grazie a Dio era calcare quello in cui doveva scavare e non granito, non lo strano, nero scisto Visnù.

Camilla chiese di nuovo: — Adesso posso aiutarti?

— Va bene. Vieni qui e tieni lo scalpello.

Adesso poteva usare una mazza più grande e tenerla con entrambe le mani: il secondo foro prese rapidamente forma. Solo una volta la mazza colpì lo scalpello di striscio e questo sfuggì alle mani di Camilla, cadendo sulle rocce con quello che parve un terribile clangore, mentre Camilla ci metteva del suo strillando a Jake di stare attento a non romperle un dito.

E finalmente anche il secondo foro fu pronto. Sistemare la dinamite, gli inneschi e le micce non fu affatto difficile, ma il lavoro presentava qualche insidia. In effetti Jake ne sapeva ben poco al riguardo e si limitava a ripetere ciò che aveva visto fare dagli esperti giù al campo del Ccc.

Stava sistemando l’innesco e la miccia a esso collegata sulla prima carica quando Camilla disse all’improvviso: — Debbo vederlo morto, Jake. Non mi basta pensare che in qualche modo sia bruciato vivo là dentro. Se non lo vedo morto con i miei occhi non credo che riuscirò ad arrivare viva a stasera. È troppo orribile il pensiero che possa uscire al calar del sole e farci a pezzi per vendetta!

Jake grugnì il suo assenso e continuò a lavorare.

Finalmente la dinamite venne sistemata nei due fori con gli inneschi e la miccia al loro posto.

Si poteva cominciare. Jake non vide nessuna ragione per tardare ancora.

Sistemò il detonatore elettrico dietro quello che ritenne un buon riparo, un pesante macigno a una trentina di metri dalla tana di Tyrrel. Aveva appena terminato di collegare i cavi al detonatore e stava alzando una mano per mandare la scintilla fatale quando Camilla afferrò il suo braccio.

— Ascolta! Cos’è? — domandò con un sussurro.

Non appena lei richiamò la sua attenzione su quel suono, lui lo udì. Si trattava di una sorta di disumano ululato proveniente, Jake ne fu subito certo, da dietro la grande lastra di pietra che guardava i sonni di Tyrrel. In qualche modo gli ricordò il miagolio di un gatto che, da bambino, aveva trovato moribondo con una zampina presa in una trappola per topi.

Comunque, aspettare era semplicemente folle.

— Ecco che muore un vampiro — mormorò Jake. Vedendo cosa stava per fare, Camilla si riparò il meglio possibile dietro il grande masso.

Jake urlò: — Giù la testa! — per poi abbassare l’impugnatura con entrambe le mani. Percepì un movimento d’ingranaggi all’interno, quello di un generatore istantaneo, e poi constatò con una qualche soddisfazione di aver collegato tutto per bene perché due boati squarciarono l’aria nello stesso momento. Tuttavia il rumore non fu assordante: all’aria aperta la dinamite faceva sempre meno rumore di quanto uno si aspettava.

Un attimo più tardi Jake balzò in piedi, uscì da dietro il macigno e corse verso la tana di Tyrrel nostante la pioggia di schegge e il gran polverone. Ma dopo una dozzina di passi si fermò di colpo, constatando con profonda disperazione che l’esplosione non aveva frantumato l’intera barriera rocciosa. Forse solo un decimo della lastra si era dissolto in piccole schegge. Il santuario del vampiro risultava buio e inaccessibile come prima.

Camilla si unì a lui senza parlare. Ma la vista del fallimento non fu la cosa peggiore di quel terribile momento. Peggio di tutto fu l’ululato che veniva da dietro la lastra di calcare. Nessun dubbio poteva più esistere riguardo la presenza là dentro di Tyrrel, proprio dove Camilla gli aveva assicurato che dormiva.

C’era del fuoco là dentro, dietro la lastra rocciosa: un piccolo lago di cherosene che bruciava in un marasma di fumo nero. Bruciava il cherosene, ma non solo: c’era anche qualcos’altro.

All’ululato, un suono orribile e disumano, erano stati necessari alcuni secondi per affermarsi, ma ora si imponeva su qualsiasi altro rumore.

— Jake! Jake! Cosa facciamo adesso?

Il giovane esaminò nuovamente la lastra calcarea, cercando di capire dove si trovassero i suoi punti deboli. Prima aveva sbagliato, ma era ancora presto e quindi poteva tranquillamente sistemare altre due o tre cariche. D’altro canto a quel punto non aveva scelta. — Corri a prendere altra dinamite. Ci proveremo di nuovo. Va’!

Camilla si precipitò verso le casse. Jake rimase dove si trovava, cercando i punti migliori per la nuova serie di fori. Doveva sbrigarsi se voleva avere un’altra possibilità: prima gli sembrava di aver lavorato per ore e ore inutilmente.

Intanto l’urlo che veniva da dentro la grotta continuò a lacerare l’aria. Ancora e ancora, senza mai cessare.

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