15

Lasciando Sarah Tyrrel, Drakulya tornò all’El Tovar con l’intenzione di consultarsi ancora una volta con Joe Keogh e di porre alcune domande al padre adottivo della ragazza scomparsa.

Brainard, ancora ospite nella suite di Keogh, reagì con un certo disagio al modo in cui il signor Strangeway lo guardò, dando la netta impressione di un uomo che avrebbe volentieri scelto di diventare invisibile.

Sottoposto a un severo quanto silenzioso esame, l’avvocato guardò prima Joe, poi Strangeway e infine di nuovo Joe. Poi disse, rivolgendosi a Strangeway: — Lei è forse un amico del signor Tyrrel?

Strangeway scosse la testa. — Non ho ancora avuto il piacere d’incontrarlo. Tuttavia condividiamo un certo bagaglio culturale.

Brainard annuì lentamente. — Ne ero convinto. E quindi lei sarà forse in grado di ritrovare mia figlia.

— Come ho già detto alla signora Tyrrel, farò ciò che posso. Ma prima lei mi deve dire tutto ciò che sa su Edgar Tyrrel.

Brainard frugò in tutte le sue tasche prima di trovare sigarette e accendino. — Oh, non c’è molto da dire. È vivo e si trova laggiù da qualche parte, anche se da un po’ di tempo non lo vedo più. Io e lui facciamo affari…, affari onesti, s’intende. Non c’è nulla di sbagliato nel fare affari, mi auguro.

Con un’altra domanda i due detective vennero a sapere che Brainard non era mai sceso nel Grand Canyon in vita sua, neppure nella versione più moderna e prosaica, e che non aveva alcuna idea dell’esistenza di uno o più Canyon diversi sparsi nel tempo e forse nello spazio. D’altro canto non era difficile aspettarselo da uno che non aveva mai messo piede su uno dei sentieri calpestati ogni giorno da migliaia di turisti, almeno nei tratti più vicini a Canyon Village. Ma Brainard non era un esperto di escursioni, e neppure vi era lontanamente interessato. Addirittura gli sembrava plausibile che uno potesse vivere nascosto per sessant’anni in una sorta di santuario accessibile senza la magia o il suo equivalente nella scienza a pochi chilometri dall’incessante flusso turistico che riempiva l’altopiano in ogni stagione dell’anno.

Drakulya gli disse: — Mi racconti qualcosa di più sugli affari che fa con Edgar Tyrrel e, dato che me lo chiede, le darò un’opinione sulla loro onestà.

— Bene, signore, non c’è nulla di male negli affari che faccio con Edgar. Io sono un mercante d’arte, specializzato nelle sue creazioni. Nel nostro accordo non c’è nulla di complicato: la sola cosa non vera è che tutti lo credono morto. Tuttavia, io non truffo certamente nessuno: le sculture che vendo sono autentiche. Edgar Tyrrel è uno scultore e io vendo le sue opere per lui. A differenza dei quadri, la pietra scolpita è molto difficile da datare con precisione e quindi gli acquirenti credono che si tratti di opere realizzate negli anni Trenta e anche prima. In ogni caso, un uomo ha diritto di vendere le sue creazioni, e di scegliersi l’agente che più gli garba.

A questo punto Joe intervenne dicendo: — Sarah Tyrrel però ha dei diritti legali sulle proprietà e le opere del marito. Ma da quanto ho capito è lei a intascare la maggior parte dei soldi guadagnati in questo affare.

— Forse Sarah se ne è lamentata con voi? — replicò Brainard.

Strangeway fece un vago cenno a Joe, come per tacitarlo. Guardando intensamente Brainard, gli chiese: — Ci racconti, avvocato, com’è cominciato questo vostro accordo.

— Certo — disse Brainard guardando il soffitto e pensando. — Cominciò agli inizi degli anni Sessanta. Mi trovavo qui a fare qualcosa per mia zia, che evita in ogni modo di mettere piede qui a Canyon Village, ma che non ha mai voluto rinunciare a questa casa a favore del Parco.

“Comunque, ero qui per dare un’occhiata ad alcuni dei mobili che arredano la casa e vedere quanto potevano valere, e dato che era tardi decisi di fermarmi per la notte. All’improvviso me lo ritrovai davanti. Gesù, che spavento mi presi!”

— Come, se lo ritrovò davanti?

