35

Vickers non vide l’uomo fino a quando quello gli rivolse la parola.

«Buongiorno, forestiero,» disse qualcuno, e Vickers si girò di scatto. L’uomo era lì, a pochi passi da lui, alto, forte, vestito come un bracciante, ma sulla testa portava una gaio berretto a punta, con una piuma colorata.

Benché il suo abbigliamento fosse così semplice, rozzo, l’uomo non aveva l’aspetto del contadino, ma piuttosto una gaia autosufficienza che ricordò a Vickers qualcuno di cui aveva letto la storia: cercò di pensare chi gli ricordava, ma non riuscì, sul momento, a trovare l’identificazione.

L’uomo portava sulle spalle, fissata a una cinghia, una faretra piena di frecce, e in mano teneva un arco. Due giovani conigli gli penzolavano privi di vita dalla cintura, e il sangue aveva macchiato un po’ i calzoni. C’era qualcosa del cacciatore, in quella figura, c’era qualcosa che parlava di ricordi di un tempo scomparso, di letture dell’infanzia e di personaggi immersi in un ambiente simile a quello nel quale si ritrovava. Era strano che lui non ricordasse.

«Buongiorno,» fece Vickers, laconico.

Non gli piaceva, l’apparizione di quell’uomo che pareva schizzato fuori dal nulla, quando lui aveva creduto di essere solo con i propri pensieri e con la propria mente e con il peso delle rivelazioni che aveva avuto.

Provò un senso d’irritazione, per un momento, qualcosa che si associava alla sua incapacità d’identificare lo sfuggente ricordo del personaggio al quale l’uomo assomigliava, e, per metà, alla sua comparsa improvvisa in quel luogo di silenzi.

«Lei è un altro,» disse l’uomo.

«Un altro?»

L’uomo rise, allegramente, una risata che fece vibrare il silenzio di quel luogo.

«Ne troviamo uno ogni tanto,» spiegò. «Qualcuno che è passato alla cieca e arriva qui e si guarda intorno e non sa dove si trova. Mi sono chiesto spesso che fine facevano, prima che noi ci stabilissimo qui, e che fine fanno, quando escono fuori molto lontano dai luoghi abitati.»

«Non so di cosa stia parlando.»

«Un’altra cosa che lei non sa,» disse l’uomo, «è dove si trova.»

«Ho una teoria in proposito,» disse Vickers. «Questa è una seconda Terra.»

L’uomo ridacchiò.

«C’è andato molto vicino,» disse. «È meglio della maggioranza degli altri. Quelli vanno in giro alla cieca, a bocca aperta, e non ci credono, e quando noi diciamo loro che questa è la Terra numero Due se ne stanno a guardarci con l’espressione di chi si trova di fronte a un pazzo, o ha paura di essere preso in giro.»

«Esatto,» disse Vickers. «La Terra numero Due, vero? E la Terra numero Tre?»

«È là, e aspetta che ne abbiamo bisogno. Mondi senza fine, in attesa che abbiamo bisogno di loro. Possiamo continuare a fare i pionieri per generazioni e generazioni. Una terra nuova per ogni generazione, se fosse necessario, una terra vergine e pulita e in attesa… anche se loro dicono che non ne avremo bisogno tanto presto, che qui abbiamo tutto lo spazio che possiamo desiderare.»

«Loro?» domandò Vickers, e la sua voce si fece dura, assumendo un’intonazione di sfida. «Chi sono loro?»

«I mutanti,» rispose l’uomo, tranquillamente. «Quelli di qui vivono nella Grande Casa. Non ha visto la Grande Casa?»

Vickers scosse il capo, guardingo.

«Deve proprio esserle sfuggita, quando è venuto dalla cresta. Un grande edificio di mattoni circondato da una staccionata bianca, e da altre costruzioni che sembrano stalle ma non lo sono.»

«Non sono stalle e lo sembrano?» domandò Vickers.

«No,» disse l’uomo. «In realtà, sono laboratori ed edifici sperimentali, dove si svolgono tutti i lavori di ricerca e moltissime altre cose, e ce n’è uno che è speciale, perché è completamente attrezzato per l’ascolto.»

