Come intontito, Jake seguì Camilla su per la collina nella notte ormai prossima salendo il sentiero accanto a quel torrente dagli ignoti mormorii. Stavano tornando indietro, si disse, verso il punto in cui il canyon laterale si allargava in una sorta di anfiteatro. Stavano tornando alla linda casetta e alla strana, inquietante grotta.
La sua compagna marciava in silenzio, fermandosi di quando in quando per guardarsi indietro come se temesse di non vederlo più.
Pochi minuti dopo si trovarono nuovamente davanti al cottage dalle pareti di tronchi, le cui finestre non mostravano alcuna luce dietro le tende. La luce era tutta in un altro posto a quaranta o cinquanta metri di distanza, ai piedi di una delle colline circostanti. Il bagliore di molte lampade elettriche traboccava dal basso ingresso della grotta, ampio quanto l’entrata di un garage, sempre più intenso nella notte incombente. Il generatore, il cui alloggiamento risultava ormai invisibile nell’oscurità, continuava a funzionare col suo placido ronzio a malapena percettibile contro il rumore della cascata. Più vicino, il continuo percuotere di un martello in direzione della grotta indicava che il vecchio scultore stava ancora lavorando.
Jake mosse la testa in quella direzione. — Tu dici che è quel vecchio pazzo la fonte dei miei guai. Solo lui può mostrarmi la via per uscire di qui, solo lui può lasciarmi andare.
Camilla rispose di sì con la testa e sussurrò, come se temesse di venir udita da Edgar nonostante il rumore della cascata, il ronzio del generatore e i colpi di martello: — Sì, può. Potrebbe, almeno. Ma…
Jake già le dava la schiena, muovendo a grandi passi verso la grotta dove il vecchio uomo bàtteva freneticamente sulla roccia. Camilla lo afferrò per un braccio.
— No! — sussurrò terrorizzata. — Non provocarlo stanotte! Non mentre lavora. Resta con me invece, e riposati. In ogni caso non torneresti al tuo accampamento adesso. Domani potrai parlare a Edgar: di tempo ne avrai più che a sufficienza.
Jake esitò, ma in verità si sentiva come se avesse camminato per cento miglia quel giorno. Quasi le gambe non lo reggevano più.
— Vieni a riposare — lo tentò nuovamente Camilla — e ti preparerò qualcosa da mangiare.
Abbandonando per il momento l’idea di un confronto con Tyrrel, Jake si lasciò condurre fino alla graziosa porta-finestra della casa. Nonostante la stranezza della situazione e la tremenda stanchezza non poté fare a meno di notare con quanto gusto la casa era arredata. Sembrava quasi una villetta dei sobborghi di qualche grande città e non una casa isolata che sorgeva in un luogo da incubo.
Piccola e bene arredata. Certamente vi si viveva bene. Dopo aver aperto un paio di finestre, Camilla azionò un interruttore e una lampada elettrica si accese mostrando una stanza con tavolo e sedie rustiche. Un grande tappeto dall’aspetto caldo e nuovo copriva la maggior parte delle assi del pavimento. Sotto le finestre di una parete vide un lavandino completo di scarico e rubinetti: l’acqua in casa era più di quanto tutti osassero sperare giù al campo.
Attraversando il salotto, Camilla condusse Jake sulla soglia di quella che sembrava la sola camera da letto. Là gli fece cenno di sedersi sul letto. Un’altra porta sul lato opposto della stanza restò chiusa: forse, si chiese lui, un vero bagno?
Seduto sul letto, che cigolava piano sotto il suo peso, Jake si guardò attorno. Contro una parete c’era un normalissimo armadio con diversi cassetti, e dato che non aveva visto un singolo specchio in tutta la casa, l’armadio non faceva eccezione. In compenso diversi quadri decoravano le bianche pareti.
Jake chiese: — Dove dorme il vecchio? A che ora rientra?
— Non preoccuparti di lui — rispose Camilla. Con aria materna piegò le coperte e sprimacciò i cuscini. — Non smetterà di lavorare fino all’alba, e comunque non entra quasi mai in casa.
— Davvero?
— Sì. Puoi andare tranquillamente a dormire.
