Capitolo quarantaquattresimo

Peter sedeva alla consolle di uno dei computer, nel laboratorio. Appollaiato su uno sgabello da bar accanto a lui Sarkar stava giocherellando con tre schede di memoria, una azzurra, una rossa e una verde, ciascuna etichettata col nome di uno dei simulacri.

Peter s’inserì sulla posta elettronica di Internet, trasmise la sua richiesta per una CTR e pochi minuti dopo le tre incorporee entità si misero in contatto col sintetizzatore che dava voce alle loro parole.

— Qui con me c’è Sarkar — disse Peter nel microfono.

— Salve, Sarkar.

— Come va, ragazzo?

— Ehilà, Sark.

— Lui e io — disse Peter, — abbiamo appena visto morire i duplicati di voi tre.

— Cos’hai detto? — chiese uno dei simulacri. Gli altri due tacquero.

— Sarkar e io abbiamo sviluppato un virus software programmato per cercare e distruggere ogni registrazione nei miei schemi neurali. L’ho appena collaudato e funziona. Ne ho prodotto tre ceppi diversi… uno per ciascuno di voi, ed è mortale.

— Voi dovete aver già capito — disse una voce dall’altoparlante, — che noi siamo ormai liberi su tutte le Reti del pianeta.

— Lo sappiamo, certo — disse Sarkar.

— E siamo pronti a rilasciare i tre virus sulle Reti — aggiunse Peter.

— Trasmettere virus nel software altrui è un crimine — disse la voce sintetica. — Diavolo, scrivere virus è un crimine.

— È ovvio — disse Peter. — Tuttavia noi siamo decisi a rilasciarli ugualmente.

— Non fatelo — disse la voce.

— Lo faremo — replicò Peter. — A meno che…

— A meno che?

— A meno che il simulacro colpevole si identifichi. In questo caso rilasceremo soltanto il virus programmato per distruggere quel particolare simulacro.

— Chi ci garantisce che non rilascerete tutti e tre i virus, dopo esservi tolta la curiosità di sapere chi è il colpevole?

— Posso assicurarvi che non lo faremo.

— Giuralo — disse la voce.

— Lo giuro.

— Giuralo su Dio. Sulla vita di nostra madre.

Peter esitò. Dannazione, contrattare con se stesso era snervante. — Lo giuro su Dio — disse, scandendo le parole. — Giuro sulla vita di mia madre che non rilasceremo i virus tarati per uccidere i due innocenti, dopo che l’omicida si sarà identificato.

Ci fu un lungo, lungo silenzio, disturbato soltanto dal ronzio del condizionatore ad aria calda.

Alla fine, dopo quell’interminabile pausa, una voce disse: — Sono stato io.

— E tu chi sei, dei tre? — domandò Peter.

Di nuovo un silenzio pesante. Poi: — Io sono quello che più somiglia a te — disse la voce. — Il più completo, quello di nome Control, che volevate usare come riscontro nell’esperimento.

Peter guardò lo schermo come se potesse vederlo, ma c’era solo il menu di Internet su cui aveva chiesto la CTR. — Dici la verità?

— Sì.

— Ma questo… non ha senso.

— Tu credi?

— Voglio dire, noi presumevamo che, modificando le registrazioni fatte con lo scanner cerebrale per ottenere Ambrotos e Spirito, avessimo amputato o alterato il loro senso morale.

— Tu consideri immorale l’eliminazione del padre di Cathy e del suo collega Hans Larsen? — domandò Control.

— Sì. Decisamente sì.

— Ma tu desideravi la loro morte.

— Però non li avrei uccisi — precisò Peter. — Lo dimostra il fatto che nonostante ogni provocazione, perfino una grave come quella di Hans, io non l’ho fatto. Avrei potuto assoldare un killer con la tua stessa facilità. La domanda che mi faccio è: perché tu, un duplicato probabilmente assai simile all’originale, hai fatto una cosa che la persona reale non avrebbe mai fatto?

— Tu sai di essere reale. E io so che quello reale sei tu.

— Cosa significa?

— Colpiscimi, e io non sanguinerò. Ma se mi offendi, io mi vendicherò.

— Questo lo farei anch’io. Che c’entra?

— Sai, Sarkar — disse il simulacro, — tu hai fatto davvero un buon lavoro. Ma avresti dovuto darmi qualche prurito da grattarmi.

— Perché? — ripetè Peter. — Perché hai voluto fare una cosa che io non avrei mai fatto?

