41 I prigionieri prendono il volo

Era buio nella cella quando Eragon si alzò a sedere di scatto, elettrizzato. La nebbia mentale si era dissolta! Da ore ormai avvertiva la magia ai margini della coscienza, ma ogni volta che aveva provato a usarla, non era successo niente. Gli occhi raggianti di energia nervosa, strinse i pugni e disse: «Nagz reisa!» Con uno svolazzo, la coperta del suo giaciglio si sollevò e si appallottolò formando un fagotto, che cadde a terra con un soffice tonfo.

Eragon si alzò, al colmo dell’eccitazione. Si sentiva debole a causa del digiuno forzato, ma l’euforia superava la fame. Adesso proviamo sul serio. Dilatò la mente e tastò la serratura della porta. Invece di provare a romperla, si limitò ad azionarne i meccanismi interni. La porta si schiuse con uno scatto metallico.

Quando aveva usato la magia per uccidere gli Urgali a Yazuac, era arrivato al punto di consumare quasi tutte le energie, ma da allora era diventato molto più forte. Quello che un tempo lo stremava, ora gli procurava soltanto un lieve senso di spossatezza.

Fece un timido passo nel corridoio. Devo trovare Zar’roc e l’elfa. Dev’essere in una di queste celle, via non c’è il tempo di controllarle tutte, E Zar’roc, lo Spettro deve averla con sé. Si accorse di avere ancora la mente piuttosto confusa. Perché sono qui? Potrei fuggire subito, se tornassi dentro la cella e aprissi la finestra con la magia. Ma poi non sarei in grado di salvare l’elfa... Saphira, dove sei? Ho bisogno del tuo aiuto. Si rimproverà in silenzio per non averla chiamata prima. Avrebbe dovuto farlo non appena era rientrato in possesso del suo potere.

La sua risposta arrivò con sorprendente prontezza, Eragon! Sono su Gil’ead. Non fare niente.

Murtagh sta arrivando,

Cosa... Un pesante scalpiccio lo interruppe. Si volse e si acquattò nell’ombra, mentre una squadra di sei soldati marciava nel corridoio. Si fermarono di colpo, gli occhi che guizzavano da Eragon alla porta della cella aperta. Impallidirono. Bene, sanno chi sono. Forse riuscirò a spaventarli così da non dover combattere.

«Carica!» gridò uno dei soldati, lanciandosi all’attacco. Gli altri sguainarono le spade e lo seguirono di corsa.

Era pura follia combattere contro sei uomini disarmato e debole, ma il pensiero dell’elfa lo fece restare al suo posto. Non poteva abbandonarla. Senza sapere se lo sforzo lo avrebbe lasciato in piedi, evocò il potere e alzò la mano, con il gedwey ignasia che riluceva. Gli occhi dei soldati tradirono la paura, ma erano guerrieri incalliti e non rallentarono. Mentre Eragon apriva la bocca per pronunciare le parole fatali, si udì un fruscio, un lampo di movimento. Uno degli uomini crollò a terra, la schiena trafitta da una freccia. Altri due vennero colpiti prima che qualcuno capisse che cosa stava succedendo.

In fondo al corridoio, da dove erano entrati i soldati, c’era un uomo barbuto, vestito di stracci, con un arco in pugno. Sul pavimento ai suoi piedi c’era una stampella, che evidentemente non serviva più, dato che l’uomo se ne stava ben piantato sulle gambe, in perfetto equilibrio.

I tre soldati rimasti si volsero per affrontare la nuova minaccia. Eragon approfittò della confusione.

«Thrysta!» esclamò. Uno degli uomini si portò le mani al petto e cadde, Eragon barcollò quando la magia reclamò il suo pegno. Un altro soldato cadde, colpito al collo da una freccia. «Non ucciderlo!» gridò Eragon, vedendo che il suo soccorritore stava prendendo la mira contro l’ultimo soldato. L’uomo barbuto abbassò l’arco.

Eragon si concentrò sul soldato davanti a sé. L’uomo aveva l’affanno, e gli occhi spalancati. Aveva capito che gli veniva risparmiata la vita.

«Hai visto che cosa posso fare» disse Eragon in tono aspro.. «Se non rispondi alle mie domande, il resto della tua vita passerà fra atroci tormenti. Dov’è la mia spada? Il fodero e la lama sono rossi. E qual è la cella dell’elfa?»

