Aveva preso una decisione, e adesso la decisione era inutile… resa inutile dal ricordo di due volti. Chiuse gli occhi e ricordò sua madre, ricordò i lineamenti, forse un po’ idealizzati, ma generalmente autentici, e ricordò quanto era apparsa inorridita della sua avventura nella terra incantata, e ricordò come gli aveva parlato suo padre, e come la trottola era sparita.
Era naturale che la trottola fosse sparita. Era naturale che gli avessero fatto una predica sui pericoli dell’immaginazione troppo viva. Dopotutto, loro faticavano già abbastanza a tenerlo d’occhio, senza bisogno che lui andasse anche a vagabondare in altri mondi. Era già abbastanza difficile stare dietro ad un bambino di otto anni in un mondo, figurarsi in un centinaio di mondi.
Il ricordo del viso di sua madre, e della mano di suo padre sulla spalla, con le dita che stringevano con virile tenerezza… erano cose che un uomo non poteva rinnegare.
Entrambi avevano atteso con fede assoluta, sapendo che quando su di loro fossero scese le tenebre non sarebbe stata la fine, ma l’inizio di un’avventura ancora più grande di quanto avessero sperato quando si erano uniti al piccolo gruppo di mutanti, tanti anni prima.
E se loro avevano avuto una fede così grande nei piani dei mutanti, lui poteva essere da meno?
Poteva rifiutarsi di fare la sua parte per costruire quel mondo per cui loro avevano fatto tanto?
Loro avevano dato tutto ciò che potevano: la fatica della loro attività, la fede che avevano donato dovevano venire portate alla realizzazione da quanti erano venuti poi. E lui era uno di costoro… e sapeva di non poterli tradire.
Che specie di mondo, si chiese.
E se gli ascoltatori mutanti fossero riusciti finalmente a carpire il segreto dell’immortalità, che specie di mondo si sarebbe avuto, allora?
Se fosse accaduto davvero che l’Uomo non dovesse più morire, e continuasse a vivere in eterno?
Non sarebbe stato più lo stesso mondo. Sarebbe stato diverso, con valori e incentivi diversi.
Quali fattori sarebbero stati necessari per mandare avanti un mondo di immortali? Quali incentivi, quali condizioni per impedirgli di declinare? Quali possibilità ed interessi in continua espansione, per salvarlo dal vicolo cieco della noia?
Che cosa occorreva, in un mondo immortale?
Uno spazio economico infinito, tanto per cominciare: e ci sarebbe stato. Perché adesso tutti i mondi precedenti e successivi erano aperti. E se non bastavano, ci sarebbe stato l’universo, con tutti i suoi soli e i suoi sistemi solari, perché se una terra di un dato sistema aveva altre terre che la precedevano e la seguivano, anche ogni stella e ogni pianeta dell’universo intero dovevano ripetersi all’infinito.
Prendi l’universo e moltiplicalo per un numero sconosciuto… prendi tutti i mondi dell’universo e moltiplicali all’infinito e avrai la soluzione. Ci sarebbe stato spazio sufficiente, e ir. eterno.
Sarebbero state necessarie occasioni infinite e sfide infinite, e in quei mondi c’erano occasioni e sfide che neppure l’Uomo eterno avrebbe saputo esaurire.
E non sarebbe finito lì: vi sarebbe stato tempo infinito, oltre allo spazio infinito, e in quel tempo sarebbero sorte nuove tecniche e nuove scienze, nuove filosofie, in modo che l’Uomo eterno non sentisse mai la mancanza di missioni da compiere, di pensieri da pensare.
E quando possedevi l’immortalità, come potevi usarla?
L’usavi per conservare la tua forza. Anche se la tua tribù non era numerosa, anche se il tasso di natalità non era elevato, anche se i nuovi membri della tribù venivano scoperti solo di rado, eri sicuro dell’accrescimento demografico, se nessuno moriva mai.
L’usavi per conservare la capacità e la conoscenza. Se nessuno moriva mai, potevi contare sulla forza e sulle capacità e sulla conoscenza di ogni membro della tribù. Quando un uomo moriva, le sue capacità morivano con lui, e in una certa misura moriva anche il suo patrimonio di conoscenza. Ma non si trattava solo di questo. Perdevi non soltanto le capacità e il patrimonio di conoscenza del presente, ma anche quelli del futuro.
Quale conoscenza, si chiese Vickers, la Terra non possedeva, adesso, solo perché un certo uomo era morto una dozzina d’anni troppo presto? Parte di quella conoscenza, certo, sarebbe stata recuperata grazie all’opera successiva di altri uomini, ma vi erano certamente molte cose che non sarebbero mai state recuperate, idee che non sarebbero mai più state pensate, concetti cancellati per sempre dalla morte di un uomo nel cui cervello aveva appena cominciato a fermentare il primo fremito della loro evoluzione.