Farsi una bella dormita lo tentava, ma per il momento Jake si limitò a sedere intontito osservando un topolino che zampettava lungo il battiscopa di fronte a lui. Si sentiva troppo stanco per pensare.
Camilla era bruscamente tornata nella stanza comune, dove sfregò un fiammifero per accendere qualche sorta di fiamma più brillante. Un attimo dopo rientrò nella camera da letto con una piccola lampada a petrolio che posò su un tavolino.
— Niente elettricità in questa stanza — spiegò in tono apologetico. Adesso, con più luce, Jake poté vedere una serie di macchie in una certa zona tra parete e soffitto, come se una perdita dal tetto fosse stata trascurata. — Hai fame? — gli chiese Camilla.
— No, adesso no — replicò Jake, per poi scoppiare: — Camilla, ma che diavolo succede? Ti prego, dimmelo!
— Adesso come adesso — fece lei — succede solo questo. — E si voltò a chiudere la porta, per poi togliersi pantaloni e camicetta e restare ferma davanti a lui.
Jake si svegliò parecchie volte quella notte. Ogni volta si chiedeva se stava semplicemente impazzendo per poi trarre un notevole conforto dalla calda presenza di Camilla, addormentata accanto a lui. Una volta si alzò e vagò nudo per la casa in cerca della doppietta. Per qualche ragione non riusciva a togliersela dalla testa. Infine trovò l’arma dove Camilla l’aveva lasciata, nella stanza comune appoggiata in un angolo. Strinse le dita attorno alle due fredde canne di metallo, poi decise di lasciarla dov’era.
Controllò la porta della casa. Non era chiusa a chiave. In effetti, scoprì dopo un veloce esame, sembrava non esservi modo di chiuderla a chiave.
Aprendo la porta per guardare fuori, Jake osservò lo stabile bagliore delle luci elettriche venire dalla grotta e udì l’incessante martellare del vecchio immerso nel suo lavoro.
Dopo non riuscì più a dormire veramente, nonostante la stanchezza.
Svegliandosi alla luce del giorno con un brusco sussulto cercò per prima cosa di ricordare qualche oscuro sogno, ma questo svanì man mano che ci provava. Era solo. Il sole penetrava nella stanza dagli spazi a lato delle tende a fiorami. Ora poteva osservare meglio i colori e l’arredamento della stanza, e non era più stanco e stordito al punto da non poter pensare. Quella era la stanza di una donna: in giro non vide nulla di maschile.
Sedendo nudo al bordo del letto e facendo del suo meglio per notare i particolari di quell’ambiente, Jake confermò l’impressione ricevuta la sera prima: la casa aveva dei veri vetri alle finestre e persino delle zanzariere, purtroppo lacere e trascurate. Le pareti interne erano formate dal lato piatto dei tronchi divisi in due, ben lavorati e allineati e accuratamente dipinti di bianco. Le ingentilivano due quadri: uno con un mazzo di fiori in un vaso, l’altro con barche in un porticciolo. Lo stile pareva lo stesso degli schizzi di Camilla. Dei piccoli scaffali fissati al legno reggevano un buon numero di cianfrusaglie. A terra vide un bel tappeto dall’aspetto praticamente nuovo. I vestiti che Camilla si era tolta la sera prima non c’erano più. Jake aprì la porta di uno degli armadi. Abiti maschili, camicie e pantaloni, poi una camicia che conosceva: Camilla l’aveva indossata al loro secondo incontro. C’era anche un abito da sera color azzurro appeso per conto suo. Gli scaffali e il pavimento dell’armadio apparivano alquanto impolverati; su uno degli scaffali vide una sveglia con le lancette puntate sulle dodici meno cinque. Jake la raccolse e la scosse, ma senza alcun risultato.
Qualcuno aveva lavorato un sacco per costruire quella casa e arredarla, ma adesso dava la netta impressione di star andando lentamente in rovina.
Sperando di trovarvi un bagno, Jake tornò in camera da letto e provò ad aprire la porta rimasta chiusa la sera prima. Invece con sua grande sorpresa vi trovò un’altra piccola stanza, arredata con lo stesso gusto delle altre due ma fornita di un letto per bambini. C’erano anche una sedia a dondolo, sempre per bambini, tappezzeria alle pareti con pagliacci e piccoli orsetti e un solo, dimenticato animale di peluche su uno scaffale. Era un coniglio, e aveva tutta l’aria di essere lì da una mezza eternità.