L’uomo strinse le labbra.

Il palmo di Eragon rosseggiò minaccioso mentre il ragazzo evocava la magia. «Risposta errata» commentò severo. «Lo sai quanto dolore provoca un granello di sabbia incandescente affondato nello stomaco? Specie quando non si raffredda per almeno una ventina di anni e nel frattempo si scava la strada fino ai piedi? Quando alla fine uscirà dal tuo corpo, sarai vecchio.» Fece una pausa a effetto. «A meno che tu non mi dica quello che voglio.»

Il soldato sgranò gli occhi, ma rimase in silenzio. Eragon grattò una manciata di terra dal pavimento e osservò in tono piatto: «È un po’ più di un granello di sabbia, ma consolati: brucerà più in fretta. Certo, lascerà un bel buco.» A queste parole, il terriccio cominciò a rosseggiare incandescente, senza però scottargli la mano.

«D’accordo, ma non mettermelo nello stomaco!» strillò il soldato. «L’elfa è rinchiusa nell’ultima cella a sinistra! Non so niente della tua spada, ma probabilmente si trova nell’armeria di sopra. È lì che tengono tutte le armi.»

Eragon annuì, poi mormorò: «Slytha.» Il soldato rovesciò gli occhi all’indietro e cadde come un sacco vuoto.

«L’hai ucciso?»

Eragon guardò lo straniero che era a pochi passi da lui.

Strinse gli occhi nel tentativo di vedere oltre la. Barba. «Murtagh! Sei tu?» esclamò.

«Sì» rispose Murtagh, scostando per un istante la barba finta dal volto rasato. « non voglio che mi vedano in volto. L’hai ucciso?»

«No, sta dormendo, Come sei riuscito a entrare?»

«Non c’è tempo per le spiegazioni, Dobbiamo salire prima che qualcuno ci scopra, Fra pochi minuti ci verrà offerta una via di fuga che sarà meglio non mancare.»

«Non hai sentito quello che ho detto?» chiese Eragon, indicando il soldato svenuto. «C’è un’elfa prigioniera in una delle celle, L’ho vista! Dobbiamo salvarla. Mi serve il tuo aiuto.»

«Un’elfa...!» Murtagh si affrettò lungo il corridoio, borbottando: «È un errore. Dovremmo fuggire finché siamo in tempo.» Si fermò davanti alla cella che il soldato aveva indicato ed estrasse un anello di chiavi da sotto il mantello lacero. «L’ho preso a una delle guardie» disse.

Eragon gli fece cenno di passargli le chiavi. Murtagh si strinse nelle spalle e gliele diede. Eragon trovò quella giusta e aprì la porta. Un solitario raggio di luna entrava dalla finestra, illuminando il volto d’argento freddo dell’elfa.

Lei lo guardò, tesa come una molla pronta a scattare. Teneva la testa alta, con il portamento di una regina. I suoi occhi verde scuro, quasi neri, un po’ obliqui come quelli di un gatto, si posarono su Eragon. Lui si sentì percorrere da un brivido.

I loro sguardi si saldarono per un momento, poi l’elfa vacillò e cadde senza un suono. Eragon fece appena in tempo a sostenerla prima che toccasse terra, Era sorprendentemente leggera. La circondava un aroma di aghi di pino appena spiccati.

Murtagh entrò nella cella. «È bellissima!»

«Ma ferita.»

«Ci occuperemo di lei più tardi. Ti senti abbastanza forte da portarla?» Eragon scosse il capo.

«Allora lo farò io» disse Murtagh, issandosi l’elfa su una spalla. «E adesso, di sopra!» Porse a Eragon un pugnale, poi corsero indietro lungo il corridoio disseminato di cadaveri.

Correndo con il prezioso fardello, Murtagh condusse Eragon a una scala di pietre sgrossate in fondo al corridoio. Mentre salivano, Eragon disse: «Come facciamo a uscire senza essere notati?»

«Non verremo notati» grugnì Murtagh.

