Capitolo trentasettesimo

Sarkar si massaggiò nervosamente le dita, batté alcuni ordini sulla consolle del computer principale e disse, nel microfono: — Sistema operativo: pronto a ricevere istruzioni vocali.

— Voce confermata. Login? — domandò il computer.

— Sarkar.

— Buongiorno, Sarkar. Ordini?

— Cancellazione multipla, senza condizioni. Oggetto: tutti i file dei tre banchi dati di nome Spirito, Control, e Ambrotos.

— Confermi l’ordine di cancellazione? Potrò procedere solo se pronunci la parola «confermo.»

— Confermo.

— Cancellazione fallita. Motivo: tutti i file sono su soialettura.

Sarkar annuì. — Cambio di attributo. A tutti i file dei tre banchi dati già menzionati viene tolto l’attributo soia-lettura.

— Per l’accesso al cambio di attributo occorre la parolachiave.

— Parola-chiave: Abu Yusuf.

— Parola-chiave non corretta.

Sarkar si girò verso Peter. — Strano. Questa è l’unica parola-chiave che uso da qualche mese.

Peter si strinse nelle spalle. — Sarà la tua pronuncia. Usa la tastiera.

— Parola-chiave: Abu Yusuf. Riscontro su tastiera — disse Sarkar nel microfono, e premette i tasti con attenzione.

— Parola-chiave non corretta.

Lui tornò all’interfaccia vocale. — Chi ha bloccato i file su soia-lettura? — domandò al computer.

— Hobson, Peter G. — rispose la voce artificiale. Peter sentì il cuore balzargli in gola. — Oh, merda.

— Stampa a schermo la registrazione degli accessi dell’utente Hobson Peter G. — ordinò Sarkar.

Il computer gli fornì una lunga lista di dati in linguaggiomacchina a tratti intervallati da parole e cifre comprensibili. Lui fece scorrere tutte le schermate, poi batté un dito sulle ultime righe. — Vedi qui? Nodo nove-nove-nove. Modo diagnostico. Il tuo login è stato usato, ma dall’interno del sistema… non dal microfono o dalla tastiera.

Maledizione. — Peter si piegò verso la consolle. — Sistema operativo, pronto a ricevere istruzioni vocali.

— Voce confermata. Login?

— Fobson.

— Buongiorno, Peter. Dobbiamo terminare la sessione precedente?

— Quale sessione precedente?

— Tu sei ancora attivo dal nodo zero-zero-uno, fino al nodo nove-nove-nove.

Sarkar annuì con energia. Peter disse: — Sì. Confermo. Terminiamo la sessione precedente, al nodo nove-nove-nove.

— Accesso al nodo, fallito.

— Dannazione — mormorò Peter. Si volse a Sarkar. — Posso riprendere una delle sessioni dal nodo zero-zero-uno in poi?

— No. Il login dell’ultima ha sempre la precedenza.

— Okay — disse Peter. Tamburellò con le dita sulla consolle, poi: — Riferimento: i banchi dati e i file già specificati da Sarkar. Ordine: cancella l’attributo soia-lettura.

— Parola-chiave?

— Parola-chiave: Mugato.

— Parola-chiave non corretta.

— Parola-chiave: Sybok.

— Parola-chiave non corretta.

— Al diavolo — sbuffò Peter. Guardò l’amico. — Queste sono le uniche due parole-chiave che io abbia mai usato qui.

Sarkar si stava mordicchiando pensosamente le labbra. — A quanto pare, i nostri amici non hanno intenzione di lasciarsi cancellare.

— Puoi togliere di mezzo il sistema operativo e introdurre ordini in linguaggio macchina?

Sarkar annuì. Nel microfono disse: — Azzera il boot del sistema operativo. Inizio reset.

— Il sistema operativo ha un’operazione in corso. Confermi l’ordine di resettare il sistema senza il boot?

— Confermo. Inizio reset.

— Parola-chiave?

— Parola-chiave: Abu…

La spia rossa del microfono si spense. Sarkar lo controllò, premette alcuni tasti e poi batté un pugno sulla consolle. — Uno dei tre simulacri ci stava monitorando. Ha disattivato l’interfaccia vocale e… anche la tastiera.

— Cristo — imprecò Peter.

— È una cosa stupida — disse Sarkar, irritato. — Be’, possiamo ancora accedere via cavo dal banco di prova. — Prese un telefono solo audio e digitò un numero di tre cifre.

— Manutenzione — disse una voce femminile all’altro capo del filo.

