Capitolo diciottesimo

La ditta produttrice di intelligenze artificiali per cui lavorava Sarkar Muhammed era la Mirror Image Ltd. La sua sede e i laboratori si trovavano a Concord, Ontario, a nord di Metro Toronto. Peter era atteso lì da Sarkar quel sabato mattina, e l’amico lo portò al piano di sopra, nella nuova Sala Scanner, come la chiamavano.

In origine lì c’era stato un ufficio non diverso dagli altri. Sulla moquette si vedevano ancora le impronte lasciate dagli scaffali portadocumenti. C’era stata anche una larga finestra, ma ora l’avevano sigillata con dei pannelli per impedire che entrasse la luce solare, e le pareti erano completamente tappezzate di cunei in morbida schiuma grigia tipo «scatole da uova» per assorbire i rumori.

Al centro del locale c’era una vecchia poltrona da dentista, su una base girevole, e un lungo bancone da lavoro sosteneva diversi PC, oscilloscopi, monitor e varie apparecchiature di controllo, non poche delle quali aperte a rivelare i complicati circuiti interni.

Sarkar accennò a Peter di sedersi sulla poltrona da dentista e andò ad accendere la strumentazione.

— Uh, guarda che non riuscirai a farmi aprire la bocca neppure con le tenaglie — disse lui, prendendo posto.

Sarkar sorrise. — Rilassati, il trapano è stato tolto. Quello che faremo adesso è una completa registrazione del contenuto del tuo cervello. — Tornò da lui con il largo casco dello scanner, glielo provò tre o quattro volte sulla testa per regolare la forma della rete di sensori interni, e quando ebbe le luci verdi dei contatti di posizione gli batté un colpetto sul casco. — Pronti per il decollo?

— Okay. Inizio conteggio alla rovescia — disse Peter.

Sarkar terminò di sistemare qualcosa sui contatti del casco e gli fece assumere una posizione più comoda. — Astronauta a direzione di lancio, motore uno acceso — disse Peter. — Ho una sensazione strana alla vescica.

— Impossibile, ci sei appena stato. Ora resti seduto lì. Metti questi. — Sarkar gli porse due piccoli auricolari, e lui li inserì negli orecchi. Qualche minuto dopo l’amico tornò di nuovo accanto a lui e gli consegnò il visore facciale, una doppia telecamera grossa quanto un binocolo che proiettava segnali video separati in ciascun occhio.

— Respira attraverso il naso — gli disse, — e cerca di mantenere al minimo la deglutizione di saliva. Se proprio devi tossire, avvertimi e ridurrò la sensibilità. Non voglio interferenze.

Peter annuì.

— E non annuire — lo redarguì Sarkar. — Non fare movimenti col capo e con le braccia. Io darò per scontato che tu abbia capito le mie istruzioni, senza bisogno che tu me lo confermi a cenni. — Tornò al bancone da lavoro e batté qualcosa sulla tastiera di un PC. — Questo procedimento è per molti versi più complesso di quel che fai tu quando registri la presenza dell’Onda dell’Anima. Con il tuo EEG ti limiti a cercare un certo genere di attività elettrica nel cervello. Qui invece dobbiamo stimolare la massa cerebrale in migliaia di modi per attivare tutte le reti neurali contenute in essa… e molte di queste reti neurali sono inattive per la maggior parte del tempo, naturalmente.

Sarkar batté altri ordini e controllò le risposte del programma di configurazione. — Okay, ora stiamo già registrando. Nei prossimi dieci o dodici minuti potrai ancora cambiare posizione senza problemi, se non stai comodo. Tanto ci vorrà per calibrare il sistema. — Per un poco tacque, controllando il drive del disco su cui sarebbe avvenuta la registrazione. — Ora, come ti ho già spiegato — disse poi — tu stai per ricevere una serie di input. Alcuni saranno vocali: parole o suoni che ti arriveranno da un nastro. Altri saranno visuali: vedrai immagini o parole scritte proiettate nell’uno o nell’altro dei tuoi occhi. Io so che tu parli il francese e un po’ di spagnolo; alcuni input saranno in queste due lingue. Concentrati sugli input, ma non preoccuparti se la tua mente divaga. Se io ti faccio vedere un albero e questo ti induce a pensare al legno, e il legno ti fa pensare alla carta, e la carta ti fa pensare agli aeroplani di carta, e gli aeroplani ti fanno pensare alle gambe di una hostess, va bene. Non forzare le connessioni di questo genere, però: non stai facendo un test di associazione. Noi vogliamo solo una mappa delle reti neurali che esistono nel tuo cervello, e il computer annoterà quali stimoli eccitano questa o quella. Pronto? No, attento, hai annuito ancora. Okay, ora andiamo. Rilassati.