Questo non alleviò affatto i timori di Eragon. Drizzò le orecchie, preoccupato di sentire soldati in avvicinamento, temendo quel che sarebbe potuto succedere se avessero incontrato lo Spettro. In cima alle scale c’era un ampio refettorio gremito di tavoli di legno. Le pareti erano tappezzate di scudi, e il soffitto di legno era un reticolo di travi curve, Murtagh depose l’elfa su un tavolo e guardò il soffitto con aria preoccupata. «Puoi parlare con Saphira da parte mia?» .

«Sì.»

«Dille di aspettare altri cinque minuti.»

Si udirono delle grida in lontananza. Un drappello di soldati passò marciando davanti alla soglia del refettorio. Eragon strinse le labbra per la tensione. «Qualunque cosa tu abbia in mente di fare, ho paura che non ci resti molto tempo.»

«Tu diglielo, e non farti vedere» tagliò corto Murtagh, allontanandosi in fretta.

Mentre Eragon trasmetteva il messaggio, si allarmò sentendo salire le scale. Lottando contro la fame e la stanchezza, trascinò l’elfa giù dal tavolo e si nascose lì sotto con lei. Trattenne il fiato, stringendo con forza il pugnale.

Nella sala entrarono dieci soldati. L’attraversarono di corsa, controllando soltanto sotto un paio di tavoli, e continuarono per la loro strada. Eragon si appoggiò alla zampa del tavolo, sospirando di sollievo. La tregua lo rese all’improvviso consapevole della fame e della gola riarsa. Un boccale e un piatto di cibo lasciato a metà dall’altra parte della sala attirarono la sua attenzione. Eragon schizzò come un fulmine dal suo nascondiglio, afferrò il cibo e tornò sotto il tavolo. Nel boccale c’era della birra ambrata che bevve in due rapidi sorsi. Si sentì pervadere dal sollievo mentre il liquido fresco gli scorreva lungo la gola, alleviando l’arsura. Trattenne un rutto prima di avventarsi con ingordigia sul pane.

Murtagh tornò con Zar’roc, uno strano arco e un’elegante spada senza fodero, Murtagh porse Zar’roc a Eragon. «Ho trovato l’altra spada e l’arco nell’armeria. Non ho mai visto armi come queste prima d’ora, perciò ho pensato che appartenessero all’elfa.»

«Vediamo» disse Eragon, la bocca piena di pane. La spada, leggera e affusolata, con un guardamano a croce le cui estremità terminavano a punta, entrava perfettamente nel fodero dell’elfa. Non c’era modo di stabilire se l’arco fosse suo, ma era così finemente sagomato che Eragon dubitava che potesse appartenere a qualcun altro. «E adesso?» domandò, addentando, ancora il pane. «Non possiamo restare qui per sempre. Prima o poi i soldati ci scopriranno.»

«Adesso» disse Murtagh, incoccando una freccia sul proprio arco «aspettiamo. Come ho detto, la nostra fuga è stata organizzata.»

«Non capisci; c’è uno Spettro qui intorno! Se ci scopre, siamo spacciati.»

«Uno Spettro!» esclamò Murtagh. «In questo caso, di’ a Saphira di venire subito. Dovevamo aspettare fino al cambio della guardia, ma adesso ogni istante che passa siamo sempre più in pericolo.» Eragon riferì il messaggio, trattenendo a stento le domande per non distrarre la dragonessa. «Hai sconvolto i piani fuggendo da solo» brontolò Murtagh, senza allontanare lo sguardo dall’ingresso del refettorio.

Eragon sorrise. «Allora avrei dovuto aspettare. Ma il tuo tempismo è stato perfetto. Non sarei mai stato in grado nemmeno di strisciare, dopo, se avessi dovuto combattere tutti quei soldati solo con la magia.»

«Lieto di esserti stato d’aiuto» ribatte Murtagh. S’irrigidì, mentre udivano degli uomini che correvano.. «Speriamo soltanto che lo Spettro non ci trovi.»

Una risatina glaciale echeggiò nella sala. «Temo che sia un po’ troppo tardi per questo.»

Murtagh ed Eragon si volsero di scatto. In fondo al refettorio era comparso lo Spettro, solo. Reggeva una pallida spada, con un graffio sottile sulla lama. Sganciò il fermaglio che gli chiudeva il mantello e quello si afflosciò a terra, scoprendo un corpo snello e asciutto come quello di un corridore. Ma Eragon rammentava gli ammonimenti di Brom: l’aspetto di uno Spettro era ingannevole, poiché loro erano molto più forti di un essere umano.

