25 Un vecchio amico

Il negozio dell’erborista aveva un’insegna allegra, facile da riconoscere. Sulla soglia era seduta una donnetta minuta, con una massa di riccioli scuri. In una mano teneva una rana, e con l’altra scriveva. Eragon immaginò che dovesse trattarsi di Angela, l’erborista. Su entrambi i lati della bottega c’era una casa. «Quale sarà?» chiese a Brom.

Brom studiò le case, poi disse: «Scopriamolo.» Si avvicinò alla donna e chiese con cortesia:

«Potresti dirmi in quale casa abita Jeod?»

«Certo.» La donna continuò a scrivere.

«Ti spiacerebbe dircelo?»

«No.» Tacque di nuovo, ma la sua penna si muoveva più veloce che mai. La rana sulla sua mano gracidò e li guardò con occhi malevoli. Brom ed Eragon attesero perplessi, ma la donna non disse altro. Eragon era sul punto di sbottare, quando Angela alzò lo sguardo. «Certo che non mi dispiace! Tutto quello che dovete fare è chiedere. La vostra prima domanda era se potevo dirvelo, e la seconda se mi dispiaceva dirvelo. Ma non mi avete posto la domanda diretta.»

«Allora lascia che te lo chieda nel modo giusto» disse Brom con un sorriso. «Qual è la casa di Jeod? E perché tieni in mano una rana?»

«Ora sì che ci siamo» disse lei, scherzosa. «Jeod abita nella casa di destra. E quanto alla rana, in realtà è un rospo. Sto cercando di dimostrare che i rospi non esistono... che sono soltanto rane.»

«Come fanno i rospi a non esistere se ne tieni uno in jnano in questo momento?» s’intromise Eragon. «E poi, a che cosa serve provare che esistono soltanto le rane?»

La donna scosse la testa con veemenza; i riccioli scuri dondolarono. «No, no, non capisci. Se provo che i rospi non esistono, allora questa è una rana e non è mai stato un rospo. Quindi, il rospo che vedi ora non esiste. Inoltre» aggiunse, alzando l’indice sottile. «se posso provare che esistono soltanto le rane, allora i rospi non potranno fare mai niente di male... come far cadere i denti, provocare verruche, avvelenare o uccidere le persone. E le streghe non potranno usare i loro malvagi sortilegi perché ovviamente non troveranno nessun rospo da usare.»

«Capisco» disse Brom in tono cordiale. «Sembra molto interessante, e mi piacerebbe saperne di più, ma dobbiamo parlare con Jeod.»

«Certo» disse la donna, e li congedò con un cenno della mano per poi ricominciare a scrivere. Quando furono lontani dalle, orecchie dell’erborista, Eragon disse: «È suonata!»

«Forse» commentò Brom. «ma chi può dirlo? Magari finirà con lo scoprire qualcosa di utile, perciò non giudicare, E se i rospi fossero davvero soltanto rane?»

«Già, e le mie scarpe sono d’oro» ribattè Eragon.

Si fermarono davanti a una porta con un batacchio di ferro lavorato e la soglia di marmo. Brom bussò tre volte. Nessuno rispose. Eragon si sentì uno stupido. «Forse è la casa sbagliata. Proviamo quell’altra.» Brom lo ignorò e bussò di nuovo, con più forza.

Ancora nessuna risposta. Eragon si volse esasperato, poi sentì qualcuno accorrere. Una giovane donna con la carnagione pallida e i capelli biondi socchiuse la porta. I suoi occhi erano gonfi come se stesse piangendo, ma la sua voce era ferma. «Desiderate?»

«Jeod vive qui?» domandò Brom con gentilezza.

La donna fece un lieve cenno col capo. «Sì, è mio marito. Vi aspettava?» Continuava a tenere la porta socchiusa.

«No, ma abbiamo bisogno di parlargli» disse Brom.

«È molto occupato.»

«Veniamo da molto lontano. Dobbiamo assolutamente vederlo.»

Il volto della donna s’indurì. «È occupato.»

Brom era chiaramente seccato, ma il suo tono rimase cortese. «Bene, visto che non può riceverci, mia signora, potresti dargli un messaggio da parte mia?» La donna strinse le labbra, poi annuì.