— Ero seduto qui su una sedia, pensando. In effetti, credo che mi addormentai davanti al fuoco. Poi qualcosa mi svegliò: un sogno, pensai inizialmente. Ma subito mi accorsi che c’era qualcuno nell’altra stanza. Andai a vedere, e me lo ritrovai davanti. Inizialmente pensai a un ladro, ma lui mi convinse del contrario.

— Quindi lui non fece nulla per evitare di essere scoperto.

— Io… credo di no. Forse era curioso di sapere chi fossi.

— E lei come l’ha riconosciuto?

— Oh, avevo visto molte vecchie foto. E trovandolo in casa pensai subito a lui, non so perché. Ma soprattutto fu il modo in cui lui si presentò quando gli chiesi chi era. Molto calmo, poco loquace e molto sicuro di sé. Tuttavia, all’inizio non gli credetti fino in fondo. In fin dei conti, quella era una delle esperienze più assurde della mia vita: stavo parlando con un uomo da tutti ritenuto morto per circa trent’anni. Comunque, per farla breve, alla fine gli credetti. Dovevo. Iniziammo a parlare d’arte, ma dopo un po’ lui si scusò e scomparve proprio come un fantasma. Venti minuti dopo ricomparve portandomi qualcosa che mi convinse del tutto.

— Cosa?

— Un lavoro alquanto pregevole: se ben ricordo, un piccolo coyote. Non uno degli strani animali che a volte scolpisce. Mi disse che era risalito qui sull’altopiano per paragonare uno dei suoi nuovi lavori con una vecchia versione di uno di essi custodita qui nella casa. Ma naturalmente la statua a cui alludeva non era più qui. Tutto ciò che restava nella casa, anche allora, erano riproduzioni.

“Parlammo abbastanza a lungo. Quando scoprì che ero il nipote di sua moglie, quindi praticamente un suo nipote, anche se non potrei mai chiamarlo zio, cominciò a pormi domande su Sarah. Apparentemente non avevano avuto alcun contatto da quando lei lo aveva lasciato.

“Era davvero curioso su di lei, e sembrava preoccupato. Ma la prima condizione che pose per stabilire un rapporto d’affari fu che dovevo tacere con lei del nostro incontro. Infatti nessuno doveva sapere che era ancora vivo.”

Brainard tacque, accendendosi una sigaretta con mani tremanti.

— Per farla breve, dopo aver parlato per diverse ore mi lasciò quel suo nuovo pezzo incaricandomi di venderlo. In cambio non mi cercò soldi, ma mi diede una lista di materiali di cui aveva bisogno: attrezzi, materiali da costruzione e cose come queste. “Posso ottenere questo materiale anche da altre fonti” mi disse “ma lei può farmi risparmiare del tempo.”

— Sempre — intervenne Strangeway — sempre una questione di tempo. In un modo o nell’altro il tempo c’entra sempre. Non sembra anche a lei, Joseph?

— Già — replicò Joe distrattamente, rivolgendosi nuovamente a Brainard. — Continui — disse.

Brainard spense la sigaretta a metà nel portacenere e riprese il suo racconto. — Quando se ne andò io rimasi a lungo a pensare. Più ci pensavo e meno potevo credere a quanto era accaduto. Voglio dire, quel tipo doveva teoricamente avere novant’anni di età ed era forte e attivo in un modo incredibile.

— E questo è successo trent’anni fa. Adesso dovrebbe avere più di cent’anni. Centoventi, per la precisione, e lei sta ancora facendo affari con lui.

— Infatti. È pura follia, lo so. Spiegatemelo voi. Forse è con suo figlio che sto facendo affari adesso, o suo nipote. Forse è suo fratello più giovane, forse è il fantasma di Tyrrel… perché no? Non ne ho idea, signori, posso solo fare qualche ipotesi a riguardo. Tuttavia è innegabile il fatto che continui a portarmi statue da Vendere, e io non ho mai avuto problemi a venderle come autentiche. So cosa pensano i collezionisti, che io e mia zia Sarah abbiamo questo tesoro nascosto da qualche parte che mettiamo gradualmente sul mercato, una statuetta alla volta per non fare scendere il prezzo.

“L’unica volta che un esperto ha messo in dubbio l’autenticità di un’opera, io riferii le sue obiezioni a Tyrrel, e le statue che mi diede da quel giorno in poi erano fatte in modo tale da risultare innegabilmente autentiche. Immagino che qualcuno abbia ancora qualche dubbio di tanto in tanto, ma riesco sempre a trovare un buon numero di clienti che comprano senza fare difficoltà.”

