Capitolo quinto

Peter conosceva Sarkar Muhammed da quando erano adolescenti. A quel tempo abitavano nella stessa strada, anche se Sarkar andava in una scuola privata. Chiunque avrebbe giudicato poco probabile che due come loro dovessero diventare amici. Sarkar aveva impegni pressanti con alcune attività sportive. Peter era sempre molto occupato con il giornale della scuola e con i compagni della redazione. Sarkar era un mussulmano devoto. Peter non era devoto a niente. Nonostante ciò avevano stretto amicizia subito dopo che la famiglia di Sarkar s’era trasferita in quella zona. Il loro senso dell’umorismo era uguale, entrambi leggevano romanzi gialli con preferenza per quelli di Agata Christie, e in quel periodo stavano sviluppando una certa passione per i vecchi video di fantascienza come Star Trek. Inoltre c’era il fatto che Peter non beveva neanche la birra, e questo riscuoteva l’approvazione di Sarkar. Anche se pranzava al ristorante del liceo, infatti, Sarkar evitava con grande accuratezza di sedere allo stesso tavolo di qualcuno che beveva alcolici.

Sarkar s’era iscritto all’Università di Waterloo per specializzarsi in scienza dei computer. Peter aveva studiato ingegneria biomedica all’Università di Toronto. Per tutto il periodo degli studi universitari s’erano tenuti in contatto con la posta elettronica, spedendosi lettere su Internet. In seguito, dopo un breve soggiorno a Vancouver, Sarkar era ritornato a Toronto per intraprendere la carriera di progettista di sistemi esperti software in una ditta all’avanguardia in quel settore. Benché Sarkar fosse sposato e avesse tre figli, lui e Peter trovavano spesso il tempo di cenare insieme, quasi sempre da soli.

Incongruamente, andavano sempre a cena al Sonny Gotlieb Restaurant, un locale nel cuore del quartiere ebraico di Toronto. Peter non riusciva a sopportare la cucina pakistana, nonostante i valorosi tentativi di Sarkar per ampliare i suoi gusti, e quest’ultimo doveva mangiare dove si cucinavano cibarie permesse dalle leggi dietetiche islamiche… cosa che la maggior parte dei cuochi ebrei sapeva fare alla perfezione. Così, anche quella sera i due amici sedettero in un séparé del Sonny Gotlieb Restaurant, circondati da zaydesh e bubbesh che parlavano in yiddish, ebraico e russo.

Quando ebbero ordinato, Sarkar domandò a Peter cosa ci fosse di nuovo. — Non molto — rispose lui, in tono guardingo. — E tu cosa mi racconti?

Per un paio di minuti Sarkar gli parlò del contratto per la realizzazione di sistemi esperti che la sua ditta aveva ricevuto dal New Democratic Party dell’Ontario. I democratici non erano più al governo dal 1990, quando avevano avuto la maggioranza grazie a un’alleanza coi socialisti, ma erano assolutamente certi d’essere in procinto di riguadagnare le preferenze degli elettori canadesi. E prima che i socialisti di un tempo sparissero dalla memoria degli esseri viventi, il, partito voleva sintetizzare le loro conoscenze pratiche accumulate in quegli anni lontani per costruire un software sulle procedure parlamentari, un programma da computer.

Peter lo ascoltò distrattamente. Di solito il lavoro di Sarkar lo affascinava, ma quella sera la sua mente era a milioni di chilometri da lì. Il cameriere tornò con una caraffa di Diet Coke per tutti e due, un cestino con fette di pane non lievitato e degli antipasti.

Peter avrebbe voluto dire all’amico di quel che gli era successo con Cathy. Approfittando di un paio di pause fu sul punto di introdurre quell’argomento, ma ogni volta gli mancò il coraggio prima di aprir bocca. Come avrebbe reagito Sarkar, a una confessione così intima? Cosa avrebbe pensato di Cathy? Quel pomeriggio era stato indeciso all’idea di parlarne con Sarkar, per via della sua religione; la famiglia Muhammed era assai stimata nella comunità mussulmana di Toronto, e Peter sapeva che fra loro usavano ancora i matrimoni per procura. Ma il motivo non era questo. In realtà non ce l’avrebbe fatta a parlare a nessuno — a nessuno — di quel che era successo.

