13

Dopo aver cambiato per la seconda volta aereo a Phoenix, ponendo termine a un calvario fatto di snervanti attese e irritanti ritardi, l’ultimo tratto di quel lungo volo verso ovest depositò lo sfibrato viaggiatore al piccolo aeroporto di Flagstaff. La mezzanotte era passata da poco. Drakulya annusò l’aria intensamente, quasi degustando il clima locale. Da quel punto in poi, invece di continuare lungo le strade innevate, preferì arrivare al canyon sotto forma di animale correndo tutto il tempo sulle sue quattro zampe.

Solo al suo arrivo nelle immediate vicinanze dell’El Tovar, poco prima dell’alba, il vampiro assunse nuovamente la sua forma umana. La mattina dell’ultimo giorno dell’anno, il sole, fortunatamente per lui celato da una spessa coltre di nubi, lo sorprese sull’altopiano intento a contemplare il panorama in compagnia di uno sparuto gruppo di turisti mattinieri.


Riallacciato un confortante contatto con i suoi colleghi rimasti a Canyon Village, Vlad Drakulya (ora di nuovo il signor Strangeway) raccontò qualcosa del suo viaggio in Inghilterra a Joe Keogh e John Southerland, ponendo l’accento sulla tappa a casa di Darwin. Là e da altre fonti aveva appreso informazioni importantissime su Tyrrel e su ciò che aveva fatto in quegli ultimi decenni.

Mentre raccontava queste cose, Strangeway massaggiava la caviglia slogata di Keogh accompagnando il trattamento fisico con certe formule pronunciate prevalentemente in modo non verbale.

Joe si godette quell’attimo di sollievo dal dolore della caviglia sdraiato comodamente sul sofà e stranamente rilassato, accertandosi che Strangeway fosse aggiornato su quanto accaduto al canyon in sua assenza e in particolar modo sui particolari della storia narrata da Bill Burdon.

L’ex poliziotto intervenne personalmente sull’argomento, in qualche modo apologetico. — Lo so che ci aveva detto di non seguire mai Tyrrel, ma non pensavo fosse necessario avvertire anche Bill. Doveva fare la guardia alla casa, non rincorrere vampiri.

Le dita esangui, ma forti di Drakulya, si fermarono nel massaggio curativo. — Il nostro giovane collega è stato… ehm, ferito in qualche modo?

— No. Almeno, così ha detto.

Il massaggio riprese. — Meglio così. Ah, è davvero impossibile per i giovani frenare completamente certi impulsi. A proposito, dov’è Maria?

— L’ho mandata a sorvegliare Sarah Tyrrel. Ehi, ma lo sa che il suo massaggio funziona a meraviglia?

Poco dopo Strangeway chiese a Joe di alzarsi per provare la caviglia. Per un attimo Joe pensò di poter camminare normalmente, ma solo per un attimo. Poi dovette sedersi. Non era stato miracolato, no, ma si sentiva decisamente meglio.


Quando venne presentato al signor Strangeway, Brainard lo guardò a lungo come se in quel volto dall’astuta espressione vi fosse qualcosa che conosceva, o fosse sul punto di riconoscere. Poi si era ritirato senza proferire parola nell’altra stanza della suite di Keogh.

Poteva risparmiarsi la sua agitazione, perché Drakulya non nutriva in quel momento alcun interesse per lui. L’unica cosa che voleva adesso era parlare con Sarah Tyrrel.


Quel tetro, nuvoloso giorno invernale non era abbastanza luminoso da creare problemi a un vampiro esperto e indurito dai secoli. Tuttavia, era bene ricorrere comunque alla protezione offerta da un cappello a larghe falde. Così riparato, Drakulya si avvicinò alla porta di casa Tyrrel e bussò. Nessuno rispose. Neppure il suo sensibile udito poté avvertire là dentro la presenza di un paio di polmoni che respiravano. Con molta tranquillità riprese a camminare, convinto di riuscire a trovarla: una donna di quell’età non poteva essere andata lontano. E difatti non incontrò difficoltà.