— E Tyrrel cosa le ha chiesto in cambio di tutta questa ricchezza?

— Materiale, soprattutto materiale. Non ha mai voluto dei soldi, dicendo che non sa cosa farsene. Una volta mi ha detto che ha una specie di caverna, giù nel canyon, che nessuno riesce mai a trovare.

— Davvero le ha detto questo?

— In un certo qual modo… sa, piccole cose dette in una conversazione. Sembra incredibile, comunque, che nessuno sia mai riuscito a trovare il suo rifugio. Sembra, finché uno non viene qui e lancia un’occhiata a questo posto — ribadì Brainard, indubbiamente convinto della plausibilità di ciò che diceva.

— Che genere di materiale esattamente gli ha portato? — domandò Joe.

— Be’, gli procuro dei cataloghi e lui sceglie ciò che vuole e mi dice quali attrezzi comprare. Qualche volta mi ha chiesto dei prodotti chimici, e io ho dovuto cercarli presso i laboratori. E poi, di quando in quando mi chiede degli esplosivi. Quelli sono difficili da comprare perché ci vuole la licenza, ma per fortuna conosco qualcuno. Comunque, in genere mi chiede corda, componenti per un generatore e tute da lavoro della sua misura. Ah, una volta anche pennelli, colori e un cavalletto, e un abito da sera…

— E questo è continuato per trent’anni?

— Sì, praticamente sì. Mi ha detto che ha cercato altri modi di procurarsi questa roba prima di incontrarmi, ma che incorreva in un problema dopo l’altro. Comunque, non è entrato in particolari.

— E alla fine lei ha rotto l’accordo, raccontando a Sarah di averlo incontrato.

Brainard annuì. — Sì, è stato un paio d’anni dopo il primo incontro. Io continuavo a saltare fuori con nuove statue, e non potevo certo tenere la cosa segreta a Sarah. Tutti sapevano delle vendite, e lei conosceva troppo bene il lavoro di suo marito e i suoi affari. Sapeva che non esisteva alcuna riserva di statue, così dovetti spiegarle da dove venivano.

— E quale fu la sua reazione?

— Più o meno uguale alla vostra — sospirò Brainard. — Non ne fu affatto sorpresa, non perlomeno quanto mi aspettavo. Mi pose un sacco di domande su Tyrrel, indirette, allo stesso modo in cui lui mi chiedeva di lei.

— Tuttavia non volle incontrarlo, vero?

— No, e non cambiò mai idea. Fu sempre riluttante a venire da queste parti e, le poche volte, vi rimase di giorno, rifiutandosi però di dormirvi la notte. E questo è andato avanti per molti anni, praticamente fino alla scomparsa di Cathy.

— E Tyrrel non ha mai saputo che il vostro accordo non era più così segreto?

Brainard rispose con una stanca alzata di spalle. — Se lo ha saputo non ha detto nulla. Non credo s’illudesse troppo, comunque. Tutte quelle vendite postume non potevano venire nascoste in eterno alla moglie. Probabilmente ha deciso di lasciar correre.


La radio di Joe prese a ronzare e qualcosa nella qualità del suono suggerì, perlomeno a lui, che era urgente. Quando rispose udì la voce di Maria.

— Capo? Cathy Brainard è viva e sta bene, e sta tornando su.

— L’avete vista?

— Sono qui che la sto guardando, qui vicino al recinto dei muli. Sta risalendo dal sentiero del Bright Angel esattamente come Bill.

I tre uomini si guardarono l’un l’altro per un lungo e silenzioso minuto, ognuno sorpreso a modo suo.

Joe prese il suo bastone da passeggio mentre Maria alla radio continuò a riferire i dettagli. Un attimo più tardi avanzò, arrancando al suo miglior passo, notevolmente più veloce dopo il massaggio di Drakulya, cercando di non farsi distanziare dagli altri due. Con piacere scoprì di riuscire a tener dietro senza troppa difficoltà al fiacco e sbuffante Brainard.

Cinque minuti dopo il terzetto arrivò al recinto dei muli, a quell’ora deserto dato che il convoglio mattutino di turisti era già partito da diverse ore e mancava ancora molto al ritorno pomeridiano.

Di conseguenza l’unica persona in vista era Maria, che li attendeva in compagnia di una ragazza che poteva essere solo Cathy Brainard. Vedendo gli uomini arrivare, Maria si allontanò quasi correndo, gridando loro che voleva informare la signora Tyrrel.