«Ebbene, mio giovane Cavaliere, che ne dici di misurarti con me?» ghignò lo Spettro. «Non avrei dovuto fidarmi del capitano quando mi disse che avevi mangiato tutto il tuo cibo. Non farò di nuovo lo stesso errore.»

«Ci penso io, a lui» disse Murtagh, posando l’arco per sguainare la spada.

«No» disse Eragon tra i denti. «Lui mi vuole vivo, di te non gli importa. Lo tratterrò per un po’, ma tu faresti meglio a trovare il modo di uscire di qui.»

«E sia» disse Murtagh. «Non dovrai trattenerlo per molto.»

«Lo spero proprio» rispose Eragon, cupo. Estrasse Zar’roc e avanzò lentamente. La lama rossa scintillava sotto la luce delle torce infisse alle pareti.

Gli occhi dello Spettro ardevano come tizzoni. Rise sommessamente. «Credi davvero di potermi sconfiggere. Du Sùndavar Freohr? Che nome ridicolo. Mi sarei aspettato qualcosa di più appassionante da parte tua, ma suppongo che sia il massimo che tu sia riuscito a trovare.»

Eragon non accettò la provocazione. Scrutò il volto dello Spettro con attenzione, in cerca di un battito di ciglia, una smorfia delle labbra, qualcosa che gli suggerisse la prossima mossa dell’avversario. Non posso usare la magia perché lui farebbe lo stesso. Deve credere di poter vincere senza farvi ricorso... il che probabilmente è vero.

Prima che uno dei due potesse fare un gesto, il soffitto tremò con un boato, e prese a cadere una nuvola di polvere che colorò tutto di grigio, mentre pezzi di legno si schiantavano sul pavimento. Dal tetto provenivano grida e stridore di metallo. Temendo di essere colpito dalla pioggia di detriti, Eragon alzò gli occhi. Lo Spettro approfittò della sua distrazione e attaccò.

Eragon riuscì per un soffio a levare Zar’roc per parare un colpo diretto al costato. Le lame cozzarono con un fragore che gli fece sbattere i denti e formicolare il braccio. Accidenti, se è forte!

Impugnò Zar’roc con entrambe le mani e facendo appello a tutte le sue forze menò un fendente verso la testa dello Spettro. Lo Spettro lo parò senza difficoltà, roteando la spada con una rapidità che Eragon pensava impossibile.

Sopra di loro continuavano a levarsi strida terribili, come una punta di ferro passata su una pietra. Tre lunghe crepe si aprirono nel soffitto. Qualche tegola cadde nella sala. Eragon le ignorò, anche quando una si schiantò a poca distanza dai suoi piedi. Per quanto fosse stato addestrato da un maestro di scherma come Brom, e si fosse allenato con Murtagh, che era un’abile spadaccino, non si era mai trovato così in difficoltà. Lo Spettro stava giocando con lui.

Eragon indietreggiò verso Murtagh, con le braccia che tremavano a ogni colpo dello Spettro, e quei colpi diventavano sempre più potenti. Non aveva più la forza di ricorrere alla magia, nemmeno se lo avesse voluto. Poi, con una sprezzante torsione del polso, lo Spettro fece volare via Zar’roc dalle mani di Eragon. L’impatto lo gettò in ginocchio, e lì rimase, ansante. Il fragore sul tetto era più forte che mai. Qualunque cosa fosse, si stava avvicinando.

Lo Spettro abbassò lo sguardo su di lui con aria sdegnosa. «Potresti essere un pezzo importante nella partita che si sta giocando, ma mi hai deluso. Se gli altri Cavalieri erano altrettanto deboli, devono aver controllato l’Impero soltanto grazie al loro numero.»

Eragon guardò in alto e scosse il capo. Aveva capito il piano di Murtagh, Saphìra, adesso sì che sarebbe il momento buono. «No, dimentichi qualcosa.»

«E che cosa, di grazia?» domandò lo Spettro, beffardo.

Una potente vibrazione scosse l’aria, mentre un frammento di soffitto si staccava a rivelare il cielo notturno. «I draghi!» ruggì Eragon per superare il frastuono, e si gettò di lato fuori dalla portata dello Spettro. Lo Spettro ringhiò di rabbia, roteando la spada con ferocia assoluta. Lo mancò e tentò un affondo. La sua espressione maligna si mutò in sorpresa, mentre una delle frecce di Murtagh gli attraversava una spalla.

