14 L’arma di un Cavaliere

Al risveglio, Eragon si sentì sopraffare dall’angoscia. Con gli occhi ancora chiusi, non riuscì a trattenere una nuova ondata di lacrime. Cercò un pensiero, una speranza che gli impedisse di scivolare nella follia. Nonposso vivere così, gemette.

Allora non farlo. Le parole di Saphira echeggiarono nella sua mente.

Come? Garrow se n’éandato per sempre! E quando arriverà il mio momento, anch’io incontrerò lo stesso fato. Gli affetti, la famiglia, le conquiste... tutto ti viene strappato via, senza lasciarti niente.

Qual è il valore di ciò che facciamo?

Il valore consiste nell’atto. Il tuo valore ha fine quando ti arrendi e non provi più il desiderio di cambiare, di vivere la vita.

Ma hai parecchie strade davanti a te: scegline una e dedicati a essa anima e corpo. Saranno le azioni a darti una nuova speranza e un nuovo scopo.

Ma che cosa posso fare?

L’unica vera guida è il tuo cuore. Nulla può aiutarti, se non il suo desiderio supremo.

La dragonessa lasciò che il ragazzo riflettesse su quei pensieri. Eragon esaminò le proprie emozioni. Fu sorpreso quando scoprì di provare, più che dolore, una rabbia cocente. Che cosa vuoi che faccia... devo inseguire gli stranieri?

La sua risposta diretta lo confuse. Trasse un profondo, tremante respiro. Perché?

Ricordi quello che mi hai detto sulla Grande Dorsale? Quando mi hai rammentato il mio dovere di drago, e io ti ho riportato a casa malgrado il mio istinto? Anche tu devi controllarti. Ho riflettuto molto negli ultimi giorni, e ho capito che cosa significa essere drago e Cavaliere: è il nostro destino tentare l’impossibile, realizzare grandi imprese senza timore, È la nostra responsabilità per il futuro.

Non m’importa quel che dici; non sono buoni motivi per partire! gridò Eragon.

Ce ne sono altri. Hanno visto le mie impronte e la gente comincia a sospettare la mia presenza.

Alla fine mi scopriranno, E poi, qui non ti resta niente. Non hai casa, non hai famiglia, e...

Roran non è morto! disse il ragazzo con foga.

Ma se resti, dovrai spiegargli che cosa è successo davvero. Lui ha il diritto di sapere come e perché suo padre è morto. Che cosa credi che farà quando saprà di me?

Gli argomenti di Saphira cominciarono a minare l’ostinazione di Eragon, ma il ragazzo continuava a rifiutare l’idea di abbandonare la Valle Palancar: quella era casa sua, E insieme, il pensiero di vendicarsi degli stranieri lo allettava con la sua ferocia. Avrò la forza di affrontare tutto questo?

Avrai me.

Il dubbio lo tormentava. Era un atto assurdo, disperato. Si disprezzò per la propria indecisione e un sorriso amaro gli affiorò sulle labbra. Saphira aveva ragione. Non contava altro se non l’atto in sé.

L’importante è fare. E che cosa gli avrebbe procurato più soddisfazione che braccare gli stranieri? Si sentì crescere dentro una forza terribile, che raccolse tutte le sue emozioni trasformandole in una solida spranga di rabbia, con una sola parola stampata sopra: vendetta. La testa gli pulsava mentre diceva, convinto: Lo farò.

Interruppe il contatto con Saphira e rotolò fuori dal letto, il corpo teso come ima molla compressa. Era ancora presto; non aveva dormito che poche ore. Niente è più pericoloso di un nemico che non ha nulla da perdere, pensò. È quello che sono diventato.

Il giorno prima aveva fatto fatica ad alzarsi, ma quella mattina si muoveva con una scioltezza alimentata da una volontà di ferro. Il dolore che il corpo gli inviò fu sconfitto e ignorato. Mentre si aggirava furtivo per la casa, sentì due persone parlottare a bassa voce. Incuriosito, si fermò a origliare. Elain stava, dicendo: «... un posto per restare. Abbiamo spazio.» Horst rispose con un borbottio incomprensibile. «Già, povero ragazzo» disse Elain.

Questa volta Eragon riuscì a sentire le parole di Horst. «Può darsi...» Una lunga pausa. «Ho pensato molto a ciò che ha detto Eragon, e non sono sicuro che ci abbia raccontato tutto.»