— Buonasera — disse Sarkar. — Io sono il Dr. Muhammed. Senta, so che è tardi, ma qui abbiamo una, uh, piccola difficoltà. Ho bisogno che lei tolga l’energia a tutti i nostri impianti di laboratorio, compresi i computer.

— Togliere l’energia elettrica, dottore?

— Sì, proprio così.

— Va bene — disse la donna. — Ci vorrà qualche minuto. Comunque lei sa che il vostro impianto di computer è sotto RESI… rifornimento elettrico senza interruzioni. La fornitura passa automaticamente alle batterie in caso d’interruzione, e poi al generatore. Questo lo si può spegnere, ma il ciclo minimo delle batterie no.

— E quanto dura il ciclo minimo delle batterie?

— Quando la fornitura è normale, lo lasciamo regolato su sei o sette minuti… in genere, nove blackout su dieci durano di meno.

— Lei può disinserire il RESI?

— Sì, se proprio vuole. Dovrò venire su da voi a staccare i fili con un paio di pinze, però. Da qui non si può spegnere, e adesso sono sola. E lo stesso se questa cosa la facciamo domani mattina?

— No, è un’emergenza — disse Sarkar. — Può venire su e mostrarci come si fa? Qui con me c’è un’altra persona, e possiamo fare il lavoro noi, se lei non ha tempo.

— Okay. Vuole che tolga la corrente, prima di salire?

— No… la toglieremo dopo aver disinserito il RESI. — Sarkar coprì il microfono con una mano e disse a Peter: — Questo significa che i tre banchi dati saranno cancellati all’istante, senza dare nessun preavviso ai simulacri.

Peter annuì.

— Come vuole lei, dottore — disse la donna della manutenzione. — Mi dia qualche minuto e sono da lei. — Sarkar riattaccò il telefono.

— Cosa faremo, quando il laboratorio sarà senza energia elettrica? — domandò Peter.

L’amico era già in ginocchio sul pavimento e cercava di rimuovere un pannello nella parte inferiore della consolle del computer. — Tirerò fuori i cavi ottici e li collegherò a un banco di prova. Posso anche inserire dati un bit dopo l’altro, se ci sono costretto, usando un laser Norton, in modo da…

Il videotelefono suonò.

— Puoi pensarci tu? — disse Sarkar, lottando con un dado a farfalla che stentava a svitarsi.

Sullo schermo del telefono un riquadro informava che quella era una chiamata solo audio. Peter sollevò il ricevitore. — Pronto?

Per due secondi ci furono soltanto crepitìi elettrostatici, poi una voce artificiale disse: — Pron-to?

Peter sentì un impulso di rabbia. Odiava le telefonate programmate su un computer. Stava per riappendere quando la voce disse ancora: — Salve, Pe-ter.

Nella frazione di secondo prima che il ricevitore toccasse la forcella, lui capì che — se pure quel computer che chiamava la Mirror Image dopo l’orario di chiusura non si aspettava di parlare con un interlocutore umano — nessuno sapeva che lui poteva essere contattato lì a quel numero. Si fermò per tempo e sollevò il ricevitore all’orecchio.

— Chi parla? — chiese. Guardò le luci spia del videotelefono. Quella non era una chiamata interna; arrivava su una linea esterna passando dal centralino della Mirror Image. — Chi sei?

— Io… sono… te — disse la voce inespressiva, meccanica. Peter scostò il ricevitore dalla faccia, guardandolo come se fosse un serpente.

Dall’apparecchio provennero altre parole, ciascuna separata da un breve intervallo di disturbi statici. — Vi aspettavate davvero che noi restassimo imprigionati dentro quei piccoli banchi dati?

La donna della manutenzione arrivò cinque minuti dopo, con una cassetta di utensili. Seduto su uno sgabello Sarkar si girò a guardarla, con occhi vuoti. Peter non l’aveva mai visto così teso e nervoso.

— Possiamo cominciare? — disse la donna.

— Ah, uh, no — disse Sarkar. — Mi scusi se l’ho fatta salire, ma non… mmh, non abbiamo più bisogno di staccare il RESI, o di togliere la corrente al laboratorio. Siamo a posto così.

La donna si accigliò, sorpresa. — Come vuole lei, dottore.

— Scusi il disturbo. Grazie — disse Sarkar.

Lei salutò con un cenno del capo e se ne andò. Peter e Sarkar restarono lì a guardarsi in faccia, muti e perplessi.

— Quei tre ci hanno dato una brutta fregatura, vero? — disse Peter alla fine.

Sarkar annuì.

— Dannazione — mormorò Peter. — Che Dio li maledica. Non c’è modo di cancellarli, o di bloccarli, ora che sono fuori sulle Reti, è così?

