Capitolo dodicesimo

Peter aveva l’impressione d’essere uno scolaretto alle prese con lo sciocco scherzo bambinesco di mettere i pantaloni agli animali. Si fece strada verso una delle mucche, quella impastoiata in un angolo del recinto, e la accarezzò con rude gentilezza su un lato del collo. Erano passati anni dall’ultima volta che s’era avvicinato a una mucca; lui era cresciuto a Regina, ma aveva molti parenti che possedevano fattorie e allevamenti in varie zone del Saskatchewan, e da ragazzo era spesso andato a trascorrere da loro le vacanze estive.

Come tutte le mucche, anche quella aveva grandi occhi marrone e narici umide. Sembrava ignorare le carezze di Peter, così, senza ulteriori preliminari, lui le applicò il casco modificato sulla parte superiore del cranio, rasata a zero. L’animale muggì, ma più per la sorpresa che per protestare per quel trattamento. Il suo alito caldo puzzava in modo insostenibile.

— Siamo a posto laggiù, doc? — domandò il sovrintendente.

Peter guardò ancora la mucca. Si sentiva un po’ triste per lei. — Sì. Potete procedere.

In quel macello il bestiame veniva solitamente stordito con una scarica elettrica prima d’essere ucciso. Il metodo dell’elettroshock avrebbe però mandato in corto circuito l’apparecchiatura di Peter. Così quella particolare mucca sarebbe stata messa in stato d’incoscienza con il gas, diossido di carbonio, e quindi appesa a testa in giù sopra una vasca, dopodiché le avrebbero tagliato la gola per svuotarla del sangue. Con gli anni Peter aveva assistito a molte operazioni chirurgiche, ma c’erano cose a cui non poteva fare l’abitudine. Fu poco sorpreso quando nel vedere la mucca sgozzata a quel modo sentì una morsa allo stomaco per la nausea. Il caposquadra del reparto lo invitò a restare per tutte le fasi dell’operazione, compresa la macellazione della carcassa, ma lui non era dell’umore adatto. Recuperò il casco costruito appositamente per il cranio dei bovini, arrotolò i cavi del registratore, ringraziò per la loro pazienza gli operai a cui aveva dato disturbo e tornò in città, nel suo ufficio.

Trascorse il resto del pomeriggio lavorando sulla registrazione, e provò diverse nuove tecniche inserite nel suo programma di analisi grafica tridimensionale. Il risultato fu sempre lo stesso: qualsiasi metodo usasse, e per quanto a fondo cercasse, non potè trovare alcuna prova che le mucche avessero un’anima. Al momento della morte dell’animale nulla usciva dal suo piccolo cervello. Quella scoperta, si disse, non era poi molto stupefacente. Comunque fosse, per ogni persona che lo avrebbe definito un genio ce ne sarebbe stata un’altra che lo avrebbe maledetto. In quel caso, a esprimere opinioni poco entusiaste su di lui sarebbero state le associazioni che tutelavano i diritti degli animali.

Peter e Cathy avevano già deciso che quella sera sarebbero andati a cena al Barberian, il loro locale favorito per le bistecche. Ma all’ultimo momento lui telefonò per disdire il tavolo, e cenarono in un ristorante per vegetariani.

Quando Peter Hobson seguiva i corsi di tassonomia all’università, le due specie di scimpanzè note alla scienza erano il Pan Troglodytes (lo scimpanzè comune) e il Pan Paniscus (lo scimpanzè nano, detto anche Bonobo).

Ma la separazione fra gli scimpanzè e gli esseri umani è avvenuta solo circa 500.000 generazioni fa, ed essi hanno ancora il 98,4 % del DNA in comune. Nel 1993 un gruppo comprendente l’evoluzionista Richard Dawkins e il noto scrittore di fantascienza Douglas Adams pubblicò la Carta delle Grandi Scimmie, con la quale si chiedeva urgentemente l’adozione di una lista di diritti per i nostri cugini quadrumani.