E su un tavolino in un angolo vide la piccola scatola del pranzo a cui tanto teneva Tyrrel.
Jake trovò il bagno appena fuori dalla stanza comune, il posto più logico dove fare un bagno dal punto di vista del costruttore poiché le condutture e lo scarico potevano facilmente sfruttare quelle del lavello. L’acqua veniva trasportata dal torrente per mezzo di una condotta, e qualcuno si era sobbarcato il fastidio di costruire una fossa settica.
Tornando dentro la sala comune, Jake notò anche un frigorifero elettrico e persino una piccola stufa elettrica. Molto grazioso. Sulla parete, un calendario sbagliato di soli tre anni lo informava che era il mese di giugno del 1932.
Camilla comunque non c’era, né lì né altrove.
Jake si vestì e continuò fuori il suo giro esplorativo, notando mentre passava la posizione strategica di un paio di pioppi piantati apposta per fare ombra alla casa nei pomeriggi estivi. Ancora nessun segno di Camilla. Nessun segno neanche del vecchio scultore, fortuna o meno che fosse.
Pian piano si avvicinò all’imbocco della grotta. Dovette chinarsi un poco per riuscire a guardare dentro, ma una volta superata l’imboccatura, la volta si alzava consentendogli di stare in piedi. Per quanto poté vedere, lo spazio interno era buio e silenzioso con la sola eccezione della poca luce solare che riusciva a penetrarvi. Evidentemente il vecchio Tyrrel si era finalmente stancato ed era andato a riposare. Be’, sicuramente non era in casa.
In piedi appena dentro la grotta, davanti alle invisibili profondità delle tenebre, Jake pensò di chiamare il vecchio Tyrrel ad alta voce per poi decidere di lasciar perdere, almeno per il momento. Scrutando di nuovo nel buio, non riuscì a vedere nulla che potesse in qualche modo aiutarlo.
Non sapeva dove altro cercare Camilla o Tyrrel; tuttavia giurò a se stesso che il vecchio pazzoide avrebbe dovuto rispondere a qualche domanda alla prima occasione, e rispondere in modo chiaro se non voleva pentirsene.
Tornando alla piccola casa, Jake notò qualcosa che prima doveva essergli sfuggito. Sul tavolo grande della sala comune vi era una nota per lui.
Si trattava di un breve messaggio scritto a penna sul retro di una vecchia busta:
Amore eh? Jake pensò a quella parola e poi a ogni parola del messaggio. Dopodiché posò nuovamente la busta sul tavolo. Improvvisamente si sentì affamato. Aprì la porta del frigorifero e fu felice di trovarvi qualcosa da mangiare.
Due mele rugose, qualche arancia e un sacco di cose meno attraenti avvolte in carta cerata, due bottiglie di birra e alcune lattine di coca-cola. E, su un piatto, formaggio, pane e prosciutto, ciò che restava dei panini del giorno prima. Vide anche alcune uova in un contenitore di cartoncino, ma non aveva la minima voglia di uova fritte.
Di conseguenza si fece un robusto panino al prosciutto e formaggio con l’aggiunta di un po’ di senape e continuò a guardarsi attorno. Fino a quel momento, stava avendo un notevole successo nel mantenere il suo enorme problema confinato in un angolo della mente. Senza quasi neppure pensarci si era convinto che, se fosse partito per l’accampamento riposato e alla luce del giorno, lo avrebbe ritrovato senza alcuna difficoltà.
Nella credenza della cucina Jake trovò dei sacchi di iuta contenenti riso e fagioli, dei pesanti sacchi di farina e un contenitore pieno di patate. Più in alto vide tre o quattro scaffali pieni zeppi di lattine contenenti ciò che classificò semplicemente come roba commestibile.
L’aroma di caffè lo attrasse verso un bricco posato sulla stufa per mantenerlo caldo. Si guardò attorno e trovò le tazzine su uno scaffale e lo zucchero in un barattolo. Le cose stavano cominciando a quadrare. Alla fine, pieno di cibo e caffeina inspirò profondamente un paio di volte, si alzò e uscì.