L’avvistò a mattina inoltrata, quando brevi periodi di sole si alternavano a repentine nevicate. I primi risultavano ancora tollerabili a Drakulya se si fermava all’ombra dei pini, mentre le seconde provvedevano un ottimo fondo per seguire le tracce. E come aveva previsto, a un certo punto, le impronte degli stivali della donna abbandonarono la passeggiata turistica inoltrandosi in una macchia d’alberi d’alto fusto.

Giungendo finalmente in vista dell’anziana donna, Drakulya restò per un attimo nascosto in modo da poterla osservare senza essere visto.

Sarah Tyrrel era in piedi, intenta a guardarsi attorno in quello che poteva essere uno degli angoli più belli dell’altopiano. La posizione e le dimensioni degli alberi e dei cespugli lasciava capire che là vi era stata una radura cinquant’anni prima, ora parzialmente cancellata da una seconda generazione di pini e di querce.


Da molti anni, Sarah non visitava quel posto e adesso, dopo una difficoltosa ricerca, vi gettò una lunga, triste occhiata rendendosi conto di un’amara verità: non riusciva più a trovare la tomba della sua piccola bambina. Un pino contorto e sofferente che cresceva proprio sul ciglio del canyon le aveva fatto per anni da punto di riferimento, ma adesso non c’era più. Anche il ceppo era stato rimosso. E il ciglio del precipizio sembrava arretrato, forse un metro, forse due. Anche il canyon cambiava col tempo.

Tuttavia restavano abbastanza punti di riferimento, rocce e grandi alberi, da convincerla di trovarsi perlomeno a pochi metri dal posto giusto.

La sua incertezza era acuita dal fatto di avere visitato la tomba solo una dozzina di volte da quando aveva lasciato Edgar. Sapendo che non avrebbe dato nell’occhio, nelle sue precedenti visite aveva portato dei fiori. Ma quelle erano avvenute in primavera o in estate: adesso, in quel nevoso pomeriggio invernale, semplicemente non poteva. Volendo li avrebbe trovati al centro commerciale, o avrebbe poto ordinarli a domicilio a qualche negozio esterno al parco. Ma la loro presenza avrebbe attratto l’attenzione di qualcuno. Sarah aveva ancora le sue ragioni per cercare la massima riservatezza, e vi restava docilmente attaccata anche se talvolta dubitava che fossero ancora valide.

Tuttavia aveva a lungo pensato di ordinare al fiorista di Canyon Village un piccolo agrifoglio, o forse una stella di Natale; ma alla fine si era trattenuta dal farlo.

Da circa sessant’anni il Natale rappresentava un periodo particolarmente duro per Sarah. Durante le visite a quella tomba non segnata pregava con fervore, e sentiva che le sue preghiere venivano ascoltate; tuttavia quella furtiva e tantomeno cristiana sepoltura in quel terreno sconsacrato la turbava ancora.

Solo prima che la bambina morisse l’aveva battezzata. Acqua del gelido torrente del Canyon Profondo versata da due mani unite a coppa su una piccola e candida fronte: un rito che poteva solo venire svolto da una madre, viste le circostanze. E un rito a cui teneva, dato che aveva fatto battezzare in modo più formale la figlia più grande in una chiesa della California anni prima di conoscere Edgar Tyrrel.


Persa nei suoi pensieri, Sarah non si accorse inizialmente di non essere più sola. Quando se ne avvide, senza sapere veramente come, si voltò di scatto.

Immobile a pochi passi da lei, fermo tra i tronchi di due querce e intento a osservarla, vide un uomo sorridente e con la barba che a prima vista non dimostrava più di trentacinque anni di età. Vedendosi scoperto, l’uomo sfiorò con due dita la larga falda del cappello in un evidente e rispettoso saluto.

— Chi è lei? — domandò Sarah.

La risposta non fu immediata, e senza concedere molto tempo allo sconosciuto, Sarah ripeté bruscamente la domanda.

Pazientemente questi rispose: — Sono un uomo che vorrebbe esserle amico, Sarah. Non credo che lei abbia volontariamente condiviso i crimini di suo marito.

