Capitolo secondo

febbraio 2011

La detective Sandra Philo continuò ad esplorare i ricordi di Peter Hobson.

Dopo la laurea e la specializzazione, nel 1998, aveva lavorato alcuni anni per l’East York General Hospital, quindi era riuscito a fondare una ditta di sua proprietà per la produzione di attrezzature bio-mediche. Sempre nel 1998 lui e Cathy Churchill, più che mai innamorati, s’erano uniti in matrimonio. Cathy aveva rinunciato quasi subito al suo interesse per la chimica e s’era dedicata ad altre attività, cosa di cui Peter ancora non riusciva a capire il motivo. Attualmente, nel 2011, lavorava in una posizione non creativa per un grosso studio pubblicitario, la Doowap Advertising.

E ogni venerdì, dopo il lavoro, Cathy e i suoi colleghi uscivano insieme per bere un drink al The Bent Bishop. In realtà, come Sandra apprese, benché applicassero il verbo bere a un sostantivo singolare, quest’ultimo diventava regolarmente plurale. E prima che arrivasse l’ora di cena alcuni di loro coniugavano tutte le forme del verbo bere finché bevitori si trasformava in bevuti…

Era freddo e buio, una tipica sera di febbraio a Toronto. Peter fece a piedi i sette isolati dall’edificio di quattro piani dove aveva sede la Hobson Monitoring fino al The Bent Bishop. I colleghi di sua moglie non erano il genere di persone che lui amava frequentare, ma sapeva che per Cathy era importante che lui facesse atto di presenza al pub, in quell’occasione. Ad ogni modo lui cercava sempre di arrivare dopo tutti gli altri; l’ultima cosa che voleva era trovarsi a parlare della situazione del mercato o argomenti altrettanto allegri con un contabile o un direttore artistico. Nella pubblicità c’era qualcosa di superficiale che non mancava mai di irritarlo.

Peter spinse la pesante porta di legno del The Bishop e qualche passo più avanti si fermò, per dar tempo agli occhi di adattarsi alla penombra rosata dell’interno. Sulla sinistra c’era una lavagna con le specialità del giorno scritte in verde. Sulla destra era appeso un manifesto della Molson’s Canadian rappresentante una bionda prosperosa in un bikini rosso, con foglie d’acero appiccicate a tutte le curve. Sesso nella pubblicità della birra, pensò Peter: passato, presente, e senza dubbio anche eternamente nel futuro.

Oltrepassò il pergolato e girò lo sguardo per il pub, in cerca di Cathy. Lunghi tavoli di legno grigio angolati apparentemente a caso riempivano tutta la sala anteriore del locale, come portaerei ancorate in una baia affollata. Nella sala posteriore due persone stavano giocando con le freccette.

Ah, eccoli là: riuniti intorno a un tavolo presso la parete di fondo. Quelli che davano le spalle al muro — decorato con un altro poster delle femmine Molson’s — sedevano su un divano rosso. Gli altri occupavano sedie dallo schienale alto, e tutti avevano i loro drink in mano. Alcuni si dividevano una coppa di narchos. Il tavolo era abbastanza lungo da consentire lo svolgersi di due o tre conversazioni separate, per partecipare alle quali si doveva alzare la voce sopra la musica, una vecchia canzone di Mitsou, diffusa a un volume maggiore di quello che gli avventori del locale avrebbero gradito.

Cathy era una conversatrice brillante; questa era stata una delle prime cose che lo avevano attratto di lei. Soltanto in un secondo tempo Peter aveva rimodellato i suoi canoni di bellezza femminile, che in precedenza tendevano verso le bionde prosperose, accorgendosi che trovava eccitanti le labbra sottili di Cathy e i suoi capelli, neri come il giaietto. Sedeva sul divano, con due colleghi — Toby, si chiamava così? e quello zoticone di Hans Larsen — a destra e a sinistra, cosicché non avrebbe potuto uscire se uno di loro non si fosse alzato per primo.

