14

Il giorno dopo, Jake si prese la mattina libera dal lavoro, senza permesso.

Trascinandosi dietro una stordita e rassegnata Camilla, che indossava il cappello e gli occhiali da sole, cercò un posto abbastanza lontano dalla casa per parlare con tutta sicurezza almeno alla luce del giorno. E quindi i due presero a scendere il piccolo canyon, con Jake davanti che lanciava occhiate a destra e a sinistra, fino a quando Camilla gli chiese cosa stesse cercando.

— Il posto dove tu dipingevi, e dove ci siamo incontrati.

Lei scosse lentamente la testa. — Non so se possiamo ritrovarlo, Jake. E anche se lo ritrovassimo, a che servirebbe? Perché lo stai cercando?

— Perché voglio ritrovarlo — replicò Jake con un sospiro. — Sento che è l’unico posto dove possiamo parlare in pace.

Camilla ripeté ciò che aveva detto a Jake un milione di volte: quando splendeva il sole potevano parlare liberamente dappertutto perché Edgar stava dormendo. Tuttavia Jake aveva i suoi problemi ad accettare una spiegazione del genere, a liberarsi dalla sensazione che quel diabolico vecchio potesse semplicemente ascoltarli sempre e ovunque solo volendolo.

Infine, una volta raggiunta una zona abbastanza familiare, Jake e Camilla sedettero vicini vicini su una roccia accanto al torrente, il cui gorgoglio sembrava proferire, quel giorno, sommesse minacce.

Rompendo un imbarazzato silenzio, Jake disse: — Non ci riesco, Camilla. Non posso starmene lì a guardarlo mentre ti succhia la vita.

— Come pensi che io mi senta?

— Non lo so — replicò lui, voltandosi e guardandola aspramente. — L’ultima volta che vi ho visto, ieri notte, sembrava quasi ti piacesse.

— Questa poi! Non ti facevo tanto stupido!

Lui non replicò.

— C’è un solo modo per uscirne, Jake.

— Lo so. Ho voluto venire qui apposta per parlarne.

— Solo un modo: quello che hai detto tu. So che hai ragione, ma ho paura, ho paura.

Jake non riusciva a parlare, non riusciva a scacciare la sensazione che il vecchio Edgar stesse ascoltandoli nascosto dietro qualche roccia pronto a balzare su di loro.

— Lo sappiamo bene tutti e due, Jake: l’unico modo di uscirne è…

— È…

— Ucciderlo.

La parola era stata pronunciata un’altra volta. Nessuno balzò su di loro.

— Ucciderlo, sì. Così avremo tempo per pensare, per cercare e forse per trovare una via d’uscita.


Camilla estrasse il suo blocco degli schizzi e alcune matite. Era come se non riuscisse a tenere ferme le mani. Poco dopo lui la guardava disegnare nello stesso posto dove l’aveva incontrata per la prima volta. Avevano un piano da preparare, tuttavia nessuno dei due parlò per molto tempo.

Nonostante portasse il cappello e gli occhiali da sole, Camilla dovette spostarsi sotto la rupe in cerca dell’ombra più profonda. Jake notò così che stava diventando più sensibile al sole.

— Camilla.

— Cosa c’è?

Lei voltò la testa verso di lui e Jake poté per un istante vederla di profilo con la bocca leggermente aperta. — Nulla, immagino. Solo che mi era sembrato di vedere qualcosa di strano nei tuoi denti.


Lentamente i due giovani cominciarono a stendere un piano.

Nei lunghi mesi di convivenza con Tyrrel, ascoltandolo e osservandolo, Camilla era giunta a comprendere non solo la forza di quell’uomo e l’orrore che portava con sé, ma anche alcune delle sue debolezze.

Ascoltandola, Jake cercò con uno sforzo lucido e cosciente di trovare il coraggio necessario. — Va bene, dobbiamo uccidere quel figlio di puttana. È l’unico modo, l’ho capito già da un po’. Ma adesso bisogna decidere come, come possiamo ucciderlo!

A Camilla bastarono pochi secondi per rispondere, come se in realtà si fosse già posta questa domanda. — Solo una volta, forse due, l’ho visto urlare di dolore.

— Racconta.

— La prima volta è accaduta poco tempo dopo il mio arrivo qui. Una scheggia di legno gli si era conficcata in una mano dal manico di uno dei suoi attrezzi.

— E questo gli ha fatto male, eh?