Lo Spettro rise e spezzò la freccia con due dita. «Devi fare di meglio, se hai intenzione di fermarmi.» La freccia seguente lo colpì tra gli occhi. Lo Spettro ululò di dolore e si contorse, coprendosi il volto. La sua pelle divenne grigia. Intorno a lui si formò un alone di nebbia che oscurò la sua figura. Si udì un grido raccapricciante; poi la nebbia svanì.

Dove un secondo prima c’era lo Spettro, non restavano altro che il mantello e pochi abiti sparsi.

«L’hai ucciso!» esclamò Eragon. Conosceva soltanto due eroi della leggenda che erano sopravvissuti uccidendo uno Spettro. «Non ne sarei così convinto» disse Murtagh.

Un uomo gridò: «Guardate! E caduto. Prendiamoli!». Soldati armati di reti e lance si riversarono nel refettorio da entrambe le porte. Eragon e Murtagh indietreggiarono fino al muro, trascinando con loro l’elfa. Gli uomini si disposero a semicerchio intorno a loro. In quel momento, Saphira infilò la testa nello squarcio del soffitto e ruggì. Afferrò il bordo dell’apertura con i potenti artigli e staccò un altro vasto spicchio di soffitto.

Tre soldati fuggirono, ma gli altri mantennero la posizione. Annunciata da un fragore assordante, la trave centrale del soffitto si spezzò e cadde in una pioggia di pesanti frammenti. I soldati si dispersero, confusi, cercando di schivare i mortali detriti. Eragon e Murtagh si appiattirono contro la parete per evitarli. Saphira ruggì ancora, e i soldati se la diedero a gambe, calpestandosi a vicenda in una fuga disperata.

Con un ultimo sforzo titanico, Saphira divelse ciò che restava del soffitto prima di saltare nella sala ad ali raccolte. Atterrò su un tavolo, che si schiantò sotto il suo peso. Urlando di gioia, Eragon le gettò le braccia al collo. Lei mormorò felice: Mi sei mancato, ragazzo.

Anche tu. C’è qualcun altro con noi. Puoi portarci in tre?

Naturale, disse lei, sgomberando a calci i tavoli e le travi spezzate per creare uno spazio da dove prendere il volo. Murtagh ed Eragon andarono a prendere l’elfa. Saphira sibilò di sorpresa quando la vide. Un elfa!

Già, ed è la donna che ho visto in sogno, disse Eragon, chinandosi per raccogliere Zar’roc. Aiutò Murtagh a legare l’elfa sulla sella, poi entrambi montarono sulla dragonessa. Ho sentito combattere sul tetto. C’erano degli uomini?

C’erano, ma ora non più. Siete pronti?

Sì.

Saphira balzò e uscì attraverso lo squarcio nel tetto della fortezza, dove giacevano i corpi dei soldati sbaragliati. «Guardate!» disse Murtagh, indicando una fila di arcieri schierati su una torre dall’altra parte del refettorio.

«Saphira, devi alzarti subito. Ora!» gridò Eragon.

La dragonessa dispiegò le ali, corse verso il margine della costruzione e si diede la spinta facendo leva sulle zampe possenti. Il peso del suo carico la fece precipitare paurosamente. Mentre tentava di riprendere quota, Eragon sentì lo schiocco sonoro delle corde degli archi.

Un nugolo di frecce volò verso di loro nell’oscurità.

Saphira ruggì di dolore quando fu colpita e s’inclinò bruscamente a sinistra per evitare la seconda raffica. Altre frecce forarono il cielo, ma la notte li protesse dai dardi mortali. Sconvolto, Eragon si chinò sul collo di Saphira.

Dove sei ferita?

Mi hanno trafitto le ali... ma una delle frecce non è passata del tutto. È ancora conficcata. Il suo respiro si era fatto affannoso, difficile.

Quanto lontano riesci a portarci?

Lontano abbastanza. Eragon abbracciò forte l’elfa.mentre sorvolavano Gil’ead, poi si lasciarono la città alle spalle e virarono a est, puntando verso il cielo notturno.

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