Joe vide Strangeway seguire Maria con sguardo leggermente accigliato. Cathy invece restò immobile, guardandoli stancamente. Un grosso zaino che poteva solo essere suo giaceva a terra ai suoi piedi.

Brainard, le sue paure del tutto dimenticate in quel momento, si fermò davanti a sua figlia guardandola con grande sollievo. — Grazie a Dio sei tornata!

— Ciao — replicò la ragazza con qualche riserva nella voce. Di nuovo stancamente accettò un impacciato abbraccio.

Tenendola per entrambe le spalle, il rigido Brainard disse alla figlia adottiva: — Ho avuto paura. Speravo che tu non fossi stata coinvolta nei miei guai. Non ho mai voluto…

— I tuoi guai? — replicò Cathy, dando a Joe l’impressione che non sapesse neppure di cosa parlava il padre e non provasse neppure a capirlo. Sembrava quasi che dovesse compiere un grande sforzo per dimenticare momentaneamente i suoi problemi.

E neppure sfuggì a Joe che Cathy evitò in ogni modo di chiamare Brainard “papà”.

— Ragazza mia… — fece Brainard. — Cathy, non ho nessuna intenzione di chiederti nulla. Semplicemente, sono contento che tu sia tornata. — E goffamente le carezzò i capelli.

— Ne sono felice, perché sono io che ho intenzione di chiederti un po’ di cose. A te e alla zia Sarah — rispose Cathy, per poi guardare i due sconosciuti. — Tuttavia, credo che dovrò aspettare ancora un po’.

Guardandola allibito, Brainard mosse un passo indietro.

Poi Cathy volse lo sguardo su Strangeway. L’occhiata che gli lanciò, inizialmente casuale, divenne fissa e profonda. — Lei chi sarebbe? — domandò, con la franchezza di qualcuno determinato a concentrarsi su faccende più importanti.

Strangeway s’inchinò leggermente, il volto ombreggiato dalla larga falda del cappello. — Un amico di sua madre, signorina Brainard.

Joe intervenne. — Lavora per me — disse, per poi doverle spiegare chi era lui e le ragioni della sua presenza lì.

Una volta chiarito questo lato della faccenda, Cathy guardò gli investigatori con una qualche amarezza oltre alla stanchezza. — Be’, sono tornata. Credo quindi che la caccia sia finita.

— Cathy! — urlò la voce di zia Sarah. Si stava avvicinando da casa Tyrrel con tutta la velocità consentitale dagli anni. Cathy corse verso di lei con le braccia aperte, e i presenti poterono finalmente assistere a una riunificazione molto più emozionante.


Pochi attimi più tardi Joe, in compagnia di John e di Strangeway, tornò arrancando verso l’albergo. Sarah, Cathy e Brainard li avevano preceduti. Durante la prima parte della passeggiata il silenzio regnò sovrano.

— Immagino che possiamo cominciare a fare i bagagli — suggerì John a un certo punto, più o meno a metà del cammino.

— Non io — replicò Strangeway.

— E perché no? — domandò John.

— Perché sto pensando, signori — fece il loro speciale collega — a L’origine della specie.

Joe Keogh tacque per un attimo.

— Intende forse dire il libro di Charles Darwin?

Occhi scuri si volsero su di lui.

— Non tanto il libro, quanto l’argomento: le leggi che governano lo sviluppo della vita sulla Terra. Il vero interesse di Tyrrel sembra andare a queste fondamentali leggi di natura, che Darwin cominciò a studiare più di un secolo fa. La mia gente e la vostra sono entrambe soggette a queste leggi. Perché siamo tutti esseri umani, tutti figli della Terra.

— Okay, ma la ragazza scomparsa è tornata, apparentemente indenne. La mia cliente con tutta probabilità mi ringrazierà per il disturbo, mi darà quanto pattuito e mi manderà via.

— Già, in effetti il caso sembra chiuso. Complimenti, Joseph. Tuttavia io non mi sento ancora libero di andare. In tutta coscienza non sono ancora soddisfatto, e quindi non partirò.

Joe non esitò. — Cosa posso fare allora per aiutarla?

— Giusto — fece John.

— Ancora non lo so, signori. Ma la vostra offerta è davvero bene accetta.