Ci vollero tredici anni, ma alla fine la loro Carta fu discussa alle Nazioni Unite. Venne approvata formalmente una risoluzione senza precedenti con la quale si riclassificavano gli scimpanzè come membri del genere Homo, e ciò significò che da quel momento ci furono tre specie diverse di esseri umani: l’Homo Sapiens, l’Homo Troglodytes, e l’Homo Paniscus. Le prerogative umane furono divise in due grandi categorie: quella che includeva cose comuni a tutti (come il diritto alla vita, alla libertà, e alla salvezza da ogni genere di tortura), e quella che riguardava diritti d’altro genere, (come quello di perseguire la felicità, quello della libertà di religione, quello di possedere beni materiali, ecc.) concernenti esclusivamente l’Homo Sapiens.

Ovviamente, rientrando la cosa nei diritti del genere Homo, nessuno avrebbe più potuto uccidere uno scimpanzè adducendo come motivo la sperimentazione medica. In effetti, non fu più consentito tenere in gabbia uno scimpanzè, tantomeno in un laboratorio. E molte nazioni modificarono la definizione legale di omicidio includendo in essa l’uccisione di scimpanzè.

Adriaan Kortlandt, il primo esperto in comportamento animale a studiare gli scimpanzè, una volta li aveva definiti «anime timide dentro una pelliccia animale.» Ma ora Peter Hobson era in grado di constatare fino a che punto l’osservazione di Kortlandt poteva esser presa alla lettera. L’Onda dell’Anima esisteva nell’Homo Sapiens. Non esisteva nel Bos Taurus, la comune mucca. Peter era favorevole alla difesa dei diritti delle scimmie, ma tutti i progressi che erano stati fatti in quel campo negli ultimi decenni sarebbero stati annullati se fosse venuto fuori che gli esseri umani avevano l’anima e gli scimpanzè no. Comunque, lui si rendeva conto che sarebbe stato meglio non eseguire quei test di persona; a farli ci avrebbe pensato qualcun altro.

Anche se gli scimpanzè non venivano più catturati per i circhi, gli zoo e i laboratori, non pochi di essi vivevano in strutture di vario genere. La Gran Bretagna, il Canada, gli U.S.A., la Tanzania e il Burundi sovvenzionavano in comune un «albergo» per scimpanzè a Glasgow — fra tutti i posti possibili — dov’erano ospitati individui che non potevano essere rimandati nel loro ambiente naturale. A detta della direttrice, Brenda McTavis, molti avevano raggiunto i cinquant’anni, età piuttosto tarda per uno scimpanzè, ma in quel periodo nessuno era in punto di morte. Ad ogni modo Peter le spedì un paio dei suoi apparecchi, il programma di analisi dei dati e le istruzioni per eseguire i test.

— E ora — disse a Sarkar durante la loro cena settimanale da Sonny Gotlieb, — penso d’essere pronto per rendere pubblica la scoperta. Ah, i miei esperti di marketing hanno trovato un nome per il nuovo superEEG. Sarà chiamato SoulDetector.

— Oh, per favore! — si scandalizzò Sarkar.

Peter sogghignò. — Ehi, io lascio sempre queste decisioni a Joginder e alla sua squadra. Comunque, i brevetti del SoulDetector sono già a posto. Abbiamo oltre duecento esemplari imballati e pronti per la spedizione. Io dispongo di tre ottime registrazioni di Onde dell’Anima che lasciano il corpo di altrettanti esseri umani. So che alcuni animali semidomestici non hanno un’anima, e fra poco spero di avere i dati riguardanti gli scimpanzè.

Sarkar tagliò in due un lungo baccello. — Stai ancora trascurando un elemento di notevole importanza.

— Sì?

— Mi sorprende che tu non abbia già pensato da solo alla questione, Peter.

— Quale questione?

— L’estremità opposta della tua indagine: tu ora sai in quale momento l’anima parte dal corpo. Ma quando ci arriva?

Peter restò a bocca aperta. — Tu vuoi dire… vuoi dire nel feto?

— Precisamente.

— Santo cielo — mormorò Peter. — Potrei trovarmi dannatamente in imbarazzo, se qualcuno volesse una risposta a questa domanda.

— Forse — disse Sarkar. — Ma appena ti presenterai in pubblico, qualcuno te la farà.

— Ci saranno delle controversie di risonanza incredibile. Sarkar annuì. — È inevitabile. Ma mi stupisce che tu non ci abbia ancora pensato.

Peter distolse lo sguardo. Aveva cercato di non farsi quella domanda, ecco la verità. Una vecchia ferita, da molto tempo ormai guarita. O così aveva creduto.

Maledizione pensò Peter. Oh, maledizione.

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