10

Guardò sotto il vaso di fiori, all’angolo del terrazzo coperto per prendere la chiave, ma non c’era; e allora ricordò che aveva lasciato la porta aperta, in modo che Joe potesse entrare a sbarazzarlo dei topi.

Girò la maniglia ed entrò e si avviò per andare ad accendere la lampada sulla scrivania. Sotto la lampada c’era un foglio di carta bianca, coperto di goffi scarabocchi a matita:


Jay: ho fatto il lavoro poi sono tornato indietro e ho aperto le finestre per fare andar via l’odore. Ti darò cento dollari per ogni topo che riesci a trovare. Joe.


Un rumore lo fece voltare, e allora vide che sotto il portico c’era qualcuno, seduto sulla sua sedia preferita, qualcuno che si dondolava avanti e indietro, pigramente, mentre la brace della sigaretta accesa tracciava nell’oscurità una linea sottile, ondulata e danzante.

«Sono io,» disse Horton Flanders. «Ha già mangiato?»

«Sì, qualcosa in paese.»

«Che peccato. Avevo portato un vassoio di sandwich e della birra. Pensavo che forse avrebbe avuto appetito, e siccome so che non le piace troppo cucinare…»

«Grazie» disse Vickers. «Adesso non ho fame. Possiamo mangiarli più tardi.»

Gettò il cappello sulla poltrona, e uscì sotto il portico.

«Ho preso la sua sedia,» disse il signor Flanders.

«La tenga pure,» disse Vickers. «Questa è altrettanto comoda.»

«Ha visto se per caso c’era qualche notizia interessante, oggi? Io ho la pessima abitudine, qualche volta, di non guardare i giornali.»

«Le solite cose. Un’altra di quelle notizie sull’imminenza delle trattative di pace definitive… quelle stesse cose alle quali ormai non crede più nessuno.»

«La guerra fredda continua,» disse il signor Flanders. «Continua così da quasi quarant’anni, ormai. Di tanto in tanto si scalda, ma non scoppia mai; ha mai pensato, signor Vickers, che almeno una dozzina di volte avrebbe dovuto scoppiare la guerra, quella vera, totale, ma che per una ragione o per l’altra non c’è mai stata?»

«Non ci avevo pensato.»

«E invece, è la verità. Prima c’è stato il guaio del ponte aereo di Berlino, e poi ci sono stati gli scontri in Grecia. L’una o l’altra cosa avrebbero potuto scatenare una guerra mondiale… e invece, nel momento più acuto della tensione, tutto si è aggiustato. Poi ci fu la Corea, naturalmente, e anche quella fu sistemata. Poi l’Iran minacciò di fare esplodere il mondo, ma superammo la crisi. Poi ci furono gli incidenti di Manila, e i guai in Alaska, e l’Indocina, e la crisi indiana, e mezza dozzina di altre grandi crisi globali. Eppure venne tutto sistemato, sempre, in un modo o nell’altro.»

«La verità è che nessuno vuole combattere sul serio,» disse Vickers.

«Forse è così,» ammise il signor Flanders, «ma occorre qualcosa di più della volontà di pace per evitare una guerra. Di tanto in tanto, una grande potenza si è arrampicata su di un ramo, arrivando a un punto dove era costretta a combattere o a fare marcia indietro. Hanno sempre fatto tutte marcia indietro. Questo non è nell’indole umana, signor Vickers, o almeno non lo era fino a quarant’anni or sono. Le sembra che possa essere intervenuto qualcosa, un fattore ignoto, una nuova equazione, che possa spiegare questo fenomeno così strano e innaturale?»

«Proprio non riesco a vedere come potrebbe esserci qualche fattore nuovo. La razza umana è ancora la razza umana. Ha sempre combattuto, prima. Quarant’anni fa era appena terminata la guerra più grande che fosse mai stata combattuta.»

«E allora, c’è stata una provocazione dopo l’altra, e ci sono state decine di guerre locali, ma non una guerra mondiale. Lei saprebbe dirmi il perché?»

«No.»

«Io ci ho pensato,» disse il signor Flanders, «Così, oziosamente, è naturale. E mi sembra che debba esserci un fattore nuovo.»

«Forse la paura,» suggerì Vickers, «La paura delle nostre armi terribili. Quarant’anni or sono non esistevano armi capaci di annientare vincitori e vinti in un solo olocausto.»

«Sì, può essere,» ammise il signor Flanders, «ma la paura è molto strana. Una cosa molto strana, signor Vickers. La paura può fare scoppiare una guerra, così come può impedirla. Sa, è possibile che la paura sia sufficiente a spingere un popolo a buttarsi e a combattere per liberarsi da essa… pronto a slanciarsi contro la paura stessa, pur di sbarazzarsene. Non credo, signor Vickers, che da sola la paura basti a spiegare la pace.»

«Lei pensa a qualche fattore psicologico?»

«Potrebbe essere,» disse il signor Flanders. «Oppure potrebbe trattarsi di un intervento.»

«Un intervento! E chi interverrebbe?»

«Di preciso non lo so. Ma è un pensiero, questo, che per me non è nuovo, e non solo riguardo a questo problema, che pure è il più appariscente. A partire da una novantina di anni or sono, nel mondo è successo qualcosa. Fino ad allora l’uomo aveva tirato avanti più o meno sullo stesso vecchio solco. C’era stato qualche progresso, qua e là, ma non molti. Soprattutto, non c’erano stati molti cambiamenti nel modo di pensare, ed è questo che in ultima analisi conta veramente.