Nella suite di Joe, Sarah Tyrrel appese il ricevitore dopo aver riferito ai ranger del parco che la sua bisnipote Cathy era tornata a casa di sua spontanea volontà.

— Non sembravano particolarmente sorpresi — commentò l’anziana donna.

— Molti ragazzi che scappano di casa tornano tranquillamente da soli — spiegò Joe. — Dov’è Cathy adesso?

— Sta dormendo — disse Sarah, per poi guardarsi attorno. — E Maria dov’è?

Joe non lo sapeva. Guardando Bill, che ascoltava tutto in silenzio, domandò: — E a proposito, dov’è Brainard?

— Ha detto che andava a prendere le sigarette giù nella hall. Non sembrava che avesse bisogno di una scorta.


Le fugaci nevicate della prima parte della mattinata stavano aumentando di durata e intensità quando Gerald Brainard, con un pesante giaccone invernale addosso e una piccola valigia in mano, sbucò da uno dei sentieri lastricati laterali per addentrarsi in uno dei grandi parcheggi turistici sparsi attorno a Canyon Village. Guardando cautamente prima a destra e poi a sinistra nella tetra giornata invernale, estrasse dalla tasca un mazzo di chiavi avvicinandosi con rapidi passi a una piccola Pontiac coperta di neve.

Non aveva guardato bene, comunque. Non aveva neppure aperto la portiera della macchina, quando un uomo di grossa corporatura che indossava un cappotto col bavero di pelliccia comparve all’improvviso dietro di lui.

— Oh, ecco il nostro simpatico avvocato. Pensi forse di andare da qualche parte?

Pochi attimi più tardi la Pontiac venne parcheggiata di nuovo, ma stavolta in una strada secondaria del parco, una lunga e relativamente stretta spianata in terra battuta destinata metà a parcheggio e metà a strada circondata da abeti e molto usata per i picnic estivi. Ora però il posto era deserto: solo un’altra macchina vi era parcheggiata oltre alla Pontiac.

E in questa seconda macchina si trasferirono i due mafiosi e l’avvocato: Smith al volante, Brainard davanti accanto a lui e Preston sul sedile posteriore.

— Adesso resteremo qui per un po’ — dichiarò Smith. — Tanto non c’è fretta, vero? Tutti e tre abbiamo la giornata intera a disposizione. — Così dicendo volse la testa leggermente all’indietro. — Preston, ma tu non avevi qualcosa da fare nel pomeriggio?

— No — fece Preston, accendendosi una sigaretta senza offrirne. — Mi sono liberato, così posso restare qui tranquillamente con voi a parlare di soldi. Ora, vediamo un po’: come potrà il nostro furibondo principale recuperare un certo investimento?

Brainard non trovò nulla da dire. Pallido e tremante guardava la fitta pineta innevata davanti a lui, a poca distanza dal parabrezza.

— Allora, avvocato, dicci qualcosa. Coraggio, non essere timido.

— Io non ho i soldi per pagarvi adesso. Io…

La frase terminò con un urlo. Preston aveva preso la sigaretta tra le dita spegnendola sul collo di Brainard.

— Statti tranquillo, tesoruccio. Queste cose il mio amico Preston non le vuole proprio sentire. Coraggio, riprovaci.

— Non c’è nessuno da queste parti oggi — fece Preston con tono quantomai casuale. — E pensare che d’estate è così pieno che uno non riesce neppure a parcheggiare la macchina. Ma oggi è il nostro giorno fortunato, vero amici? Sto aspettando, carne morta. Allora, come farai a ridarci tutti quei verdoni?

— Pagherò… pagherò — supplicò Brainard accennando a tirarsi su il bavero della giacca. Bruscamente Preston glielo abbassò di nuovo.

La neve cominciò a cadere lentamente. — Dicono — fece Smith — che talvolta nel parco può nevicare per giorni e giorni.

— Nessun turista in giro — sospirò Preston da dietro. — Nessun ranger. Niente di niente qui, tranne noi tre. Stiamo aspettando, carne morta.

E detto questo si accese un’altra sigaretta, spegnendola di nuovo sul collo di Brainard.


Ma all’improvviso i tre non furono più soli. La figura di un uomo con la barba ben curata e un cappello a falda larga comparve ai margini del bosco, per poi avvicinarsi alla macchina oltrepassando la piccola Pontiac.

Vedendo Strangeway, Brainard emise una sorta di vagito.

— Chi diavolo è questo? — fece Smith.