Sarah inspirò e replicò seccamente: — Signore, mio marito è morto da molti anni.

L’uomo scosse leggermente la testa e abbozzò l’ombra di un sorriso. — Entrambi ne sappiamo di più, Sarah.

— Cosa vuole da me? E come fa a conoscere il mio nome? — Ma a quel punto Sarah tacque, finalmente conscia di qualcosa di molto sottile nello sconosciuto che le richiamò alla mente Edgar. Con voce diversa balbettò: — Ma lei… lei è…

— Sì, credo proprio di sì. Diciamo che possiedo molte cose in comune con il suo Edgar. Molte cose. Mi permetta di presentarmi: in questi giorni il mio nome è Strangeway, ma ne possiedo molti altri. Forse ha sentito parlare di me sotto altro nome.

Sarah annuì lentamente. — È possibile — disse. Ora sì che sembrava spaventata.

— Si rassicuri, Sarah: non intendo farle alcun male — affermò Strangeway con un tranquillizzante sorriso, riducendo senza fretta la distanza che li separava. Mosse pochi passi e si guardò attorno con attenzione studiando le immediate vicinanze, il bosco che una volta era una radura.

Poi disse: — Ho visitato il cimitero vicino al centro commerciale. Tutti coloro che vi giacciono riposano in pace. Solo ora scopro che qui vi è altra terra benedetta.

Dopo una pausa, Strangeway aggiunse: — Credo però che in questa vi sia solo una tomba.

— Sì. Per quanto ne so io ve n’è solo una: quella di mia figlia, morta da bambina. E io… io non ricordo più dove… — Lacrime amare presero a scendere dagli stanchi occhi di Sarah.

— Mi consenta di aiutarla.

— Le sarei… molto grata.

In assoluto silenzio Sarah osservò il visitatore muoversi in giro, fermandosi ogni due o tre passi per esaminare attentamente il terreno innevato. Una o due volte Strangeway inclinò la testa di lato, come per ascoltare qualcosa.

Finalmente indicò un punto.

La madre si avvicinò a lui e guardò il punto indicato, poi alzò la testa e si guardò attorno. — Sì — disse poi. — Sì, è qui.

Dopo un breve silenzio, Strangeway parlò. — Anch’io so cosa significhi la morte di un figlio.

— Davvero?

L’uomo annuì distrattamente. D’istinto alzò lo sguardo verso il cielo annuvolato, per abbassarlo subito dopo e ripararsi col cappello, poiché il sole aveva per un attimo minacciato di apparire. Un soffio di vento fischiò tra i pini, e una ghiandaia lanciò un richiamo che parve l’urlo di uno spettro tormentato dalla fame.

Trascorsero diversi minuti di silenzio mentre Sarah pregava sulla tomba della figlia. Quando terminò, Strangeway disse: — Quando un giorno, nella Sua saggezza, il Signore degnerà anche me del privilegio di una tomba permanente, vorrei venire sepolto in un luogo così.

Sarah lo guardò di nuovo con occhi lucidi. Stavolta vide qualcosa che le offrì rassicurazione, almeno sul momento. Subito dopo replicò: — Penso che Edgar si aspettasse di ricevere un giorno la sua visita, o quella di qualcuno come lei.

— Davvero? E perché?

— Non l’ho mai saputo. Forse aveva infranto qualche vostra legge, e la sua…

— Da ciò che ho scoperto finora su suo marito, Sarah, posso dire che ha degli ottimi motivi per temere le nostre leggi. Noi non uccidiamo senza giusto motivo, e aborriamo la riduzione in schiavitù di coloro che respirano. E non rubiamo senza esservi costretti, un crimine banale che trovo però molto irritante.

Sarah guardò lontano, oltre il canyon. — Non intendo certamente scusare Edgar — disse infine. — Ha scelto la sua vita come tutti noi. E come tutti dovrà accettarne le conseguenze. Tuttavia spero ancora…

Passò quasi mezzo minuto prima che Drakulya le domandasse dolcemente: — In cosa spera, Sarah?

