Eb, il meccanico, si tirò su i calzoni bisunti, e strizzò gli occhi per difendersi dal fumo della sigaretta che gli penzolava da un angolo della bocca sporca di grasso.
«Ecco, vedi, Jay,» spiegò, «la macchina non te l’ho riparata.»
«Dovevo andare in città,» disse Vickers, «ma se la macchina non è pronta…»
«Tanto, non ne avrai più bisogno. Credo che sia proprio per questo che non te l’ho riparata. Mi son detto che sarebbero stati quattrini sprecati.»
«Be’, non è poi ridotta tanto male,» protestò Vickers. «Avrà anche l’aria di un catorcio, ma ne può fare ancora dei chilometri.»
«Certo che può farne. Ma tanto tu comprerai quell’auto nuova, l’Aeterna.»
«Un’auto che si chiama Aeterna?» ripeté Vickers. «Che nome strano, per una macchina.»
«No, non è mica strano,» disse Eb, ostinato. «Dura davvero in eterno. È per questo che la chiamano così: perché dura in eterno. Quel tizio è venuto qui ieri e me ne ha parlato e mi ha chiesto se la volevo, e io ho detto sicuro che la volevo, e questo tizio ha detto che facevo benissimo a prenderla perché, ha detto, non si venderà più nessuna macchina, tranne questa Aeterna.»
«Ehi, aspetta un momento!» esclamò Vickers. «Possono chiamarla Aeterna quanto vogliono, ma non durerà certo per sempre. Nessuna automobile può durare per sempre. L’eternità è un mucchio di tempo. Potrà durare vent’anni, magari, o forse tutta la vita, ma non in eterno.»
«Jay,» dichiarò Eb, «è quello che mi ha detto questo tizio. ’Ne compri una’, ha detto, ’e l’adoperi per tutta la vita. Quando muore, passerà a suo figlio, e quando lui morirà, passerà al figlio di suo figlio, e così via’. È garantito che dura in eterno. Se qualcosa non va, te l’aggiustano o te ne danno una nuova. Ti garantiscono tutto, tranne le gomme: quelle devi comprartele. Si consumano, come in tutte le altre macchine. Ah, e la vernice. Ma anche la vernice è garantita per dieci anni. Se si rovina prima che siano passati dieci anni, te la rifanno gratis.»
«Forse sarebbe possibile,» ammise Vickers, «ma proprio non riesco a crederci. Non dubito che sia possibile costruire una macchina capace di durare molto di più di quelle che fanno adesso. Se ne parla da un sacco di tempo, e sono pronto ad ammettere che le industrie, se si mettessero a lavorare sodo, potrebbero dare dei modelli molto migliori, più resistenti e più economici, e magari anche a un prezzo inferiore. Ma non posso credere che vogliano fare una cosa simile. Se le facessero troppo bene, le loro macchine, la gente non dovrebbe più cambiarle. È chiaro che un costruttore, a meno che fosse ammattito, non fabbricherebbe mai una macchina che durasse in eterno. Si rovinerebbe con le proprie mani. Tanto per cominciare, dovrebbe costare una pazzia…»
«È qui che ti sbagli,» gli disse Eb. «Millecinquecento sacchi, ecco cosa ti fanno pagare. Niente accessori extra. Te la danno completa, fatta e finita, per millecinquecento sacchi.»
«Allora immagino che non sarà molto bella.»
«È la macchina di maggior classe che si sia mai vista in giro. Il tizio che è stato qui ne guidava una, e l’ho guardata bene. Tutti i colori che vuoi. Cromature e acciaio inossidabile in abbondanza. Tutti gli accessori più moderni. E va… cribbio, va che è uno splendore. Ma forse ci vorrà un po’ di tempo per abituarci. Sono andato per aprire il cofano e dare un’occhiata al motore, e, pensa!, il cofano non si apriva. ’Cosa fa?’ mi ha chiesto il tizio, e io gli ho detto che volevo vedere il motore. ’Non ce n’è bisogno,’ ha detto lui. ’Non si guasta mai. Non ha bisogno di arrivarci.’ ’Ma allora,’ gli ho domandato io, ’Dove si mette l’olio?’. E sai cosa mi ha risposto? Be’, mi ha detto che l’olio non si mette. ’Basta metterci la benzina,’ ha detto.» Eb fece una pausa. «Sai, me ne arriverà una dozzina, tra un giorno o due,» finì Eb. «Sarà meglio che ne tenga da parte una per te.»