«Che cosa intendi dire?» chiese Elain, una nota di apprensione nella voce.

«Quando siamo andati alla fattoria, sulla strada c’era una lunga traccia spianata, lasciata dalla tavola su cui Eragon aveva trascinato Garrow. Ma poi siamo arrivati in un punto dove la neve era tutta smossa e calpestata. Le sue orme e la traccia della tavola si fermavano lì, ma abbiamo visto le stesse impronte gigantesche che circondavano la fattoria, E le sue gambe? Mi sembra impossibile che non si sia accorto di essersi ferito a quel modo. Non ho voluto insistere, ma credo che sia giunto il momento di saperne di più.»

«Forse ciò che ha visto lo ha tanto spaventato che non ha voluto dirci nulla» stiggerì Elain. «Hai visto com’era sconvolto.»

«Ma questo non spiega come sia riuscito a trascinare Garrow per buona parte del tragitto senza lasciare tracce.»

Saphira aveva ragione, pensò Eragon. Dobbiamo andarcene. Troppe domande. Prima o poi vorranno delle risposte. Continuò a muoversi circospetto, fermandosi col cuore in gola ogni volta che il pavimento scricchiolava.

Le vie erano deserte; erano quasi tutti ancora in casa, a quell’ora del mattino. Si fermò un istante per concentrarsi. Non mi occorre un cavallo, Saphira sarà la mia cavalcatura, ma ho bisogno di una sella. Lei saprà cacciare per tutti e due, quindi non mi devo preoccupare del cibo... però potrei procurarmene un po’ comunque. Qualunque altra cosa mi serva, la troverò sepolta sotto le macerie di casa.

Andò alla conceria di Gedric, ai margini di Carvahall. L’odore acre gli fece storcere il naso, ma entrò lo stesso in una baracca addossata al fianco della collina, dove si conservavano le pelli conciate. Sganciò tre grandi pelli di bue dalle lunghe file di pelli appese al soffitto. Il furto lo fece sentire in colpa.. ma si disse: Non sto rubando. Un giorno o l’altro pagherò Gedric, e anche Horst.

Arrotolò le pelli e le portò fino a un boschetto lontano dal villaggio. Infilò l’involto fra i rami di un albero e tornò a Carvahall.

E adesso il cibo. Si avviò verso la taverna, intenzionato a sottrarre un po’ di viveri, ma poi sorrise tra sé e cambiò direzione. Se doveva rubare, tanto valeva farlo da Sloan. S’intrufolò di soppiatto nella bottega del macellaio. La porta principale era chiusa quando Sloan non c’era, ma la porta sul retro era protetta da una piccola catena, che riuscì a spezzare con facilità. Dentro era buio. Si aggirò a tentoni finché le sue mani non sfiorarono dei fagotti di carne. Si infilò tutti quelli che poteva sotto la camicia, poi tornò sulla strada e richiuse la porta.

Poco distante, una donna gridò il suo nome. Strinse a sé l’orlo della camicia per non far scivolare la carne e si rifugiò dietro un angolo. Rabbrividì quando vide Horst camminare fra due case, a pochi metri da lui.

Non appena Horst fu scomparso, Eragon prese a correre, con le gambe che gli pulsavano dolorosamente. Uscì da un vicolo e puntò verso il boschetto. Scivolò fra i tronchi, poi si voltò per vedere se era stato seguito. Nessuno. Trasse un sospiro di sollievo e tese una mano verso il ramo dove aveva nascosto le pelli. Erano scomparse.

«Vai da qualche parte?»

Eragon si volse di scatto. Brom lo fissava accigliato, sempre con quella brutta ferita alla tempia. Alla cintura gli pendeva il fodero scuro di una spada corta. Stringeva in mano le pelli.

Gli ocelli di Eragon si ridussero a due fessure. Come aveva fatto il vecchio a pedinarlo? Tutto era così silenzioso che avrebbe giurato che non ci fosse nessuno. «Ridammele!» gli intimò, brusco.

«Perché? Così puoi scappare ancora prima che Garrow sia seppellito?» L’accusa lo ferì.

«Non sono affari tuoi!» urlò, su tutte le furie. «Perché mi hai seguito?»

«Non ti ho seguito» grugnì Brom. «Ti stavo aspettando qui. Dove hai intenzione di andare?»