«Digli che un suo vecchio amico, di Gil’ead lo aspetta fuori la porta.»

La donna non nascose la sua diffidenza, ma disse: «Va bene» e richiuse la porta di colpo. Eragon udì i suoi passi allontanarsi.

«Che sgarbata» commentò.

«Tieni per te le tue opinioni» lo rimbeccò Brom. «e non dire niente. Lascia parlare me.» Incrociò le braccia, tamburellando le dita sui gomiti. Eragon chiuse la bocca e distolse lo sguardo.

La porta si spalancò all’improvviso, e uscì un uomo alto. I suoi abiti costosi erano sgualciti, i capelli grigi spettinati, e il suo volto era cupo, la fronte bassa solcata da una lunga cicatrice. Alla vista dei due, sgranò gli occhi e si appoggiò allo stipite della porta, ammutolito. La sua bocca si aprì e si chiuse un paio di volte, come un pesce che annaspa. Poi, con voce sommessa e incredula, disse: «Brom...?»

Brom si portò l’indice alle labbra e tese una mano per afferrare il braccio dell’uomo. «È bello rivederti, Jeod! Sono lieto che la memoria non ti abbia tradito, ma non usare quel nome. Nessuno deve sapere che sono qui.»

Jeod si guardò intorno, ancora spaventato. «Credevo che fossi morto» sussurrò. «Che cosa ti è successo? Perché non mi hai fatto più sapere nulla?»

«Ti spiegherò tutto. C’è un posto dove possiamo parlare liberamente?»

Jeod esitò, spostando lo sguardo da Brom a Eragon e viceversa, il volto una maschera indecifrabile. Infine disse: «Non possiamo parlare qui, ma se aspettate un momento.. vi accompagnerò dove potremo farlo.»

«Bene» disse Brom. Jeod annuì e svanì dentro la casa.

Chissà se riuscirò a sapere qualcosa di più sul passato di Brom, pensò Eragon.

Quando Jeod.riapparve, c’era uno stocco al suo fianco. Indossava un giubbetto ricamato e un cappello piumato. Brom lo squadrò con occhio critico, e Jeod scrollò le spalle, imbarazzato. Li condusse attraverso Teirm, verso la fortezza. Eragon camminava dietro i due uomini, portando i cavalli per la cavezza. Jeod indicò la loro destinazione. «Risthart, il signore di Teirm, ha decretato che tutti i mercanti e i commercianti debbono condurre i propri affari nel suo castello. Anche se la maggior parte di noi svolge i propri affari da qualche altra parte, dobbiamo pur sempre affittare delle stanze qui. È un’assurdità, lo so, ma accettiamo per tenercelo buono. Nessuno potrà origliare la nostra conversazione; le mura sono molto spesse.»

Varcarono l’ingresso principale della fortezza ed entrarono nel maschio. Jeod si diresse verso una porta laterale e indicò un anello di ferro. «Puoi legare i cavalli lì. Nessuno li disturberà.» Dopo che Fiammabianca e Cadoc furono sistemati, Jeod aprì la porta con una chiave di ferro e li fece entrare. La porta dava su un. lungo corridoio illuminato da fiaccole inserite nei supporti lungo i muri. Eragon rimase sorpreso dal freddo e dall’umidità che dilagavano lì dentro.

Quando toccò una parete, le sue dita scivolarono su uno strato viscido. Rabbrividì.

Jeod prese una fiaccola dal suo supporto e li scortò lungo il corridoio. Si fermarono davanti a una massiccia porta di legno. L’aprì e li invitò a entrare in una stanza con una pelle d’orso sul pavimento, poltrone imbottite e scaffali colmi di libri rilegati in pelle.

Jeod accatastò della legna nel caminetto, poi vi infilò sotto la fiaccola. Il fuoco attecchì subito.

«Dunque, vecchio mio, adesso devi spiegarmi parecchie cose.»

Il volto di Brom s’increspò di rughe nel sorridere. «Chi sarebbe il vecchio? L’ultima volta che ti ho visto, i tuoi capelli non erano grigi. Adesso sembrano ciuffi spelacchiati di un teschio in decomposizione.»