«Per l’ascolto?» disse Vickers. «E perché dovrebbe esserci qualcosa di speciale in un posto attrezzato per l’ascolto? Mi sembra che si possa ascoltare dappertutto. Io e lei possiamo ascoltare senza bisogno di un posto speciale.»

«Loro ascoltano le stelle,» disse l’uomo.

«Ascoltano…» cominciò Vickers, e poi s’interruppe, perché un’immagine si era presentata davanti agli occhi della sua mente, ed era l’immagine di Flanders, seduto sotto il portico a Cliffwood, mentre si dondolava sulla sedia e diceva che nelle stelle esistevano patrimoni immensi di conoscenza, che vi si poteva attingere, e che forse non c’era bisogno di astronavi per arrivarci e per prenderli, e si poteva tendere la mente, e poi bisognava setacciare e selezionare, e molte cose avrebbero potuto essere inutili o incomprensibili, ma in mezzo ci sarebbero state altre cose utili e indispensabili. E tutte queste cose Flanders le aveva dette mentre le stelle avevano scintillato nel cielo, ma certamente le stelle di quell’altra Terra erano più pulite e più grandi e più nuove, e più vicine.

«Telepatia?» domandò Vickers.

«Infatti,» approvò l’uomo. «Vede, loro non ascoltano realmente le stelle, ma la gente che vive tra le stelle. Non è la cosa più strana che si sia mai sentita… ascoltare le stelle?»

«Sì, penso di sì,» disse Vickers. «È la cosa più strana che si sia mai sentita.»

«Se ne stanno là, e ascoltano, e prendono le idee di quella gente, le idee che vengono dai mondi delle stelle. Non parlano con quelli di lassù… almeno non credo. Si limitano ad ascoltarli. Captano alcune delle cose che essi pensano, e delle cose che sanno, e una parte di quello che ascoltano possono utilizzarlo, e una parte molto più grande non ha proprio senso, o non ha senso adesso, anche se potrà averne in futuro, così almeno dicono. Le potrà sembrare una cosa bizzarra, immagino, ma è la verità, mi creda, signor…»

«Mi chiamo Vickers. Jay Vickers.»

«Be’, lieto di conoscerla, signor Vickers. Io mi chiamo Asa Andrews.»

Si fece avanti, tendendo la mano, e Vickers la prese: la stretta fu salda, sicura.

E in quel momento Vickers comprese dove aveva letto qualcosa di quell’uomo, perché la sua figura gli era stata vagamente familiare, e l’aveva associata ad altre cose che sul momento non era stato capace d’identificare. E capì di non avere identificato la persona, ma quello che la persona significava, presa come simbolo di un’epoca e di un periodo e di qualcosa che nessuno era stato capace d’isolare, ma che esisteva, e molti avevano descritto.

Davanti a lui stava un pioniere americano, l’uomo armato di un lungo fucile, che veniva dalla costa e si avventurava nei territori di caccia del Kentucky. Ne aveva la sicurezza, l’indipendenza, la buona volontà e la pronta intelligenza, la costante fiducia in se stesso. Quel pioniere del quale parlavano tante storie, l’uomo desideroso di nuovi orizzonti e di terre vergini, pronto a credere nelle cose essenziali, pronto ad accettare tutto ciò che era buono e a non chiudere i propri occhi di fronte alla verità, per quanto strana essa potesse sembrare.

E lì, nelle foreste della Terra numero Due, c’era un altro tipo di pioniere, solido e indipendente, un uomo che poteva essere un buon amico.

Il senso d’irritazione scomparve, insieme alla diffidenza.

«I mutanti devono essere quelli che mettono in vendita le lamette per la barba eterne e tutta l’altra roba nei negozi di casalinghi,» disse Vickers.

«Lei capisce tutto al volo,» disse Andrews. «Fra un giorno o due andremo alla Grande Casa, e potrà parlare con loro.»

L’uomo si passò l’arco da una mano all’altra.

«Senta, Vickers, lei non ha lasciato qualcuno laggiù? Magari moglie e figli?»

«Nessuno,» disse Vickers. «Non ho lasciato anima viva.»

«Bene, allora è tutto a posto. Se avesse lasciato qualcuno, saremmo andati subito alla Grande Casa e glielo avremmo detto, e loro avrebbero portato qui sua moglie e i bambini. È l’unico particolare di questo posto. Quando si arriva qui, non si può tornare indietro. Anche se non so proprio perché qualcuno dovrebbe avere voglia di tornare. A quanto ne so io, non c’è ancora stato nessuno che ne abbia avuto voglia.»