«Da nessuna parte.» Eragon si lanciò in avanti all’improvviso e gli strappò le pelli di mano. Brom non oppose resistenza.

«Spero che tu abbia abbastanza carne per il tuo drago.»

Eragon fu raggelato dalla battuta. «Ma di che cosa parli?»

Brom incrociò le braccia. «Non mi inganni. So come ti sei procurato quel segno sulla mano, il gedw’éy ignasia, il palmo luccicante: hai toccato un cucciolo di drago. So perché sei venuto da me con tutte quelle domande, e so che ancora una volta i Cavalieri vivono.»

Eragon lasciò cadere le pelli e la carne. Alla fine è successo... Devo scappare! Non posso correre più veloce di lui con le gambe ferite, ma se... Saphira! chiamò.

Per qualche interminabile istante, lei non rispose. Poi: Si

Siamo stati scoperti! Ho bisogno di te! Le inviò l’immagine del luogo dove si trovavate lei si alzò subito in volo. Ormai doveva soltanto guadagnare tempo. «Come l’hai scoperto?» domandò in tono sommesso.

Brom guardò in lontananza e mosse le labbra in un mornorio muto, come se stesse parlando con qualcuno. Poi disse: «C’erano tracce e indizi dappertutto; sono solo stato molto attento. Chiunque con le giuste informazioni ci sarebbe arrivato. Ora, dimmi come sta il tuo drago?»

«La mia dragonessa» disse Eragon «sta bene. Non eravamo alla fattoria quando sono arrivati gli stranieri.»

«Ah, le tue gambe. Stavi volando?»

Come fa a saperlo? E se gli stranieri lo hanno costretto a cerarmi? Forse vogliono che lui scopra dove voglio andare per poterci tendere un agguato. E dov’è Saphira? Dilatò la mente e scoprì che volava in circolo a qualche lega di distanza. Vieni!

No, resterò a guardarvi per un po’

Perché?

Per il massacro di Dorù Areaba.

Cosa?

Brom si appoggiò a un albero, con uno strano sorriso ulle labbra. «Le ho parlato, e lei ha acconsentito a restare in volo finché non avremo appianato i nostri contrasti. Come puoi vedere, non hai altra scelta se non rispondere alle mie domande. Adesso dimmi, dove hai intenzione di andare?»

Sbigottito, Eragon avvicinò una mano alla tempia. Come fa Brom a parlare con Saphira? La testa gli pulsava; nella lente gli frullarono centinaia di pensieri, ma continuava ad arrivare alla stessa conclusione: doveva dire qualcosa al vecchio. «Voglio trovare un posto sicuro dove nasconderli finché non sarò guarito.»

«E dopo?»

Non poteva ignorare la domanda. Il dolore pulsante alla testa peggiorò, offuscandogli il pensiero; non aveva più le idee ciliare. Desiderava solo raccontare a qualcuno gli eventi degli ultimi mesi. Il pensiero che quel segreto era la causa della morte di Garrow lo tormentava. Si arrese e disse, con voce tremante: «Voglio inseguire gli stranieri e ucciderli.»

«Un’impresa ardua per un ragazzo così giovane» disse Brom con tranquillità, come se Eragon gli avesse esposto il progetto più ovvio e opportuno. «Certo un impegno encomiabile, che saprai come portare a termine.. Tuttavia, ho idea che un piccolo aiuto non ti sarà d’intralcio.» Si chinò dietro un cespuglio e ne estrasse un grosso involto. Il suo tono divenne burbero. «Comunque, non starò a guardare mentre un bambino vaga con un drago.»

Mi sta davvero offrendo il suo aiuto, o è una trappola? Eragon aveva paura di quello che i suoi misteriosi nemici erano in grado di fare. Ma Brom ha convinto Saphira a fidarsi di lui, e hanno parlato attraverso la mente. Se lei non è preoccupata... Decise di accantonare i sospetti, per il momento. «Non mi serve aiuto» disse Eragon. Poi aggiunse, con una smorfia; «Ma se vuoi venire...»

«Allora sarà meglio che andiamo» disse Brom. La sua espressione divenne neutra per un istante.

«Credo che scoprirai che il tuo drago ti ascolta di nuovo.»

Saphira? disse Eragon.

Sì.