«E tu sei lo stesso di vent’anni fa. Il tempo sembra averti preservato come un vecchio bisbetico solo perché tu possa infliggere le tue interminabili lezioni di saggezza a ogni nuova generazione. E comunque ora basta con i complimenti! Raccontami la tua storia. Una cosa in cui sei sempre stato bravo» disse Jeod, impaziente. Eragon drizzò le orecchie e attese avido il racconto di Brom. Brom si mise comodo in una poltrona ed estrasse la sua pipa. Soffiò lentamente un anello di fumo che diventò verde, guizzò nel caminetto e scomparve su per la canna fumaria. «Ricordi quello che stavamo facendo a Gil’ead?»

«Naturalmente» disse Jeod. «Difficile dimenticare quel genere di cose.»

«Un eufemismo, però vero» disse Brom asciutto. «Quando siamo stati... separati, non sono più riuscito a trovarti. In quel trambusto scovai una piccola camera. Non c’era niente di particolare, solo casse e scatole, ma tanto per curiosità cominciai a frugare in giro. La fortuna mi fu benigna, poiché trovai proprio quello che stavamo cercando.» Sul volto di Jeod si dipinse un’espressione di assoluto stupore. «A quel punto non potevo più aspettarti. Potevano scoprirmi da un momento all’altro, e tutto sarebbe andato perduto. Mi camuffai alla meglio e lasciai la città di nascosto per andare da...»

Brom esitò e scoccò un’occhiata furtiva a Eragon. Poi disse: «... dai nostri amici. Lo conservarono in una grotta per sicurezza e mi fecero promettere che mi sarei preso cura di chiunque l’avesse ricevuto. Ma fino al giorno in cui fossero state necessarie le mie prestazioni, dovevo scomparire. Nessuno doveva sapere che ero vivo, nemmeno tu. Mi è costato molto darti quel dolore. Perciò andai a nord e mi nascosi a Carvahall.»

Eragon serrò la mascella, infuriato con Brom che continuava a bella posta a tenerlo all’oscuro di tante cose.

Jeod aggrottò la fronte e disse: «Allora i nostri... amici hanno sempre saputo che eri vivo?»

«Sì.»

Jeod sospirò. «Immagino che sia stato necessario questo espediente, ma vorrei che me l’avessero detto. Carvahall non è a nord, sull’altro versante della Grande Dorsale?» Brom fece sì con la testa. Per la prima vota, Jeod parve accorgersi di Eragon. I suoi occhi grigi lo scrutarono attenti. Inarcò un sopracciglio e disse: «Allora presumo che adesso tu stia onorando il tuo compito.»

Brom scosse la testa. «No, non è così semplice. Qualche tempo fa è stato rubato, almeno è quello che credo, perché non ho saputo nulla dai nostri amici, e sospetto che i loro messaggeri siano caduti in un’imboscata. Così ho deciso di indagare per conto mio. Eragon andava nella mia stessa direzione e così stiamo viaggiando in compagnia da un po’.»

Jeod era perplesso. «Ma se non avevano inviato messaggi, come facevi a sapere che era...»

Brom si affrettò a interromperlo, dicendo: «Lo zio di Eragon è stato ucciso dai Ra’zac. Gli hanno bruciato la casa e lui si è salvato per un soffio. Merita di vendicarsi, ma ci hanno lasciati senza tracce da seguire, e così abbiamo bisogno di aiuto per trovarli.»

Il volto di Jeod si schiarì. «Capisco.,. Ma perché siete venuti qui? Io non so dove potrebbero nascondersi i Ra’zac, e coloro che lo sanno non ve lo direbbero mai.»

Brom si alzò e s’infilò una mano sotto il mantello. Estrasse la fiaschetta dei Ra’zac. La lanciò a Jeod.