Cathy girò lo sguardo da quella parte mentre Peter si avvicinava, sorrise del suo radioso sorriso e agitò una mano. Peter provava ancora un fremito quando la vedeva sorridere in quel modo. Avrebbe voluto sedersi al suo fianco, ma la posizione degli individui che le stavano attorno lo rendeva impossibile. Lei sorrise ancora, con espressione calda e affettuosa; poi scrollò le spalle in segno di scusa e gli accennò di prendere una sedia libera dal tavolo accanto. Peter eseguì, e i colleghi di lei si scostarono docilmente per fargli posto. Si trovò seduto fra una delle truccatissime giovani donne alla sua sinistra — segretarie e direttrici di produzione, accomunate dal fatto che usavano troppo makeup e abiti molto stretti, e il pseudointellettuale alla sua destra. Come al solito, Pseudo aveva un lettore acceso davanti a sé, con a schermo la copertina dell’ultimo best seller di cui si discuteva nei talk show e quella di un romanzo di Proust. Bastardo vanitoso.

— ‘Sera, Doc — disse Pseudo.

Peter sorrise. — Come ti va?

Pseudo era sulla cinquantina, magro e sofferto come la figura della Vittoria sulla Stanley Cup. Aveva capelli lunghi, poco puliti, e unghie lunghe poco pulite. Un Howard Hughes in addestramento.

Anche gli altri presero atto della presenza di Peter, e dalla parte opposta del tavolo Cathy gli elargì un secondo sorriso speciale. Il suo arrivo aveva momentaneamente interrotto le varie conversazioni. Hans Larsen, sulla destra di Cathy, approfittò di quell’opportunità per afferrare l’attenzione di tutti. — La mia vecchia palla-al-piede non è a casa, stasera — annunciò ai colleghi. — È fuori, a far visita alle sue nipoti. — Hans non sembrava dar peso al fatto che fossero anche le sue nipoti. — Questo significa che sono libero. Lo dico per le signore.

Le signore intorno al tavolo sbuffarono o ridacchiarono.

Erano abituate a sentirgli fare quelle battute. Hans Larsen non era quel che si poteva definire un bell’uomo: aveva capelli biondo-sporco e una faccia squadrata che ricordava Pillsbury Doughboy. Tuttavia la sua incrollabile sfacciataggine aveva una specie di fascino perverso. Perfino Peter, che trovava disgustosa la sua infedeltà coniugale, doveva ammettere che in quell’individuo c’era qualcosa di attraente.

Una delle truccatissime ragazze si girò a guardarlo. Il suo rossetto scarlatto era stato applicato alquanto all’esterno delle labbra per modificarne la forma. — Mi spiace, Hans, ma ormai ho appuntamento col parrucchiere… stanotte.

Risate generali. — Che male c’è se mi piace farmi lavare i capelli a letto? — continuò la ragazza. Altre risate. Peter si girò a guardare il pseudointellettuale per vedere se il concetto di lavaggio dei capelli gli faceva balenare alla mente qualcosa di dimenticato. — Del resto — continuò lei, — una ragazza non deve scendere sotto i suoi standard. E temo che i tuoi standard dovrebbero ingrossarsi parecchio per arrivare ai miei.

Toby, sulla sinistra di Cathy, ridacchiò. — Già — commentò. — Non per nulla lo chiamano piccolo Hans.

Larsen sorrise da un orecchio all’altro. — Come il mio paparino usava dire, ciò che conta non è la quantità ma la qualità. — Guardò la ragazza dalle labbra scarlatte. — Inoltre, non colpire sotto la cintura… finché non sei stata colpita sotto la cintura da me! — E ruggì una risata, soddisfatto della sua spiritosaggine. — Domanda pure a Jean Marie, se non ci credi. Lei può darti le mie referenze.

Anna Marie — lo corresse Cathy.