Guardandosi attorno con lo stomaco pieno, calmo e razionale nella forte luce del giorno estivo, decise che quel piccolo canyon non aveva davvero nulla di particolare. Sembrava semplicemente una delle molte, strette valli che confluivano nell’immenso scenario del Grand Canyon. Non c’era motivo per cui uno non potesse tornare a casa da lì. Perplesso più che mai, poiché adesso non credeva nemmeno più al disorientamento della sera precedente, Jake decise di riprovare a scendere il piccolo sentiero accanto al torrente.
Alla luce del mattino, con gli uccellini che cinguettavano e il torrente che scrosciava, il canyon pareva un posto quantomai idilliaco. Il solo problema era che non riusciva più a ritrovare i punti di riferimento notati quando era salito la prima volta con Camilla, mentre tutto confermava le osservazioni fatte la sera prima durante il fallito tentativo di andarsene.
Presto Jake poté constatare che i cambiamenti non erano solo nella sua fantasia. Ben ricordando il sentiero percorso due volte al tramonto della sera prima impiegò solo pochi minuti per giungere in vista del Colorado, dando naturalmente per scontato che quello fosse il fiume che aveva conosciuto per quattro mesi con quel nome. Perché quello era in realtà un ampio e impetuoso torrente zeppo di grandi rapide, non certo il Colorado che scorreva placido e profondo nel Grand Canyon.
Uscendo a un certo punto dal sentiero prese a cercare il punto dove, a quanto ricordava, Camilla aveva sparato allo strano e gigantesco orso. I resti della bestia erano ancora là, ma qualche altro animale se n’era nutrito durante la notte. Ciò che restava stava attirando orde di mosche e di formiche.
Jake restò immobile per qualche istante guardando quel guazzabuglio di sangue e pelo. Poi chiuse gli occhi. Quando li aprì, era ancora là.
Alla luce del sole lo strano paesaggio attorno al grande fiume non appariva meno estraneo della sera prima. Anzi, in un certo qual modo risultava ancora più strano adesso, perché poteva vederne fin troppo chiaramente le incredibili formazioni.
Mentre osservava quelle impossibilità geografiche con la mente pervasa da mille drammatici pensieri, Jake udì un rumore e vide Camilla. Indossava gli stessi vestiti del giorno prima e muoveva verso di lui attraverso un piccolo passaggio a valle del grande fiume. Un cappello femminile da giardino a falda larga la proteggeva dal sole mattutino. Era stata veramente a pescare e ne aveva le prove: una canna da pesca realizzata con un ramo verde e flessuoso e tre pesci abbastanza grossi, simili a trote e agevolmente trasportati grazie a un ramo di salice infilato nelle branchie. I pesci erano ancora tanto freschi da agitare le code mentre lei camminava.
— Buongiorno — disse Camilla con fare un po’ indeciso, come se lei e Jake si fossero appena conosciuti. E forse, pensò lui, era dannatamente vero.
— ’giorno — rispose.
— Oggi a pranzo abbiamo pesce.
— Io ho già mangiato. Grazie per il caffè. Senti, Camilla, io me ne vado a casa. Torno al campo. Vieni con me se vuoi. Sono certo di riuscire prima o poi a trovare la strada alla luce del giorno, ma preferisco farmela mostrare da te.
Il sorriso di Camilla si smorzò d’incanto. La sua voce si fece roca. — Mi piacerebbe tanto poterlo fare, Jake.
Lui la guardò immobile, senza veramente sapere cosa dire o fare.
— Jake — chiamò lei con voce timida, posandogli una mano sulla spalla. — Riaccompagnami a casa, tesoro, prima di andartene. Voglio parlarti.
Di nuovo lui la seguì, constatando amaramente che non poteva fare altro.
Tornati al cottage, Camilla si mise immediatamente al lavoro pulendo il pesce su un rozzo tavolo di legno appena fuori dalla finestra della cucina. Da qualche parte si fece avanti un gatto variopinto e semi addomesticato, che subito dedicò una certa attenzione ai movimenti della giovane donna.
Brandendo una piccola mannaia, Camilla tagliò con un singolo colpo una testa di pesce. Poi prese un corto coltello estremamente affilato e iniziò a tagliare la viscida pancia dell’animale. In volto aveva un’espressione cupa, ma Jake sapeva che non era disgusto per il lavoro che stava facendo.