Benché non avesse molta fame, prese una fetta di pane azzimo e ci mise sopra prosciutto e formaggio.

— Come sta Catherine? — domandò Sarkar, servendosi alcuni antipasti a base di frutti di mare.

Peter usò come scusa il fatto di avere la bocca piena per riflettere un’altra manciata di secondi. Alla fine disse: — Bene. Sta bene.

Sarkar annuì, accontentandosi di questo.

Poco più tardi, mentre finiva gli antipasti, Sarkar chiese: — Per il nostro viaggetto su a nord, che ne dici del secondo weekend di settembre?

Da sei anni o forse più Peter e Sarkar usavano, ogni estate, fare un weekend di campeggio nel Kawarthas. — Uh… te lo saprò dire la settimana prossima — rispose.

Sarkar bevve mezzo bicchiere di Diet Coke. — D’accordo.

Peter aveva sempre amato quei weekend sotto una tenda. Non era il tipo da campeggio, però gli piaceva distendersi sull’erba e guardare le stelle non offuscate dai fumi della città. Se fosse dipeso da lui non ci sarebbe mai andato, o almeno non regolarmente, ma con Sarkar tutto ciò che facevano due volte diventava subito una tradizione inviolabile.

Allontanarsi da casa un paio di giorni gli avrebbe fatto bene, pensò Peter. Molto bene.

Ma…

Non poteva andarci.

Non adesso, né quell’anno. Forse neanche l’anno prossimo.

Non poteva lasciare Cathy da sola.

Non poteva, perché nulla gli garantiva che sarebbe stata sola.

Dannazione. Che Dio maledisse quel bastardo.

— Te lo saprò dire la settimana prossima — mormorò distrattamente.

Sarkar sorrise. — Benissimo. Questo l’hai già detto.

Peter capì che la serata sarebbe stata un disastro, se non fosse riuscito a concentrare la sua mente su qualcos’altro. — Come funziona il nuovo scanner cerebrale che la mia ditta ha costruito per voi? — domandò, anche se lo sapeva già.

— È grande. Semplificherà in modo decisivo i nostri studi sulla rete neuronica. Un apparecchio meraviglioso.

— Mi fa piacere sentirtelo dire — annuì Peter. — Ci ho lavorato io stesso per rifinirlo; ti confesso che avrei voluto ottenere un livello di risoluzione più elevato.

— La risoluzione attuale è più che adeguata per il genere di lavoro che sto facendo — disse Sarkar. — Perché volevi migliorarla?

— Ricordi quando facevo pratica l’ultimo anno all’Università di Toronto? Una volta ti parlai di un donatore d’organi, un ragazzo dichiarato morto dopo un incidente stradale, che si risvegliò sul tavolo operatorio.

— Ah, sì. — Sarkar ebbe una smorfia. — Be’, tu sai che la mia religione considera con sospetto i trapianti. Noi pensiamo che il corpo debba essere restituito integro alla Terra. Storie come quella me ne persuadono ancora di più.

— A volte ho ancora degli incubi su quell’episodio. Ma oggi sono convinto di avere finalmente il modo di chiarire ogni dubbio in maniera definitiva.

— In che senso?

— Lo scanner che abbiamo sviluppato per la tua ditta è solo il primo stadio di un’apparecchiatura un po’ diversa. Quello che io volevo in realtà era costruire un… un superEEG, se così vogliamo chiamarlo, capace di rilevare ogni livello di attività elettrica in tutti gli angoli del cervello.

— Ah. — Sarkar inarcò un sopracciglio. — In modo da poter dire se una persona è veramente defunta?

— Proprio così.

Il cameriere arrivò con la portata principale. Peter aveva ordinato fette di carne affumicata alla Montreal, alternate con fette di pane inzuppato di mostarda, più un contorno di fagioli rossi al salame conditi con molto pepe, una cena che l’amico aveva definito il suo «kit per l’attacco cardiaco.» Sarkar aveva preso un pesce arrosto in gelatina.