— Io la chiamo sempre «la mia cavallina» — disse Hans, agitando una mano per mostrare che quei particolari non gli importavano. — Ma se lei non vuole darti le mie referenze, puoi chiederle alla bionda dell’ufficio clienti… quella che non indossa mai il reggiseno.

Peter si stava già stancando di quelle chiacchiere. — Perché non provi a portarti a casa quella bionda lì? — disse, indicando la ragazza sul manifesto della Molson’s. — Così, se tua moglie rientra senza preavviso e vi trova a letto, puoi sempre ripiegarla sotto il cuscino e dire che ti stavi facendo una cavallina da solo.

Hans ruggì un’altra risata. Era di carattere gioviale, Peter doveva ammetterlo. — Ehi, il Doc ha fatto una battuta! — esclamò, guardando gli altri uno per uno come per invitarli a meravigliarsi di quella inaspettata novità. Imbarazzato Peter si girò da un’altra parte, e si accorse di aver attirato lo sguardo del cameriere del pub. Gli fece cenno, e il ragazzo si avvicinò al tavolo. Peter ordinò un succo d’arancia; non beveva alcolici.

Hans non era però tipo da lasciar perdere, anche quando non era il caso d’insistere. — Avanti, Doc, coraggio. Raccontaci un’altra barzelletta. Devi averne sentite raccontare un sacco, col tuo lavoro… una più stupida dell’altra. — E rise ancora.

— Be’ — si adattò Peter, decidendo di fare uno sforzo per amore di Cathy, — ieri parlavo con un avvocato, e lui me ne ha raccontata una divertente. — Due delle ragazze ripresero ad annusare il narchos, evidentemente poco interessate alle sue barzellette, ma il resto del gruppo lo guardò con aria d’attesa. — Dunque… c’era una donna che aveva ammazzato il marito colpendolo alla testa con un contenitore di olio e aceto per le insalate. — Quando la barzelletta era stata raccontata a lui parlava di un marito che aveva ammazzato la moglie, ma Peter non potè resistere alla tentazione di rovesciare i ruoli, nella speranza di far scivolare nella mente di Hans l’idea che sua moglie poteva non approvare che lui facesse il cascamorto con le colleghe di lavoro.

— La donna fu arrestata — continuò Peter, — il caso venne portato in tribunale, e il pubblico ministero presentò l’arma del delitto. Prese la doppia ampolla che era sulla sua scrivania, ancora piena a metà di olio e di aceto, e la portò verso la Corte. «Vostro onore» disse al giudice, «questo è lo strumento con cui il delitto è stato compiuto. Voglio iscriverlo agli atti come prova numero uno.» E sollevò l’ampolla verso la luce. «Come lei può vedere, contiene ancora una certa quantità d’olio e di aceto.» In quel momento l’avvocato della difesa balzò in piedi e agitò un pugno. «Obiezione, Vostro Onore!» gridò. «Questa prova non è immiscibile!»

Tutti lo guardavano. Peter sogghignò per indicare che la barzelletta era finita. Cathy fece del suo meglio per ridere, anche se gliel’aveva già sentita raccontare la sera prima. — Immiscibile — ripetè Peter, debolmente. Non ci fu nessuna reazione dai presenti. Lui guardò lo pseudointellettuale. Pseudo gli concesse una specie di sorrisetto, annuendo. Lui l’aveva capita, o almeno fingeva di averla capita. Ma le altre facce erano inespressive. — Non inammissibile. Immiscibile — spiegò Peter. — Vuol dire che non si possono mescolare. — Li guardò uno dopo l’altro. — L’olio e l’aceto.

— Ah — disse una delle ragazze supertruccate. E un’altra inarcò un sopracciglio. — Ha ha.

Il succo d’arancia ordinato da Peter arrivò. Hans seguì la discesa del bicchiere mimando la caduta di una bomba, con un fischio sempre più acuto che culminò in un’esplosione. Quando rialzò lo sguardo esclamò: — Ehi, gente, la sapete quella della puttana con una scarpa sola che entrò in un bar e chiese tre bicchieri di succo d’arancia, un wurstel e un pezzo di spago?