— Avanti, dimmi tutto — fece Jake.
— Io volevo dirti che mi dispiace… — cominciò lei senza sapere come continuare.
Prima ancora che Jake potesse pensare a una risposta, Camilla cominciò a piangere. Ma con il pesce in una mano e il coltello nell’altra non poteva asciugarsi molto bene le lacrime, per cui se le asciugò dapprima con le maniche, poi con la camicia di Jake appoggiando la testa sulla sua spalla. Jake provò un tuffo al cuore per il rimorso. Ma no, non era colpa sua. Era colpa di quel vecchio bastardo. Cosa le aveva fatto, cosa stava facendo a tutti e due?
Il gatto, il cui interesse andava ora alle interiora del pesce gettate a terra da Camilla, mosse con aria furtiva verso il suo banchetto avviluppandosi dopo pochi istanti in un groviglio di intestini rosa e verdi.
Ma tutte le lacrime del mondo non servivano a toglierli dai guai. Per spingere Camilla a controllarsi, le chiese: — Che accadrebbe se invece di scendere verso il fiume provassi a salire verso il ciglio del canyon?
— Lo stesso. Voglio dire, non si finisce comunque da nessuna parte — fu la replica. Non riusciva più a parlare bene, notò Jake, quando qualcosa la sconvolgeva.
Lui le disse: — Adesso devi mangiare. Poi io e te ce ne andremo di qui. Non so se ci riusciremo, ma ci proveremo comunque tutto il giorno.
Lei esitò, per poi rispondere: — E va bene. — Ma il suo tono di voce suonò sconfitto già in partenza. In ogni caso smise di piangere e riprese a pulire il pesce.
Una volta terminato, Camilla portò il pesce in casa e lo passò nella farina per poi friggerlo con un po’ di lardo.
Quindi cercò di persuadere Jake a mangiarne almeno uno. Non dovette faticare troppo. Jake si arrese pensando che i prossimi pasti parevano, dopotutto, abbastanza incerti. E senza dubbio quella specie di trota era deliziosa.
Ancora nessun segno del vecchio Tyrrel, né fuori né dentro la casa. Jake e Camilla si guardarono bene dal parlare di lui.
Una volta terminato il pranzo, Camilla si alzò e cominciò a lavare i piatti.
— Cosa stai facendo? Lascia che ci pensi quel pallone gonfiato una volta tanto.
Di nuovo, come se volesse assecondare Jake in ogni cosa, lei rispose: — Va bene. — Poi riempì d’acqua la padella e la lasciò a mollo nel lavandino.
Finalmente i due uscirono di nuovo, con Camilla che portava il fucile in spalla come la sera prima.
Stavolta fu Jake a guidare la marcia in silenzio. In alcuni punti l’alta rupe da cui la cascata precipitava in più balzi non pareva troppo difficile da scalare, soprattutto se ci si allontanava un po’ dal torrente. In ogni caso, prima di cominciare la scalata, Jake si ricordò di riempire la borraccia.
Salendo dopo Jake, Camilla gli passò la doppietta per superare un punto difficile.
Il ragazzo prese l’arma e la esaminò velocemente. Tutto sembrava in ordine. — Cosa direbbe Edgar se mi vedesse con un fucile in mano? — domandò, aiutando Camilla a salire.
— Nulla credo. Perché? — rispose lei con voce dolce e persuasiva.
Jake la guardò per un istante e scosse la testa.
Presto i due raggiunsero la sommità della prima cresta rocciosa. Non vi erano altre creste in vista sopra di essa, nessun’altra arrampicata, solo una distesa di massi che si estendeva a perdita d’occhio in ogni direzione su un terreno arido e regolarmente inclinato. Alcuni dei massi erano grandi come una casa, altri più modesti.
Lui voleva andare a est, naturalmente, ma ancora la strada risultava praticamente bloccata.
Jake insistette e pochi minuti di ostinata arrampicata lo portarono in cima a una gobba del terreno che doveva essere il ciglio definitivo del canyon. Tuttavia, quella dura scalata sotto il sole era durata più o meno quanto quella dal fiume alla casa. Era come se il canyon dovesse ancora formarsi e il ciglio fosse solo un centinaio di metri sopra il fiume Colorado.