Drakulya si fermò a quattro, cinque metri dalla macchina dei gangster, restando immobile con le mani in tasca. Le sue labbra si mossero, pronunciando parole incomprensibili.

Smith abbassò il finestrino a metà e la voce dell’uomo in piedi davanti a loro risuonò chiaramente. — Abbia pazienza, signor Brainard. Qualche attimo ancora e i signori saranno lieti di lasciarla andare.

A queste parole Brainard compì uno sforzo convulso per cercare di uscire, ma Preston lo afferrò senza tanti complimenti per il collo obbligandolo a stare fermo al suo posto. Poi il robusto gangster aprì la portiera e scese, mentre le sospensioni della macchina oscillavano sotto la sollecitazione del suo grande peso.

— Fuori dai piedi, idiota — ordinò dall’alto dei suoi due metri il grosso Preston al piccolo Drakulya. — Va’ a caccia di scoiattoli da qualche altra parte. Questa è una conversazione privata.

Brainard lanciò una disperata richiesta di soccorso, un urlo che gli morì in gola quando l’uomo seduto accanto a lui lo colpì allo stomaco con una gomitata.

Lo sguardo di Drakulya andò dall’aguzzino di Brainard seduto in macchina a quello in piedi davanti a lui. — I signori Smith e Preston, suppongo. Purtroppo vedo che è tardi per invitarvi a lasciar partire quest’uomo indisturbato. Be’, suppongo di potervi capire in un certo qual modo. Esito a interferire con la giusta pretesa di recuperare i vostri soldi, tuttavia…

— Te l’ho già detto una volta — lo interruppe Preston. — E te l’ho detto in modo carino e gentile. Non mi hai ascoltato. Peggio per te. — E con queste parole mosse minacciosamente verso Drakulya.

Ma all’ultimo momento, prima di raggiungere la sua presunta vittima, una smorfia di dolore e sorpresa gli deformò il volto. Allungò una mano per stringere il collo dell’uomo davanti a lui, ma le sue dita si chiusero a vuoto. Drakulya già lo teneva con entrambe le mani per il bavero di pelliccia, e un attimo più tardi Preston gracchiò ad alta voce in totale disfatta chiedendosi come mai il suo corpo volteggiasse a mezz’aria. Il suono fu molto acuto per un uomo di tale stazza. E per essere uno che respirava, Preston dimostrò un’ottima coordinazione, compiendo un complicato passo di danza nel disperato tentativo di riguadagnare un equilibrio perso, ahimé, per sempre.

Il suo corpo, lanciato con cura, percosse con considerevole potenza la parte anteriore della macchina. Nella prima fase dell’impatto le gambe dell’uomo colpirono il cofano. Un attimo più tardi il suo grande torace sbatté sul parabrezza. Il robusto vetro s’imbarcò, ma non si ruppe. Preston proseguì poi la sua corsa sulla superficie fortemente inclinata, che lo proiettò a un’altezza di diversi metri sopra il retro della macchina fino alla caduta finale su uno strato di neve fresca purtroppo insufficiente.

Prima ancora che il corpo volteggiante di Preston subisse quell’ultimo impatto, Drakulya si era portato verso la portiera del conducente aprendola con calma compassata. Smith non aveva allacciato la cintura di sicurezza, una negligenza che non sfuggì all’attenzione del suo avversario.

Stringendo in una ferrea morsa la nuca del secondo gangster e afferrando la colonna del volante con la mano libera, Drakulya cercò di unire i due corpi fisici esercitando una forza molto vicina al massimo possibile per un vampiro.

Ma una frazione di secondo dopo si ritrasse allibito, sibilando la sua irritazione perché quella seconda parte dell’esercizio andava rifatta. Il suo sforzo con la testa di Smith aveva sortito l’unico effetto di gonfiare un airbag lasciando il signor Smith non più che sconcertato, come se qualcuno gli avesse sparato con un fucile caricato a bigné. Smith cercò di agitare le braccia, emettendo un rantolo da coniglio che un eventuale spettatore avrebbe trovato decisamente comico.

La mano di Drakulya, comunque, continuava a stringere la nuca del gangster.

Intenzionato a chiudere al più presto quella sgradevole vicenda, l’uomo con la barba ben curata recuperò il suo aplomb con considerevole prontezza per un vampiro della sua età. L’airbag si era già sgonfiato, e un secondo tentativo sortì gli effetti desiderati.