Frenò l’impulso di interrogarla. Ci vediamo alla fattoria?

Sì. Avete raggiunto un accordo?

Credo di sì. La dragonessa si ritrasse e volò via. Eragon guardò verso Carvahall e vide uomini che correvano di casa in casa. «Credo che mi stiano cercando.»

Brom inarcò un sopracciglio. «Probabile. Andiamo?»

Eragon esitò. «Vorrei lasciare un messaggio per Roran. Non mi sembra giusto partire senza dirgli il perché.»

«Ho già provveduto» lo rassicurò Brom. «Ho lasciato una lettera per lui da Gertrude, con qualche spiegazione. L’ho anche avvertito di guardarsi da certi pericoli. È abbastanza?»

Eragon annuì. Avvolse la carne nelle pelli e s’incamminarono. Furono attenti a non farsi vedere finché non ebbero raggiunto la via maestra; poi si affrettarono, desiderosi di mettere quanta più strada possibile fra loro e Carvahall. Eragon camminava avanti, con piglio deciso, nonostante il dolore alle gambe. Il passo costante gli sgombrò la mente. Una volta arrivati a casa, non muoverò un passo con Brom finché non mi avrà dato delle risposte, si disse risoluto. Spero che possa dirmi di più sui Cavalieri e su coloro che voglio combattere.

Quando i ruderi della fattoria comparvero, le sopracciglia di Brom fremettero di rabbia, Eragon fu turbato nel vedere con quanta rapidità la natura reclamava la fattoria. La neve e la pólvere si erano già accumulate sui resti della casa, celando la violenza dell’attacco degli stranieri. Tutto ciò che restava del fienile era un rettangolo di assi bruciate in rapido disfacimento.

La testa di Brom scattò verso l’alto quando sopra gli alberi si udì il battito d’ali di Saphira. La dragonessa scese in planata dietro di loro, arrivando quasi a sfiorare le loro teste, e lo spostamento d’aria li fece barcollare. Le squame di Saphira scintillarono mentre tracciava un arco sopra la fattoria e atterrava con grazia davanti a loro.

Brom fece un passo avanti, con espressione solenne e gioiosa. I suoi occhi splendevano, e una lacrima brillò sulla sua guancia prima di scomparire nella barba. Rimase immobile a lungo, ansante, mentre guardava Saphira, e lei lui. Eragon lo udì mormorare qualcosa e mosse qualche passo per sentire meglio.

«E così... ricomincia. Ma come, quando finirà? La mia visione è annebbiata; non so predire se sarà farsa o tragedia, poiché vedo gli elementi di entrambe... Comunque, la mia posizione resta immutata, e io… »

Le sue parole si dissolsero in un borbottio mentre Saphira si avvicinava fiera, Eragon superò Brom, fingendo di non aver udito nulla, e la salutò. C’era qualcosa di diverso fra loro, come se si conoscessero più a fondo, ma fossero ancora estranei. Le strofinò il collo, e il suo palmo formicolò quando le menti si toccarono. La dragonessa emanava un’intensa curiosità.

Non ho mai visto umani, tranne te e Garrow, e lui era ferito, disse lei.

Hai visto altra gente attraverso i miei occhi.

Non è la stessa cosa. La dragonessa si avvicinò e volse la lunga testa per poter scrutare meglio Brom con un enorme occhio azzurro. Siete proprio creature bizzarre, disse in tono critico, e continuò a fissare il vecchio. Brom rimase immobile mentre la dragonessa annusava l’aria circostante; poi tese una mano. Saphira abbassò piano la testa e gli permise di toccarla sulla fronte. Poi si ritrasse di colpo con uno sbuffo e si nascose dietro Eragon. La sua coda frustò il terreno.

Che cosa succede? domandò lui. Lei non rispose.

Brom si rivolse al ragazzo e chiese sottovoce; «Come si chiama?»

«Saphira.» Una strana espressione attraversò il volto di Brom. Conficcò il bastone nel terreno con tanta forza che le nocche sbiancarono. «Di tutti i nomi che mi hai suggerito, quello è l’unico che le è piaciuto. Credo che sia appropriato» si affrettò ad aggiungere Eragon.