— Penso d’esserci — disse Peter. — Sono anni che rimugino questa idea in attesa di un po’ di tempo per lavorarci sopra, ma ora ho finalmente trovato lo spunto che volevo. Quello che mi bloccava era il problema del filtraggio dei rumori di fondo, che a un livello così sottile può essere eseguito solo da un computer. Ma tempo fa, girando per Internet, ho scoperto che ci sono dei nuovi algoritmi creati per la radioastronomia… anche lì esiste il problema del filtraggio. Questo mi ha dato il modo di saltare alla soluzione. In laboratorio ho già un prototipo di superEEG funzionante.

Sarkar abbassò la forchetta. — Vuoi dire che sei in grado di vedere l’ultimo rantolo dei neuroni, per così dire?

— Esattamente. Tu sai come funziona un EEG standard: ciascuno dei miliardi di neuroni del cervello riceve dalle sinapsi un input che eccita, o un input che inibisce, o una combinazione di entrambi. Giusto? Il risultato è che il potenziale elettrochimico della membrana di un neurone varia continuamente. Un comune EEG misura questo potenziale.

Sarkar annuì.

— Ma in un normale EEG i fili dei sensori hanno un diametro molto più largo dei singoli neuroni. Di conseguenza, invece di misurare il potenziale sulla membrana di un neurone, esso misura il potenziale di tutti i neuroni della zona dell’encefalo a contatto del filo.

— Vero — disse Sarkar.

— Be’, questa miscela di segnali è l’origine del problema. Se un solo neurone, o poche dozzine, o poche centinaia, stanno reagendo all’input sinaptico, il voltaggio sarà di un ordine di grandezza inferiore a quello che un normale EEG può leggere. Così non si può scartare la possibilità che anche quando il display di un EEG mostra una linea piatta, l’attività cerebrale… e quindi la vita, in realtà non si sia ancora spenta.

— Un problema pregnante — annuì Sarkar. «Pregnante» era la sua parola favorita. La usava per indicare qualsiasi cosa che avesse un aspetto delicato, o complesso, o singolare, o comunque interessante. Così, dici di aver trovato la soluzione.

— Sì — disse Peter. — Invece del ristretto numero di fili usati da un comune EEG, il mio superEEG impiega oltre un miliardo di sensori nanotecnologici. Ogni sensore è sottile quanto un singolo neurone. Questi sensori circondano il cranio, come una cuffia da bagno. A differenza degli elettro-encefalografi standard, che ricevono la mescolanza di tutti i segnali neuronici da una vasta zona, questi sensori sono altamente direzionali e misurano soltanto il potenziale elettrico della membrana dei neuroni che si trovano direttamente sotto di essi. — Peter alzò una mano. — È ovvio che una linea verticale tracciata dall’esterno al centro del cranio interseca migliaia di neuroni, ma ciascuno origina un segnale diverso, e grazie a questo il computer può operare un sistema di riferimenti incrociati sui segnali provenienti da tutti i sensori, così è possibile isolare l’attività elettrica di ogni singolo neurone fra quelli presenti nel cervello.

Sarkar masticò un altro boccone di pesce e di gelatina. — Capisco. Ciò che chiamavi «rumore di fondo» era questo insieme di segnali non identificabili. Il problema non stava nella sensibilità, ma nella definizione.

— Sì. Aumentando la seconda, aumentiamo anche la prima. Con questa nuova apparecchiatura dovrei essere in grado di rilevare l’attività elettrica a livello minimo in ogni zona del cervello, anche se è rimasto in vita un unico neurone.

Sarkar parve impressionato. — L’hai già collaudata?

Peter sospirò. — Sì, ma soltanto su animali. Alcuni grossi cani. Non ho ancora potuto ridurre le dimensioni della cuffia e del resto per adeguarle alla testa di un topo, o di un coniglio.

— Ma questo superEEG fa realmente ciò che tu vuoi? Rivela l’esatto, pregnante momento della vera morte… la cessazione ultima di ogni attività cerebrale?

Peter si mordicchiò un labbro. — Non lo so. Ho raccolto gigabyte di registrazioni riguardanti le onde cerebrali di cani Labrador vivi, ma non ho avuto il permesso di metterne a dormire uno per sempre. — Spalmò dell’altra mostarda sulla carne affumicata. — Il solo modo di eseguire un collaudo corretto sarebbe con un essere umano in punto di morte.

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