Quando ritornò sui suoi passi, trovò che la situazione, apparentemente, si era normalizzata… per quanto fosse possibile dire così.
La strada era chiusa al traffico e i poliziotti la sorvegliavano, sebbene ce ne fosse poco bisogno, a quanto pareva, perché la folla era ordinata. L’auto stava in mezzo alla strada, dove l’aveva vista l’ultima volta, ammaccata e sfasciata, con le ruote all’aria, come una mucca morta in un campo di granoturco. I vetri a pezzi erano sparsi sull’asfalto, e scricchiolavano sotto ai piedi della gente che si muoveva. Piccole ondate di movimento percorrevano la folla, un movimento represso, continuo, fatto in parti uguali di eccitazione, di aspettativa, e di curiosità. Le ruote erano piegate, i pneumatici erano stati asportati; e la gente stava intorno a guardare.
Vickers si mescolò alla folla, avvicinandosi alla macchina sulla quale aveva viaggiato fino a poco tempo prima, inconsapevole se non attraverso quel senso precario e ancora senza nome del pericolo che correva a ogni chilometro della strada. La portiera anteriore, notò, era stata scardinata, e aperta, ed era incuneata contro l’asfalto, e c’era una vaga possibilità, si disse, che la trottola ci fosse ancora.
Se c’era, doveva escogitare un modo per recuperarla. Forse poteva inginocchiarsi per terra, fingendo di guardare incuriosito il cruscotto o i comandi. Avrebbe detto agli altri, intorno, com’era diverso il cruscotto da quello di un’automobile normale e magari avrebbe potuto infilare dentro una mano, e tirare fuori la trottola e nascondersela sotto la giacca senza che nessuno se ne accorgesse.
Si aggirò intorno al rottame, guardandolo a bocca aperta con un’aria che si augurava fosse oziosamente curiosa, e parlò un poco con gli altri, scambiando i soliti commenti banali che si scambiano con i propri vicini in una folla incuriosita e scossa da qualcosa d’insolito e inatteso.
Fece il giro, fino a quando arrivò accanto alla portiera e si accosciò, e guardò l’interno della macchina e non riuscì a vedere la trottola. Restò lì, acquattato a guardare, girando il collo, e disse a quelli che gli stavano vicino che il cruscotto era diverso e si meravigliò della sistemazione del cambio, ma intanto continuava a cercare con gli occhi la trottola.
Ma la trottola non c’era.
Vickers si rialzò e si mescolò alla folla, scrutando l’asfalto, perché poteva darsi che la trottola fosse caduta dalla macchina rotolando via. Forse era ruzzolata nella cunetta ed era rimasta lì. Cercò delle cunette, ai due lati della strada, per un buon tratto, e la trottola non c’era.
Dunque era scomparsa… scomparsa prima che lui avesse potuto metterla alla prova, e ora non avrebbe mai saputo se era in grado di portarlo nella terra incantata.
Lui c’era andato due volte, nella terra incantata: una volta da bambino e una seconda volta quando aveva passeggiato in una certa valle insieme a una ragazza che si chiamava Kathleen Preston. Aveva passeggiato insieme a lei in una valle fatata che non poteva essere stata altro che un’altra terra incantata e poi era ritornato a trovarla e si era sentito rispondere che lei se ne era andata, e si era allontanato dalla porta, aveva attraversato pesantemente il portico.
Un momento, si disse, un momento! Si era veramente allontato dalla porta, aveva attraversato pesantemente il portico?
Vickers si sforzò di ricordare e, vagamente, rivide tutto: l’uomo che, sottovoce, gli aveva detto che Kathleen se n’era andata e poi aveva aggiunto: «Ma perché non entri, ragazzo mio? Ho qualcosa da farti vedere.»
Lui era entrato, e si era fermato nel grande atrio pieno d’ombre pesanti, con i quadri alle pareti e la massiccia scala curvilinea che saliva ai piani superiori, e l’uomo aveva detto…
Che cosa aveva detto?