«Molto appropriato» disse Brom, Eragon colse una sfumatura indecifrabile nella sua voce. Perdita, meraviglia, paura, invidia? Non ne era sicuro; poteva essere tutto o niente. Brom alzò la voce e disse; «Salute a te, Saphira. Sono onorato di conoscerti.» Fece un gesto svolazzante con la mano e s’inchinò.

Mi piace, disse Saphira.

Ovvio; a tutti piace essere lusingati. Eragon la toccò sulla spalla e puntò verso la casa diroccata. Saphira lo seguì insieme a Brom. Il vecchio aveva l’aria vivace.

Eragon si arrampicò sulle macerie e scivolò sotto una porta in ciò che restava della sua stanza. A stento la riconobbe sotto i cumuli di legno divelto. Guidato dalla memoria, cercò la parete interna e trovò il suo zaino vuoto. Parte dell’intelaiatura di legno era rotta, ma si poteva riparare. Continuò a frugare attorno e alla fine scoprì un’estremità del suo arco, ancora chiuso nella custodia di pelle. N

La pelle era rovinata e piena di graffi, ma fu lieto di constatare che il legno oliato era rimasto intatto. Almeno un colpo di fortuna. Incordò l’arco e ne saggiò l’elasticità. L’arco si piegò senza schiocchi o rotture. Soddisfatto, cercò la faretra, che trovò sepolta lì vicino. Molte frecce erano spezzate.

Porse l’arco e la faretra a Brom, che commentò: «Ci vuole un braccio robusto per tenderlo.» Eragon accettò il complimento in silenzio. Vagò ancora per la casa in cerca di altri oggetti utili e li posò ai piedi di Brom. Un ben magro bottino. «E adesso?» disse il vecchio. I suoi occhi lo scrutavano in profondità. Eragon distolse lo sguardo.

«Troviamo un posto dove nasconderci.»

«Hai già in mente qualcosa?»

«Sì.» Avvolse gli oggetti, tranne l’arco, in un ampio fagotto, e lo chiuse stretto. Se lo gettò in spalla, disse: «Da questa parte» e s’incamminò verso la foresta. Saphira, seguici in volo. Le tue impronte sono troppo facili da scoprire.

D’accordo. La dragonessa si librò.

La destinazione era vicina, ma Eragon seguì un percorso tortuoso allo scopo di seminare eventuali inseguitori. Era passata oltre un’ora quando finalmente si fermò in una radura ben nascosta. Lo spiazzo era largo quanto bastava per ospitare un falò, due persone e un drago. Gli scoiattoli fuggirono tra gli alberi, protestando con sonori squittii contro l’intrusione. Brom si districò da un rampicante e si guardò intorno con interesse. «Qualcun altro sa di questo posto?» domandò.

«No. L’ho scoperto quando ci siamo trasferiti qui. Mi ci è voluta una settimana per ripulirlo, e un’altra ancora per portar via tutti i rami secchi.» Saphira atterrò accanto a loro e chiuse le ali, attenta a evitare i rovi. Si accovacciò, spezzando qualche rametto con le dure squame, e posò la testa sul terreno. I suoi occhi imperscrutabili seguivano ogni loro mossa.

Brom si appoggiò al bastone e la osservò attento. Il suo sguardo insistente innervosiva Eragon, che rimase a sua volta a guardare il vecchio finché la fame non lo costrinse ad agire. Accese un falò, riempì una pentola di neve e la mise sul fuoco, per farla sciogliere. Quando l’acqua bollì, tagliò qualche pezzo di carne e lo tuffò nella pentola insieme a un pugno di sale. Non è granché, pensò amaramente, ma basterà allo scopo. Probabilmente mangerò questa roba per parecchio.tempo, perciò tanto vale che mi ci abitui.

Lo stufato bolliva lentamente, diffondendo un ricco aroma nella radura. Saphira fece schioccare la punta della lingua e assaggiò l’aria. Quando la carne fu tenera. Brom si avvicinò ed Eragon lo servì. Mangiarono in silenzio, evitando di guardarsi. Alla fine. Brom prese la sua pipa e cominciò a fumare, soddisfatto,

«Perché vuoi venire con me?» gli chiese Eragon.

Brom sbuffò una nuvoletta di fumo, che risalì a spirale per poi perdersi fra gli alberi. «Ho un certo interesse nel mantenerti vivo» disse.

«Che cosa significa?» disse Eragon.