«E poi il genere umano, che fino a quel momento aveva camminato arrancando lentamente, strascicando i piedi, si è lanciato al galoppo, come un cavallo improvvisamente spronato. Sono stati inventati il telefono e l’automobile e il cinema e l’aereoplano. Poi è venuta la radio e tutti gli altri apparecchi che hanno caratterizzato il primo quarto di secolo.

«Ma si trattava soprattutto di meccanica, pura e semplice: sommare due più due e ottenere quattro come risultato. Nel secondo quarto del secolo la fisica classica è stata quasi totalmente rimpiazzata da un pensiero di tipo nuovo, che ammetteva la propria ignoranza quando si trovava faccia a faccia con gli atomi e gli elettroni. E da questo sono uscite mille teorie, e la fisica atomica, e tutte le probabilità che oggi sono ancora allo stato di probabilità.

«E questo, credo, è stato il passo più gigantesco… i fisici, che avevano fabbricato un bel casellario ordinato di conoscenze e avevano sistemato nelle caselle tutta la scienza classica, hanno avuto il coraggio di confessare che non sapevano cosa costringesse gli elettroni a comportarsi come si comportavano.»

«Lei sta cercando di dire,» lo interruppe Vickers, «che è accaduto qualcosa… una specie di sferzata, che ha fatto uscire il genere umano dal solco prestabilito che stava seguendo. Ma non è stata la prima volta in cui è accaduta una cosa simile. Prima del nostro tempo, c’erano già stati il Rinascimento e la Rivoluzione Industriale. Furono due sferzate altrettanto violente, e anche allora qualcuno si sarà certamente chiesto le medesime cose… i motivi, e le ragioni, e gli aspetti della cosa che stava accadendo, che tutti vivevano, e della quale nessuno capiva il motivo.»

«Io non le ho detto che si trattava della prima volta in cui questo accadeva, signor Vickers,» gli disse Flanders, in tono blando. «Mi sono limitato a dire che era accaduto. Il fatto che sia accaduto in passato, in modo lievemente diverso, dovrebbe dimostrare che non si tratta di un caso fortuito, ma di una specie di ciclo, di una specie di influenza in azione nella razza umana. Che cos’è che smuove una cultura sonnolenta, lanciandola al galoppo e, almeno in questo caso, continua a farla galoppare per quasi un secolo, senza dare segni di rallentamento?»

«Lei ha parlato di un intervento,» disse Vickers. «Evidentemente, lei sta seguendo qualche fantasticheria sfrenata. Degli uomini venuti da Marte, forse?»

Il signor Flanders scosse il capo.

«No, non degli uomini venuti da Marte. Non credo che i marziani c’entrino, in questo fenomeno. Teniamoci un poco più sulle generali.»

Puntò la sigaretta verso il cielo, sopra la siepe e gli alberi, il cielo che era come una grande tazza scura rovesciata, nella quale scintillavano e palpitavano le innumerevoli stelle.

«Lassù devono esserci delle immense riserve di conoscenza. In molti luoghi di tutto quello spazio immenso che si stende al di là della nostra Terra devono esistere delle creature pensanti, che potrebbero avere creato una sapienza quale noi non abbiamo mai neppure sognato. E quella sapienza in parte potrebbe essere valida e utile per gli umani e per la Terra, e in parte no.»

«Lei suggerisce forse che qualcuno, là fuori…»

«No,» disse il signor Flanders, «Io dico che quella conoscenza è là, e attende: attende che noi andiamo a prenderla.»

«Non abbiamo ancora raggiunto la luna.»

«Forse non sarà necessario aspettare i razzi. Forse non saremo costretti ad andare là fisicamente, per raggiungere quella conoscenza. Potremmo arrivarci, a esempio, con le nostre menti…»

«Una forma di telepatia?»

«Può darsi. Sì, forse potrebbe chiamarla così. Una mente che sonda e cerca… una mente che si protende per incontrare un’altra mente. Se la telepatia esiste, la distanza non dovrebbe avere importanza… un chilometro o un anno-luce, che differenza farebbe? La mente non è una proprietà fisica, non è legata, o non dovrebbe esserlo, dalle leggi secondo le quali nulla può superare la velocità della luce.»

Vickers rise, un po’ turbato, e gli pareva di sentire sul collo il brivido del lento passare di esseri invisibili dalle molte zampe.

«Non dirà sul serio, penso,» fece.

«Forse no,» ammise il signor Flanders. «Forse sono soltanto un vecchio eccentrico il quale ha trovato un uomo disposto ad ascoltarlo senza ridere troppo.»

«Ma la conoscenza di cui ha parlato… niente indica che possa venire applicata, che sia possibile usarla… né ora, né mai. Dovrebbe essere aliena, per forza di cose, fondata su di una logica aliena, applicabile solo a problemi alieni. Sarebbe certamente basata su concetti alieni, che non potremmo mai capire.»

«Sì, in gran parte,» disse il signor Flanders. «Perciò bisognerebbe setacciare e spigolare, con molta cura, e molta attenzione. Vi sarebbero tantissime cose inutili, è vero, ma anche qualcosa di prezioso. Per esempio, ci si potrebbe imbattere in un modo per eliminare l’attrito… e se si scoprisse questo, si potrebbero costruire facilmente delle macchine capaci di durare per sempre, e si avrebbe…»

«Aspetti un momento!» scattò Vickers, teso. «Dove vuole arrivare, con questo discorso? Cos’è questa storia delle macchine che durerebbero per sempre? Quelle le abbiamo già. Questa mattina stavo parlando con Eb, e lui ha cominciato a raccontarmi…»

«…di un’automobile. Questo, signor Vickers, è esattamente quello che volevo dire io.»

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