Vickers scosse il capo.
«È un momento che sono un po’ a secco, Eb.»
«Ecco, c’è anche questo. La casa ti valuta bene la macchina vecchia che dai dentro. Pensa che potrei darti un migliaio di sacchi per quel tuo vecchio catorcio.»
«Non li vale, Eb.»
«Lo so che non li vale. Il tizio mi ha detto, ’Le valuti più del loro valore effettivo. Non stia a fare lo spilorcio, paghi il massimo, offra più di quello che chiedono, e aumenti ancora l’offerta. Ci penseremo noi a rifonderla.’ A pensarci bene, questo non mi sembra un modo molto furbo di fare gli affari, ma se a loro sta bene così, io non ho niente da obiettare.»
«Dovrei pensarci.»
«Così dovresti pagare soltanto cinquecento sacchi. E neanche quello è un problema, perché posso farti delle facilitazioni. Il tizio ha detto che devo farle. Pagamenti dilazionati, e altri sconti. Ha detto che a loro non interessa tanto il denaro, adesso, quanto mettere in circolazione un po’ di automobili Aeterna. Vuole cominciare a vederle dappertutto, sulle autostrade.»
«Sai, a pensarci bene è una cosa che non mi dice niente di buono,» protestò Vickers. «Una casa che da un giorno all’altro, senza preavviso, ti salta fuori con una macchina nuova di zecca, che sembra uscita dal paese delle meraviglie. Nessuno ha detto niente, silenzio assoluto. I giornali avrebbero dovuto parlarne. Se io lanciassi sul mercato un’auto nuova, riempirei l’intero paese di pubblicità: pagine intere sui giornali, caroselli televisivi, cartelloni a ogni chilometro…»
«Be’, vedi,» disse Eb, «Anch’io avevo pensato lo stesso. Ho detto: ’Voi volete che io venda questa macchina, ma come faccio, se non la pubblicizzate? Come la vendo, se nessuno ne sa niente?’ E quello ha risposto che avevano pensato che l’auto era così perfetta che tutti ne avrebbero parlato. Ha detto che non c’è pubblicità migliore di quella diretta, capillare. Ha detto che preferiscono risparmiare il danaro che investirebbero nella pubblicità, e ridurre il costo della macchina. Ha detto che non c’era motivo di far pagare al consumatore il costo di una campagna pubblicitaria.»
«Veramente, non riesco a capire.»
«Può sembrare strano,» ammise Eb. «ma quei tizi non metterebbero fuori l’auto Aeterna se ci perdessero: puoi scommetterci anche la camicia. Altrimenti, sarebbero dei pazzi. E se non ci perdono, riesci ad immaginare quello che hanno guadagnato in tutti questi anni le altre case, a vendere a due, tre, cinquemila dollari dei catorci che vanno a pezzi la seconda volta che vai in giro? Ti vengono i brividi, al pensiero di tutto quello che hanno guadagnato, no?»
«Quando ti arriveranno queste nuove macchine,» disse Vickers, «verrò a dare un’occhiata. Sai, potremmo anche metterci d’accordo.»
«Certo,«disse Eb. «Puoi stare sicuro. Hai detto che volevi andare in città?»
Vickers annuì.
«Ormai dovrebbe arrivare l’autobus da un momento all’altro,» disse Eb. «Puoi prenderlo all’angolo del drugstore. Ci arriverai in un paio d’ore. Gli autisti ci danno dentro come matti.»
«Già, potrei prendere l’autobus. Non ci avevo pensato.»
