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Correndo a perdifiato giù per un sentiero a malapena percettibile, completamente preso dal compito di catturare quelle che sempre più apparivano come due fluttuanti figure, Bill Burdon riuscì in qualche modo a restare lodevolmente vicino alle sue prede per i primi cento metri. All’inizio Bill si era aspettato di riuscire a prenderne almeno una, ma quella doveva dimostrarsi una speranza assolutamente vana.

E quindi fece appello al suo miglior tono da sergente ordinando ai due di fermarsi.

Ma l’effetto di quell’ordine tanto imperativo fu esattamente l’opposto di ciò che sperava. L’unico dei due intrusi ancora in vista davanti a lui accelerò sensibilmente il passo senza neppure voltarsi indietro. Ora sì che Bill stava definitivamente perdendo terreno.

Ancora venti secondi di folle corsa e anche il secondo intruso penetrò la fitta coltre di nebbia che ristagnava nel canyon, svanendo completamente. Bill sentì un rumore di rami spezzati e sassi che cadevano, e un attimo più tardi si tuffò a sua volta nella nebbia. Subito dovette, suo malgrado, ridurre il passo poiché il terreno davanti a lui divenne quasi del tutto invisibile.

Le sue dita cercarono l’interruttore della torcia elettrica. Il piccolo cono di luce accese strani riflessi nella coltre biancastra rivelando qualche particolare del terreno fortemente inclinato, ma risultò completamente inutile per localizzare i fuggitivi.

Nulla più rompeva il silenzio del canyon, neppure i rapidi passi dei due intrusi.

Bill rallentò la corsa e prese ad avanzare camminando. Esaminando attentamente il terreno con l’aiuto della torcia, riuscì a trovare e a seguire un sentiero a malapena visibile che scendeva serpeggiando tra le rocce, i cespugli spinosi e i fichi d’india. Qua e là si scorgevano tracce di neve, rimasta evidentemente dall’ultima nevicata caduta giorni prima. Certo che cercare qualche traccia, qualche ramo spezzato o impronta di piede umano, era pura follia in quella nebbia e su quel terreno duro e sassoso.

Tuttavia Bill continuò a seguire il sentiero per qualche minuto, fermandosi diverse volte per sentire un eventuale movimento nel buio. Non gli piaceva affatto dover usare la torcia elettrica, ma non sembravano esservi molte alternative.

E infine, quando neppure la luce della torcia sembrò più in grado di identificare il sentiero, Bill dovette fermarsi. Con rabbia spense il suo piccolo lume.

Chiunque fossero coloro che fuggivano, si disse, erano senza dubbio riusciti a seminarlo; tuttavia, visto che la pazienza restava la dote migliore di un detective decise di continuare a provare. Di nuovo riprese a scendere la ripida scarpata, avanzando adesso lentamente e con circospezione, attento a ogni fruscio e a possibili riflessi di luce provenienti da sotto.

Qualsiasi presenza umana fosse svanita in quella direzione si era nascosta molto bene, oppure si trovava tanto lontana che lui poteva anche onorevolmente arrendersi. A giudicare dal silenzio che l’avvolgeva poteva anche essere il solo uomo in tutto il dannato canyon. Di nuovo si rammaricò di non aver potuto studiare il territorio di giorno, ma purtroppo non ve n’era stato il tempo.

Il walkie-talkie prese a ronzare nella tasca della sua giacca. Sospirando, Bill estrasse il piccolo dispositivo e cercò di mettersi in contatto con i suoi colleghi, ma putroppo ogni tentativo fallì.

Rimettendosi in tasca l’inutile radiolina, cambiò direzione alquanto demoralizzato e riprese a salire la parete del canyon in direzione di casa Tyrrel… solo per trovare la strada bloccata da una grossa frana d’imponenti macigni. Ora si sarebbe quasi detto che aveva dei problemi a ritrovare il sentiero, la pallida imitazione di sentiero, da cui era sceso.