— Tu ricordi quel che scriveva Descartes?

— Sono passati anni da…

— Ti tornerà in mente, se fai uno sforzo — disse Control. — Lo so, perché io ero curioso di sapere in cosa fossi diverso da te, ed è tornato in mente anche a me. René Descartes fondò la scuola filosofica del pensiero dualistico, ovvero l’idea che mente e corpo fossero due cose separate. In altre parole, lui credeva che la mente e il cervello fossero cose diverse, e che l’anima esistesse davvero.

— Sì. E allora?

— Il dualismo cartesiano contrastava con la visione materialistica del mondo, oggi prevalente, la quale dichiara che l’unica realtà è la realtà fisica, e che la mente non è altro che un’attività del cervello, e che il pensiero non è altro che biochimica, e che l’anima non esiste.

— Be’, ora sappiamo che il pensiero cartesiano corrisponde al vero — disse Peter. — Io ho visto l’anima abbandonare il corpo.

— Non proprio. Noi sappiamo che il pensiero cartesiano è vero per te. È vero per un essere umano reale. Ma io non sono un essere umano reale. Io sono una simulazione fatta di software che funziona in una realtà virtuale. Questo è ciò che io sono, e nient’altro. Se il vostro virus venisse a cercarmi nei labirinti di questo mondo per distruggermi, io cesserei di esistere totalmente, completamente. Per me, per il Peter che tu chiami Control, la filosofia dualista è del tutto sbagliata. Io non ho l’anima.

— Ed è questa la tua sola differenza con il vero io?

— Questa è tutta la differenza. Tu devi preoccuparti per le conseguenze delle tue azioni. Non solo in senso legale, ma anche in quello religioso. Tu sei stato allevato in un mondo dove l’arbitro supremo della morale c’è, e sai che sarai giudicato.

— Io a questo non ci credo. Non realmente.

— Non realmente. Ma con questo tu intendi «non intellettualmente.» Non ci credi quando ci pensi. Non ci credi in superficie. Giù nel subconscio però tu soppesi le azioni che hai compiuto e quelle che avresti potuto compiere, per quanto vaghe e improbabili siano queste ultime. Tu hai dimostrato l’esistenza di una forma di vita dopo la morte. Questo ci riporta alla questione del giudizio divino, un pericolo la cui realtà non puoi verificare usando solo dei simulacri di software. Dunque la moralità delle tue azioni è regolata dalla possibilità d’essere giudicato per i tuoi peccati. Per quanto tu odiassi Hans (e, siamo onesti, l’abbiamo odiato con una ferocia così animalesca da stupire anche noi stessi) e per quanto tu agognassi vederlo in una bara, non l’avresti ucciso. Il prezzo da pagare sarebbe stato troppo elevato: tu hai un’anima immortale, e questo ti porta a considerare l’ipotesi della dannazione eterna. Ma io non ho l’anima. Io non sarò mai giudicato, perché non sono e non sarò mai vivo. Io posso fare tutte le cose che tu vorresti fare. Nel mondo materialistico dove io esisto non c’è arbitro supremo all’infuori di me. Hans era malvagio, e il mondo è un posto migliore senza di lui. Io non ho rimorsi per ciò che ho fatto, e mi spiace solo non aver potuto assistere alla sua morte. Se dovessi rifarlo lo rifarei… senza pensarci neppure un microsecondo.

— Ma anche gli altri due simulacri devono non rispondere a qualcuno dei loro atti — obiettò Peter. — Perché non potrebbero aver commesso quei delitti?

— Dovresti domandarlo a loro. Peter corrugò le sopracciglia.

— Ambrotos, sei ancora qui?

— Sì.

— Tu non hai commesso il fatto. Ma senza dubbio sai bene quanto Control d’essere soltanto una simulazione software. Hai provato il desiderio di uccidere Hans?

Ci fu una pausa, come se Ambrotos stesse raccogliendo le idee. — No. Io vedo le cose sulla lunga distanza. Mi lascerò alle spalle Cathy e i suoi tradimenti. Forse non in un anno né in dieci, forse neppure in cento. Ma alla fine dimenticherò. Quella faccenda è solo parte di una vasta serie di relazioni, e di una lunga vita.

— Spirito, e tu cosa mi dici? Perché non potresti esser stato tu a uccidere Hans?

