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Al meridiano di Greenwich, dieci minuti di longitudine a est di Londra, gli orologi segnavano mezzanotte e due minuti. Il penultimo giorno del vecchio anno era appena cominciato. L’uomo che in Arizona si faceva chiamare Strangeway sedeva adesso da solo nel buio salotto di una casa del Kent a circa un quarto di miglio dal centro del villaggio di Down.

Da molti anni ormai nessuno viveva in quella casa. Ma per circa quarant’anni del Diciannovesimo secolo era stata la casa di Charles Darwin, e nella maggior parte dei giorni del Ventesimo secolo era aperta come museo. I turisti vi andavano con una certa regolarità, in numero relativamente ristretto, poiché non molti erano interessati al punto di fare lo sforzo di arrivarvi. Ma naturalmente a mezzanotte non vi erano turisti in giro: persino i custodi si erano recati ormai da tempo alle loro case e, forse, a letto.

Da quasi un’ora la figura piccola e vagamente arrotondata del solo visitatore notturno aspettava in piedi, virtualmente immobile, nello studio del grande scienziato. Ma l’ultimo tocco della campana di mezzanotte lo spinse finalmente a muoversi. Con dita leggere sfiorò alcuni degli scaffali pieni di libri, respirando apposta per sentire l’odore dello studio appesantito dal lucido usato in abbondanza per far splendere i mobili della casa-museo. In piedi accanto all’alta, scura sagoma della vecchia pendola di Darwin ascoltò con attenzione la grave, silente voce del meccanismo che vi era dentro. Perché i sistemi investigativi dell’insolito visitatore, elaborati nel corso dei secoli, erano più antichi di quelli della scienza moderna e spesso portavano a risultati più concreti.

Quasi tre minuti dopo mezzanotte il visitatore notturno volse repentinamente la testa. Le sue orecchie avevano percepito un rumore fuori dalla casa. Qualcuno stava cercando di entrare. Sorridendo mormorò un gentile invito, certo che un paio di orecchie acute quanto le sue avrebbero udito quelle parole nella gelida notte invernale.

E infatti qualche attimo più tardi un gentile brillare di luci accese il buio della stanza, seguito dalla tranquilla comparsa di un’agile figura femminile dai lunghi capelli neri e dall’aspetto giovane, vestita con un abito di fattura inglese molto alla moda un secolo prima.

Salutando la nuova arrivata con un cortese inchino nello stile di un’epoca da lungo tempo trascorsa, il visitatore scambiò con lei alcune parole teneramente private.

Poi disse: — Sono certo che tu sai, mia cara Mina, che questo anno segna il centenario della mia ultima visita in Inghilterra e naturalmente anche del nostro primo incontro.

La donna dal giovane aspetto gli sorrise. — Ma certo che lo so, mio caro Vlad. Anzi, mi chiedevo se una ricorrenza tanto importante dovesse passare senza sentire queste parole dalla tua voce — replicò con accento britannico quanto il suo vestito.

— Ho avuto molto da fare — spiegò il suo compagno con voce quasi distratta, restando per un attimo con le mani giunte davanti a sé come un vicario in un momento di preghiera.

— Oh, so anche questo. L’adorato Vlad si dedica ora alla soluzione di problemi mondani e, a volte, importanti. Il mio era solo un amichevole rimprovero. — Bella e aggraziata come una pantera, la donna-vampiro si avvicinò al visitatore posandogli amorevolmente una mano sulla spalla.

— Bene — fece Strangeway tirando un profondo respiro, un’abitudine passata in cui occasionalmente ricadeva. — E così questa è la casa di Darwin — aggiunse guardandosi attorno.

— Credo di sì, c’è il cartello là fuori — fu la pronta replica di Mina, scherzosa come sempre. — E dice che visse e lavorò in questa casa per la maggior parte della sua vita. Ma questa non è la tua prima visita dal secolo scorso, vero Vlad?

— Una supposizione più che logica da parte tua, mia cara, poiché sono entrato qui dentro senza alcun recente invito. Ma in verità io non sono mai entrato prima in questa casa. Una volta comunque, un secolo fa, vi sono stato invitato. Quella era la mia seconda visita in Inghilterra… o la terza? Dopo tutti questi anni, certi particolari tendono a sfuggirmi.

