11 La morte dell’innocenza

Il mattino dopo, quando aprì gli occhi, Eragon pensò che il cielo fosse caduto. Sulla sua testa si ergeva una cupola di un azzurro intenso; tese una mano, ancora mezzo addormentato, e con le dita tastò una sottile membrana. Solo allora capì che cosa stava guardando. Girò piano il collo e contemplò l’incavo squamoso su cui aveva posato la testa. Lentamente distese le gambe dalla posizione rannicchiata, e le croste delle ferite crepitarono. Il dolore era diminuito, dal giorno prima, ma al solo pensiero di camminare gli venne la nausea. Un crampo allo stomaco gli rammentò i pasti saltati. Si appellò a tutte le sue energie e fece capolino da sotto l’ala. «Ehi! Svegliati!» gridò alla dragonessa.

Saphira si mosse appena e sollevò l’ala; un torrente di luce investì Eragon, che socchiuse gli occhi contro il riverbero accecante della neve. Al suo fianco, Saphira si stiracchiò come un gatto e sbadigliò, mostrando un’impressionante chiostra di zanne candide. Quando gli occhi di Eragon si furono abituati alla luce, il ragazzo si guardò intorno. Vette imponenti e sconosciute li circondavano, proiettando scure ombre sulla radura. Nella neve notò tracce di animali che s’inoltravano nella foresta; da laggiù proveniva il gorgoglio sommesso di un ruscello.

Si alzò con un gemito e zoppicò verso un albero. Afferrò uno dei rami bassi e lo tirò con tutto il suo peso. Il ramo dapprima resistette, poi cedette di schianto. Eragon lo ripulì e lo usò come una stampella. Con quel sostegno si avviò verso il ruscello coperto di ghiaccio. Ruppe lo strato gelato e immerse le mani nella corrente limpida per bere. Una volta dissetato, tornò nella radura. Non appena uscì dal folto degli alberi, riconobbe le montagne e la radura.

Era lo stesso luogo dove, con un boato assordante, aveva fatto la sua comparsa l’uovo di Saphira. Si appoggiò a un tronco caduto. Non poteva sbagliarsi: quegli alberi grigi e spogli erano stati inceneriti dall’esplosione. Come faceva Saphira a conoscere quel posto? Allora era ancora dentro l’uovo. I miei ricordi devono averle dato le informazioni per trovarlo. Scosse la testa, sopraffatto da un muto stupore.

Saphira lo aspettava paziente. Mi porti a casa? le chiese. Lei inclinò la testa da un lato. So che non vuoi, ma devi. Tutti e due abbiamo un obbligo nei confronti di Garrow. Lui si è preso cura di me e, attraverso me, anche di te. Vuoi ignorare il tuo debito? Che cosa vuoi che dicano di noi col passare del tempo, se non torniamo? Che ci siamo nascosti come codardi mentre mio zio era in pericolo?

Già mi sembra di sentirla, la storia del Cavaliere e del suo drago vigliacco! Se ci sarà da combattere, lo faremo a testa alta. Tu sei un drago! Perfino uno Spettro fuggirebbe davanti a te! E

tu che cosa fai? Ti nascondi fra le montagne come un coniglio spaurito.

Eragon voleva farla arrabbiare, e ci riuscì benissimo. Dalla gola della dragonessa vibrò un ringhio furente, mentre faceva schioccare le fauci a pochi pollici dal suo volto. Snudò le zanne e lo guardò bieca, fumando dalle narici, Eragon sperò di non essersi spinto troppo in là. I pensieri di lei lo raggiunsero, ardenti di rabbia. Il sangue conoscerà il sangue. Combatterò. I nostri wyrda, i nostri destini ci legano, ma non mi sfidare. Ti porterò a casa perché sono in debito, ma sappi che voliamo verso la follia.

«Follia o no» disse al vento. «non abbiamo scelta: dobbiamo andare.» Si tolse la camicia e la strappò a metà, e con la stoffa foderò l’interno delle braghe. Poi salì in groppa a Saphira e le cinse il collo. Questa volta, le disse, vola più basso e più veloce.

Tieniti stretto, lo ammonì lei, e si levò in volo. Appena raggiunte le chiome degli alberi, la dragonessa prese un ritmo regolare e continuò a volare sulla foresta, sfiorando i rami. Lo stomaco di Eragon ricominciò a fare le capriole; era una fortuna che fosse vuoto.

