45 Il deserto di Hadarac

Un’immensa distesa di dune si dilatava verso l’orizzonte come un tappeto di onde in un oceano. Le raffiche di vento sollevavano mulinelli di sabbia color rame. Alberi contorti e scheletrici crescevano qua e là sul raro terreno solido, terreno che un contadino avrebbe dichiarato inadatto a qualsiasi tipo di coltivazione. In lontananza si ergeva una linea di alture purpuree. In quella desolazione assoluta non c’era ombra di animale, tranne un uccello che si lasciava trasportare dagli zefiri.

«Sei sicuro che troveremo da mangiare per i cavalli?» domandò Eragon, la bocca impastata. L’aria secca e calda gli irritava la gola.

«Vedi quelle?» disse Murtagh, indicando le rocce scoscese. «Intorno a loro cresce un’erba bassa e tenace, ma per i cavalli andrà bene.»

«Spero che tu abbia ragione» disse Eragon, socchiudendo gli occhi per schermarli dai raggi infuocati. «Ma prima di proseguire, facciamo una sosta. La mia mente va a rilento come una lumaca, e a stento riesco a muovere le gambe.»

Slegarono l’elfa dal ventre di Saphira, mangiarono e poi si distesero all’ombra di una duna per un breve riposo. Mentre Eragon si sistemava sulla sabbia, Saphira si accucciò accanto a lui e distese le grandi ali su di loro. È un posto meraviglioso, disse. Potrei passarci anni e non notare lo scorrere del tempo.

Eragon chiuse gli occhi. Sarebbe un buon posto per volare, notò insonnolito.

Non è solo questo. Ho come la sensazione di essere fatta per questo deserto. C’è tutto lo spazio che mi serve, montagne dove posso appollaiarmi, e prede che si mimetizzano da cacciare per giorni e giorni. E il calore! Il freddo non mi disturba, ma questo calore mi fa sentire viva, piena di energia.

Tese il collo verso il cielo, stiracchiandosi felice.

Ti piace così tanto? bofonchiò Eragon.

Sì.

Allora, quando tutto questo sarà finito, magari potremmo tornare... Si addormentò mentre ancora parlava. Saphira lo guardò con affetto e mugolò dolcemente mentre lui e Murtagh dormivano. Era la mattina del quarto giorno da quando erano partiti da Gil’ead. Avevano già coperto trentacinque leghe.

Dormirono quel tanto che bastò loro a schiarirsi la mente e far riposare i cavalli. Non si vedevano soldati in lontananza, ma non per questo si concessero di rallentare il ritmo di marcia. Sapevano che l’Impero avrebbe continuato a cercarli finché non si fossero trovati molto oltre il raggio d’azione del re. Eragon disse: «I messaggeri devono aver portato a Galbatorix la notizia della mia fuga, e lui avrà già avvertito i Ra’zac. Ormai saranno di sicuro sulle nostre tracce.

Occorrerà loro del tempo per trovarci, anche volando, ma dobbiamo tenerci pronti a qualsiasi evenienza.»

E questa volta scopriranno che non bastano le catene a trattenermi, dichiarò Saphira.

Murtagh si grattò il mento. «Spero che non siano in grado di seguirci dopo Taurida. Il Ramr è stato un ottimo espediente per seminare i nostri inseguitori; è verosimile che non riescano più a trovare le nostre tracce.»

«Speriamo davvero» disse Eragon osservando l’elfa. Le sue condizioni erano immutate; ancora non reagiva alle sue cure. «Ma in questo momento non mi sento di riporre fiducia nella fortuna. I Ra’zac potrebbero essere sulle nostre tracce anche in questo momento.»

Al tramonto raggiunsero le alture rocciose che la mattina avevano visto da lontano. Le rupi imponenti torreggiavano su di loro, proiettando ombre sottili. Attorno non c’erano dune per un raggio di mezzo miglio. Il calore aggredì Eragon come un colpo di maglio quando smontò da Fiammabianca e posò i piedi sul terreno arido e screpolato. Aveva nuca e viso bruciati; la sua pelle era bollente.

Dopo aver legato i cavalli dove potevano ruminare quel poco di erba che c’era, Murtagh accese un piccolo falò. «Quante miglia credi che abbiamo percorso?» chiese Eragon slegando l’elfa.

«Non lo so!» sbottò Murtagh. Anche lui aveva la pelle arrossata, e gli occhi iniettati di sangue. Prese una pentola e lanciò un’imprecazione. «Non abbiamo abbastanza acqua. E i cavalli devono bere.»