Mina rise, una risata quasi senza fiato. — Ne ero certa. E senza dubbio l’invito è venuto da una donna di cui sarebbe scortese rivelare il nome. Vlad Drakulya, ancora mi ritieni gelosa dei tuoi baci, dei baci di quando respiravi e di quelli che, senza dubbio, ancora ricevi?

Il suo compagno accettò il commento con un battito di ciglia e un vago sorriso. — Baci? Già, invero baci vi sono stati. Lo sappiamo tutti e due. Ma venendo al dunque, mia cara, ho avuto occasione di parlare con molti tuoi compatrioti da ieri, dal mio arrivo in Inghilterra. Mi sono persino consultato a distanza con una certa persona che in qualche modo, non so come, sapeva del mio arrivo.

Persino la pratica Mina sembrò impressionata. — Un consigliere anziano, forse?

— Possiamo chiamarlo così. Uno che ho avuto in questi anni il privilegio di poter chiamare amico. Aveva quasi mille anni di età quando io nacqui. Purtroppo non posso pronunciarne il nome…

— Capisco — rispose Mina. Il potere di certi nomi non andava preso alla leggera. — E da questo antico e venerabile Britanno hai appreso qualcosa che potrà aiutarti nelle tue attuali difficoltà oltreoceano.

— Ho appreso molte cose — commentò Drakulya allargando le braccia. — Tanto per cominciare, ho appreso che un uomo di nome Edgar Tyrrel una volta è stato in questa stanza.

Il visitatore spiegò quindi in pochi minuti tutto ciò che sapeva su Tyrrel.

Accigliata, Mina chiese: — E questo misterioso Tyrrel era uno di noi, un nosferatu, prima di lasciare l’Inghilterra?

— Non posso esserne certo, ma sembra probabile. Darwin morì nel 1882, nove anni prima del mio arrivo qui. E Tyrrel, tanto interessato al lavoro di Darwin, visse e lavorò in Arizona cinquant’anni più tardi. Questo significa vivere davvero a lungo per uno che respira, non trovi?


Poco più tardi, dopo aver saziato la sua curiosità riguardo lo studio di Darwin e scoperto ciò che vi era da scoprire in quella casa, il vampiro detective e la sua compagna si avvicinarono a un’alta vetrata che dava sul giardino e uscirono nell’umida e fredda notte invernale. Come al loro ingresso, entrambi superarono l’ostacolo senza minimamente danneggiare il vetro o il telaio di legno della finestra.

Passeggiando nel giardino gelato, con l’erba coperta di brina che scricchiolava sotto i piedi, Vlad Drakulya notò passando un utile, piccolo cartello che spiegava ai turisti qualche dettaglio sul parco. Pochi attimi più tardi lui e Mina giunsero, seguendo la freccia sul cartello, alla passeggiata rustica usata dal grande scienziato per tenersi in forma e meditare.

La passeggiata li portò attraverso un prato immerso nel gelido silenzio dell’inverno e in un piccolo bosco. I due vampiri passeggiavano pensierosi, parlando poco e preferendo comunicare in silenzio uno con l’altro e con ciò che li circondava. In particolare Vlad cercava di captare le vibrazioni del passato e di sentirne le voci più profonde. Non il passato di Darwin, no: con quello aveva già finito. Che Darwin riposasse pure in pace. La sua vita, il suo lavoro e la sua casa erano servite meravigliosamente al vampiro detective per trovare una porta d’accesso. Raggiunto quello scopo doveva adesso concentrarsi sul suo vero obiettivo, sito molto oltre nel passato e tanto lontano da sembrare irraggiungibile. Perché Darwin e Merlino erano praticamente contemporanei visti dalla prospettiva dello scorrere dei secoli, dei millenni innumerevoli, degli eoni che andavano sondati…

Richiamato alla realtà dalle prosaiche contrazioni della fame, Vlad Drakulya si fermò tentato da un coniglio immobile sotto un albero del piccolo bosco. Un balzo pietosamente rapido, e con ottimo appetito lui e la sua compagna si divisero di buon grado il sangue della piccola creatura.

Sopra di loro, le dita scheletriche degli alberi di Darwin si levavano imploranti verso il nero cielo domandando chiarimenti.