Peter sopportò i loro discorsi per un’ora, anche se gli parve molto di più. Hans continuò a strizzare l’occhio a tutte le colleghe e a gettare lì inviti e allusioni, senza risparmiare neppure le donne sedute ai tavoli vicini.

Alla fine Peter decise di averne abbastanza di lui, della musica a tutto volume e dell’insipido succo d’arancia che servivano in quel pub. Cercò lo sguardo di Cathy e si batté un dito sull’orologio da polso. Lei sorrise del suo sorriso grazie-per-aver-avuto-pazienza-finora, e si alzarono per uscire.

— Ehi, Doc, già te ne vai, uh? — disse Hans, con voce alquanto impastata. Non ci era andato piano con i drink, e il suo braccio sinistro aveva preso residenza stabile intorno alle spalle di una delle ragazze.

Peter annuì. — È ora di cena.

— Dovresti lasciare qui la nostra Cathy. La portiamo a cena noi.

Quella spiritosaggine irritò Peter, che tuttavia annuì per mostrare che apprezzava la battuta. Cathy salutò la compagnia e raccolse la pelliccia, dopodiché i due raggiunsero l’uscita del locale.

Erano appena le sette e mezza, ma il cielo era già buio come a notte fonda, anche se le luci della strada nascondevano le stelle. Cathy prese Peter a braccetto, e s’incamminarono a passi lenti sul marciapiede.

— Ne ho fin sopra i capelli di quell’idiota — disse Peter, girandosi la sciarpa intorno al collo. Il loro respiro si condensava in nuvolette bianche.

— Chi? — domandò lei.

— Hans.

— Oh, lui è innocuo — sorrise Cathy, stringendosi alla sua spalla mentre camminavano.

— È uno che abbaia e non morde?

— Be’, no, questo non direi — rispose Cathy. — In realtà, anzi, credo che sia riuscito a strappare appuntamenti almeno a metà delle impiegate della Doowap Advertising.

Peter scosse il capo. — Ma non capiscono che tipo è? Quello vuole soltanto divertirsi un po’ con loro.

Cathy si fermò e lo baciò su un orecchio, mordicchiandogli il lobo. — Stasera, amore mio dolce, è quel che voglio fare anch’io.

Lui sorrise, e lei rispose al suo sorriso, e in qualche modo sembrò che intorno a loro non facesse più freddo.

Fecero all’amore con lenta concentrazione, unendo i loro corpi nudi in contorsioni carezzevoli, ciascuno attento ai desideri dell’altro. Dopo tredici anni di matrimonio, oltre sedici di vita in comune e diciannove dal loro primo appuntamento, ognuno dei due conosceva il corpo e i ritmi del partner come i suoi. Eppure, anche dopo tutto quel tempo, trovavano il modo di sorprendersi e di provare piacere in piccoli particolari sempre nuovi. Alla fine, dopo mezzanotte, si addormentarono una nelle braccia dell’altro, quietamente e in silenzio, innamorati.

Ma verso le 3 del mattino Peter si svegliò con un sussulto, ansante e coperto di sudore. Aveva fatto ancora quel sogno: lo stesso sogno che continuava a tormentarlo da sedici anni.

Disteso su un tavolo operatorio sotto la luce cruda, dichiarato morto, ma non ancora tale. Il bisturi gli incideva il petto, la sega per lo sterno ronzava, gli organi sanguinolenti venivano asportati uno dopo l’altro dal suo corpo.

Cathy, ancora nuda, svegliata dal movimento di Peter, scese dal letto, gli portò un bicchier d’acqua e sedette al suo fianco, come aveva già fatto molte altre notti, tenendogli un braccio attorno alle spalle finché vide scivolare via dal suo sguardo l’ombra di quell’oscuro terrore.

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