Anche se praticamente incolume, Brainard ebbe bisogno di una mano per uscire dal veicolo.

— Grazie. Come potrò mai sdebitarmi con lei?

— Mi ha ringraziato. Questo è più che sufficiente.

— Dio mio! Non li ho visti tenere d’occhio l’albergo. Pensavo di avere una possibilità… lei capisce, adesso che Cathy è tornata non vorrei coinvolgerla nei miei guai.

Dopo aver consigliato al suo cliente di provare a mettere un po’ di neve fresca sulle bruciature del collo, Drakulya frugò rapidamente ma meticolosamente le tasche dei due gangster. Preston, disteso bocconi nella neve, respirava a fatica e il vampiro ritenne che quella condizione non sarebbe durata a lungo. In Smith era già passata. Drakulya frugò anche la loro macchina in cerca di qualcosa che potesse collegare quei due a Brainard.

Non trovò nulla di compromettente, ma s’impossessò di circa cinquemila dollari in contanti. Considerandoli un bottino di guerra, Drakulya li porse disordinatamente a Brainard intenzionato a mandarlo via.

— Alcuni di quei soldi sono miei. Me li hanno rubati proprio adesso.

— Bene, li prenda tutti allora — replicò il detective.

— Posso fare qualcosa per ripagarla del suo aiuto?

— Lei è molto gentile a insistere, ma no, grazie. Il tempo sta rapidamente peggiorando. Le consiglio di guidare con prudenza.

— Grazie — rispose Brainard massaggiandosi quasi allegramente il collo con altra neve fresca. — Dio mio, forse la fortuna sta tornando, finalmente!


Quando Drakulya tornò in albergo, Joe gli chiese se per caso avesse visto Brainard.

Lui annuì. — Sì, in effetti l’ho incontrato. Stava guidando pacificamente verso l’uscita principale del parco. Non dubito che si troverà già abbastanza lontano quando arriverà la nevicata.

— Ma… e i gangster che lo tenevano d’occhio?

— Oh, sono partiti anch’essi — replicò Drakulya guardandosi le unghie ben curate.

Joe lo guardò incuriosito. — Sempre dietro a Brainard?

— No. Hanno preso una direzione diversa. Ah, uomini avventati e negligenti! Non credo siano andati lontano. Le strade stanno diventando davvero scivolose! — fece, con un sospiro vagamente da rettile. — Per gente tanto improvvida, l’incidente è la regola!

— Ah — replicò Joe, pensando. Conosceva Strangeway da troppi anni ormai. — Ah — ripeté di nuovo dopo un attimo.

— Joseph?

— Sì?

— Che mi sa dire di questi palloni, questi aggeggi gonfiabili che escono dal volante in condizioni di emergenza?

— Cosa, gli airbag? Tutte le nuove macchine li adottano. Perché?

— Oh, nulla d’importante. Ora debbo riposare. Tutta questa attività diurna mi ha molto stancato, nonostante il cielo sia così meravigliosamente coperto. Tuttavia ora riesco a capire perché Edgar Tyrrel ha scelto di vivere in questo luogo nonostante sia tanto pericoloso per noi.

— E perché?

— Per il sole, Joseph. Io e i miei simili siamo molto attratti dal sole, dalla sua presenza, assenza e intensità.

— Credevo faceste di tutto per evitarlo, invece.

— Sì, questo è vero. Solo la massa di un intero pianeta può riparare del tutto un vampiro dalle emissioni nocive del sole. Tuttavia, è mia opinione che anche noi dipendiamo, per il nostro sviluppo, da qualche tipo di emissione solare ancora sconosciuta alla scienza.

“D’altro canto nessuno di noi ha difficoltà a credere che qualcosa di veramente strano accada quando la luce solare illumina, per la prima volta in miliardi di anni, la superficie recentemente frantumata di qualche profondissimo strato roccioso.

“Chi può dire, Joseph, cosa succede in quei momenti? Per molta gente nulla di speciale. D’altro canto la biologia ha visualizzato strani sviluppi, che mi vedono totalmente d’accordo.”

— E Tyrrel si muoveva in quest’ottica quando è venuto qui per la prima volta.

— Sono certo che non è venuto ad abitare qui, nel soleggiato West, semplicemente per una delle mille circostanze della vita: se era già un vampiro, doveva avere delle ragioni molto forti.

— Ragioni collegate a Darwin, intende dire?

— Alla vita, Joseph, collegate nientemeno che alla vita stessa.

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