In una società immortale, questo non sarebbe mai accaduto. Una società immortale avrebbe avuto la certezza delle totali capacità e della conoscenza totale del suo potenziale umano.
Prendi la capacità di attingere al patrimonio di conoscenza delle stelle, prendi la memoria innata, prendi la conoscenza tecnologica che produce oggetti eterni… e aggiungi l’immortalità.
Ritorna indietro di centomila anni. Pensa all’essere Uomo. Dagli il fuoco, la ruota, l’arco e le frecce, gli animali addomesticati e le piante coltivate, più l’organizzazione tribale e il primo, vago concetto di se stesso quale signore della Terra. Prendi questa formula, e che cosa ti ritrovi?
L’inizio della civiltà, la fondazione di una cultura umana. Ecco cosa ti ritrovi.
E a suo modo la formula del fuoco e della ruota e degli animali domestici era grande quanto la formula dell’immortalità e del senso del tempo e della memoria innata.
La formula dei mutanti, lo sapeva, era solo un altro passo avanti, come lo era stata la formula fuoco-ruota-cane di centomila anni prima.
La formula dei mutanti non era il risultato finale dello sforzo umano né dell’intelletto e della conoscenza umani: era solo un passo. C’era ancora un altro passo avanti. In futuro c’era ancora un passo. Nella mente umana esisteva ancora la possibilità di passi ancora più grandi, ma quali potessero esserne i concetti era inconcepibile per lui, Jay Vickers, come la struttura temporale dei mondi successivi sarebbe stata inconcepibile all’uomo che aveva scoperto il fuoco e addomesticato il cane.
Siamo ancora selvaggi, pensò. Ce ne stiamo ancora rannicchiati nella nostra grotta, a guardare fuori, oltre il fuoco fumoso, acceso a difendere l’entrata dall’oscurità sconfinata che opprime il mondo.
Un giorno sonderemo quell’oscurità, ma non adesso.
L’immortalità potrebbe essere lo strumento utile, e questo è tutto. Un semplice strumento.
Cos’era l’oscurità al di là dell’imboccatura della caverna?
L’ignoranza di ciò che l’Uomo era, o perché era, e da dove veniva, e quali erano il suo scopo e il suo fine. Le vecchie, eterne domande.
Forse con lo strumento dell’immortalità, l’Uomo avrebbe potuto risolvere quei problemi, comprendere la progressione ordinata e la logica terribile che creavano e muovevano l’universo della materia e dell’energia.
Il passo successivo poteva essere spirituale: trovare e comprendere un piano divino che era la legge dell’intero universo. L’Uomo poteva finalmente trovare, in tutta umiltà, un Dio universale… la divinità che ora l’umanità venerava con la debolezza della comprensione umana, e con la forza dell’umana fede? L’Uomo avrebbe trovato finalmente il concetto di divinità che avrebbe esaudito, senza dubbi e contrasti, la sua terribile esigenza di fede, in modo chiaro e inequivocabile, affinché non vi fossero più, come ora, questioni e dubbi; un concetto di bene e d’amore con cui l’Uomo potesse identificarsi, in modo che non vi fosse più bisogno della fede, e la fede venisse sostituita dalla conoscenza e da un’eterna sicurezza?
E se l’Uomo avesse bandito la morte, pensò, se le porte della morte fossero state sbarrate di fronte alla rivelazione finale e alla resurrezione, allora senza dubbio avrebbe trovato quel concetto, o avrebbe vagato per sempre tra le galassie, ridotto ad un essere perduto e piangente…
Con uno sforzo, Vickers ricondusse i suoi pensieri al presente.
«Hezekiah,» chiese, «sei sicuro?»
«Di cosa, signore?»
«Dei Preston. Sei sicuro che non ci siano Preston?»
«Sono sicuro,» disse Hezekiah.
«C’era una Kathleen Preston,» disse Vickers. «Sono sicuro che c’era…»
Ma come poteva esserne tanto sicuro?
La ricordava.
Flanders aveva detto che esisteva.
Ma la sua memoria poteva essere condizionata, e poteva esserlo anche quella di Flanders.
Kathleen Preston poteva non essere altro che un fattore emotivo introdotto nel suo cervello per tenerlo legato a quella casa, una reazione sintonizzata perché, dovunque andasse, qualunque cosa diventasse, lui non dimenticasse mai quella casa e i legami che rappresentava.
«Hezekiah,» chiese Vickers, «chi è Horton Flanders?»
«Horton Flanders,» disse il robot, «è un androide, esattamente come lei.»