Ma era accaduto davvero?
Perché un’esperienza simile, un episodio che avrebbe dovuto ricordare infallibilmente, gli tornava alla memoria dopo tanti anni di oblio, come il ricordo perduto della sua avventura infantile nella terra incantata era tornato a lui dopo tanto tempo?
Era vero o non era vero?
Lui non poteva giudicarlo, si disse.
Si voltò e si avviò lungo la strada, passando davanti al poliziotto che stava appoggiato a un muro e faceva dondolare lo sfollagente, sorridendo alla folla.
In un lotto vuoto, c’erano dei bambini che giocavano, e Vickers si fermò a guardarli. Una volta aveva giocato così anche lui, senza pensare al tempo o al destino, senza pensare ad altro che alle ore felici di sole, e alla gioia effervescente del vivere. Il tempo non esisteva, e le decisioni valevano per un momento soltanto, al massimo per un’ora. Ogni giorno continuava in eterno, e vivere non aveva mai fine…
C’era un bambinetto che se ne stava seduto in disparte da tutti gli altri: teneva qualcosa sulle ginocchia e lo rigirava, l’ammirava, felice di possedere un nuovo giocattolo meraviglioso.
All’improvviso lo gettò in aria e l’afferrò al volo, e il sole balenò sui colori e Vickers, quando vide che cos’era, trattenne il respiro.
Era la trottola!
Lasciò il marciapiedi e si avviò verso il lotto.
I bambini intenti a giocare non lo notarono, o almeno non gli badarono, come tutti i giovanissimi per i quali l’adulto non esiste, oppure è solo un personaggio fantasma, uscito da un mondo irreale e poco amato.
Vickers si fermò davanti al bambino che aveva la trottola.
«Ciao, figliolo.»
«Ciao, tu.»
«Che cos’hai?»
«L’ho trovata,» disse il bambino.
«È molto carina,» disse Vickers. «Vorrei comprarla.»
«Non la vendo.»
«Te la pagherei bene,» disse Vickers.
Il bambino alzò la testa, interessato. «Bene, quanto?»
«Bene,» rispose Vickers.
«Abbastanza per comprarmi la bibcicletta nuova?»
Vickers si frugò in tasca e tirò fuori il sottile rotolo di biglietti di banca… quello che gli rimaneva del vaglia telegrafico che Ann gli aveva spedito. Era una somma considerevole, per un bambino, pensò Vickers. Era una somma molto alta, per una trottola.
«Caspita!…»
Con la coda dell’occhio, Vickers scorse il poliziotto fermo sul marciapiedi a osservarlo. Il poliziotto avanzò di un passo verso il lotto vuoto.
«Ecco,» disse Vickers. «Potrai comprarti quello che vuoi, con questi.»
Afferrò la trottola, e gettò le banconote piegate sulle ginocchia del bambino. Poi si raddrizzò e corse via, dirigendosi verso il vicolo.
«Ehi!» gridò il poliziotto.
Vickers continuò a correre.
«Ehi! Fermo o sparo!»
Risuonò un colpo di pistola, e Vickers sentì il sibilo acuto di una pallottola passargli sopra la testa. Il poliziotto non poteva avere indovinato cosa stava facendo né chi era, ma il giornale del mattino doveva avere spaventato tutti, doveva avere lasciato tutti sconvolti e nervosi.
Forse lo aveva scambiato per uno che insidiava i bambini, vededogli tirare fuori il denaro. Forse non gli era piaciuto l’aspetto di Vickers. O forse, semplicemente, non gli era piaciuto che lui non si fosse fermato a dare spiegazioni sul suo comportamento.
Vickers non si fermò a dare spiegazioni.
Raggiunse il primo edificio del vicolo, gli girò attorno.