Eragon si sentiva irritato quanto lui per il caldo e l’arsura, ma non perse il controllo. «Portami i cavalli.» Saphira scavò una buca per lui con i poderosi artigli; Eragon chiuse gli occhi e pronunciò l’incantesimo. Sebbene il terreno fosse arido, conteneva abbastanza umidità da nutrire la scarsa vegetazione e il ragazzo riuscì a riempire d’acqua la buca più di una volta.

Murtagh colmò gli otri via via che l’acqua si raccoglieva nella buca, poi si fece da parte per lasciar bere i cavalli. Gli animali assetati bevvero a barili. A Eragon toccò cercare l’acqua più in profondità per soddisfarli, e lo sforzo lo lasciò quasi senza più energie. Quando i cavalli furono satolli, disse a Saphira: Se devi bere, fallo adesso. Il collo della dragonessa lo aggirò come la spira di un serpente, e la grande testa azzurra affondò nella buca; ma Saphira bevve soltanto due lunghi sorsi, non di più. Prima di lasciare che l’acqua rifluisse nel suolo, Eragon ne bevve il più possibile, poi guardò le ultime gocce svanire nel terreno. Mantenere l’acqua in superficie si era rivelato più impegnativo del previsto. Almeno fa parte delle mie capacità, si disse, ripensando divertito a quale fatica immane gli era costata sollevare perfino un sassolino.

L’aria era gelida quando si alzarono, il giorno dopo. La sabbia aveva una sfumatura rosa nelle prime luci del mattino, e aleggiava una caligine grigiastra che nascondeva l’orizzonte. L’umore di Murtagh non era migliorato con la dormita, ed Eragon scoprì che anche il suo andava peggiorando rapidamente. Durante la colazione, domandò: «Credi che manchi molto alla fine del deserto?»

Gli occhi di Murtagh lampeggiarono di collera. «Ne stiamo attraversando una parte molto piccola, perciò immagino che ci vogliano ancora due o tre giorni.» «Ma abbiamo fatto tanta strada.»

«D’accordo forse di meno! L’unica cosa che mi preme in questo momento è uscire dall’Hadarac il più in fretta possibile. Quello che stiamo facendo è già abbastanza duro: ci manca solo che cominciamo a contare ogni cinque minuti i granelli di sabbia calpestati.»

Finirono di mangiare, e poi Eragon andò dalTelfa. Dormiva un sonno profondo; sembrava un cadavere, se non fosse stato per il respiro regolare. «Dov’è la tua ferita?» sussurrò Eragon, scostandole una ciocca di capelli dal viso. «Come puoi dormire così e restare in vita?» L’immagine di lei, vigile e tesa nella cella, era ancora vivida nella sua memoria. Preoccupato, preparò l’elfa per il viaggio, poi sellò Fiammabianca e montò.

Mentre lasciavano il campo, all’orizzonte cominciarono a delinearsi delle sagome scure, indistinte nell’aria polverosa, Murtagh pensò che fossero colline distanti. Eragon non ne era convinto, ma non riusciva a scorgere altri dettagli.

Il dramma dell’elfa gli occupava la mente. Era sicuro di dover fare qualcosa per lei, altrimenti sarebbe morta: ma non sapeva che cosa. Saphira era preoccupata quanto lui. Ne parlarono per ore, ma nessuno di loro ne sapeva abbastanza di arti mediche da poter risolvere il problema.

Intorno a mezzogiorno fecero una breve sosta. Quando ripresero il cammino, Eragon notò che la foschia si era diradata dalla mattina, e che le remote sagome scure apparivano più nitide,.Non, erano più confuse macchie violacee, ma grandi alture coperte di foreste dal profilo netto. L’aria sopra di loro era biancastra, come se fosse scomparso ogni colore dalla striscia di cielo che sovrastava le colline e si estende va per tutto l’orizzonte, Eragon osservò il paesaggio, perplesso, ma più cercava una spiegazione a quello che vedeva, più era confuso. Battè le palpebre e scosse la testa, pensando che fosse un’illusione ottica dovuta all’aria del deserto. Ma quando riaprì gli occhi, l’inquietante, incongruo spettacolo era ancora lì. Il biancore copriva metà del cielo davanti a loro. Certo che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato, fece per indicarlo a Murtagh e Saphira, quando all’improvviso capì che cosa stava osservando.