La sua confusione era, viste le circostanze, abbastanza facile da capire. Questo tuttavia non giusticava il fatto che si fosse perso. Be’, in ogni caso se saliva sarebbe per forza di cose sbucato da qualche parte di Canyon Village.

Girando attorno l’immediato ostacolo, Bill salì muovendo pazientemente un passo dopo l’altro. Ma presto trovò la strada nuovamente sbarrata. Aggirando anche il nuovo ostacolo, riuscì a salire ancora un po’ solo per fermarsi ancora più confuso di prima. Quando accese la torcia, la confusione fu totale: al posto della scarpata ripida ma regolare che ricordava, si trovava quasi sul ciglio di un piccolo precipizio. La luce rivelò chiaramente la punta di abeti e altre piante metri e metri sotto di lui.

Ripercorrendo mentalmente le brevi sequenze dell’inseguimento, Bill non riuscì a credere che fosse durato più di pochi minuti. Con un senso di smarrimento sempre più soffocante alzò gli occhi verso l’alto cercando le luci di Canyon Village. La nebbia si era dissolta, e le luci stradali dovevano per forza risultare visibili dalla sua posizione. Eppure nulla forava la totale oscurità di quella notte.

Imprecando e rabbrividendo, accese di nuovo la torcia puntandola in ogni direzione. Subito i suoi occhi si riabituarono alla luce e scrutare nel buio si fece più difficile, ma a quel punto ormai la cattura dei due intrusi non contava più nulla per lui: a quel punto si sarebbe semplicemente accontentato di ritrovare la via di casa.

Adesso avanzava piano lungo quella che sembrava una sorta di piccola cresta rocciosa in graduale salita. La seguì fino a quando non si ritrovò ai piedi di una mastodontica rupe, e fu allora che qualcosa in lui cominciò a rassegnarsi: nulla gli tornava familiare in quel territorio completamente sconosciuto. Le sue speranze ripresero fiato per un attimo quando scorse ciò che sembrava un piccolo sentiero di capre. Lo seguì per un po’, ma all’improvviso anche quello svanì. Ormai da tempo aveva superato il limite entro cui ristagnava la nebbia, ma questo non lo aiutava molto. La massa scura sopra di lui, ineffabilmente remota, che tracciava una brusca linea di demarcazione tra il cielo e la terra doveva per forza di cose essere il ciglio del canyon. Tuttavia, e questo sì che era incredibile, su di essa non compariva il raggruppamento di luci che indicava Canyon Village.

Possibile che là sopra fossero saltate le luci? E che altro sarebbe dovuto succedere quella notte?

Sospirando, Bill riprese testardamente a salire il brullo declivio da cui doveva per forza essere sceso. E va bene, non si trovava sulla stessa dannata scarpata. Non riusciva più neppure a ritrovarla. Per qualche ragione, quella salita sembrava profondamente, intimamente diversa. Rupi, frane e ostacoli di ogni sorta si ergevano dove era convinto di non averne visto nessuno solo mezz’ora prima.

Presto si fermò nuovamente, stavolta imprecando ad alta voce. Terreno sconosciuto o no, non poteva essersi perso così stupidamente. Non gli era mai successo neppure da bambino. Se gli altri avessero saputo di un tale fallimento, si sarebbe davvero arrabbiato con se stesso.

E quindi continuò a salire.

Dopo aver guadagnato un po’ di altitudine superando, come si augurò, qualche cresta rocciosa che gli impediva la vista del vero ciglio del canyon, Bill si fermò e provò di nuovo la sua radio. Di nuovo il piccolo dispositivo vibrò di scariche statiche, inizialmente, e poi… poi finalmente risuonò la voce familiare di Maria.

— Qui casa Tyrrel — stava dicendo Maria, scandendo bene le parole nell’evidente sforzo di farsi sentire a tutti i costi. — Bill, mi sente? Risponda.