Squadrò Vickers dalla testa ai piedi, reprimendo a stento una risata.

«Lei mi sembra piuttosto magro,» disse. «Non deve avere mangiato molto bene, in questi ultimi tempi.»

Anche Vickers sorrise, perché l’uomo non aveva riso di lui, ma con lui, e questo era importante. Disse:

«Non molto bene, infatti. Soltanto pesci e qualche capo di selvaggina che ho trovato. E bacche, molte bacche.»

L’uomo rise apertamente, allora, e scrollò il capo.

«La mia vecchia dovrebbe avere la pentola sul fuoco, ormai. Le riempiremo a dovere lo stomaco, toglieremo di mezzo quel barbone, dirò ai ragazzi di scaldare un po’ d’acqua in modo che lei possa fare il bagno, e poi ci metteremo seduti tranquilli e parleremo un poco. Abbiamo parecchie cose da dirci.»

Senza aspettare una risposta, Andrews s’incamminò, seguito da Vickers, passando tra gli alberi giganteschi.

Giunsero al limitare di un campo, verdeggiante di granturco che cresceva lucido e rigoglioso, muovendosi quieto nella brezza legera.

«Laggiù c’è la mia casa,» disse Andrews, «Là, in fondo alla valletta. Vede il fumo?»

«Ha un bellissimo campo di granturco,» disse Vickers.

«Per il quattro di luglio arriverà già al ginocchio. E laggiù c’è la casa di Jake Smith. Può vederla anche da qui, se guarda bene. E dietro quel dosso ci sono i campi di John Simmons. Ci sono anche degli altri, diversi altri, ma da qui non si possono vedere le loro case.»

Scavalcarono il recinto di filo spinato e attraversarono il campo, passando tra i filari del granturco.

«Qui non è come sulla Terra,» disse Andrews. «Là lavoravo in una fabbrica e abitavo in un posto che sarebbe andato bene appena appena per i porci. Poi la fabbrica ha chiuso, e io sono rimasto senza lavoro e senza quattrini. Ci ho pensato su, e finalmente sono andato da quelli dei carboidrati, e in quel modo ho potuto dare da mangiare alla mia famiglia. Senza di loro non avrei potuto sbarcare il lunario, ma non bastava avere perduto il lavoro e tutto il resto… dopo qualche tempo il padrone di casa ci ha buttati fuori, e ci siamo trovati senza un tetto sopra la testa; e per quanto fosse più simile a un porcile che a una casa, quella che avevamo offriva sempre un tetto, e una famiglia non può starsene senza una casa. Così, visto che quelli dei carboidrati erano stati così gentili con me, ho pensato di rivolgermi di nuovo a loro, per spiegare i miei problemi e raccontare quello che era successo. Non sapevo cosa potevano fare, naturalmente. Se devo essere franco, non speravo neppure che potessero fare qualcosa, perché ci avevano già aiutati più di quanto avrebbero dovuto. Più che altro, ci sono andato perché volevo parlare dei miei problemi con qualcuno che fosse in grado di ascoltare… non volevo assistenza, né aiuti, perché un uomo deve guadagnarsi da vivere con le proprie mani, ma c’è qualcosa che neppure con i milioni si può comprare, e quella è la possibilità di raccontare i propri problemi a qualcuno che ti stia ad ascoltare, e ti possa capire. E, vede, quelli dei carboidrati erano gli uomini ai quali sapevo di potermi rivolgere. E così, io sono stato da loro, e dopo un paio di giorni è venuto uno e ci ha parlato di questo posto… però, naturalmente, non ci ha detto cos’era in realtà.»

E come avrebbe potuto dirtelo, pensò Vickers, camminando al suo fianco tra i filari di granoturco, respirando l’aria di quel mondo vergine e nuovo che pareva così adatto, così meravigliosamente adatto agli uomini, come avrebbe potuto dirtelo senza fartelo vedere? Eppure lui te ne ha parlato, ed è stato come ai vecchi tempi, quando qualcuno veniva a parlare dei nuovi orizzonti e delle nuove terre a qualcuno che non li aveva visti, e le navi salpavano, le carovane si avviavano, e la gente veniva spinta da quel qualcosa che non si può definire.