Più in fretta, più in fretta, la incitò. Lei non disse niente, ma accelerò il battito d’ali, Eragon strizzò gli occhi e s’ingobbì. Aveva sperato che l’imbottitura nelle braghe lo avrebbe protetto, ma ogni movimento gli procurava dolorose fitte alle gambe. Sangue fresco cominciò a sgocciolargli lungo i polpacci. Sentì l’ansia di Saphira, che batteva le ali al massimo. In basso, il terreno sfrecciava come se qualcuno stesse sfilando sotto di loro una mappa, Eragon si disse che da terra dovevano apparire solo come una macchia confusa.

Nel primo pomeriggio arrivarono in vista della Valle Palancar. Le nuvole oscuravano la visuale a sud; Carvahall si trovava a nord. Saphira si abbassò appena, per consentire a Eragon di scorgere la fattoria. Quando infine lui la vide, il suo cuore ebbe un tuffo. Un nero pennacchio di fumo si levava dalla dimora in fiamme.

Saphira! Indicò in basso. Fammi scendere lì. Subito!

La dragonessa inclinò le ali e si tuffò in picchiata, avvicinandosi al terreno a una velocità spaventosa. Poi rallentò per puntare verso la foresta, Eragon urlò al di sopra del vento: «Atterra nei campi!» e si strinse forte alla creatura. Saphira aspettò di trovarsi a un centinaio di piedi dal suolo per puntare le ali verso il basso e frenare la discesa con pochi colpi poderosi. Atterrò pesantemente, e lui perse l’appiglio. Finì a terra, ma si rialzò subito, barcollante, senza fiato.

La casa era esplosa. Le assi del tetto e delle pareti erano sparse a raggiera in tutta l’area, il legno polverizzato come schiacciato da un colossale maglio. Tegole annerite costellavano il terreno; piccoli frammenti contorti di metallo erano tutto quel che restava della stufa. La neve era disseminata di pezzi di terraglia bianca e mattoni rossicci del comignolo. Un denso fumo oleoso si levava dal fienile in fiamme. Gli animali erano stati uccisi; qualcuno era fuggito.

«Zio!» Eragon corse verso i resti fumanti delle stanze, in cerca di Garrow. Nessuna traccia. «Zio!» gridò ancora. Saphira fece il giro della casa e gli si avvicinò.

Qui dimora il dolore, disse la dragonessa.

«Questo non sarebbe successo se non fossi fuggita via con me!»

Tu non saresti vivo se fossimo rimasti.

«Guarda!» urlò il ragazzo. «Avremmo potuto avvertire Garrow! È colpa tua se non è fuggito!»

Sferrò un pugno contro un palo e si sbucciò le nocche. Senza badare al sangue che gli gocciolava dalle dita, uscì a grandi passi dalla casa, o meglio, da ciò che ne restava. Raggiunse il sentiero che conduceva alla strada maestra e si accoccolò per esaminare la neve. C’erano parecchie impronte, ma aveva la vista appannata e non riusciva a distinguerle bene. Sto diventando cieco? si chiese. Con la mano tremante si toccò le guance e le trovò bagnate.

Un’ombra torreggiò su di lui quando Saphira lo raggiunse, coprendolo con le sue ali. Consolati;

forse non tutto è perduto…Eragon alzò lo sguardo versò di lei, in cerca di speranza. Guarda la neve. I miei occhi vedono soltanto due serie di orme. Garrow non è stato portato via.

Eragon scrutò la neve calpestata. Le orme di due paia di stivali andavano verso la casa. Poco distante, le stesse impronte che si allontanavano. E chiunque avesse lasciato quest’ultima serie, aveva lo stesso peso di quando era arrivato. Hai ragione: Garrow è ancora qui Si alzò di scatto e corse di nuovo verso le rovine.

lo cercherò qui intorno e nella foresta, disse Saphira.

Eragon scavalcò i resti della cucina e cominciò a scavare frenetico sotto un cumulo di macerie. Grossi detriti che normalmente non sarebbe riuscito a sollevare gli parevano leggeri come fuscelli. Per un attimo fu ostacolato da una credenza quasi intatta; poi la spostò di peso e la fece volare. Mentre afferrava una tavola, udì un rumore alle sue spalle. Si volse di scatto, pronto a difendersi. Una mano sbucò da sotto una parte di tetto crollato. Si muoveva appena, ed Eragon l’afferrò con un grido. «Zio, riesci a sentirmi?» Nessuna risposta. Eragon prese a staccare pezzi di legno, senza far caso alle schegge che gli ferivano le mani. Comparvero un braccio e una spalla, ma il corpo era sepolto sotto una trave pesante. Provò a spingerla con la spalla, mettendoci ogni fibra del suo essere, ma fu inutile. «Saphira! Ho bisogno di te!»