Dapprima Peter pensò che quelle che apparivano nei suoi occhi fossero le immagini di un test per controllare le reazioni emotive standard, ma presto gli fu evidente che Sarkar aveva aggiunto una quantità di cose riguardanti la vita privata di Peter. C’erano fotografie dei suoi genitori, della casa dove lui e Cathy vivevano attualmente e di quella in cui avevano abitato prima, foto del cottage di Sarkar, foto di amici di Peter scattate durante la cerimonia di consegna del diploma di laurea, la musica suonata durante il matrimonio, la voce di Cathy, la voce dello stesso Peter, e così via in una vasta retrospettiva il cui titolo avrebbe potuto essere Questa è stata la tua vita, mescolata con immagini di laghi e boschi e campi di football, semplici equazioni matematiche, frammenti di poesie, spezzoni di Star Trek, canzoni molto popolari al tempo in cui Peter era un teenager, arte d’ogni genere, pornografia, e figure fuori fuoco che avrebbero potuto rappresentare Abe Lincoln oppure un cane da caccia oppure niente del tutto.

Ogni tanto Peter veniva invaso da un senso di noia, e la sua mente tornava alla sera prima: la disastrosa sera del venerdì con i colleghi di Cathy. Dannazione, andarci era stato uno sbaglio.

Quel fottuto bastardo di Hans.

Non poteva neppure scuotere la testa per scacciare quei pensieri. Ma con uno sforzo di volontà cercò di concentrarsi sulle immagini. E tuttavia anche queste, di tanto in tanto, gli stimolavano ricordi sgradevoli: una fotografia di due mani coperte di peluria bionda lo fece pensare ad Hans. Quelle del matrimonio fra lui e Cathy, anche. L’interno di un pub. Un parcheggio sotterraneo.

Le sue reti neurali sparavano raffiche di stimoli.

Nei giorni seguenti fecero altre quattro sedute di due ore analoghe alla prima, con mezz’ora di pausa per consentire a Peter di muoversi un poco, bere, riposarsi gli occhi e andare in bagno. A volte l’audio era sintonizzato con le immagini ottiche, ad esempio quando vedeva una foto di Mick Jagger e sentiva le note di Satisfaction. Ma più spesso l’audio era clamorosamente fuori fase, come l’immagine di un bambino etiopico lacero e affamato e il rumore della pioggia sul parabrezza di un’auto. A volte le immagini proiettate nel suo occhio destro erano diverse da quelle del sinistro, e altre volte il sonoro fornito al suo orecchio destro non era quello che lui sentiva con l’altro.

Fu un sollievo quando la cosa finì. Aveva visto decine di migliaia di immagini. Gigabyte di dati erano stati registrati. E i sensori del casco avevano cartografato ogni territorio e regione, ogni strada e vicolo, ogni neurone e ogni collegamento sinaptico del cervello di Peter Hobson.

Sarkar portò nel suo laboratorio, al piano di sotto, il disco con la registrazione cerebrale. Lo inserì in una workstation IA e copiò l’intero contenuto in tre diverse partizioni RAM, creando così tre copie identiche della mente di Peter ciascuna isolata entro il suo singolo banco di memoria.

Peter girò una sedia per sedersi al contrario e incrociò le mani sulla spalliera. — E adesso? — domandò, poggiando il mento sui polsi.