«Contiene olio di Seithr, del tipo pericoloso. È dei Ra’zac. L’hanno persa lungo il cammino e noi l’abbiamo trovata. Dobbiamo controllare i registri delle spedizioni di Teirm per poter risalire ai compratori dell’olio. In questo modo troveremo il covo dei Ra’zac»

Il volto di Jeod s’increspò di rughe mentre rifletteva. Indicò i libri sugli scaffali. «Vedi quelli? Sono tutti i registri dei miei commerci. Soltanto dei miei. Vi state imbarcando in un’impresa che richiederà mesi per essere portata a termine. Ma c’è un problema più grosso. I registri che cerchi sono conservati nel castello, ma solo Brand, amministratore di Risthart, li può consultare. I commercianti come me non hanno il permesso di maneggiarli perché temono che potremmo falsificare i conti, frodando l’Impero delle sue preziose tasse.»

«A questo penserò io al momento opportuno» disse Brom. «Ma dobbiamo riposare per qualche giorno prima di poter decidere come procedere.»

Jeod sorrise. «In questo posso aiutarvi. La mia casa è la vostra casa, naturalmente. Usate altri nomi, qui in città?»

«Sì» disse Brom. «Io sono Neal, e il ragazzo è Evan.»

«Eragon» mormorò Jeod pensoso. «Hai un nome singolare. Sono ben pochi coloro che portano il nome del primo Cavaliere. Nella mia vita ho letto soltanto di tre che si chiamavano così.» Eragon si stupì che Jeod conoscesse l’origine del suo nome.

Brom guardò Eragon. «Mi faresti la gentilezza di andare a controllare i cavalli? Temo che Fiammabianca non sia stato legato bene.»

Stanno cercando di nascondermi qualcosa. Non appena esco di qui, cominceranno a parlarne.

Eragon si alzò di scatto dalla poltrona e uscì dalla camera a grandi passi, sbattendo la porta alle sue spalle. Fiammabianca non si era mosso; il nodo che lo teneva legato all’anello era perfetto. Prese ad accarezzare il collo dei cavalli e appoggiò la schiena al muro del castello.

Non è giusto, si lamentò. Se solo potessi sentire ciò che stanno dicendo. Si raddrizzò di colpo, elettrizzato. Una volta Brom gli aveva insegnato certe parole che acuivano l’udito. L’orecchio fino non è proprio quello che desidero, ma dovrei essere in grado di formulare quelle parole. In fin dei conti, pensa a che cosa posso fare con brisingr!

Si concentrò intensamente per richiamare il potere. Una volta evocato, mormorò: «Thverr stenr un atra eka hórna!» e intrise ogni parola di strenua volontà. Mentre sentiva il potere fluire dentro di sé, udì un debole sussurro nelle orecchie ma nient’altro. Deluso, si appoggiò di nuovo al muro, poi trasalì quando sentì Jeod che diceva: «... e ormai sono quasi otto anni che lo faccio.»

Eragon si guardò intorno. Non c’era nessuno, tranne un gruppetto di guardie radunate nell’angolo opposto del maschio. Con un gran sorriso, si lasciò scivolare a terra e chiuse gli occhi.

«Non mi sarei mai aspettato che diventassi un mercante» disse Brom. «Dopo tutti quegli anni che hai passato sui libri, E aver trovato il passaggio in quel modo! Come mai. hai deciso di dedicarti al commercio invece di restare uno studioso?»

«Dopo Gil’ead, non ho più avuto voglia di restare seduto in stanze ammuffite a leggere pergamene. Ho deciso di aiutare Ajihad come meglio potevo, ma non sono un guerriero. Anche mio padre era un mercante: dovresti ricordarlo. Mi ha aiutato a cominciare. Tuttavia i miei commerci non sono altro che un paravento per rifornire il Surda.»

«Ma mi pare di capire che le cose vanno male» disse Brom.

«Già: di recente nessuna spedizione è andata a buon fine, e Tronjheim è a corto di rifornimenti. In qualche modo l’Impero, o almeno credo che siano loro, ha scoperto chi tra noi lavora per aiutare Tronjheim, Eppure non sono del tutto convinto che si tratti dell’Impero. Non si vedono soldati. Non capisco. Può darsi che Galbatorix abbia assoldato dei mercenari per ostacolarci.»

«Ho saputo che hai perduto una nave di recente.»