Sarkar scosse la testa.

— E adesso che facciamo?

— Non lo so — disse Sarkar. — Non lo so.

— Se riuscissimo a scoprire quale dei tre simulacri è il colpevole, forse potremmo studiare uno stratagemma per isolarlo. Ma dannazione, non abbiamo neppure un indizio per capirlo.

— La moralità — disse Sarkar.

— Cosa?

— Tu sai chi era Lawrence Kohlberg?

— Un filosofo?

— Quasi. Era uno psicologo che fece ricerche sul ragionamento morale, nel 1960. Io ho dovuto leggere le sue opere, mentre preparavo un sistema esperto per il Clarke Institute of Psychiatry.

— E allora?

— E allora, tutta questa dannata faccenda è una questione di moralità: perché una delle versioni di te si comporta diversamente dalle altre? Senza dubbio la chiave per capire quale sia il simulacro colpevole si trova nella natura della morale umana.

Peter lo stava ascoltando con un orecchio solo. — Non c’è un modo per cancellare i simulacri?

— Non più, ora che sono usciti nelle Reti. Senti, è probabile che tu abbia ragione. Il primo passo sta nell’identificare quale dei tre sia il colpevole. Permettimi di farti una domanda.

— Quale?

Sarkar fece una pausa per radunare le idee. — Diciamo che la moglie di un uomo sia in punto di morte, ma che possa essere salvata da una medicina che costa ventimila dollari.

— Questo cosa c’entra col nostro problema?

— Lasciami finire… è uno dei test morali di Kohlberg. Supponiamo che l’uomo riesca a procurarsi soltanto diecimila dollari, ma che il farmacista rifiuti di consegnargli la medicina, anche se lui giura che gli pagherà il resto più tardi. Allora l’uomo ruba la medicina, per salvare la vita della moglie. Dal punto di vista morale, il suo atto è giusto o sbagliato?

Peter scrollò le spalle. — È giusto, naturalmente.

— Ma perché è giusto? Questa è la chiave.

— Be’… non lo so. È giusto e basta.

Sarkar annuì. — Io sospetto che ogni simulacro darebbe una risposta diversa. Kohlberg ha definito sei livelli di ragionamento morale. Al più basso, uno pensa che il modo di comportarsi più giusto sia semplicemente quello che gli evita una punizione. Al più elevato, quello a cui secondo Kohlberg appartenevano giganti morali come Gandhi e Martin Luther King, il comportamento è guidato da principi etici molto astratti. A quel livello, le leggi contro il furto non sono irrilevanti… ma il tuo codice interiore prevede che salvare un’altra vita sia più importante delle conseguenze che tu subirai per aver rubato.

— Be’, questo è proprio ciò che ho detto io, no?

— Mahatma Hobson — disse Sarkar. — Presumibilmente il simulacro Control condivide questo punto di vista. Ma Kohlberg scoprì che i criminali tendono ad avere un livello di ragionamento morale più basso dei non-criminali della stessa età, intelligenza e condizione sociale. Ambrotos potrebbe essere sceso al livello più basso, il livello uno: evitare la punizione.

— Perché?

— Un immortale sa di dover vivere per sempre, dunque può decidere che ci sono cose che non lo toccano, come ad esempio le conseguenze di un delitto. Anche se fosse condannato per omicidio, dopo essere uscito di prigione avrebbe ancora l’eternità davanti a sé.

— Forse, ma la sua reputazione resterebbe infangata per sempre. Ci sono conseguenze che lui pagherebbe molto più a lungo di chiunque altro. Un immortale potrebbe essere terrorizzato assai più del normale dal pericolo di restare mutilato, o sfigurato, perché la sua sofferenza non avrebbe mai fine. Dunque la prudenza e il rispetto delle regole avrebbero molta importanza per lui.

— Buon argomento — disse Sarkar. — Però io penso ancora che il colpevole sia lui. Si dice che il tempo guarisca tutte le ferite, ma se tu sapessi di dover vivere per sempre non vorresti continuare a tormentarti per secoli con l’odio… o col rimpianto per non esserti vendicato.

Peter scosse il capo. — Non credo. Senti, se per me togliere la vita è un delitto terribile, non credi che sarebbe la peggiore delle atrocità per una versione immortale di me conscia che la vita può durare per sempre?

