Cliffwood, al calar della sera, aveva l’odore e la presenza di casa, e Vickers guidava per le strade e si sentiva la gola stretta da un nodo di smarrimento, perché era stato lì che aveva pensato di stabilirsi definitivamente, di trascorrere gli anni scrivendo, mettendo sulla carta i pensieri che gli sgorgavano dentro.
Lì c’erano la sua casa e i suoi mobili e il manoscritto, e il rozzo scaffale carico di libri, ma non era più casa sua e ormai, lo sapeva, non lo sarebbe stata mai più. E non era tutto, pensò. La Terra, la terra d’origine degli umani, la terra con la T maiuscola, non era più la sua patria e non avrebbe più potuto esserlo.
Per prima cosa sarebbe andato a trovare Eb, e poi sarebbe andato a casa, a prendere il manoscritto. Lo avrebbe consegnato ad Ann, pensò: lei glielo avrebbe conservato.
Poi ci ripensò, e decise che avrebbe dovuto trovare qualche altro posto, perché non voleva vedere Ann… anche se sapeva che non era esattamente la verità. Voleva vederla, ma sapeva che non doveva, perché adesso c’era tra loro la quasi certezza che entrambi erano parte di un’unica vita.
Fermò la macchina davanti alla casa di Eb e restò per un momento a guardarla, meravigliandosi del nitore ordinato della casa e del giardino, perché Eb viveva solo, non aveva né moglie né figli, e non capitava spesso che un uomo solo tenesse così bene la propria casa.
Avrebbe trascorso solo un minuto con Eb, gli avrebbe detto quanto era accaduto, quanto stava accadendo, avrebbe preso accordi per rimanere in contatto con lui, e avrebbe saputo da lui le notizie più importanti.
Chiuse la portiera e attraversò il marciapiede, armeggiò sulla serratura del cancello. Il chiaro di luna filtrava tra gli alberi e chiazzava il vialetto di luce vivida, e lui lo seguì fino al portico e solo allora, per la prima volta, si accorse che non c’erano luci accese nella casa.
Bussò all’uscio: era venuto lì altre volte, a giocare a poker, e sapeva che Eb non aveva campanello.
Nessuno rispose. Attese e poi bussò ancora, e poi ridiscese il vialetto. Forse Eb era ancora al garage, a finire qualche riparazione urgente, oppure poteva essere alla taverna, e bere qualcosa con gli amici.
Sarebbe rimasto seduto in macchina ad attenderlo. Probabilmente sarebbe stato pericoloso andare nel centro del villaggio, dove lo avrebbero riconosciuto.
Una voce domandò:
«Cerca Eb?»
Vickers si voltò di scatto verso la voce. Era il vicino, ritto accanto alla staccionata.
«Sì,» disse Vickers. «Lo stavo cercando.»
Cercò di ricordare chi abitava accanto a Eb, chi poteva essere l’uomo al di là della staccionata. Qualcuno che conosceva, qualcuno che poteva riconoscerlo?
«Sono un suo vecchio amico,» disse. «Sono qui di passaggio. Avevo pensato di fermarmi a salutarlo.»
L’uomo passò attraverso un varco della staccionata e si avviò attraverso il prato.
«Conosceva bene Eb?» domandò.
«Non molto bene,» disse Vickers. «Non lo vedo da dieci o quindici anni. Ci conoscevamo da ragazzi.»
«Eb è morto,» disse il vicino.
«Morto!»
Il vicino sputò.
«Era uno di quei maledetti mutanti.»
«No,» protestò Vickers. «No, non è possibile!»
«Lo era. Ne avevamo un altro, qui, ma è scappato. Abbiamo sempre sospettato che fosse stato Eb ad avvertirlo.»
La rabbia e l’odio nelle parole del vicino riempirono Vickers di un freddo terrore.
La folla inferocita aveva ucciso Eb e avrebbe ucciso anche lui, se avesse saputo del suo ritorno. E tra un po’ tutti l’avrebbero saputo, perché da un momento all’altro il vicino poteva riconoscerlo: adesso ricordava chi era, l’individuo rubizzo proprietario della macelleria. Si chiamava… ma non aveva importanza.
«Mi sembra,» disse il vicino, «di averla già vista da qualche parte.»
«Deve sbagliarsi. Non sono mai stato all’Est, prima d’ora.»
«La sua voce…»
Vickers lo colpì con tutte le sue forze, facendo partire il pugno dal basso verso l’alto in un arco rabbioso, torcendosi per aggiungere tutto il suo peso alla forza del colpo.
Centrò l’uomo in piena faccia, e l’urto della carne contro la carne, dell’osso contro l’osso, produsse un suono sferzante: e l’uomo crollò.