«L’ultima che possedevo» spiegò Jeod in tono amareggiato. «Ogni uomo imbarcato era coraggioso e leale. Dubito che li rivedrò ancora... L’unica possibilità che mi rimane è inviare delle carovane nel Surda o a Gil’ead, ma so per certo che non arriverebbero mai, per quante guardie mettessi di scorta. Oppure potrei prendere a nolo la nave di qualcun altro. Ma nessuno vuole trasportare le mie merci, adesso.»

«Quanti mercanti ti aiutano?» domandò Brom.

«Oh, diversi, lungo tutta la costa. Tutti sono afflitti dagli stessi problemi. So che cosa stai pensando; più di una notte sono rimasto sveglio io stesso a pensarci. Ma non posso sopportare l’idea di un traditore con tanto potere e tante conoscenze. Se ce n’è uno, allora siamo tutti in pericolo. Dovresti tornare a Tronjheim.»

«E portare lì Eragon?» lo interruppe Brom. «Lo farebbero a pezzi. È il posto peggiore, adesso. Magari fra qualche mese, o perché no, un anno. Te lo immagini, come reagirebbero i nani? E poi tutti cercherebbero di influenzarlo, soprattutto Islanzadi. Lui e Saphira non sarebbero al sicuro a Tronjheim, almeno finché non li faccio passare per il tuatha du orothrim.»

Nani! pensò Eragon eccitato. Dove si trova questa Tronjehim? E perché ha parlato a Jeod di Saphira? Non avrebbe dovuto farlo senza prima chiedermelo!

«Eppure ho la sensazione che abbiano bisogno del tuo potere e della tua saggezza.»

«Saggezza» sbuffò Brom. «Sono soltanto un vecchio bisbetico, come hai detto prima.»

«Molti non sarebbero d’accordo.»

«Lascia perdere. Non devo spiegazioni a nessuno. No. Ajihad dovrà cavarsela senza di me. Quello che faccio adesso è molto più importante. Ma l’ipotesi che esista un traditore solleva gravi questioni. Mi chiedo se è per questo che l’Impero sapeva dove...» La sua voce si spense.

«E io mi chiedo perché nessuno si è messo in comunicazione con me» disse Jeod. «Magari ci hanno provato. Ma se c’è un traditore...» Brom fece una pausa. «Devo mandare un messaggio ad Ajihad. Hai un uomo fidato?»

«Credo» disse Jeod. «Dipende da dove deve andare.»

«Non lo so» disse Brom. «Sono rimasto isolato per così tanto tempo che i miei contatti probabilmente sono morti o si sono dimenticati di me. Puoi mandarlo da chiunque riceva le tue spedizioni?»

«Sì, ma sarà rischioso.»

«E che cosa non lo è di questi tempi? Quando può partire?»

«Domattina. Lo manderò a Gil’ead. Sarà più rapido» disse Jeod. «Che cosa puoi dargli per convincere Ajihad che sei tu a mandarlo?»

«Tieni, dagli il mio anello. E digli che se lo perde, gli strapperò il fegato con le mie mani. Mi è stato donato dalla regina in persona.»

«Vecchio bisbetico» disse Jeod.

Brom borbottò e rimase in silenzio per un po’. «Faremmo meglio ad andare a cercare Eragon» disse infine. «Mi preoccupo quando è da solo. Quel ragazzo ha l’innaturale tendenza a trovarsi ovunque ci siano dei guai.»

«E ti sorprende?»

«Non proprio.»

Eragon udì rumore di poltrone spostate. Ritrasse la mente e aprì gli occhi. Ricapitoliamo disse fra sé. Jeod e altri mercanti sono nei guai perché aiutano delle persone non amate dall’Impero. Brom ha trovato qualcosa a Gil’ead ed è andato a Carvahall per nascondersi. Che cosa poteva essere di così importante da lasciare che il suo amico lo credesse morto per quasi vent’anni? Ha parlato di una regina... ma non ci sano regine nei regni conosciuti... e di nani, che, come mi ha detto lui, sono scomparsi sottoterra da secoli.

Voleva delle risposte! Ma non poteva affrontare Brom e rischiare di compromettere la missione. No, avrebbe aspettato fino a quando non fossero partiti da Teirm, e poi avrebbe insistito finché il vecchio non gli avesse rivelato tutti i suoi segreti. I pensieri di Eragon stavano ancora turbinando quando la porta si apri.