«Sai, mi dispiace per la macchina,» disse Eb. «Se avessi saputo che ne avevi bisogno, l’avrei riparata, puoi scommetterci. Sono sicuro che era una cosa da poco. Ma ieri è venuto quel tizio, come ti ho detto, e volevo sapere cosa ne pensavi di questa occasione, prima di farti spendere dei soldi.» Scosse il capo. «Con quello che costano oggi i pezzi di ricambio… sai, più ci penso, più mi domando che cosa avranno guadagnato fino ad oggi le case automobilistiche. Una pazzia, ci scommetto. Proprio una pazzia…»
L’angolo del drugstore sembrava quasi irriconoscibile, e mentre si avviava da quella parte, Vickers se ne chiese il perché. Dapprima fu solo una sensazione, perduta tra la perplessità nata dalla descrizione della nuova, portentosa macchina di Eb, e la vaga delusione al pensiero di non poter giustificare di fronte a se stesso una rinuncia al viaggio in città. Poi, quando arrivò vicino, Vickers capì il motivo della sua impressione iniziale.
Diverse settimane prima il vecchio Hans, il calzolaio, si era ammalato ed era morto; e il suo negozietto, che stava vicino al drugstore da tanti anni che nessuno, in paese, ricordava quanti fossero, era stato chiuso.
E adesso era riaperto… o, almeno, la vetrina era stata lavata, cosa che il vecchio Hans non si era mai preso il disturbo di fare in tutti quegli anni, e c’era in mostra qualcosa. E c’era anche l’insegna. Vickers era stato così intento a cercare di capire cos’aveva di strano la vetrina, che non aveva visto l’insegna fino a quando non vi era arrivato proprio davanti. L’insegna era nuova, dipinta a caratteri regolari, e diceva CASALINGHI.
Vickers si fermò davanti alla vetrina, e guardò quello che c’era esposto. Sul piano era stato messo uno strano velluto nero, e sul velluto stavano tre oggetti: un accendino, una lametta da rasoio e una lampadina elettrica. Nient’altro.
Soltanto quei tre oggetti. Non c’erano cartellini, né scritte pubblicitarie, né prezzo. Non erano necessari. Chiunque vedesse la vetrina, pensò Vickers, avrebbe riconosciuto gli oggetti esposti, anche se il negozio non vendeva soltanto quelli. Certamente c’erano almeno un paio di dozzine di altri tipi… ciascuno eccezionale ed efficiente come i tre che stavano sul velluto nero.
Si sentì un ticchettio lungo il marciapiedi, e Vickers si voltò, quando il suono si avvicinò a lui. Era il suo vicino Horton Flanders, che faceva la solita passeggiata mattutina, con quei suoi abiti un po’ logori ma spazzolati meticolosamente, e l’elegante bastone di malacca. Nessun altro, si disse Vickers, avrebbe avuto il coraggio di portare un bastone da passeggio per le vie di Cliffwood.
Il signor Flanders lo salutò con il bastone, e gli si avvicinò, per guardare la vetrina.
«Dunque si espandono,» disse.
«A quanto pare,» riconobbe Vickers.
«Una compagnia davvero bizzarra,» disse il signor Flanders. «Forse saprà, anche se credo che non lo sappia, che questa società mi interessa moltissimo, e ne ho seguito l’evolversi con grande attenzione. Per pura curiosità, vede. Potrei anche aggiungere, naturalmente, che la mia curiosità si estende a un sorprendente numero di cose, molto diverse tra loro.»
«Non l’avevo notato,» disse Vickers.
«Oh, ma sì,» disse il signor Flanders. «Moltissime cose, davvero. I carboidrati, per esempio. Una faccenda veramente sconcertante, non pare anche a lei, signor Vickers?»
«Be’, confesso di non averci fatto molto caso. Ho avuto tanto da fare che, purtroppo…»
«C’è sotto qualcosa,» disse il signor Flanders. «Glielo assicuro io.»
L’autobus arrivò, li superò e frenò, fermadosi all’angolo del drugstore.
«Mi dispiace molto, ma devo andare, signor Flanders,» disse Vickers. «Vado in città. Se riesco a tornare stasera, perché non mi viene a trovare?»
«Oh, verrò senz’altro,» rispose il signor Flanders. «Lo faccio quasi sempre.»