Mina, le cui labbra carnose apparivano adesso nuovamente pulite come quelle di qualunque bella ragazza che respira, e forse più pulite di molte di esse, indicò con un lieve gesto i rami ricurvi. — Sembra che attendano chissà quale messaggio dalle stelle. Non pensi anche tu, Vlad?

— Molto poetico. Ma per quanto riguarda i miei pensieri ti dirò, mia cara, che forse ho cominciato a capire.

— A capire?

— Sì, mia dolce Mina. Adesso posso tornare in America, al Grand Canyon.

— Oh, un luogo molto affascinante. Qualche giorno dovrai portarmici, Vlad. E quel giorno mi spiegherai cos’è che hai capito adesso.

— Quel giorno te lo spiegherò.

La coppia si baciò castamente. Qualche attimo più tardi l’uomo cambiò forma e aprì le ali. Quella notte non si sarebbe spostato più in là di Gatwick con la sua forma alterata, poiché il modo più celere per coprire quella lunga traversata oceanica era lo stesso dei più comuni mortali: volare con la British Airways.


Qualche ora dopo aver lasciato la casa di Darwin, confortevolmente sistemato nella pancia di un mostro metallico che ruggiva a più di diecimila metri sull’Atlantico diretto a tutta velocità verso Chicago, il vampiro trovò il tempo di pensare. Molte erano le cose su cui riflettere.

Per cominciare, Tyrrel aveva davvero conosciuto Darwin quando, imberbe ragazzino, ancora respirava? Darwin era morto nella casa di Down un giorno di aprile del 1882. Circa cinquant’anni erano trascorsi tra quel possibile incontro e la ricomparsa di Tyrrel in Arizona, dove aveva conosciuto e sposato Sarah. Un vecchio uomo, secondo gli standard di quelli che respirano, dotato però di forza e agilità sorprendenti.

La vecchia Sarah sapeva certamente se suo marito era già un vampiro al momento del matrimonio. Doveva parlarle non appena rimetteva piede a Canyon Village.

Certo Tyrrel poteva anche non aver mai conosciuto Darwin nonostante fosse stato almeno una volta nella casa del grande scienziato. Ma da vampiro o da semplice turista? Era questo il punto.

Qualunque fosse l’esatta relazione tra Tyrrel e Darwin, l’artista, e anche questo contava, aveva certamente assorbito alcune delle idee dello scienziato.


Sei ore dopo la partenza dall’Inghilterra, l’insolito passeggero si trovava in una delle molte cabine telefoniche dell’aeroporto O’Hare di Chicago, facendo del suo meglio per raggiungere Joe Keogh in Arizona. Ma ogni sforzo risultò vano. Evidentemente nessuno si trovava in quel momento nella stanza di Joe.

Pensierosamente Drakulya appese il ricevitore, attese qualche istante e chiamò un numero di Chicago, uno che ricordava tranquillamente a memoria. Pochi secondi più tardi stava parlando con Angie Southerland, la giovane moglie di John.

Quando la voce di donna disse: — Pronto? — lui replicò: — Ciao, cara Angie. Sono lo zio Matthew. — Dei mille nomi che usava in giro e che Angie conosceva era quello che la metteva più a suo agio.

— Oh — rispose Angie. L’aveva riconosciuto. Senza alcuna sorpresa Drakulya ascoltò la voce di donna precipitare per un attimo in una fredda incertezza prima di tornare calda come sempre.

Una volta esaurito l’iniziale scambio di convenevoli, Drakulya disse: — Io e il suo robusto marito siamo attualmente impegnati nello stesso progetto giù in Arizona. Vi siamo arrivati seguendo strade diverse, ma…

— Lo so — replicò Angie suonando pratica come al solito. — John mi ha detto che aveva un lavoro da svolgere al Grand Canyon. Non è entrato in particolari, però, perché neppure lui sapeva bene di cosa si trattasse.

— Mia cara, lei potrebbe forse aiutarmi molto se compisse qualche ricerca per me. Solo per me.

Mentre parlava, Drakulya sapeva benissimo che le dita di Angie attendevano pronte su una tastiera di collegarsi elettronicamente con cose esoteriche come banche dati e bollettini informatici, i mezzi moderni che consentivano all’agenzia di Joe di conoscere in tempo reale molte cose che accadevano negli Usa e nel mondo.