«I cavalli stanno bene?» disse Brom.

«Benissimo» rispose Eragon. Slegarono i cavalli e lasciarono il castello.

Mentre rientravano in città, Brom disse: «Dunque, Jeod, alla fine ti sei sposato. E con un’adorabile giovane donna» aggiunse ammiccando. «Congratulazioni.»

Jeod non parve contento del complimento. Incurvò le spalle, gli occhi bassi. «Non so se questo momento sia adatto alle congratulazioni. Helen non è felice.»

«Perché? Cosa vuole?» disse Brom.

«Il solito» disse Jeod con una scrollata di spalle rassegnata. «Una bella casa, figli sani, cibo sulla mensa, e una gradevole compagnia. Ma il problema è che viene da una famiglia ricca; suo padre ha investito molto nei miei commerci. Se continuo a subire queste perdite, non ci sarà più abbastanza denaro da consentirle la vita cui è abituata.»

Jeod tacque per un attimo, poi riprese: «Ma questi sono problemi miei, non vostri. Un buon padrone di casa non dovrebbe mai affliggere gli ospiti con le sue disgrazie. Mentre siete a casa mia, non permetterò che niente vi disturbi, se non uno stomaco troppo pieno.»

«Ti ringrazio» disse Brom. »Apprezziamo la tua ospitalità. È da tempo che non godiamo di certe comodità, nel nostro viaggio. Sai dove possiamo trovare una bottega che non sia troppo cara? Tutto questo cavalcare ha consumato i nostri abiti.»

«Certo, questo è il mio lavoro» disse Jeod, illuminandosi. Parlò animatamente di prezzi e di negozi finché non furono in vista della sua casa. Allora disse: «Vi dispiace se andiamo a mangiare da qualche altra parte? Non credo sia opportuno farvi entrare adesso.»

«Come ritieni sia meglio. disse Brom.

Jeod parve sollevato. «Grazie. Potete lasciare i cavalli nella mia stalla.»

Fecero come aveva suggerito, e poi lo seguirono fino a una grande taverna. Al contrario della Castagna Verde, questa era pulita, rumorosa e affollata di gente chiassosa. Quando arrivò il cibo, un maialino da latte ripieno, Eragon addentò affamato la carne, ma gustò soprattutto il contorno di patate, carote, rape e mele dolci. Era tanto tempo che mangiava solo selvaggina.

Indugiarono davanti al pasto per ore, mentre Brom e Jeod si scambiavano racconti. A Eragon non dispiacque. Era al caldo, un allegro motivetto risuonava in sottofondo, e c’era abbondanza di cibo. Il parlottio vivace della taverna lo cullava.

Quando alla fine uscirono dalla taverna, il sole era vicino all’orizzonte. «Voi due andate avanti; io devo controllare una cosa» disse Eragon. Voleva vedere Saphira e assicurarsi che fosse ben nascosta.

Brom annuì con aria assente. «Sta’ attento. E non metterci troppo.»

«Aspetta» disse Jeod. «Hai intenzione di uscire da Teirm?» Eragon esitò, poi assentì. «Allora fa’ in modo di rientrare prima di sera, perché chiudono i cancelli, e le guardie non ti faranno rientrare se non al mattino.»

«Non farò tardi» promise Eragon. Si volse e corse lungo una via laterale che portava verso la muraglia di Teirm. Una volta uscito dalla città, respirò a fondo l’aria fresca. Saphira! chiamò. Dove sei? Lei lo guidò lontano dalla strada, ai piedi di una rupe muscosa circondata di aceri, Eragon vide la dragonessa fare capolino dagli alberi in cima e la salutò. Come faccio a salire lassù?

Se trovi una radura, vengo a prenderti.

No, disse lui, osservando la rupe, non sarà necessario. Mi arrampico io.

È troppo pericoloso.

E tu ti preoccupi troppo. Lascia che mi diverta un po’.

Eragon si sfilò i guanti e cominciò ad arrampicarsi. Gli piacevano le sfide fisiche. Trovò parecchi appigli che gli facilitarono l’ascesa e in breve tempo superò le chiome degli alberi. A metà strada, si fermò per riprendere fiato.