Quelle che avevano scambiato per colline erano le pendici più basse di gigantesche montagne, vaste miglia e miglia. Tranne che per le fitte foreste che ne coprivano la base, le montagne erano interamente coperte di neve e ghiaccio. Era stato questo a far credere a Eragon che il cielo fosse bianco. Cercò di scorgerne i picchi, ma non erano visibili. Le montagne si stagliavano verso il cielo fino a scomparire alla vista. Valli strette e frastagliate, con le pareti che quasi si sfioravano, fendevano i loro fianchi come profonde ferite. Sembrava di essere davanti a una muraglia scabra e dentellata che collegava Alagasëia ai cieli.

Non hanno fine! pensò, stupefatto. Le storie che parlavano dei Monti Beor esaltavano sempre le loro dimensioni, ma lui aveva pensato che si trattasse di esagerazioni allo scopo di impreziosire i racconti. Ora, tuttavia, era costretto a riconoscerne l’autenticità. Saphira avvertì il suo stupore e seguì il suo sguardo. Non le ci vollero che pochi secondi per riconoscere le montagne per quello che erano. Mi sento di nuovo un cucciolo, qui. In confronto a loro, perfino io sono minuscola!

Dobbiamo essere vicini ai margini del deserto, disse Eragon. Ci sono voluti solo due giorni e già vediamo dall’altra parte!

Saphira volò in cerchio sopra le dune. Già, ma considerando la mole di quelle vette, potrebbero essere distanti ancora una cinquantina di leghe. È difficile calcolare le distanze davanti a qualcosa di così immenso. Non credi anche tu che sarebbero un nascondiglio perfetto per gli elfì o i Varden?

Ci si potrebbe nascondere ben altro che gli elfì o i Varden, sentenziò Eragon. Intere nazioni potrebbero esistere in segreto lassù, nascoste all’Impero. Immagina di vivere con quei colossi che incombono su di te! Fece avvicinare Fiammabianca a Murtagh e indicò in lontananza, con un sogghigno.

«Cosa?» grugnì Murtagh, scrutando il territorio.

«Guarda meglio» lo esortò Eragon.

Murtagh osservò con attenzione l’orizzonte. Scrollò le spalle. «Cosa? Io non...» Le parole gli morirono sulle labbra, e la mascella minacciò di staccarglisi per lo stupore. Scosse la testa, mormorando: «È impossibile!» Strinse tanto gli occhi da ridurli a fessure. «Sapevo che i Monti Beor erano grandi, ma non mi aspettavo questi mostri!»

«Speriamo che gli animali che li abitano non siano proporzionati alle montagne» scherzò Eragon. Murtagh sorrise. «Perché non ci troviamo un bel posticino comodo e ci prendiamo qualche settimana di vacanza? Ne ho abbastanza di questa marcia forzata.»

«Anch’io non ce la faccio più» ammise Eragon. «ma non voglio fermarmi finché l’elfa non si riprende... o muore.»

«Non vedo come continuare il viaggio possa aiutarla» disse Murtagh, pensieroso. «Un buon letto le farà meglio che restarsene appesa tutto il giorno alla pancia di Saphira.»

Eragon si strinse nelle spalle. «Può darsi... Quando raggiungiamo le montagne, potrei portarla nel Surda: non è lontano. Lì troveremo sicuramente un guaritore che possa curarla; noi non possiamo.»

Murtagh si schermò gli occhi con la mano e guardò le montagne. «Ne riparleremo in seguito. Per adesso il nostro obiettivo è raggiungere i Beor. Lì, se non altro, i Ra’zac avranno non pochi problemi a scovarci, e saremo al sicuro dall’Impero.»

Le ore passavano, ma i Monti Beor non sembravano avvicinarsi, anche se il paesaggio mostrava drastici cambiamenti. La sabbia si trasformò lentamente da una distesa di granelli rossicci a un terreno compatto, color crema. Al posto delle dune c’erano macchie irregolari di vegetazione e profondi solchi lasciati dalle alluvioni. Accolsero con sollievo una brezza fresca che dissipò il caldo torrido. I cavalli sentirono il cambiamento di clima e si lanciarono al galoppo.

Quando la sera oscurò il sole, le colline ai piedi dei monti erano a solo un miglio di distanza. Branchi di gazzèlle saltellavano fra prati folti d’erba alta. Eragon colse Saphira che le adocchiava famelica. Si accamparono vicino a un corso d’acqua, lieti di essere usciti dalle grinfie del Deserto di Hadarac.

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