Premendo un tasto, Bill descrisse con molta riluttanza la sua situazione a Maria e dicendo che la cosa migliore da fare era sedersi dove si trovava e aspettare l’alba.

— Sieda e aspetti l’alba, allora — replicò la voce sottile e distorta di Maria. — Ha bisogno di qualcosa?

Lui le rispose di no, ma non fu sicuro di venire sentito. In risposta arrivarono solo scariche statiche.

Bill spense la radio e la ripose nel taschino; poi, tra borbottii e imprecazioni abbassò la lampo della giacca perché aveva caldo. Forse l’inseguimento era durato più di quanto credesse. Diamine, quella doveva essere la spiegazione anche se il motivo per cui le luci di Canyon Vìllage restavano nascoste era ancora tutto da spiegare.

Nonostante ciò che aveva detto a Maria, continuò a tentare. Progredendo molto lentamente verso l’alto, Bill dovette finalmente ammettere a se stesso (con qualche imbarazzo niente affatto attenuato dal fatto che nessuno poteva vederlo) che sembrava proprio destinato a dovere aspettare le prime luci dell’alba per ritrovare la strada di casa Tyrrel e dell’albergo.

Certo ritrovarsi in quelle condizioni era un disastro, ma poteva anche andare peggio: per esempio poteva cadere da una dannata rupe. Per cui sedette su un comodo masso e si mise a pensare. Ma dieci minuti dopo un brivido di freddo lo spinse ad alzarsi e a vagare in un piccolo spazio controllato, agitando le braccia e saltellando pensando di tanto in tanto di accendere un fuoco. Tuttavia il freddo si era fatto molto più sopportabile, e solo una leggera brezza gli dava quell’epidermica sensazione di freddo. Alternando periodi di movimento a periodi di riposo riuscì addirittura a dormire un po’ appoggiato alle rocce, augurandosi che i serpenti a sonagli si mantenessero a debita distanza.


Qualcosa lo svegliò dal suo scomodo sonno. Si alzò massaggiandosi il collo irrigidito. Le stelle si affievolivano, preannunciando finalmente il prossimo arrivo dell’alba. Stiracchiandosi e muovendosi un poco per riscaldarsi, osservò il lento sorgere del sole. Il cielo a oriente sfumava ora in un grigio indistinto in lenta espansione nella massa spenta e nera sopra di lui. Poi, prendendo forma con gradazioni indefinibili, un’ampia linea di pallida luce spazzò definitivamente le tenebre segnando il piatto orizzonte per miglia e miglia. Ovunque intorno a Bill, vaste distese di terreno e ancor più vaste estensioni di spazio puro e arioso iniziarono a prendere forma, a uscire dalla nebbia e dalla tenebra…

E poi fu l’alba. Al grigio leggero e sfumato dell’inizio subentrarono i colori della terra e l’azzurro del cielo. Un’alba come tante sulla Terra. Ma qui il territorio che pian piano tornava alla vita, alla luce, non ricordava nulla di conosciuto. Lo sguardo di Bill si fermò su una lontana formazione, un pan di zucchero sempre più rosso nonostante il lento svanire del viola nel cielo. Quanto distava quella strana protuberanza del terreno, quella cosa tanto insolita da sembrare impossibile su questo pianeta? Un miglio? Due? Cinque?

Attimo dopo attimo la complessità della scena si fece più chiara, e proprio per questo più incredibile. Aveva visto molte immagini del Grand Canyon, come tutti del resto, ma nessuna foto e nessun film potevano rendere l’intensità del panorama che gli si apriva davanti e neppure sperare di avvicinarvisi. Questa… questa era la Genesi. La creazione del nostro pianeta.


Infine con riluttanza obbligò la sua mente a pensieri più prosaici. In quel panorama indescrivibile non v’era traccia delle persone che aveva inseguito nella notte, né di nessun altro.