In piedi su quella strana versione dell’altopiano, Jake guardò verso il sole e scoprì di poter vedere per miglia e miglia. Nulla ricordava il territorio da cui era passato quattro mesi prima, e naturalmente non c’era segno di Canyon Village. Per quanto poteva dire dalla sua posizione, quello strano e innaturale paesaggio sembrava totalmente disabitato.
Per nulla scoraggiato compì un tentativo di esplorazione verso est. Ma i grossi massi inclinati che tanto chiaramente gli bloccavano la strada continuarono semplicemente a farlo, e nessun tipo di sentiero comparve tra di essi. Era praticamente impossibilitato a muovere in quella direzione. Il torrente era scomparso. La sorgente doveva trovarsi sotto uno di quei massi. Più tardi l’avrebbe cercata, ma prima doveva trovare qualche altro tipo di risposta.
Vista la situazione pensò di tornare indietro e muovere verso ovest, per poi compiere un largo giro attorno a quei massi. Ma avanzare verso ovest su quel tipo di terreno risultò difficile quanto muovere a est. Eppure doveva esistere un modo di passare.
Con cautela, Jake discese la gobba del terreno e tornò al torrente, salendo e scendendo dai massi inclinati.
Camilla lo aspettava esattamente nel punto dove l’aveva lasciata.
Lui posò la doppietta e la strinse con entrambe le braccia, senza usare forza ma solo fermezza. Molta fermezza. — Adesso devi dirmi la verità, Camilla. Tu sapevi che una volta superato quel vostro Canyon Profondo non sarei più riuscito a tornare indietro. Perché è là che è successo, vero? E tu lo sapevi!
Camilla cercò di liberarsi, ma Jake non glielo permise. Per cui lei si rilassò e rispose: — Sì, è là che è successo. Io… Jake, mi spiace così tanto, ma non potevo evitarlo. Dovevo fare qualcosa, capisci?
La trota mangiata per pranzo stava diventando un sacco di piombo nello stomaco di Jake. — Insomma, lo sapevi.
— Dovevo portarti qui. Avevo bisogno di te!
— Per fare cosa?
— Per andarmene — rispose piano Camilla, abbassando gli occhi a terra. — Per andar via da Edgar. Lui crede che ti abbia portato qui per fargli da aiutante, perché già da un po’ mi sta dicendo che ha bisogno di qualcuno. Ma non è per questo che l’ho fatto. Il vero motivo è che in due sarà più facile trovare il modo di andarsene… almeno spero.
Lui la guardò per un lungo momento in totale silenzio.
Camilla cercò di sorridergli radiosamente. — Inoltre adesso mi sto innamorando di te, Jake, e non potrei più lasciarti andare. Tu puoi avermi tutte le volte che vuoi. È bellissimo farlo con te. Mi piace quasi al punto da impazzire — disse con una mossa sensuale delle anche che non le riuscì proprio perfetta.
— Oh, allora è questa la mia ricompensa?
— Jake, non essere in collera con me. Tu mi piaci. Baciami. Prendimi. Vuoi tornare alla casa? Possiamo anche farlo qui, sai? Nessuno ci disturberà… perché non c’è proprio nessuno in questo posto orribile! — E Camilla scoppiò in una lunga serie di singhiozzi.
Senza dire una parola, Jake la guardò piangere per quello che parve un tempo interminabile. Provava l’impulso di stringerla a sé e consolarla in qualche modo, ma il pensiero di ciò che lei gli aveva fatto intrappolandolo in quel posto maledetto lo trattenne.
Infine lui disse: — Andiamo. Ci sono un paio di altre cose che voglio sapere.
Cedendo alle insistenze di Jake, Camilla lo portò nella grotta dove il vecchio scultore lavorava di notte. Lui la convinse anche ad accendere le forti luci, dicendosi certo che Tyrrel non vi stava dormendo in quel momento.
Di nuovo l’interesse di Jake andò alla strana forma delle lampade. — Ma da dove saltano fuori? Non ho mai visto nulla del genere.
— Edgar dice…
— Cosa?
