Capitolo quarto

agosto 2011

Il mondo attraversa due stagioni in sei mesi. Dovrebbe sorprenderci che anche altre cose cambino molto in quel periodo di tempo?

Peter aveva pagato per avere a schermo il Time di quella settimana su Internet, e stava guardando i titoli. Notizie dal mondo, con video interattivi. Politica interna. Cultura. Cronaca nera. Cronaca spicciola.

Cronaca spicciola.

Nascite, matrimoni, divorzi, decessi.

Non tutta la cronaca della vita umana era così scarna. Chi poteva leggere in quelle date spoglie la disintegrazione di una storia d’amore? Quali note giornalistiche potevano riassumere lo svuotarsi di un sentimento, la perdita di ciò che era stata l’anima di una coppia? Dov’era l’articolo che riportava la nascita di un affetto, o la morte della felicità?

Peter ricordava com’erano stati i pomeriggi del sabato fino a sei mesi prima. Pigri. Affettuosi. Leggere una rivista insieme. Guardare un po’ di TV seduti sul divano. A un certo punto alzarsi e andare in camera da letto.

Cronaca spicciola.

Cathy scese dal piano di sopra. Peter si girò un momento verso le scale.

C’era ancora molta speranza in quello sguardo, la speranza che avrebbe visto la Cathy di un tempo, la Cathy che s’era innamorata di lui. Sospirò… non teatralmente, non per gli orecchi di lei, ma per se stesso, una secca esalazione, come nel tentativo di espellere a forza la tristezza dal suo corpo.

Quel breve sguardo era bastato a Peter per fare l’inventario del suo aspetto. Cathy indossava una spiegazzata T shirt, un largo pullover color crema e jeans chiari piuttosto sformati. Niente makeup. Aveva i capelli appuntati con diverse spille, ma non pettinati, e due lunghe ciocche nere le ricadevano sulle spalle. Occhiali azzurrati invece delle lenti a contatto.

Un altro sospiro deluso. Sua moglie aveva un aspetto molto più attraente senza quei grossi occhiali appollaiati sul naso, ma lui non riusciva a ricordare da quanto tempo non metteva più le lenti a contatto.

Non facevano all’amore da sei settimane.

La media nazionale era 2,1 volte alla settimana. C’era scritto proprio lì su Time, in terza pagina.

Naturalmente Time era una rivista americana. Forse la media era un po’ diversa lì in Canada. Superiore.

Forse.

Quell’anno ricorreva il tredicesimo anniversario del loro matrimonio.

E non facevano all’amore da sei settimane. Sei fottute settimane.

Peter tornò a voltarsi. Cathy s’era fermata a controllare qualcosa nelle sue tasche, sull’ultimo gradino in fondo alle scale, vestita come un dannato ragazzo di strada.

Aveva quarantun anni, adesso. Il suo compleanno era stato in luglio. Poteva ancora vantare un gran bel corpo… non che Peter lo vedesse molto, ultimamente. Quelle T shirt antisudore, quei pullover larghi, quei jeans — quelle barche che s’infilava sui fianchi — nascondevano tutto.

Peter represse una smorfia, spinse il tasto PgAv e ricominciò a leggere il giornale. Una volta facevano all’amore per ore, il sabato pomeriggio. Ma Cristo, se girava per casa vestita in quel modo…

Lesse i primi tre paragrafi dell’articolo che aveva a schermo prima di accorgersi che non ne aveva capito una parola, non sapeva neanche di cosa trattasse.

Guardò ancora nell’atrio. Cathy era sempre ferma sull’ultimo scalino, girata verso di lui. I loro occhi s’incontrarono per un istante, ma subito lei poggiò una mano sulla balaustra di legno, continuò a scendere ed entrò in soggiorno.

Fissando la pagina della rivista Peter disse: — Cosa ti andrebbe per cena?

— Non lo so — rispose lei.