Vickers non indugiò neppure un attimo. Girò su se stesso e corse verso il cancello, e nel salire a bordo per poco non scardinò la portiera. Pemette rabbiosamente l’avviamento, schiacciò l’acceleratore, e la macchina si avventò sulla strada, innaffiando di ghiaia gli arbusti con la forza dei pneumatici spaventati.
Si sentiva il braccio intorpidito dalla violenza del corpo, e quando accostò la mano alle luci del cruscotto, vide che aveva le nocche lacerate, e perdeva qualche goccia di sangue.
Aveva qualche minuto di vantaggio: il vicino avrebbe impiegato un po’ per riprendersi e rendersi conto di ciò che era accaduto. Ma appena si fosse rimesso in piedi, appena avesse raggiunto un telefono, avrebbero cominciato tutti a dargli la caccia, nella notte, fra stridori di pneumatici, con i fucili e la corda e le doppiette.
E lui doveva andarsene. Ormai era abbandonato a se stesso.
Eb era morto: aggredito senza preavviso, sicuramente, senza la possibilità di rifugiarsi sull’altra Terra. Eb era stato abbattuto a fucilate o a calci o impiccato. Ed Eb era stato il suo unico contatto.
E adesso c’erano soltanto lui ed Ann.
Ed Ann, grazie a Dio, non sapeva neppure di essere una mutante.
Arrivò sull’autostrada e si lanciò giù per la valle, a tutto gas.
C’era una vecchia strada abbandonata, una quindicina di chilometri più avanti, ricordò Vickers. Poteva nascondersi lì con la macchina, e attendere fino a quando non fosse più stato pericoloso ritornare indietro. Ma probabilmente tornare indietro sarebbe stato pericoloso comunque.
Forse sarebbe stato meglio buttarsi tra le colline e nascondersi fino a quando gli altri avrebbero rinunciato a dargli la caccia.
No, si disse. Era pericoloso anche quello.
E lui non aveva tempo da perdere.
Doveva arrivare a Crawford, e doveva fermarlo. E doveva farlo da solo.
La strada abbandonata era là, a mezza costa su di una ripida collina. Svoltò, guidando la macchina tra sobbalzi e scossoni per una trentina di metri, poi scese e ritornò a piedi fino alla strada.
Nascosto in mezzo agli alberi, vide delle automobili passare stridendo, ma non poteva sapere se stavano dando la caccia a lui.
Poi un vecchio camion traballante salì lentamente la collina, ruggendo per lo sforzo.
Vickers l’osservò, mentre un’idea si affermava nella sua mente.
Quando il veicolo arrivò alla sua altezza, si accorse che dietro era chiuso solo da un’alta sponda.
Si lanciò fuori, sulla corsia, e l’inseguì, lo raggiunge e spiccò un balzo. Si aggrappò con le dita alla parte superiore della sponda, si issò, si inerpicò tra le casse ammucchiate.
E si rannicchiò, guardando la strada che fuggiva dietro di lui.
Un animale braccato, pensò: braccato da uomini che un tempo erano stati suoi amici.
Dopo una quindicina di chilometri, qualcuno fermò il camion.
Una voce chiese:
«Ha visto qualcuno, sulla strada, più indietro? Magari a piedi?»
«No, diavolo,» disse il camionista. «Non ho visto un’anima.»
«Stiamo cercando un mutante. Pensiamo che debba avere abbandonato la macchina.»
«Credevo che li avessimo liquidati tutti,» disse il camionista.
«Non tutti. Forse si è buttato tra le colline. Se è così, lo prenderemo.»
«La fermeranno ancora,» disse un’altra voce. «Abbiamo telefonato qui intorno. Hanno messo dei blocchi stradali.»
«Terrò gli occhi aperti,» disse il camionista.
«È armato?»
«No.»
«Be’, comunque stia attento.»
Quando il camion si rimise in moto, Vickers scorse due uomini fermi sulla strada. Il chiaro di luna faceva scintillare i loro fucili.
Cominciò a muoversi cautamente, spostando alcune casse, per farsi un nascondiglio.
Ma non era necessario.
Il camion venne fermato ad altri tre blocchi stradali, ma nessuno fece più che far passare il raggio di una torcia elettrica dentro al veicolo. Sembrava che non fossero molto impegnati: convinti che non avrebbero scovato tanto facilmente un mutante, forse pensavano che quello era già svanito, come ne erano svaniti tanti altri, una volta messi sull’avviso.
Ma Vickers non poteva permettersi di prendere quella via verso la salvezza. Aveva una missione da compiere su questa Terra.