27 Letture e complotti

Brom scrisse una runa sulla pergamena con un carboncino, poi la mostrò a Eragon. «Questa è la lettera A» disse. «Imparala.»

Così Eragon iniziò la sua carriera di letterato. Era difficile, strana e impegnativa, ma gli piaceva. Non avendo niente di meglio da fare e con un valido seppur qualche volta impaziente maestro, i suoi progressi furono enormi.

Tutti i giorni Eragon si alzava presto, faceva colazione in cucina e poi andava nello studio per le lezioni, dove imparava il suono delle lettere e le regole della scrittura. Arrivò al punto che quando chiudeva gli occhi, lettere e parole gli davanzano dietro le palpebre. In quel periodo non pensò ad altro.

Prima di cena, lui e Brom andavano dietro la casa di Jeod per l’addestramento. I domestici, insieme a una piccola folla di bambini curiosi, li andavano a vedere. Poi, se restava tempo, Eragon si chiudeva in camera sua con le tende ben tirate a esercitarsi nella magia.

Il suo unico cruccio era Saphira. Andava a trovarla ogni sera, ma per entrambi il tempo che passavano insieme non bastava. Durante la giornata, Saphira si allontanava di parecchie leghe in cerca di cibo; non poteva cacciare vicino a Teirm per non destare sospetti. Eragon faceva il possibile per lei, ma sapeva che l’unica soluzione per la sua solitudine e la fame era partire al più presto da Teirm.

Ogni giorno in città arrivavano notizie sempre più nere.

I mercanti di passaggio parlavano di terribili attacchi lungo la costa. Si diceva che parecchi personaggi influenti fossero scomparsi da casa durante la notte, per essere ritrovati massacrati la mattina dopo. Eragon udì spesso Brom e Jeod parlarne sottovoce, ma si interrompevano sempre quando compariva lui.

Passò in fretta una settimana. Le capacità di Eragon erano rudimentali, ma sapeva leggere intere pagine senza chiedere l’aiuto di Brom. Leggeva adagio, certo che col tempo sarebbe andato più veloce. Brom lo incoraggiava. «Non importa, andrà benissimo per quello che ho in mente.»

Era pomeriggio quando Brom convocò Jeod ed Eragon nello studio. Brom fece un cenno al ragazzo.

«Ora che sei in grado di aiutarci, è tempo di agire.»

«Qual è il tuo piano?» domandò Eragon.

Sul volto di Brom si dipinse un sorriso feroce. Jeod gemette. «Conosco quello sguardo: significa guai.»

«Andiamo, non esagerare» disse Brom. «D’accordo, ecco cosa faremo...»

Partiremo stanotte, o al più tardi domattina, disse Eragon a Saphira dalla sua stanza.

Non me l’aspettavo. Sei sicuro che non ti succederà niente?

Eragon si strinse nelle spalle. Non lo so. Magari finiremo per fuggire da Teirm con i soldati alle calcagna. Avvertì la preoccupazione della dragonessa e cercò di rassicurarla. Andrà tutto, bene.

Brom e io sappiamo usare la magia, e siamo dei bravi combattenti.

Si distese sul letto a fissare il soffitto. Gli tremavano le mani e aveva un nodo in gola. Mentre il sonno lo coglieva, si sentì pervadere da una profonda confusione. Non voglio lasciare Teirm, si scoprì a pensare. Il periodo che ho trascorso qui è stato... quasi normale. Che cosa non darei per mettere di nuovo radici, restare qui e vivere come tutti gli altri. Poi un altro pensiero lo colse. Ma non posso, se voglio, restare con Saphira. Non posso.

La sua coscienza fu invasa dai sogni, che la guidarono a proprio capriccio A volte Eragon gridò di paura; altre rise di gusto. Poi qualcosa cambiò, come se avesse aperto gli occhi, e fece il sogno più vivido che gli fosse mai capitato.

Vide una giovane donna, sofferente, incatenata in una cella fredda e buia. Un raggio di luna filtrò fra le sbarre di un’alta finestrella e le illuminò il viso. Una lacrima, una sola, le cadde lungo la guancia come un diamante liquido.

Eragon si svegliò di soprassalto e si scoprì scosso da violenti singhiozzi. Poi ricadde in un sonno tormentato.

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