A quanto gli era dato di vedere e soprattutto di sentire, lui, Bill Burdon, poteva anche essere l’ultima persona sull’intero pianeta, o forse la prima.

Imponenti formazioni rocciose lo circondavano da ogni parte, torreggianti e colorate. Sapeva che il canyon era largo più o meno dieci miglia in quel punto, un territorio irregolare, inospitale e magnifico punteggiato ogni tanto da alberi, cactus e cespugli, zeppo di canyon laterali che si perdevano chissà dove. Impossibile attraversarlo a piedi, anche se sapeva che esistevano dei sentieri.

Il fiume, che Bill si aspettava in qualche modo di veder scorrere sotto di lui alla luce del mattino, restò invece nascosto nella parte più profonda della gola. Le balze soprastanti quella parte finale dell’abisso erano, stimò, a più di trecento metri sotto il costone su cui lui si trovava. Là, sotto un’ampia porzione di terreno punteggiato da quelli che sembravano cespugli di artemisia declinava dolcemente verso il margine di quell’ultima spaccatura nella terra. Ma di nuovo l’altezza e la distanza risultarono difficili da calcolare.

Bill riprese a marciare e salì per una buona mezz’ora, per poi fermarsi e dare un’occhiata attorno a sé. Per quanto poteva dire dai cambiamenti nelle parti più lontane di quell’intenso panorama, non sembrava essersi mosso affatto.

E quindi riprese a salire. Si fermò dopo qualche tempo, osservando allarmato la porzione di terreno in dolce discesa molto sotto di lui. Con la coda dell’occhio aveva visto un animale… un elefante, o comunque qualcosa con una proboscide da elefante intento tranquillamente a pasteggiare strappando rami e foglie dagli alberi lontani. Incredulo si sfregò gli occhi. Il sole gli aveva forse dato alla testa? Stava quasi per darsi un pizzicotto quando vide un’altra creatura molto simile alla prima. Ma stavolta sbagliarsi era difficile: il grosso pachiderma rimase in vista parecchi secondi prima di sparire dietro una piega del terreno.

Sbalordito, riprese a salire.

Solo per ricevere un nuovo shock due minuti dopo vedendo, praticamente alla sua altezza, un altro animale totalmente inaspettato. Con molta flemma lo strano dromedario gli ritornò l’occhiata più allibita che Bill avesse mai lanciato a qualcosa in vita sua. Poi, ruminando, l’animale si mosse e se ne andò.

E fu allora, mentre cercava di capire cosa mai era accaduto per farlo impazzire così e dava inconsciamente per scontato di essere solo in quel luogo desolato, che superò un piccolo avvallamento del terreno e si ritrovò a guardare una ragazza seduta davanti a una tenda con lo sguardo perso nelle profondità del canyon.

Accanto a lei ardeva un piccolo fuoco da campo, e sembrava chiaro che si trovasse lì accampata da qualche tempo. Un poco oltre si apriva una piccola grotta, grande abbastanza da dare rifugio a una singola persona rannicchiata e il cui ingresso era guardato dal fuoco.

La ragazza vestiva esattamente come qualunque giovane campeggiatore nel mondo in cui Bill cercava tanto faticosamente di tornare. La giacca e la sciarpa corrispondevano alla descrizione dei vestiti indossati da Cathy Brainard il giorno della sua scomparsa. Il vento giocava con i suoi lunghi capelli neri mentre sedeva immobile dando le spalle a Bill, e qualcosa nel suo atteggiamento lasciava capire che stava piangendo o che aveva pianto molto di recente.

Bill sfregò volontariamente la roccia con uno dei suoi stivali e la ragazza si voltò di scatto. Occhi grigio-azzurri pieni di… paura? rabbia? sorpresa? lo scrutarono da capo a piedi.

— Non aver paura — disse lui. — Va tutto bene, Cathy. Finalmente ti ho trovata!

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