Non poteva rimanere lì, e lo sapeva, perché quando il poliziotto avrebbe girato l’angolo a sua volta, lui sarebbe stato un bersaglio fisso. E dopo quello che era accaduto, non sarebbe stato improbabile che il poliziotto decidesse di sparare prima, e di continuare poi a fare le domande… e a darsi le risposte.
Per un momento, pensò che era stato impulsivo a fuggire. Ma come avrebbe potuto spiegare la verità? Come avrebbe potuto convincere il poliziotto che lui, un adulto, apparentemente sano di mente, era disposto a pagare tanti soldi per una trottola che valeva sì e no pochi centesimi?
Era fuggito dal suo paese perché lo avevano accusato di avere ucciso un vecchietto innocuo, e ora un poliziotto lo inseguiva perché pensava che lui avesse insidiato un bambino, e adesso che cosa doveva fare?
Si infilò in uno stretto passaggio tra due edifici e in quel momento si rese conto di avere svoltato nella direzione sbagliata, perché il passaggio l’avrebbe ricondotto sulla strada dove giaceva la macchina sfasciata.
Vide la finestra aperta di una cantina, e senza neppure pensarci, seppe che era la sua sola speranza. Calcolò le distanze e si slanciò a piedi in avanti, attraverso la finestra. Il davanzale gli urtò contro la schiena, e sentì il fuoco del dolore corrergli lungo il corpo, poi batté la testa contro qualcosa, e la cantina era un luogo di tenebra, pieno di un milione di stelle. Piombò lungo disteso, senza fiato, e la trottola gli volò via di mano, rimbalzò sul pavimento.
Vickers si sollevò sulle mani e sui piedi e si lanciò all’inseguimento della trottola, incurante del dolore, e riuscì ad abbrancarla. Trovò una tubatura dell’acqua, l’afferrò, si rimise in piedi. C’era un punto, nella schiena, che gli bruciava, e la testa gli ronzava per la violenza dell’urto. Ma era al sicuro, almeno per un po’.
Il poliziotto avrebbe potuto accorgersi della finestra, qualcuno avrebbe potuto accorgersi di quanto era accaduto… ma qualcosa gli diceva che lui, almeno per il momento, era al sicuro. Non avrebbe saputo dare un nome a quella sensazione. Ancora una volta, lui sapeva.
Trovò una scala, salì, e si trovò nel retrobottega di un negozio di ferramenta. Era pieno di rotoli ammucchiati di rete metallica, di altri rotoli di carta catramata, di scatoloni di cartone, balle di gomitoli di spago, tubi di stufa, stufe ancora imballate, rotoli di corda.
Sentì della gente che si muoveva nel negozio, ma non si vedeva nessuno. Si nascose dietro a una stufa imballata: dalla finestra sopra di lui scendeva un raggio di luce, e si trovò rannicchiato in una gora di luce.
Fuori, nel vicolo, sentì un suono di passi precipitosi che si allontanavano, e in distanza voci di uomini che gridavano. Si acquattò, stringendosi contro la cassa grezza della stufa, cercò di trattenere il respiro ansimante, temendo che qualcuno entrando nel retrobottega potesse udirlo.
Doveva trovare il modo di andarsene, lo sapeva, perché se fosse rimasto lì avrebbero finito per scovarlo. Avrebbero incominciato a rastrellare la zona, poliziotti e cittadini insieme. E ormai dovevano avere capito a chi stavano dando la caccia. Il bambino avrebbe detto di avere trovato la trottola vicino all’automobile, e allora qualcuno avrebbe ricordato di averlo visto parcheggiare, e la cameriera del ristorante si sarebbe rammentata di lui. Partendo da tanti, piccoli frammenti d’informazione, avrebbero capito che il fuggiasco era l’uomo cui avevano sfasciato l’auto Aeterna.
Vickers si chiese che ne sarebbe stato di lui, quando l’avessero scovato. Ricordò la notizia proveniente da St. Malo, l’uomo impiccato a un lampione con un cartello appuntato sul petto.