— Molto più di una fucilata. Urlò di dolore, si strappò la spina e cominciò a succhiare il sangue. Poi mi vide mentre lo osservavo e mi ha fatto…

Prontamente Jake poté visualizzare Camilla obbligata a succhiare il sangue di quel lurido essere. Con uno sforzo cercò di cancellare l’immagine.

Camilla rabbrividì. Ma dall’aspetto del suo volto, Jake avrebbe giurato che qualcosa in quell’atto la eccitasse. Con un timido sorriso lei si accinse a continuare.

— L’altra volta qual è stata? — chiese Jake.

— Cosa?

— Hai detto che l’hai visto urlare due volte di dolore.

— Oh. Be’, la seconda volta non si è fatto molto male. Ma io ho capito che soffriva. È stata una mattina in cui stranamente era sveglio. C’era il cielo coperto, ma all’improvviso uno squarcio si è aperto tra le nubi lasciando passare un raggio di sole. Edgar mi è sembrato terrorizzato in quel momento, stava davvero male.

— Uhm.

— Un attimo più tardi era sparito, non nella piccola caverna dove solitamente dorme, ma nella grotta. Vi rimase tutto il giorno a luci spente, ritirandosi quanto più in fondo poteva. Ne uscì solo al tramonto… ma era stanco, spossato. Credo che morirebbe se restasse qualche ora al sole del canyon.

Per un attimo si guardarono l’un l’altro.

Fu Jake a parlare: — È troppo forte. Non riusciremo mai a obbligarcelo.

— Non sembra probabile, vero?

Jake la guardò pensieroso. — Che ne pensi del fuoco? — chiese.

Stavolta Camilla dovette pensarci un po’. Forse l’idea le risultava del tutto nuova. Infine disse che probabilmente Tyrrel non era del tutto insensibile al fuoco. — Non ricordo di averlo mai visto mettere la mano tra le fiamme, e non viene mai vicino alla cucina.

— Forse allora il fuoco è qualcosa che possiamo tentare.


Un’altra ora di discussione non portò a grandi risultati. Sembrava proprio che vi fossero tre soli mezzi disponibili ai due giovani per liberarsi definitivamente di Edgar: le armi di legno, il fuoco o la luce solare.

— C’è un’altra cosa che mi preoccupa, Jake.

— Cosa?

— E se sono rimasta incinta?

— Dio mio! Lo sei?

— Non lo so, ma lui mi ha chiesto se lo ero. Quell’ultima volta nella camera segreta…

Jake la zittì con un gesto, pensieroso. Forse questo non peggiorava di molto la sua situazione, ma comunque non gli piaceva.

— …lui mi ha ascoltata! — concluse Camilla.

— Ascoltata? E come?

— Ha appoggiato l’orecchio sulla mia pancia.

— Può stabilirlo in quel modo?

— Ha detto che non era sicuro. Che era troppo presto per esserne sicuro.

— Ma comunque a lui cosa importa se sei incinta o no?

— Non lo so! Non lo so!

Jake la strinse tra le braccia, e quella che iniziò come la ricerca di mutuo conforto si trasformò presto in passione.

Ma quando Camilla aprì la bocca emettendo un gemito, Jake si ritrasse impaurito spingendola via.

— Jake! Che succede?

— I tuoi canini! Sono… sembrano quasi quelli di un…

Lei sedette di scatto, portandosi le mani alla bocca e guardandolo piena di orrore.


Nel pomeriggio, Jake tornò a lavorare alla caverna, scavando, trasportando e frantumando blocchi di dura roccia alla ricerca dei preziosi noduli, impolverato e sudato. Sorpreso, si accorse di avere ancora voglia di lavorare e di stare facendo un buon lavoro. Quasi se ne sentì orgoglioso.


In casa, quella sera, Camilla lo sorprese nella camera della bambina intento a contemplare l’animale di pezza e la misera scatola del pranzo.

— Cosa fai?

— Sto pensando. O almeno, sto cercando di pensare. Ma purtroppo non arrivo da nessuna parte. — Così dicendo, Jake aprì l’armadio della cameretta. Là, su uno scaffale, vide un piccolo orologio che mai nessuno caricava e che non funzionava più. Sullo stesso scaffale vide inoltre una scatola metallica completamente anonima. Jake la prese e l’aprì. Vecchi giornali e fotografie, il classico genere di cose che ogni famiglia tiene da qualche parte; solo che lì sembravano completamente fuori luogo.