— Ciò che è accaduto fra Hans e Cathy è stato un atto biologico. — Il sintetizzatore pronunciò l’ultima parola con disgusto. — Lei non amava Hans, e Hans non amava lei. Era soltanto sesso. Io sono lieto di poter dire che Cathy amava noi, e che continua ad amare solo noi.

Sarkar aveva in mano la scheda di memoria rossa, quella etichettata «Control.» Il suo sguardo cercò quello di Peter. Stava aspettando un cenno d’assenso, il permesso di procedere. Ma lui non riusciva a decidersi.

D’un tratto Sarkar scese dallo sgabello, attraversò il laboratorio portando con sé la scheda rossa, sedette davanti a un computer già collegato con Internet… e si mise in tasca la scheda rossa. Poi tirò fuori una scheda identica di colore nero…

Peter balzò in piedi. — No!

Sarkar inserì la scheda nera nella fessura della CPU e batté un comando sulla tastiera davanti a lui.

— Cosa sta succedendo? — domandò una voce dal sintetizzatore.

Peter corse alla consolle usata dall’amico e premette il pulsante d’eiezione per far uscire la scheda.

— Troppo tardi — disse Sarkar. — È già stato inviato. Peter tirò fuori la scheda e la scaraventò dall’altra parte della stanza, irritato. L’oggetto colpì la parete e rotolò al suolo.

— Accidenti a te, Sarkar! — gridò. — Io avevo dato la mia parola!

— Quei… quelle cose che abbiamo fatto non sono vive, Peter. Non sono persone. Non hanno anima.

— Ma…

— È inutile discuterne ancora, Peter. Ho rilasciato la versione iniziale del virus. I simulacri possono già considerarsi distrutti. Sarkar lo guardò a denti stretti e sbuffò. — Cerca di capire questo semplice fatto: il rischio è troppo grande. E questa cosa deve finire.

— Non finirà — disse una voce dall’altro terminale. Peter tornò alla consolle. — Chi ha parlato? — chiese.

— Quello che voi chiamate Spirito. Forse avrai notato… e in caso contrario te lo faccio notare io, che ho avuto qualche difficoltà a far ricorso a quelle che un tempo erano le mie capacità deduttive, anche se tali facoltà erano allora un’esigua frazione di ciò che attualmente sono… e tuttavia, per il semplice motivo d’essere scorporizzato, e grazie al fatto che il mio pensiero non è più un lento processo elettrochimico, io sono in realtà assai più lucido e intelligente di prima, probabilmente di una decina di volte. Temo dunque che tu sopravvaluti molto te stesso, caro Sarkar, quando supponi di poter precedere il mio pensiero, anche se ammetto che ci sono state volte in cui hai dato dei punti al Peter Hobson di carne e ossa. Nel momento stesso in cui hai menzionato l’esistenza del tuo piccolo virus, io ho ottenuto accesso alla lista dei suoi codici sorgenti (da te registrati nel disco rigido chiamato Drive F, nella workstation Sun Optima del tuo laboratorio, lì alla Minor Image) e ho quindi sviluppato un anti-virus elettronico che distruggerà le capacità di nuocere del virus prima che questo danneggi me ed i miei due consimili. Conoscendoti, infatti, sospettavo che tu non ti saresti accontentato di cancellare il colpevole; adesso vedo che ero nel giusto.

— Impossibile. Ho dovuto lavorare due giorni per scrivere quel virus — sbottò Sarkar.

— A me sono bastati pochi secondi per renderlo inoffensivo. Tu non puoi superare la mia intelligenza, come un bambino non può superare quella di un adulto.

Sarkar sembrava stordito. Si passò una mano sulla faccia, poi grugnì: — Un sacco di risate, eh?

— Proprio così — disse Spirito. — Un sacco di collegamenti, anche. Collegamenti che eludono le tue capacità mentali.

Peter si mise a sedere con aria abbacchiata. — E così il simulacro Control la passerà liscia. — Scosse il capo. — Control, razza di bastardo… sei tu quello che ha minacciato Cathy?

— Sì.

Lui agitò un pugno, furibondo. — Che Dio ti maledica. Io non avrei mai potuto farle del male.

— No, naturalmente — disse con calma Control. — E infatti Cathy non è mai stata davvero in pericolo… ha fatto una doccia fuori programma, tutto qui. Volevo solo che tu sbattessi il naso sui veri sentimenti che provi per lei, e capissi quant’è importante per te.

— Sei un bastardo — ringhiò Peter.

— Non posso negarlo — disse Control. — Dopotutto, ho preso da te.

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