«Non ce l’ha detto,» proseguì Asa Andrews, camminando più lentamente, «Ma ha semplicemente spiegato che c’era un posto nel quale servivano degli agricoltori, gente capace di lavorare e di rimboccarsi le maniche. Un territorio nuovo, ha detto, aperto molto di recente alla colonizzazione, nel quale c’era terra gratis per tutti, e un aiuto per incominciare, un posto dove avrei potuto guadagnarmi da vivere e avere una casa vera invece di un buco di appartamento in un casermone puzzolente, e io ho risposto che saremmo andati. Sul momento non mi sono neppure chiesto dove ci fosse della terra buona, al mondo, dove fosse rimasto un nuvo territorio aperto da poco alla colonizzazione. Gli ho risposto di sì, e lui ci ha avvertiti che, se andavamo, non avremmo più potuto tornare indietro. Allora io gli ho risposto, chi poteva aver voglia di tornare, se aveva la testa a posto? Proprio con queste parole. Ho detto che non m’importava sapere dov’era, in capo al mondo o su un altro mondo o all’inferno, a patto che fosse come lo aveva descritto… perché in questo caso, noi eravamo decisi a partire. Ed eccoci qua.»

«Non si è mai pentito?» domandò Vickers. «Non le sono mai venuti dei dubbi sulla decisione che ha preso?»

«Dei dubbi? È la fortuna più grande che ci sia mai capitata,» disse Andrews. «Aria buona per i ragazzi e da mangiare in abbondanza, e una casa nostra, senza padroni di casa che ci possano sbattere fuori. Niente da pagare, niente tasse. Proprio come sui libri di storia.»

«I libri di storia?»

«Sicuro. Come quando l’America era stata scoperta da poco e arrivarono i pionieri. Terra per tutti, terra in abbondanza, da rotolarcisi dentro, e ricca, così ricca che basta grattare un po’ il suolo e buttarci qualche seme per avere un raccolto. Una terra da coltivare e legna da ardere e per costruire, e la sera si può uscire a guardare il cielo, e il cielo è pieno di stelle, e l’aria così pulita e pura che frizza nel naso quando la si respira.»

Andrews si voltò a guardare Vickers con occhi scintillanti.

«È stata la cosa più bella che mi sia mai capitata,» disse, come se lo sfidasse a contraddirlo.

«Ma questi mutanti,» chiese Vickers, «non vi danno fastidi? Non la fanno da padroni?»

«Non fanno altro che aiutarci. Ci mandano un robot a darci una mano per il lavoro quando ne abbiamo bisogno, e ci mandano un robot che sta con noi nove mesi all’anno per fare scuola ai ragazzi. Pensi, un robot insegnante per ogni famiglia! Non è splendido? Un insegnante privato, come gli istitutori che sulla Terra possono permettersi soltanto i ricconi.»

«E i mutanti non le ispirano risentimento? Non sente che sono migliori di lei? Non li odia perché ne sanno più di lei?»

«Signor mio,» disse Asa Andrews, «non si faccia sentire a dire cose del genere da queste parti, o qualcuno finirà per conciarla per le feste. Appena siamo arrivati qui, ci hanno spiegato tutto. Hanno tenuto dei veri e propri corsi di indott… indottri…»

«Corsi di indottrinamento.»

«Già, proprio quelli. Proprio così. Ci hanno detto come stavano le cose, com’era la situazione, e tutto il resto che dovevamo sapere per stabilirci qui e vivere bene. Ci hanno detto quali erano le regole, e non è che siano molte.»

«Per esempio, non usare armi da fuoco,» disse Vickers.

«È una delle regole, infatti,» ammise Andrews. «Come ha fatto lei a saperlo?»

«Non è difficile immaginarlo. Non ho udito uno sparo, da quando sono qui, e questi boschi sono ricchi di selvaggina. E lei se ne va in giro con l’arco e le frecce.»