Non lo so. L’inno nazionale di Cathyland. Cristo, era stanco di sentirglielo dire. Cosa vorresti fare stasera? Cosa ti va per cena? Ti piacerebbe che ci prendessimo una vacanza?

Non lo so.

Non lo so.

Non lo so.

Fatti fottere.

— Io avrei voglia di frutti di mare — disse Peter, e premette di nuovo il pulsante PgAv.

— Certo. Per cambiare, se ti sta bene — disse lei.

Per cambiare, mi starebbe bene se tu parlassi un po’ con me pensò Peter. Per cambiare, mi starebbe bene se ogni tanto ti mettessi dei vestiti decenti.

— Forse faremmo prima a ordinare qualcosa — disse Peter. — Una pizza, magari. O un po’ di cucina cinese.

— Quello che vuoi.

Lui passò alla pagina successiva. Nuove parole riempirono lo schermo, anch’esse senza essere lette. Tredici anni di matrimonio.

— Forse dovrei chiamare Sarkar — disse lui, tastando il terreno. — Potremmo uscire con lui e mangiare un boccone da qualche parte.

— Se ne hai voglia.

Peter spense il lettore. — Ma per la miseria, non è questione di quello che ho voglia io. Tu cosa vorresti fare?

— Non lo so.

La cosa era cresciuta in silenzio per settimane, lui lo sapeva, ne aveva sentito prima la presenza e poi la pressione sempre crescente, anche se aveva cercato d’ignorare ciò che si accumulava fra loro. Sentiva che la cosa stava arrivando al punto di rottura. — Magari dovrei uscire io con Sarkar, e fare a meno di rientrare a casa.

Cathy era in piedi dall’altra parte della stanza, immobile e lontana da lui. Guardò l’alto scaffale pieno di libri, e a lui parve che le sue labbra tremassero un poco. Quando parlò, la sua voce era esile: — Se è questo che vuoi fare, sei libero di farlo.

Sta per esplodere pensò Peter. Sta arrivando al punto di rottura proprio adesso, qui.

D’istinto riaccese il lettore, come per allontanare quel momento, ma subito lo spense di nuovo. — È finita, non è vero? — disse.

Tredici anni…

Avrebbe dovuto alzarsi dal divano, immediatamente, lasciar perdere quel discorso e uscire.

Tredici anni…

— Gesù Cristo — sospirò Peter nel silenzio. Chiuse gli occhi.

— Peter…

Lui continuò a tenere gli occhi chiusi.

— Peter — disse Cathy, — io sono stata a letto con Hans Larsen.

Lui la fissò a bocca aperta, il cuore che gli batteva forte. Lei evitò il suo sguardo.

A passi esitanti Cathy si spostò nel centro del soggiorno. Per qualche minuto fra loro ci fu solo il silenzio. Peter si sentiva una morsa allo stomaco. Alla fine, con voce rauca e ansante come se non avesse più fiato nei polmoni, disse: — Voglio sapere i particolari.

Cathy continuò guardare altrove. — Hanno qualche importanza? — La sua voce era fioca.

— Sì, hanno importanza. È naturale che abbiano importanza. Da quanto tempo va avanti questa… — fece una pausa, — questa tresca fra te e quell’individuo? — Cristo, non s’era aspettato di poter usare quella parola in una discussione del genere.

Le labbra di lei stavano di nuovo tremando. Fece un passo dalla sua parte, come se intendesse sedersi accanto a lui sul divano, ma esitò quando vide l’espressione della sua faccia. Allora si mosse verso il tavolino e prese una sedia. Sedette, stancamente, come se quei pochi passi attraverso la stanza fossero stati la più lunga camminata della sua vita. Unì con cura le mani in grembo e abbassò lo sguardo su di esse. — Non è stata una tresca — disse sottovoce.

— Be’, come diavolo la chiameresti? — replicò Peter. Le parole erano irose, ma non così il tono. Era svuotato, senza vita.

— È stata… non si è trattato di una relazione — disse lei. — Non esattamente. È successo, e basta.