Lo sguardo dell’anziana donna tornò al piccolo sepolcro innevato. — Io… io vorrei dei fiori per decorare la tomba di mia figlia.

Il visitatore reagì con un leggero inchino. — Mi faccia vedere cosa posso fare.


Non dovette andare lontano e non trovò alcuna difficoltà nel localizzare su una vicina quercia diverse specie di vischio che crescevano abbastanza basse da venir facilmente raggiunte. Il vischio, è una pianta parassita che matura in inverno: i suoi grappoli di decorative bacche bianche avrebbero ben servito allo scopo. Senza sforzo l’aveva trovato e senza sforzo strappò qualche rametto che portò alla madre ancora in lutto.

Abbassandosi con qualche difficoltà su un ginocchio solo, Sarah sistemò la semplice offerta sulla tomba altrimenti completamente anonima.

Un braccio incredibilmente forte era pronto per aiutarla ad alzarsi. Lei accettò l’aiuto.

— E ora — disse Strangeway — mi vuole raccontare com’è morta sua figlia?


Si trattava di un ricordo terribile per Sarah, ma infine riuscì a raccontarlo.

— Quindi lei non è sicura che la bambina sia morta per colpa di suo marito?

— No, non lo sono. E non potrò mai esserlo. Ma il dubbio… non potevo più restare con lui. Dovevo pensare a salvare l’altra mia bambina.

— Capisco.

In tacito accordo avevano deciso di allontanarsi dalla piccola tomba, dirigendosi lentamente verso il paese e la gente.

— Lei adesso lavora con il signor Keogh?

— Sono un suo collega, certo.

— Adesso comincio a capire come si aspetta di potermi aiutare.


Pochi minuti dopo, Sarah e il vampiro detective parlavano pacatamente tra le mura di casa Tyrrel. E una volta attizzate le braci nel camino fino a riaccendere un caldo fuocherello, Sarah poté riscaldarsi e provare di nuovo una sensazione di caldo benessere. Per il momento, la casa era tutta per loro.

Ma nonostante sapesse di poter parlare più liberamente adesso, la sua mente era tutto meno che tranquilla. — Edgar era un uomo eccezionale, e io l’ho amato come nessun altro. Ma poi sono arrivata a temerlo, anzi, ad averne una paura terribile… una paura che talvolta provo ancora, anche se le confesso che il mio amore per lui non si è ancora del tutto spento.

— Ha parlato con Edgar recentemente?

— Solo qualche istante, l’altra notte alla casa. Nulla che si potesse definire parlare, in effetti. Ci siamo solo scambiati insulti e occhiate piene d’odio — replicò l’anziana donna con voce vagamente esitante. Tuttavia Strangeway pensò che dicesse il vero. Non poteva esserne assolutamente certo, però: anche dopo cinquecento anni risultava difficile distinguere il vero dal falso.

Sarah lo pregò di fare tutto il possibile per aiutare Cathy. — Mi appello a lei in quanto gentiluomo. La mia Cathy è ancora dispersa e io sono enormemente preoccupata, nonostante ciò che mi ha detto quel suo giovane collega.

— Se me lo chiede in questo modo, allora dovrò dedicarmi interamente alla faccenda — rispose Strangeway posando una mano rassicurante e leggera sulla spalla dell’anziana donna. — C’è qualcos’altro che vuole chiedermi?

— Sì, signor Strangeway, poiché vedo che lei è tanto gentiluomo da poterlo chiedere. Vede, mio nipote è in grossi guai. Vorrei che lei lo proteggesse dalle conseguenze della sua follia. Lui è uno sciocco in molti modi, ma non è un uomo cattivo ed è il solo padre che Cathy abbia mai davvero conosciuto.

Strangeway si accigliò.

— Perlomeno… se le è possibile… può proteggerlo da quei gangster fino a quando resterà qui?

— Non posso prometterle niente, Sarah. Vede, certe faccende…

— La prego.

— E va bene. Farò ciò che posso.

— La ringrazio. Lei è un gentiluomo come pochi.

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