— Joe ha già chiamato chiedendomi di fare qualche ricerca sul caso. Posso dire a lei ciò che ho trovato finora.

— Ah, molto bene. Le sarei molto grato, cara Angie.

— Tanto per cominciare — disse la giovane donna — Edgar Tyrrel è stato dichiarato legalmente morto nel 1940 su richiesta della vedova. La sua scomparsa risale a sette anni prima, all’estate del 1933, ed è avvenuta durante una delle sue frequenti passeggiate nel canyon. Tyrrel fu descritto come “anziano” nell’anno della scomparsa. Viveva sull’altopiano già da trent’anni.

— Sarebbe tanto gentile da leggermi l’intero rapporto, Angie?

Angie lo era, e difatti lo fece. I giornali del 1933 riportavano concisamente che l’eccentrico scultore, che viveva quasi da recluso, lasciava una giovane moglie e una bambina rimaste entrambe nella casa di Canyon Village. Nel 1940, Sarah venne segnalata sulla costa orientale, ma della bambina non si faceva più menzione.

Un articolo di costume su un giornale di quegli anni lasciava poi intuire che Sarah Tyrrel stava guadagnandosi la fama di eccentrica esattamente quanto il defunto ex marito.

— E della bambina che ne è stato? — domandò Drakulya incuriosito.

Seguì un istante di silenzio al telefono, rotto solo dal ticchettio delle dita di Angie sulla tastiera. Chiedeva informazioni alle banche dati, per riceverne magari qualcuna da un luogo posto in un altro continente.

Cosa ne avrebbe mai pensato il vecchio Merlino, si chiese perplesso il vampiro all’altro capo del telefono, di quei moderni mezzi di divinazione?

Finalmente Angie disse: — Viene menzionata solo nel 1933. Non capisco. Si direbbe quasi che sia scomparsa dalla circolazione, ma non riesco a trovare alcun atto di morte.

— Uhm. Come si chiamava?

— So che sembra incredibile, ma anche il nome risulta sconosciuto.

— E le attività successive della vedova Tyrrel? Cos’ha fatto dopo il 1940?

— I giornali riportano solo qualche frammentaria notizia a partire dagli anni ’60. Viene menzionata soprattutto per le vicende legate all’eredità del marito. Ah, c’è anche questo: dagli anni ’60 in poi viene affiancata nella conduzione degli affari di famiglia da suo nipote, un certo Gerald Brainard.

— Come del resto ci è stato raccontato. Molto bene. Grazie, Angie: lei mi è stata utilissima.

La telefonata terminò. Ignorando i rumori e il continuo brusio dell’aeroporto più affollato del mondo, Drakulya cercò ancora una volta di raggiungere Joe Keogh in Arizona. Stavolta il tentativo ebbe successo.

Il vampiro detective comunicò da Chicago le sue impressioni all’uomo che respirava giù in Arizona, per poi concludere con un po’ di filosofia: — Non c’è motivo — disse — per cui un nosferatu non possa essere uno scultore, uno scienziato, o perché no, un criminologo. Sono tutte abilità simili.

— Immagino che lei abbia ragione.

— Ma certo che ho ragione. Sono molti i nosferatu, me stesso incluso, che collezionano oggetti d’arte. Tuttavia tra noi solo pochi riescono a creare un’opera d’arte con le proprie mani. E questo mi ha lasciato perplesso alla luce di quanto sta avvenendo con Tyrrel… ma adesso non vorrei annoiarla con i miei ragionamenti. Ci vediamo molto presto, Joseph.


Un attimo più tardi in Arizona, nella suite dell’El Tovar, Joe Keogh appese il ricevitore e prese giacca e bastone. Doveva interrogare Sarah Tyrrel su sua figlia, e dato che non vi era telefono a casa Tyrrel doveva uscire e raggiungere la casa a piedi.

La folla di turisti giù nella hall parlava di neve, e non appena Joe uscì, l’aspetto grigio ferro del cielo mattutino e il secco vento gelido che tirava lasciavano prevedere con certezza quasi assoluta lo svolgimento di un bianco Capodanno.

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