Se ricordava il silenzio rabbioso con cui quegli uomini avevano sfasciato la macchina, quell’uomo impiccato a un lampione non pareva più così lontano, così remoto come capitava con le notizie di giornale che riguardavano un paese straniero, separato dal proprio da migliaia di chilometri e dall’Oceano.
Ma non c’era modo di fuggire. Lui era in trappola. E così, per il momento, non poteva fare nulla.
Non poteva sgattaiolare nel vicolo, perché certamente lo aspettavano là. Poteva ridiscendere in cantina, ma non era un rifugio migliore di quello attuale. Poteva uscire nel negozio e fingere di essere un cliente, e poi ritornare sulla strada, facendo del suo meglio per sembrare un normale cittadino capitato lì per dare un’occhiata a un fucile o a un attrezzo che si augurava di poter comprare. Ma dubitava di potercela fare.
Quindi l’illogicità non serviva a nulla, tutto sommato. La logica e la ragione avevano tuttora la meglio, erano ancora i fattori che regolavano le vite umane.
Non c’era modo di fuggire da quel nido assolato dietro la stufa imballata.
Non c’era modo di fuggire, a meno che…
Aveva ritrovato la trottola. Aveva la trottola lì con lui.
Non c’era modo di fuggire… a meno che la trottola funzionasse, non c’era modo di fuggire.
Appoggiò la punta della trottola sul pavimento e la fece girare lentamente, premendo il manico. La trottola acquistò velocità; Vickers pompò più forte. La lasciò andare, e quella ruotò, fischiando. Si rannicchiò davanti al giocattolo e guardò le strisce colorate. Le vide comparire e le seguì all’infinito e si chiese dove andassero. Concentrò a forza l’attenzione sulla trottola, fino a quando non vide più niente altro.
Non servì a nulla. La trottola barcollò e lui tese la mano e la fermò.
Tentò di nuovo.
Doveva essere come un bambino di otto anni. Doveva ritornare di nuovo all’infanzia. Doveva sgombrare la propria mente, spazzare via tutti i pensieri da adulto, tutte le preoccupazioni da adulto, tutte le complicazioni. Doveva ridiventare bambino.
Pensò di giocare nella sabbia, di sonnecchiare sotto gli alberi, pensò al contatto della polvere morbida sotto ai piedi nudi. Chiuse gli occhi e si concentrò, e recuperò la visione dell’infanzia, e il suo colore e il suo profumo.
Aprì gli occhi e guardò le strisce e si riempì la mente di stupore, e si chiese perché c’erano e dove andavano, quando scomparivano.
Non servì a nulla. La trottola ondeggiò, e lui la fermò.
Un pensiero frenetico s’incuneò nella sua coscienza. Non aveva molto tempo. Doveva affrettarsi.
Scacciò quel pensiero molesto.
Un bambino non aveva il concetto del tempo. Per il bambino, il tempo continuava in eterno. Lui era un bambino, e aveva tutto il tempo del mondo e possedeva una trottola nuova di zecca.
Una trottola meravigliosa.
La fece girare di nuovo.
Conobbe di nuovo la sicurezza di una casa e di una madre amatissima, e i giocattoli sparsi sul pavimento, e i libri di favole che la nonna gli avrebbe letto quando sarebbe ritornata a trovarlo. E guardò la trottola, con un semplice stupore infantile… guardò le strisce che salivano e scomparivano, salivano e scomparivano, salivano e scomparivano…
Cadde giù, di una trentina di centimetri, e urtò il suolo, e si trovò seduto su di una collina, e la terra si stendeva davanti a lui per miglia e miglia e miglia, una terra deserta d’erba ondeggiante e di boschetti, e lontano, lontano, si snodava un fiume tortuoso.
Abbassò gli occhi, e ai suoi piedi c’era la trottola, che ruotava lentamente e si fermava con un ultimo sussulto.