Una volta recuperate le forze, tese il braccio per afferrare l’appiglio successivo, ma si accorse di non arrivarci. Si guardò intorno in cerca di una fessura o una sporgenza dove posare la mano, ma non ne trovò. Allora provò a tornare indietro, ma l’ultimo punto in cui aveva poggiato i piedi era troppo lontano. Saphira lo fissava senza battere ciglio. Eragon si arrese e disse: Forse mi serve un aiuto.

È colpa tua.

Sì! Lo so. Allora, mi aiuti o no?

Se non ci fossi stata io, ti saresti trovato in una gran brutta situazione.

Eragon sgranò gli ocelli. Smettila.

Sicuro. In fin dei conti, come può un semplice drago dire a un uomo come te cosa fare? Dovrei limitarmi a lodare la tua straordinaria capacità di trovare l’unico vicolo cieco. Perché se avessi cominciato qualche metro più in là, avresti trovato il sentiero per salire. Avvicinò il muso, scrutandolo con i grandi occhi chiari.

D’accordo! Ho fatto un errore. Adesso, per favore, mi aiuti? la implorò. La dragonessa ritrasse la testa oltre il bordo della rupe. Dopo un momento, Eragon chiamò: «Saphira!» Sopra di lui non c’erano che alberi fruscianti. «Saphira! Torna qui!» ruggì.

Con uno schianto fragoroso. Saphira uscì dal folto degli alberi, librandosi a mezz’aria. Volò verso Eragon come un pipistrello enorme e gli afferrò la camicia con gli artigli, graffiandogli la schiena. Lui lasciò la presa sulla roccia, mentre lei lo sollevava. Dopo un breve volo, lo depose con delicatezza in cima alla rupe e sfilò gli artigli dalla camicia.

Pazzo che non sei altro, commentò Saphira bonaria.

Eragon contemplò il panorama. La rupe offriva una vista perfetta su tutto il circondario, specie sull’oceano spumeggiante, e anche protezione da occhi indiscreti. Soltanto gli uccelli avrebbero visto Saphira lì. Era il luogo ideale.

C’è da fidarsi dell’amico di Brom? chiese Saphira.

Non lo so. Eragon le raccontò gli eventi della giornata. Ci sono forze intorno a noi di cui non siamo consapevoli. A volte mi chiedo se possiamo mai capire le vere ragioni che muovono le persone che ci circondano. Sembra che tutti abbiano dei segreti.

Così va il mondo. Ignora ogni facile deduzione e confida nella natura di ciascuno. Brom è buono.

Non intende farci del male. Non dobbiamo temere i suoi piani.

Lo spero, disse lui, studiandosi le mani.

Questa ricerca dei Ra’zac attraverso gli scritti è uno strano rnodo di rintracciarli, commentò lei.

Non si potrebbe ricorrere alla magia per controllare i registri senza entrare nella stanza?

Non ne sono sicuro. Bisognerebbe combinare la parola vedere con la parola distanza... o magari luce e distanza. Comunque sìa, mi pare piuttosto difficile. Chiederò a Brom.

Buona idea. Cadde un quieto silenzio.Sai, potremmo restare a Teirm per un po’.

La risposta di Saphira fu tagliente. E come sempre, io sarò costretta ad aspettare lontano.

Non è così che volevo che andasse. Ben presto torneremo a viaggiare insieme.

Che quel giorno possa arrivare presto.

Eragon sorrise e la abbracciò. Notò allora che la luce svaniva rapida. Devo andare, altrimenti mi chiudono fuori falla città. Domani va’ a caccia, e la sera tornerò a trovarti.

La dragonessa dispiegò le ali. Vieni, ti porto giù. Eragon montò sul suo dorso squamoso e si resse forte, mentre lei si lanciava giù dalla rupe, sfiorava gli alberi e atterrava su una collinetta. Eragon la ringraziò e prese a correre verso Teirm,

Arrivò in vista della saracinesca proprio mentre questa cominciava ad abbassarsi. Urlando di aspettare, corse a perdifiato e s’infilò sotto il portale di ferro qualche istante prima che si sigillasse con un tonfo. «Appena in tempo» osservò una delle guardie.