— Per prima cosa, li battezziamo — rispose Sarkar, appollaiato sullo sgabello da bar che preferiva alle sedie. Accese il microfono della consolle davanti a lui.

— Login — disse.

— Nome Login? — chiese la voce del computer, femminile e priva di emozioni.

— Sarkar.

— Buongiorno, Sarkar. Ordini?

— Rinomina Hobson 1 come: Spirito.

— Prego sillabare il nome di Destinazione.

Sarkar sospirò. La parola «spirito» era senza dubbio nel vocabolario del computer, ma il suo accento meridionale a volte gli creava delle difficoltà.

— S-P-I-R-I-T-O.

— Eseguito. Altri ordini?

— Rinomina Hobson 2 come: Ambrotos.

— Eseguito. Altri ordini?

Peter intervenne: — Perché «Ambrotos»?

— È la parola greca che significa «immortale» — spiegò Sarkar. — La puoi risentire in sostantivi come «ambrosia», il cibo che conferiva l’immortalità.

— Oh, la tua famosa scuola superiore privata — annuì Peter.

Sarkar sorrise. — Esattamente. — Si rivolse alla consolle: — Rinomina Hobson 3 come: Control.

— Eseguito. Altri ordini?

— Carica Spirito.

— Caricato. Altri ordini?

— Okay — disse Sarkar, tornando a girarsi verso Peter. — Spirito è la tua copia che dovrà simulare un’entità vivente dopo la morte. Per arrivare a questo bisognerà amputargli tutte le funzioni puramente biologiche. Questo non significa rimuovere parti della mente conscia, in effetti, bensì disconnettere varie reti neurali. Per scoprire quali connessioni dobbiamo tagliare useremo la Dalhousie Stimulus Library. Sarebbe la versione canadese di una collezione di immagini standard e di suoni creati in origine dall’Università di Melbourne; è usata comunemente nei test psicologici. Intanto che Spirito sarà esposto alle immagini e ai suoni, noi registreremo quali neuroni emettono per reazione. Peter annuì.

— Gli stimoli sono tutti catalogati in base al tipo di emozione che si suppone debbano innescare: paura, ribrezzo, eccitazione sessuale, fame, eccetera. Noi cercheremo di capire quali reti neurali vengono attivate esclusivamente dalle necessità biologiche, e provvederemo ad azzerarle. Dovremo comunque far passare queste immagini più volte, in sequenze mescolate a caso. Questo a causa delle azioni potenziali: certe reti neuroniche non vengono attivate, a meno che poco prima una combinazione di neuroni sostanzialmente analoga non sia stata innescata da altri stimoli. Quando avremo finito questa operazione avremo ottenuto una versione della tua mente che simula, almeno nei parametri essenziali, come tu saresti se ti fossi liberato da tutte le necessità fisiche… come saresti dopo morto, in altre parole. Quindi faremo la stessa cosa con Ambrotos, la versione immortale, con la differenza che da lui amputeremo la paura d’invecchiare e tutte le preoccupazioni sul decadimento fisico e sulla morte.

— E per la versione di controllo?

— Control sarà sottoposto alla stessa collezione di immagini e di suoni, per mantenere la massima somiglianza possibile con gli altri due simulacri, ma non azzererò nessuna delle sue reti neurali.

— Molto bene.

— Okay — disse Sarkar. Si girò verso la consolle. — Fai girare la versione 4 della Dalhousie.

— Eseguito — rispose il computer.

— Riferisci il tempo stimato per il completamento.

— Undici ore e diciannove minuti.

— Informami quando l’operazione sarà completata. — Sarkar fece ruotare lo sgabello. — Bene. Né tu né io dobbiamo stare qui durante l’intera faccenda, ovviamente. Ma su quel monitor puoi vedere ciò che Spirito sta osservando in questo momento.

Peter guardò lo schermo: una farfalla Monarch che usciva da un bozzolo. Il porto di Melbourne. Una bella ragazza che gettava un bacio alla telecamera. Alcune stelle del cinema del 1980, che lui riconobbe al primo sguardo. Un incontro di boxe su un ring. Una casa in fiamme…

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