— Quando?

— Un venerdì sera, dopo il lavoro. Quella volta tu non eri venuto. Hans mi chiese un passaggio fino alla sotterranea. Scendemmo insieme nel parcheggio della ditta e poi salimmo sulla mia macchina. Il parcheggio era deserto, ed era piuttosto buio. Successe lì.

Peter scosse la testa. — Nella tua macchina? — chiese. Per alcuni lunghi secondi tacque, poi disse: — Tu… — e la parola successiva gli uscì lenta e a malincuore, ma aspra, come se andasse detta comunque. — Puttana.

Il volto di Cathy era arrossato, gli occhi gonfi, ma non stava piangendo. Scosse la testa più volte, quasi che cercasse di negare quella parola, una parola che nessuno aveva mai pensato di applicare a lei in passato; ma alla fine scrollò le spalle, non per ignorarla, forse perché la accettava.

— Cos’è successo? — chiese Peter. — Cos’avete fatto, di preciso?

— Abbiamo fatto del sesso. Tutto qui.

— Che genere di sesso?

— Sesso normale. Lui si è abbassato i pantaloni, e mi ha tirato su la gonna. Non ci… non mi ha toccato da altre parti.

— Ma eravate eccitati, no? Tu eri bagnata?

Lei arrossì. — Io… io avevo bevuto un po’ troppo. Peter annuì. — Tu non hai mai bevuto. Non prima di cominciare a lavorare con quella gente.

— Lo so. Ho intenzione di smettere.

— Cos’altro è successo?

— Niente.

— Ti ha baciato?

— Prima di farlo, sì. Dopo no.

Lui ebbe una smorfia sarcastica. — Ti ha detto che ti amava?

— Questo, Hans lo dice a tutte.

— E lo ha detto anche a te?

— Sì, ma… ma erano soltanto parole.

— Tu lo hai detto a lui?

— No, naturalmente.

— Mentre lo facevate, tu… tu sei venuta? La voce di Cathy fu un sussurro:

— No. — Poi una lacrima le scivolò lungo una guancia. — Lui… lui mi ha chiesto se io ero venuta, come se qualunque donna al mio posto avrebbe dovuto avere un orgasmo, lì sul sedile di un’auto. Io ho detto di no. E lui ha riso. Ha riso, e si è tirato su i pantaloni.

— Questo quando è successo?

— Ricordi quel venerdì che sono tornata a casa tardi e mi sono fatta subito la doccia?

— No. Aspetta… sì. Non avevi mai fatto la doccia prima di cena. Ma questo è stato mesi fa…

— In febbraio — disse Cathy.

Peter annuì gravemente. In qualche modo, il fatto che fosse accaduto tanto tempo prima lo rendeva più sopportabile. — Sei mesi fa — disse.

— Sì — mormorò lei. E le parole successive furono come tre lame di coltello nella carne di Peter: — La prima volta.

Nella sua mente rotearono domande stupide. Vuoi dire che ci sono state altre volte? Non soltanto lì nella tua macchina? Ma già, era proprio questo che gli stava dicendo. — Quante volte?

— Altre due.

— Per un totale di tre.

— Sì, soltanto tre.

Di nuovo la smorfia sarcastica. — Allora «tresca» non è la parola adatta? Preferisci «relazione»? Cathy mantenne il silenzio.

— Gesù Cristo — disse sottovoce Peter.

— Non è stata una relazione.

Peter annuì. Sapeva bene che genere di persona fosse Hans. Ovviamente non era stata una relazione. Era piuttosto chiaro che l’amore lì non c’entrava. — Soltanto sesso — mormorò.

Cathy, saggiamente, tacque.

— Cristo — disse ancora Peter. Aveva ancora lo schermo del lettore fra le mani. Lo guardò, pensando che avrebbe potuto scaraventarlo dall’altra parte della stanza e fracassarlo nel muro. Dopo un momento si limitò a gettarlo sul divano accanto a sé. L’oggetto rimbalzò mollemente su un cuscino. — Quando è stata l’ultima volta? — chiese.