«Per farla breve, sono un cantastorie, e si da il caso che tu rappresenti per me una gran bella storia. Sei il primo Cavaliere al di fuori del controllo del re in oltre cento anni. Che cosa succederà? Morirai come un martire? Ti unirai ai Varden? O ucciderai re Galbatorix? Domande affascinanti, E io sarò lì a testimoniare ogni tuo passo costi quel che costi.»

Eragon si sentì stringere lo stomaco in una morsa. Non riusciva a immaginarsi nell’atto di compiere quelle gesta, e ancora meno di diventare un martire. Cerco vendetta, ma per il resto non ho ambizioni. «Vedremo. Ma dimmi una cosa:. come fai a parlare con Saphira?»

Brom si concesse il tempo necessario per aggiungere altro tabacco alla pipa. Dopo averla riaccesa e rimessa in bocca, disse; «D’accordo, se sono le risposte che vuoi, risposte avrai, ma potrebbero non piacerti.» Si alzò per andare a prendere il suo fagotto e tornò vicino al fuoco. Ne estrasse un lungo oggetto avvolto in un panno. Misurava all’incirca cinque piedi e, a giudicare da come lo maneggiava, doveva essere piuttosto pesante.

Brom cominciò a dipanare la protezione di stoffa, un lembo alla volta, come se fossero le bende di una mummia. Lo sguardo incantato di Eragon s’illuminò quando si posò su una spada. Il pomo era d’oro, a forma di goccia, e recava incastonato un rubino grande come un uovo di quaglia. L’elsa era di filigrana d’argento brunito, e scintillava come una galassia di stelle. Il fodero era di pelle color vino, liscia come seta, adorna solo di uno strano simbolo nero inciso. Vicino alla spada c’era una cintura di pelle con una pesante fibbia. L’ultimo lembo di stoffa cadde, e Brom passò l’arma a Eragon.

La sua mano aderì perfettamente all’impugnatura, come se fosse stata fatta per lui. Lentamente sfilò la spada dal fodero, che scivolò senza nemmeno un fruscio. La lama piatta era di un rosso iridescente, che rifletteva la luce del falò. I due profili taglienti convergevano eleganti in una punta aguzza. Sul metallo era inciso il simbolo nero impresso sul fodero. L’equilibrio della spada era perfetto; sembrava un’estensione del suo braccio, al contrario dei rozzi utensili da agricoltore cui era abituato. Emanava un’aura di potere, come se nel suo nucleo covasse una forza irresistibile. Era stata creata per le violente emozioni della battaglia, per porre fine alla vita degli uomini, eppure era di una bellezza sconvolgente.

«Un tempo questa era l’arma di un Cavaliere» disse Brom in tono grave. «Quando un Cavaliere terminava l’addestramento, gli elfi gli facevano dono di una spada. I loro metodi di forgiatura sono sempre rimasti segreti. Le loro spade sono eternamente affilate e non si macchiano mai. L’usanza era che il colore della lama combaciasse con quello del drago del Cavaliere, ma immagino che in questo caso possiamo fare un’eccezione. Questa spada si chiama Zar’roc. Non so che cosa significa: probabilmente qualcosa di personale per il Cavaliere che la possedeva.» Osservò Eragon tentare qualche fendente.

«Dove l’hai presa?» domandò il ragazzo. A malincuore rimise la spada nel fodero e fece per restituirla al vecchio, ma Brom non mosse un dito per prenderla.

«Non ha importanza» disse Brom. «Ti basti sapere.che ho dovuto passare una serie di brutte e pericolose avventure per entrarne in possesso. Considerala tua. Hai più diritto di me ad averla, e prima che sia tutto compiuto, credo proprio che ti servirà.»

L’offerta colse Eragon alla sprovvista. «È un dono principesco: ti ringrazio.» Incerto su che altro dire, fece scorrere la mano sul fodero. «Che cosa significa questo simbolo?» domandò.

«Era l’emblema personale del Cavaliere.» Eragon cercò di interromperlo, ma Brom lo fulminò con un’occhiataccia. «Ora, sarà bene che tu sappia che chiunque può imparare a parlare con i draghi, se ha ricevuto l’adeguata istruzione. Ma» e alzò un dito con enfasi «saperlo fare non significa niente. So più io dei draghi e delle loro capacità di qualsiasi altro essere vivente. Da solo, ti ci vorrebbero anni per imparare quello che io posso insegnarti. Ti sto offrendo la mia conoscenza come via più breve. La ragione per cui so queste cose rimane affar mio.»