Sarkar sospirò. — Forse. Suppongo che per Ambrotos si possano fare entrambi i ragionamenti opposti. Ma che mi dici di Spirito? Da come parlava l’ultima volta, il suo modo di comportarsi dev’essere a un basso livello morale. Sembra ateo ma, anche se tenesse presente l’ipotesi dell’esistenza di un Dio, non abbiamo simulato per lui né l’inferno né il paradiso. Probabilmente può considerare il timore di finire in una specie di purgatorio. C’è il caso che pensi alla possibilità di migliorare se stesso e di accedere a un mondo superiore paragonabile al paradiso. Io lo incasellerei nel secondo stadio di Kohlberg, quello che ritiene morale l’atto con cui l’individuo si guadagna un premio.

Peter scosse il capo. — Non se ha mantenuto le mie idee. Io non ho mai creduto davvero all’inferno e al paradiso.

Sarkar tentò un’altra strada. — Be’, allora considera questo: l’uccisione di Larsen è stato un crimine passionale, e la passione è una debolezza della carne. Togli il sesso da una mente umana ed essa non avrà più l’impulso di uccidere un rivale in amore. Questo avvalora l’ipotesi dell’innocenza di Spirito e, per processo di eliminazione, quella della colpevolezza di Ambrotos.

— Può darsi — concesse Peter. — D’altra parte Spirito sa che c’è vita dopo la morte; la sua stessa esistenza glielo dimostra. Così per lui l’omicidio è un crimine meno grave che per Ambrotos, dato che non significa la fine completa della vittima. Spirito potrebbe commettere un omicidio assai più a cuor leggero.

Sarkar sospirò, frustrato. — Allora sono leciti entrambi i ragionamenti opposti anche per Spirito. — Guardò l’orologio. — Senti, qui non c’è altro che possiamo fare — mormorò, grattandosi una tempia. — In effetti non possiamo fare niente da nessuna parte. Per un poco restò seduto a riflettere in silenzio. — Andiamocene a casa. Domani è sabato; verrò da te domattina verso le dieci e cercheremo di pensare a qualcosa.

Peter annuì stancamente.

— Ah, un’altra cosa… — Sarkar tirò fuori il portafoglio, pescò due biglietti da cinquanta dollari e glieli porse.

— Questi cosa sono?

— I cento dollari che abbiamo scommesso la settimana scorsa. Voglio essere sicuro che quei simulacri non abbiano nessun motivo di rancore verso di me. Prima di uscire, mandagli un messaggio su Internet perché sappiano che ti ho pagato.

NET NEWS DIGEST

Un gruppo di ambientalisti ha manifestato ieri davanti al Florida Seaworld, l’ultima struttura statunitense che ancora mantiene dei delfini in cattività. Il loro portavoce dichiara che la direzione continua a respingere la richiesta di determinare se anche i delfini hanno l’Onda dell’Anima.


Il ventisettenne George Hendricks, cattolico praticante di Dayton, Ohio, ha oggi intentato un ‘azione penale contro i suoi genitori Daniel e Kim Hendricks, ambedue non-credenti, per aver trascurato di battezzare suo fratello Paul, morto in un incidente d’auto all’età di 24 anni. La tesi di George Hendricks è che i genitori si sono resi colpevoli di negligenza, avendo precluso all’anima del ragazzo la possibilità di entrare in paradiso.


Ulteriori ricerche effettuate a l’Aia, in Olanda, dimostrano che tutte le Onde dell’Anima sembrano allontanarsi in una sola e ben precisa direzione. «All’inizio pensavamo che ogni Onda dell’Anima si limitasse ad abbandonare il corpo in base alla posizione del cranio, ma questo era prima che considerassimo l’ora del giorno in cui era avvenuto ogni decesso» afferma il docente di bioetica Marteen Lely. «Ora risulta che tutte le Onde dell’Anima da noi esaminate si sono allontanate lungo la stessa direttrice. In mancanza di un punto di riferimento più vicino, possiamo dire che questa linea punta approssimativamente verso la costellazione di Orione.»


La Germania è oggi la prima nazione del mondo ad aver esplicitamente dichiarato illegale interferire in ogni modo con l’allontanarsi dell’Onda dell’Anima dal corpo delle persone decedute. La Francia, la Gran Bretagna, il Giappone e il Messico stanno esaminando la possibilità di approvare leggi analoghe.


La percentuale di suicidi fra i Nativi delle riserve indiane degli Stati Uniti e del Canada, e nei tre maggiori «ghetti» cittadini statunitensi, è stata nell’ultimo mese maggiore che nei cinque anni precedenti. Un biglietto lasciato da un suicida a Los Angeles rispecchia il tema ormai ricorrente: «Oltre la morte c’è qualcosa. E qualunque cosa sia, non può essere peggiore di questa vita.»

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