Camilla reagì con una grande agitazione. — Mettila giù, Jake. A Edgar già non piace che qualcuno entri in questa stanza, figuriamoci a perquisirla!

Jake ispezionò velocemente il contenuto della scatola, non vide nulla capace di attirare il suo interesse, la chiuse e la rimise sullo scaffale. — Come mai la casa ha una cameretta come questa? — domandò.

Camilla lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza. Poi rispose: — Credo che abbia avuto una moglie, una volta, e una bambina piccola.

Jake non trovò nulla da rispondere. Mentalmente cercò di figurarsi Tyrrel come padre. Stranamente, sembrava possibile.


Tornato nella stanza comune della casa, Jake sedette a lungo al tavolo contemplando il calendario appeso alla parete perennemente fermo al giugno 1932.

Camilla notò la sua attenzione per il calendario. — Jake, che anno era quando sei arrivato qui?

Jake volse lo sguardo su di lei fissandola intensamente. — Che diavolo vuoi dire? Siamo nel 1935. Sono arrivato qui solo… ehm, pochi giorni fa. — Di nuovo tornò alla sua mente l’inquietante pensiero che potesse in realtà essere di più, un mese, un anno… D’istinto si portò la mano al mento: era coperto da una folta barba adesso.

Questo lo spinse a domandare: — In che anno Tyrrel ti ha portato qui? L’anno scorso, nel ’34?

— Jake, sei indietro di trent’anni. Trentuno, per la precisione. Quando l’ho conosciuto a Flagstaff era il 1965.

Per quanto potevano determinare i suoi due giovani prigionieri, Tyrrel era completamente indifferente allo scorrere del tempo e se lo calcolava lo faceva con metodi tutti suoi.

In ogni caso, Jake notò che il diabolico vecchio parlava volentieri del tempo. Infatti era uno dei pochi argomenti su cui tendeva a parlare d’istinto. Gli anni, disse una volta a Jake, non avevano alcuna importanza per lui fino a quando si sentiva certo di poter tornare nel mondo normale nel giorno e nell’anno desiderato.


Jake e Camilla continuavano a dividere la casa e il solo letto disponibile. Ma solo nelle ore del giorno, poco prima del tramonto o dopo l’alba, i due facevano l’amore con un’intensa quanto disperata passione.

Passarono diverse notti in cui il loro padrone non obbligò Camilla a seguirlo nella piccola grotta.

Una volta Jake, spinto dall’angoscia, osò domandargli perché lo facesse e il vecchio uomo gli rispose, con una maligna risata, che in quelle sessioni gli serviva una modella.


Sapendo ciò che avrebbe visto seguendo la coppia, Jake restava ora a casa quando Camilla veniva portata via. Per ore e ore camminava da una stanza all’altra senza pace, sempre sull’orlo di fare qualcosa di veramente disperato e, probabilmente, suicida.

Alla fine, un’ora circa prima dell’alba Camilla tornava a casa. Ma adesso rifiutava apertamente di parlare di quanto era successo tra lei e Tyrrel.

Diverse volte tornò da quelle “sessioni” notturne con occhi sognanti e stranamente felice, e Jake provava l’improvviso istinto di strozzarla.

Lo turbava anche il fatto che avesse cominciato a dormire di giorno. Dormiva tanto, ma si trattava di un sonno agitato ed esausto; la notte invece vagava nervosamente di stanza in stanza come se aspettasse solo di venir chiamata dal vampiro.

E quando Jake cercò di ricordarle il loro piano, Camilla dichiarò di non volerne parlare perché si sentiva troppo stanca.


Ormai Jake non riusciva nemmeno più a chiedersi quanto tempo fosse passato dal suo arrivo in quel miserabile mondo. Ma stranamente un giorno si ritrovò a camminare con Camilla lungo il torrente fino al Colorado sotto un tiepido sole mattutino.

Questo lo riportò alla piena coscienza della sua situazione e di cosa doveva fare per uscirne, come se la luce del sole stesse scacciando una sorta di incubo orribile e prolungato. Con qualche sorpresa udì se stesso pronunciare le parole: — Allora dobbiamo ucciderlo con il legno.

Camilla, in quel momento affatto diversa dalla bella ragazza che aveva incontrato la prima volta, si avvicinò a lui riparata come sempre dal cappello e dagli occhiali da sole. Quasi sottovoce disse: — È impossibile, almeno quando è sveglio. Hai visto anche tu quanto è forte e quanto velocemente riesce a muoversi.