Quando Brom ebbe finito di parlare, Saphira si alzò per avvicinarsi a Eragon. Il ragazzo estrasse la spada per mostrarla alla dragonessa. Ha potere, disse lei, sfiorandone la punta con il naso. Il colore iridescente del metallo ondeggiò come acqua quando fu toccato dalle sue squame. Lei alzò la testa con uno sbuffo soddisfatto, e la spada riprese il suo aspetto normale. Eragon la ripose nel fodero, turbato.

Brom inarcò un sopracciglio. «Questo è il genere di cose di cui ti parlavo. I draghi ci stupiscono sempre. Accadono certe cose intorno a loro, cose misteriose che sono impossibili altrove. Anche se i Cavalieri hanno agito a fianco dei draghi per secoli, non hanno mai compreso fino in fondo le loro capacità. C’è chi sostiene addirittura che nemmeno i draghi conoscano fino in fondo la portata dei loro poteri. Sono legati a questa terra in un modo che consente loro di superare grandi ostacoli. Ciò che Saphira ha appena fatto dimostra la mia tesi: c’è ancora molto che non sai.»

Ci fu una lunga pausa. «Può darsi» disse Eragon. «ma posso imparare, E gli stranieri sono la cosa che più mi interessa al momento. Hai idea di chi fossero?»

Brom, trasse un lungo sospiro. «Si chiamano Ra’zac. Nessuno sa se sia il nome della loro razza o quello che si sono scelti. A ogni modo, se possiedono nomi individuali, li tengono segreti. I Ra’zac non si sono mai visti prima dell’ascesa al potere di Galbatorix. Deve averli scovati da qualche parte durante i suoi viaggi e arruolati al suo servizio. Si sa poco di loro. Ma posso dirti una cosa: non sono umani. Quando ho intravisto la testa di uno di loro, mi è sembrato di scorgere un becco e occhi neri grandi quanto il mio pugno... ma come riescano a parlare la nostra lingua è un mistero. Senza dubbio il resto del loro corpo è altrettanto deforme. Per questo si coprono sempre con i mantelli, che sia caldo o freddo.

«Quanto ai loro poteri, sono più forti di qualunque uomo e possono fare salti di incredibile altezza, ma non sanno usare la magia. Ritieniti fortunato per questo, ragazzo mio, perché altrimenti a quest’ora saresti già nelle loro grinfie. So anche che provano una certa avversione per la luce del sole, per quanto essa non possa fermarli, se sono decisi. Non commettere mai l’errore di sottovalutare un Ra’zac, perché sono astuti e pieni di risorse.»

«Quanti sono?» disse Eragon, chiedendosi come facesse Brom a sapere tante cose.

«per quanto ne so, solo quei due che hai visto. Potrebbero essercene altri, ma non ne ho mai sentito parlare. Può darsi che siano gli ultimi di una razza quasi estinta. Sai, sono i cacciatori di draghi personali del re. Quando la notizia di un avvistamento di un drago in queste terre giunge all’orecchio di Galbatorix, lui manda i Ra’zac a investigare. E spesso li segue una scia di morte.»

Brom soffiò una serie di anelli di fumo e li guardò fluttuare fra i rovi. Eragon ignorò gli anelli finché non si accorse che stavano cambiando colore e guizzavano in tutte le direzioni. Brom ammiccò con aria astuta.

Eragon era sicuro che nessuno avesse visto Saphira: perciò come poteva Galbatorix aver avuto notizia della sua esistenza? Quando espresse i suoi dubbi. Brom disse: «Hai ragione, mi sembra molto improbabile che qualcuno di Carvahall abbia avvertito il re. Perché non mi racconti dove hai trovato l’uovo e come hai allevato Saphira? Questo potrebbe aiutarci a capire.»

Eragon esitò; poi gli narrò gli eventi fin da quando aveva trovato l’uovo sulla Grande Dorsale. Provò un meraviglioso senso di sollievo nel potersi finalmente confidare con qualcuno. Brom fece qualche domanda, ma per la maggior parte del tempo ascoltò con attenzione. Il sole stava per tramontare quando Eragon giunse alla fine del racconto. Entrambi rimasero in silenzio mentre le nuvole si tingevano di rosa. Alla fine Eragon disse: «Vorrei tanto sapere da dove viene. Saphira non ricorda.»