— Tre mesi fa — rispose lei con voce debole. — Stavo cercando il coraggio di dirtelo. Io… io non credo che ci sarei riuscita. Ci ho provato un paio di volte, tempo fa. Ma non ho potuto farlo.

Peter non disse nulla. Non c’era una reazione appropriata, giusta, convenzionale. Né un modo per digerire la cosa. Niente. Un abisso.

— Io… ho pensato perfino di uccidermi — disse Cathy dopo una lunga pausa, con voce lontana. — Non avvelenandomi o tagliandomi i polsi, no… niente che sembrasse un suicidio. — Lo guardò, e subito abbassò gli occhi. — Un incidente d’auto. Andare a uccidermi contro un muro. Così tu avresti continuato ad amarmi. Non avresti mai saputo quel che avevo fatto, e… e mi avresti sempre ricordata con affetto. Ci ho provato. Ero pronta a farlo, ma quando è venuto il momento non sono stata capace di uscire di strada e ho tirato dritto. — Sulle sue guance scesero altre due lacrime. — Sono una codarda — disse infine.

Silenzio. Peter stava tentando di vedere un significato in quella situazione. Non serviva a niente chiederle se continuava a vedersi con Hans, o a parlargli. Hans Larsen non cercava una relazione, non una vera relazione, né con Cathy né con qualsiasi altra donna. Hans Larsen. Fottuto bastardo.

— Come hai potuto andare con un individuo così? Fra tutti quelli che conosci, perché proprio Hans? — chiese Peter. — Tu sai benissimo che tipo è.

Lei guardò il soffitto. — Sì, lo so — disse piano. — L’ho sempre saputo.

— Io ho cercato d’essere un buon marito — disse Peter. — Non puoi negarlo. Sono stato comprensivo per tutte le tue esigenze. Parliamo di tutto senza difficoltà. Fra noi non ci sono mai stati problemi di comunicazione, e non puoi dire che io non ti ascoltavo.

Per la prima volta nella voce di lei ci fu una nota aspra. — Non ti sei mai accorto che la notte piango a lungo prima di prendere sonno, da mesi e mesi?

Ai lati del letto avevano due ventilatori ad aria calda che usavano come generatori di rumore di fondo, sia per ammortizzare il disturbo del traffico esterno che per nascondere i loro saltuari piccoli rumori corporali. — Non avrei potuto accorgermene, senza accendere la luce — le rispose. Ogni tanto gli era parso di sentirla tremare, accanto a lui nel buio. Mezzo addormentato s’era figurato vagamente che si stesse masturbando, ma aveva tenuto quel pensiero per sé.

— Bisogna che ci rifletta — disse, pensosamente. — Non so proprio cosa fare.

Lei annuì.

Peter si appoggiò allo schienale del divano e fece un lungo sospiro. — Cristo, dovrò riscrivere gli ultimi sei mesi nella mia mente. La vacanza che abbiamo fatto a New Orleans. Questo è stato dopo che tu e Hans… e quella volta che Sarkar ci ha prestato il suo cottage per il weekend. Anche questo è stato dopo. Ora è tutto diverso. Nulla è più come lo ricordavo. Ogni momento felice, ogni immagine mentale che ho di quel periodo… è annebbiata, sporcata.

— Mi dispiace — disse Cathy con un fil di voce.

— Ti dispiace? — Il tono di Peter era gelido. — Potrebbe dispiacerti se fosse accaduto una volta e poi basta. Ma tre volte? Tre fottute volte?

Le labbra di lei tremavano. — Mi dispiace.

Peter sospirò ancora. — Chiamerò Sarkar e sentirò se è libero per cena, stasera.

Cathy rimase in silenzio.

— Preferirei che tu non venissi. Voglio parlargli da solo. Ci sono delle cose che devo risolvere.

Lei annuì.

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