— Se solo riuscissimo a entrare nella caverna dove dorme! — disse Jake. Poi tacque all’improvviso, guardando fisso le pareti del canyon con occhi rossi e vuoti. — Dinamite! — sussurrò a se stesso.


Con molte pause, i due continuarono a parlare di come liberarsi di Edgar.

— C’è anche il fuoco. Hai detto che il fuoco può ucciderlo.

Camilla lo guardò, per poi annuire non molto convinta.

Il fuoco fece pensare a Jake alla benzina o al gasolio, poi al cherosene. Nessuno dei primi due era disponibile lì nel Canyon Profondo, ma senza dubbio vi era del cherosene per le lampade a petrolio conservato in un bidone da cinquanta galloni che giaceva su una rustica rastrelliera sotto un pioppo a poca distanza dalla casa. Presumibilmente Tyrrel lo riempiva ogni tanto in chissà quale modo.

Per quanto riguardava la dinamite, Jake sapeva che Tyrrel ne aveva immagazzinata un bel po’ per i suoi scavi. Non era certo un esperto, ma durante la permanenza al campo del Ccc aveva imparato a preparare le cariche e le micce. Tyrrel teneva la dinamite in una baracca chiusa a chiave, ma dopo una rapida ispezione Jake non vide alcuna difficoltà per entrare e prendersela.

— Forse il modo migliore è sfruttare insieme il fuoco e il sole. Con la dinamite potrei cercare di frantumare la lastra di roccia che lo ripara, versando intanto il cherosene nella sua tana e dandogli fuoco.

Qualunque altra strategia di attacco sembrava destinata al fallimento, nonostante i due giovani si spremessero le meningi in cerca di qualcosa di ancora più sicuro. Ma Edgar era un vero mostro sotto tutti gli aspetti: Camilla giurò che la fucilata tiratagli in passato non aveva avuto alcun effetto su di lui, nonostante fosse stata esplosa da distanza molto ravvicinata. Dopo ciò che aveva visto in quei giorni, Jake le credette senza difficoltà.

Comunque, secondo lui la cosa migliore restava la luce solare. Edgar la evitava come la peste. Come altrimenti potevano inondare di luce la sua tana se non frantumando quella dannata lastra di roccia? Ci volevano due o tre grandi specchi, che non avevano, e molta fortuna poiché non si trattava di luce solare diretta. No, l’idea sembrava tanto folle che non la menzionò neppure a Camilla.


Invece, assurdamente, le disse: — Spero che tu non gli racconterai tutto la prossima volta che ti morderà sul collo!

Camilla rabbrividì, e lo guardò furiosa. Poi replicò che le veniva il voltastomaco solo a pensare a Edgar. Ma era totalmente impotente davanti al suo potere ipnotico: ecco perche Jake doveva aiutarla in ogni modo.


— Allora è per domattina — disse Jake infine. — Non appena sorge il sole.

— Domattina, sì — concordò Camilla con un sussurro.


Jake tornò indietro da solo, pensando. Si fidava di Camilla perché doveva, anche se non era più la stessa di prima. Si fidava, ma non del tutto, solo perché non aveva scelta.


Non riuscì ad arrivare alla grotta, a tornare al lavoro. Sedette invece con occhi vuoti accanto al torrente ascoltandone le voci. O perlomeno, cercò di convincersi di riuscire ad ascoltarle nonostante sapesse di non volerle veramente sentire. Perché quelle voci gli parlavano di odio, lo esortavano a uccidere e gli davano strani ordini in lingue sconosciute che non riusciva a capire e che avrebbe volentieri cancellato dalla mente.


Lavorando con lui quella sera nella grotta, Tyrrel informò il suo prigioniero che secondo la scienza umana solo i fossili più primitivi venivano ogni tanto trovati in quell’ultimo strato di roccia del canyon, uno scisto la cui formazione risaliva a un numero inimmaginabile di anni addietro. Sotto quelle semplici testimonianze di vita giacevano gli strati di sterile roccia precambriana, accumulatisi nei miliardi di anni che dividevano la nascita del nostro pianeta dall’eternità più semplice e pura.

— Riesci a immaginare anche solo il mondo di un milione di anni fa, mio giovane amico? — gli chiese Tyrrel visibilmente eccitato durante una pausa del lavoro.

— E perché no? Non debbo neppure immaginarlo, perché ce l’ho davanti agli occhi. E comunque da quando sto con lei ho visto cose ben più strane!

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