Brom inclinò la testa da un lato. «Non so... Mi hai chiarito molti aspetti di questa storia. Sono sicuro che nessuno, oltre a noi, ha visto Saphira. I Ra’zac dovevano avere una fonte di informazioni al di fuori di questa valle, una persona che probabilmente adesso è già morta... Hai passato momenti difficili e te la sei cavata egregiamente. Sono impressionato. »

Eragon fissò nel vuoto, poi chiese: «Che cosa ti è successo alla testa? Sembra che ti abbia colpito un sasso.»

«No, ma ci sei andato vicino.» Trasse una lunga boccata di fumo dalla pipa. «Mi aggiravo intorno all’accampamento dei Ra’zac quando è calata la sera, cercando di scoprire quello che potevo, ma mi hanno sorpreso nell’ombra. Era una buona occasione, ma mi hanno sottovalutato e sono riuscito a sfuggire al loro agguato. Tuttavia» aggiunse amareggiato. «ho dovuto pagare questo tributo alla mia stupidità. Stordito, sono caduto a terra e non ho ripreso i sensi se non il giorno dopo. A quel punto loro erano già arrivati alla tua fattoria. Era troppo tardi per fermarli, ma li ho cercati comunque. È stato quando ci siamo incontrati per la strada.»

Ma chi crede di essere, per poter affrontare i Ra’zac da solo? Gli hanno teso un agguato nel buio, e lui è rimasto solo stordito? Turbato, Eragon chiese con foga: «Quando hai visto il mio marchio, il gedwey ignasia, perché non mi hai detto chi erano i Ra’zac? Avrei avvertito Garrow invece di andare prima da Saphira, e tutti e tre saremmo potuti fuggire.»

Brom sospirò. «Non sapevo che cosa fare. Pensavo di poter tenere i Ra’zac lontani da te. Una volta che fossero partiti, ti avrei chiesto di Saphira. Ma loro mi hanno battuto in astuzia, È un errore di cui mi pento amaramente, un errore che ti è costato caro.»

«Chi sei?» esclamò Eragon indignato. «Come mai un semplice cantastorie di campagna possiede la spada di un Cavaliere? Come mai sai tante cose sui Ra’zac?»

Brom tamburellò le dita sulla pipa. «Mi sembrava di aver già detto che di questo non voglio parlare.»

«Mio zio è morto per questo. Morto!» gridò Eragon, tagliando l’aria con la mano. «Finora mi sono fidato di te perché Saphira ti rispetta. Ma adesso basta! Tu non sei la persona che ho conosciuto in tutti questi anni a Carvahall, Dimmi chi sei.»

Per un lunghissimo istante Brorri guardò il fumo dilatarsi fra loro, la fronte solcata da rughe sempre più profonde. Quando si mosse, fu solo per trarre un’altra boccata. Infine disse: «Probabilmente non ci hai mai pensato, ma ho trascorso gran parte della mia vita lontano dalla Valle Palancar, È stato solo a Carvahall che ho assunto il ruolo di cantastorie. Ho recitato diverse parti per diverse persone... il mio passato è complicato. È anche per il desiderio di sfuggirgli che sono venuto qui. E comunque hai ragione, non sono l’uomo che pensavi che fossi.»

«Ah!» sbuffò Eragon. «E allora chi sei?»

Brom sorrise con dolcezza. «Sono colui che è qui per aiutarti. Non disprezzare queste parole, perché sono le più sincere che abbia mai pronunciato. Ma non risponderò alla tua domanda. In questo momento non ti serve conoscere la mia storia, né ti sei guadagnato questo diritto. Sì, possiedo conoscenze che Brom il cantastorie non potrebbe mai avere, ma io sono più di lui. Dovrai imparare a convivere con questo, e con il fatto che non elargisco descrizioni della mia vita a chiunque me le chieda!»

Eragon lo guardò, corrucciato. «Vado a dormire» disse, e si allontanò dal fuoco.

Brom non parve sorpreso, ma nei suoi occhi comparve un’ombra di dolore. Distese la sua coperta accanto al fuoco, mentre Eragon si coricava al fianco di Saphira. Un silenzio glaciale calò sull’accampamento.

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