— Una volta mi ha detto che le ha trovate da qualche parte negli anni Novanta. Ha usato proprio queste parole. Ti ho detto che gli anni sono tutti mischiati in questo posto.
— Lo ha detto tanto per dire — commentò Jake senza troppa convinzione. — Giusto per prenderti un po’ in giro.
— Forse — replicò Camilla. E poi, dopo una pausa: — Sai dove dice che ci troviamo adesso? Sai perché il Grand Canyon non è profondo come dovrebbe ed è popolato da strani animali?
— No. Perché? E dove ci troviamo?
— Circa un milione di anni avanti Cristo, dice Edgar, e poi scoppia a ridere — spiegò Camilla, per poi aggiungere: — Non so se parla sul serio o no.
Forse, si disse Jake, questa spiegazione andava ponderata attentamente. Un milione di anni avanti Cristo. Be’, se doveva davvero pensarci quello non era né il luogo né il momento giusto e quindi si diede da fare per esplorare la grotta e le sue numerose cavità, vere e proprie stanze che la rendevano grande almeno quanto una casa. Esplorò ogni luogo al chiarore delle luci di Edgar, ma il fatto di veder bene non lo aiutò minimamente a capire. Cercando perlomeno di scoprire cosa faceva Tyrrel là dentro tutta la notte, Jake guardò il lungo tavolo da lavoro, i buchi nel pavimento, i grumi di roccia tenera appena scolpiti che abbondavano in tal numero da fargli pensare che fossero stati abbandonati dopo i primi colpi di martello.
Camilla era uscita per poi rientrare e lo seguiva dappertutto senza dire una parola.
— Dov’è Tyrrel adesso?
— Sta dormendo.
— Me l’hai già detto almeno dieci volte. Ma adesso ti sto chiedendo dove.
Nessuna risposta.
— Credi forse che intenda stare qui, ovunque sia questo posto, e lavorare gratis per quel bastardo solo perché non riesco ad andarmene? Credi di farmi dimenticare ogni cosa semplicemente dimenando il tuo bel culetto?
— No, Jake, te l’ho detto: ti ho portato qui perché sono disperata. Ho bisogno del tuo aiuto. Voglio andarmene da questo posto almeno quanto te. Anche di più, visto che ci ho passato dei mesi interi! Io non ne posso più! Io… — Di nuovo Camilla sembrò sull’orlo di una crisi di nervi.
— Quella carogna crede che lavorerò per lui perché non ho altra scelta!
Ricomponendosi, Camilla disse: — Vuoi sapere la verità? Io non credo che a Edgar interessi molto se tu lavori per lui o no. Ma lui ti farà lavorare per tenerti occupato, per non farti passare il tempo pensando a qualche modo per dargli dei fastidi. E per quanto mi riguarda, io non gli interesso più come modella, davvero, ma lui… lui non mi lascia andare in ogni caso.
— Perché no? Se davvero non ha bisogno di noi perché ci tiene qui?
Lei non poté o non volle rispondere.
— Ti ho chiesto perché ci tiene qui!
Parlare sembrò costare a Camilla un grande sforzo. Era come se dire la verità risvegliasse in lei i suoi timori più profondi. — Io credo che voglia le nostre vite, in un modo o nell’altro.
Jake sentì rizzarsi i peli della nuca. — Cosa vuoi dire con questo? Come, le nostre vite?
— Non lo so. È solo una sensazione. Ma per adesso non dobbiamo preoccuparci. Rassegnati e resta qui, Jake. Io ho bisogno di te. Tyrrel non ci disturberà mai durante il giorno, e la notte puoi fare qualcosa per lui. Io ho lavorato per lui, e non è stato poi tanto terribile — disse, per poi aggiungere con un sussurro: — Intanto io e te cercheremo di fare qualcosa, di scoprire il modo per andarcene entrambi.
— Il modo? E quale sarebbe?
— È proprio quello che dobbiamo scoprire.
— Ah sì? Camilla, dov’è quella carogna? Voglio parlargli!
— No, Jake! E poi adesso Edgar sta dormendo. Credimi, è meglio non affrontarlo in modo diretto. Quando si sveglierà potrai parlargli con calma.
— Almeno fammi vedere dove dorme!
Camilla sospirò. — E va bene. Non crederai ai tuoi occhi, ma comunque seguimi.