«Un’altra regola è che se litiga con qualcuno e non può sistemare la cosa pacificamente, si va tutti e due alla Grande Casa, e là trovano il modo di mettere tutti d’accordo. E se uno si ammala bisogna informarli subito, così mandano un dottore e tutto il necessario. Praticamente, tutte le regole sono a nostro beneficio. Obbedirle è nel nostro interesse, perciò chi potrebbe pensare a fare altrimenti?»

«E il lavoro?»

«Il lavoro?»

«Dovrete pur guadagnare un po’ di denaro, no?»

«Non ancora,» disse Andrews. «I mutanti ci hanno dato tutto quello che ci occorre. Noi non facciamo altro che coltivare la terra. Loro la chiamano… mi faccia pensare… qual è la parola giusta?… oh, sì, la chiamano fase pastorale-feudale. Ha mai sentito questa parola?»

«Ma loro debbono avere delle fabbriche,» insistette Vickers, senza rispondere alla domanda. «Dei posti dove producono le lamette per barba e il resto. Avranno bisogno di operai che ci lavorino… di mano d’opera…»

«Vede, loro si servono dei robot. Da un po’ di tempo hanno cominciato a produrre un’automobile che dura in eterno. La fabbrica è poco lontano da qui. Ma ci lavorano i robot. Lei sa cos’è un robot, vero?»

Vickers annuì.

«Be’, in fondo mi sembra che sia giusto così, che le cose siano più naturali, a questo modo,» spiegò Andrews. «Un uomo può coltivare la terra, e fare tutto quello che gli uomini hanno sempre fatto. Per costruire delle macchine, bastano delle altre macchine. Era un peccato che sulla vecchia Terra facessero tutto il contrario.»

«Forse sì,» disse Vickers. «Forse ha proprio ragione.» Si guardò intorno, per un momento, e disse, «C’è un’altra cosa. Mi chiedevo… chissà dove sono gli indigeni?»

«Gli indigeni?»

«Sicuro… gli abitanti di questa terra. Quelli che sono nati qui, che c’erano prima che arrivaste voi. Se ci sono degli abitanti, su questa terra.»

«Non ce ne sono,» disse Andrews.

«Ma in tutto il resto è identica all’altra Terra,» disse Vickers. «Gli alberi, i fiumi, gli animali…»

«Non ci sono indigeni,» disse Andrews, in tono definitivo. «Né indiani, né altri.»

E quella, dunque, pensò Vickers, era la differenza rispetto alla Terra che stava un poco più avanti, la minuscola aberrazione che rendeva diverso un mondo. Nel passato, chissà come, c’era stato qualcosa che aveva impedito l’ascesa dell’Uomo, qualche incidente di poco conto, senza dubbio: la scintilla dell’intelligenza non si era accesa. Lì non c’era stato nessuno che aveva fatto schizzare il fuoco dalle selci, che aveva afferrato una pietra per farne un’arma, che aveva formulato una domanda nel suo cervello animalesco… le domande che negli anni futuri sarebbero diventate un canto o un dipinto, o un paragrafo di una scrittura squisita o una poesia fluente…

Qualcosa era mancato, un piccolo incidente si era verificato, o un altro piccolo incidente non si era verificato nel momento giusto, e quella Terra aveva seguito il suo corso solo con i fiumi e i mari e le piante e le stagioni, gli animali e le correnti e le foglie, e l’Uomo non aveva percorso il sentiero che lo aveva portato avanti, nel corso dei millenni, sulla Terra madre. Ed era strano vedere come quel mondo vergine fosse sereno e accogliente, un mondo che non aveva conosciuto l’ascesa dell’Uomo, mentre l’altro mondo era così cupo e grigio e strano, anche se l’Uomo aveva voluto costruirlo a sua misura, o per lo meno piegarlo ai suoi voleri.

«Siamo quasi arrivati,» disse Andrews.

Scavalcarono la staccionata che cingeva il campo di granoturco e si avviarono attraverso un pascolo, verso la casa.

Qualcuno gridò un saluto gioioso e mezza dozzina di ragazzini scesero correndo dall’altura, seguiti da una dozzina di cani che abbaiavano. Una donna si affacciò sulla soglia della casa costruita di tronchi scortecciati, e guardò verso di loro, facendosi solecchio con la mano. Agitò il braccio per salutarli, e Andrews rispose al saluto, e i ragazzini e i cani scesero verso di loro in una sola muta, abbaiando e gridando, felici.

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