La dragonessa arrivò subito. Il legno schioccava sotto le sue zampe mentre si faceva strada fra le rovine. Senza una parola, gli passò accanto e appoggiò il fianco contro la trave. Conficcò gli artigli in quello che restava del pavimento e tese i muscoli. Con un lento scricchiolio, la trave si alzò ed Eragon vi s’infilò sotto. Garrow era disteso a faccia in giù, gli abiti ridotti a brandelli. Eragon lo trascinò fuori dalle macerie. Non appena furono al sicuro, Saphira lasciò andare la trave, che ricadde con uno schianto fragoroso.

Eragon trascinò lo zio fuori dalla casa distrutta e lo adagiò per terra. Lo guardò sconvolto, lo toccò con delicatezza. La sua pelle era grigia, senza vita, e secca, come se una febbre lo avesse prosciugato. Aveva il labbro spaccato e un taglio profondo gli solcava lo zigomo, ma non era quella la cosa peggiore. La maggior parte del corpo era coperta da gravi ustioni, bianche come gesso, che trasudavano un liquido chiaro. Emanava un puzzo nauseabondo, come di frutta marcita. Respirava a fatica; ogni rantolo sembrava l’ultimo.

Assassini, sibilò Saphira.

Non dirlo.. Potrebbe ancora salvarsi! Dobbiamo portarlo da Gertrude. Ma io non posso,farcela da solo fino a Carvahall

Saphira gli trasmise l’immagine di Garrow sospeso sotto di lei mentre volava.

Puoi portarci tutti e due?

Devo.

Eragon scavò fra le macerie finché non trovò una tavola abbastanza grande e qualche cinghia di cuoio. Disse a Saphira di trapassare con un’unghia ciascuno dei quattro angoli della tavola, poi fece scorrere le cinghie nei fori e le fissò alle zampe davanti della dragonessa. Dopo aver controllato i nodi, fece rotolare Garrow sulla barella. Mentre lo legava per sicurezza, dalla mano dello zio cadde un brandello di stoffa nera. Era il tessuto dei mantelli degli stranieri. Eragon se lo infilò in tasca con un gesto di rabbia, salì in groppa a Saphira e chiuse gli occhi per combattere il dolore pulsante che gli tormentava le gambe. Vai!

La dragonessa piantò saldamente le zampe dietro a terra e s’impennò, agitando le ali con vigore, i muscoli tesi nello sforzo di contrastare la gravità. Per un lungo, terribile istante non accadde nulla; poi la creatura si staccò dal suolo e prese a salire rapida. Mentre sorvolavano la foresta, Eragon le disse: Segui la strada maestra, così troverai spazio per atterrare.

Mi potrebbero vedere.

Non ha più importanza! La dragonessa non replicò. Virò verso la strada e si diresse a Carvahall. Garrow ondeggiava paurosamente sotto di loro; soltanto le sottili cinghie di cuoio gli impedivano di cadere.

Il doppio peso rallentava il volo di Saphira. La testa prese a ciondolarle; aveva la schiuma alla bocca. Nonostante gli sforzi, mancava ancora una lega a Carvahall quando si arrese e atterrò sulla strada.

Le sue zampe sollevarono un ampio ventaglio di neve, Eragon scivolò a terra, rotolando su un fianco per evitare di farsi ancora male alle gambe. Si alzò a fatica e sciolse i lacci dalle zampe di Saphira. Il respiro affannoso della dragonessa rimbombava nell’aria fredda. Trova un posto sicuro per riposare, le disse. Non so quanto starò via, perciò dovrai cavartela da sola per un po’.

Aspetterò, disse lei.

Eragon strinse i denti e cominciò a trascinare Garrow lungo la strada. I primi passi gli procurarono un’esplosione di dolore, in tutto il corpo. «Non posso farcela!» gridò al cielo, ma continuò ad arrancare. Le labbra contratte in una smorfia, fissava il terreno sotto i piedi per costringersi ad andare avanti. Era una lotta contro il proprio corpo: una lotta che voleva vincere a tutti i costi. I minuti passavano con una lentezza intollerabile; ogni piede guadagnato sembrava lungo un miglio. In preda alla disperazione, si chiese se Carvahall esistesse ancora, o se non fosse stata rasa al suolo dagli stranieri. Dopo quella che gli parve un’eternità di dolore, sentì gridare e alzò gli occhi. Brom correva verso di lui, gli occhi sgranati, i capelli scarmigliati, un lato della testa incrostato di sangue rappreso. Agitava le braccia come un forsennato. Quando lo raggiunse, lasciò cadere il bastone e lo afferrò per le spalle, dicendogli qualcosa ad alta voce. Eragon lo guardò senza capire. All’improvviso, il terreno parve venirgli incontro. Sentì il sapore del sangue; poi tutto si fece nero.

Загрузка...