«Non accadrà più» disse Eragon, piegandosi in due per riprendere fiato. Si addentrò nella città buia, in cerca della casa di Jeod. Una lanterna era appesa fuori dalla porta, come un faro. Bussò. Un florido maggiordomo gli venne ad aprire e lo accompagnò dentro senza una parola. Le pareti di pietra erano tappezzate di arazzi. Tappeti arabescati coprivano a tratti il lucido pavimento di legno, che rifletteva la luce emanata da tre lampadari d’oro. Il fumo delle candele si allargava nell’aria e si raccoglieva contro il soffitto.

«Da questa parte, signore. H vostro amico è nello studio.»

Passarono davanti a decine di porte, finché il maggiordomo non ne aprì una che dava sullo studio. Le pareti erano tappezzate di libri. Ma a differenza di quelli della stanza di Jeod nella cittadella, questi erano di ogni forma e dimensione. Un caminetto colmo di ciocchi ardenti riscaldava l’ambiente. Brom e Jeod erano seduti davanti a una scrivania ovale, a chiacchierare amabilmente. Brom alzò la pipa e disse con.voce gioviale: «Ah, eccoti, finalmente. Ci stavamo preoccupando. Com’è andata la passeggiata?»

Chissà cosa l’ha messo di buonumore. Perché non mi ha chiesto come sta Saphira? «Bene, ma per poco le guardie non mi chiudevano fuori dalla città, E Teirm è enorme. Ho fatto molta fatica a trovare questa casa.» Jeod ridacchiò. «Aspetta di vedere Dras-Leona. Gil’ead, o magari Kuasta, e questa piccola città costiera non ti sembrerà più tanto grande. Ma qui mi piace. Quando non piove. Teirm è davvero incantevole.»

Eragon si rivolse a Brom. «Sai quanto dovremo restare?»

Brom alzò le mani. «Difficile a dirsi. Dipende. Dobbiamo arrivare ai registri e non sappiamo quanto tempo ci metteremo a trovare quello che cerchiamo. Dovremo collaborare tutti: è un’impresa immane. Domani parlerò con Brand per sapere se ci permette di consultarli.»

«Non credo che potrò esserti d’aiuto» disse Eragon, spostando il peso da una gamba all’altra con evidente imbarazzo.

«Perché no?» fece Brom. «Ci sarà parecchio lavoro per te.»

Eragon chinò il capo. «Non so leggere.»

Brom lo guardò, allibito. «Vuoi dire che Garrow non ti ha mai insegnato?»

«Perché, lui sapeva leggere?» disse Eragon, sconcertato. Jeod li osservava con interesse.

«Certo che sapeva leggere» sbuffò Brom. «Quel mulo testardo... ma che cosa credeva di fare? Avrei dovuto capirlo. Probabilmente lo considerava un lusso superfluo.» Brom si accigliò, tirandosi la barba con rabbia. «Questo rallenta i miei piani, ma non è un danno irreparabile. Mi basterà insegnarti a leggere. Non ci vorrà molto, se ti impegni sul serio.»

Eragon sospirò. Di solito le lezioni di Brom erano rigorose ed estenuanti. Ancora un mucchio di informazioni da apprendere! «Suppongo che sia una cosa necessaria» disse in tono rassegnato.

«Vedrai, ti piacerà. C’è tanto da imparare sui libri e sulle pergamene» disse Jeod. Indicò le pareti.

«Questi libri sono i miei amici, i miei compagni. Mi fanno ridere, piangere, e danno un senso alla mia vita.»

«Sembra affascinante» ammise Eragon.

«Lo studioso che torna a galla, eh?» disse Brom.

Jeod scrollò le spalle. «Non più. Temo di essermi trasformato in un bibliofilo.»

«Un che?» domandò Eragon.

«Uno che ama i libri» gli spiegò Jeod. Poi riprese a conversare con Brom. Annoiato, Eragon cominciò a esaminare gli scaffali. Un elegante volume dalle borchie d’oro catturò la sua attenzione. Lo sfilò dallo scaffale e lo guardò incuriosito.

Era rilegato in pelle nera, su cui erano incise misteriose rune. Eragon fece scorrere le dita sulla copertina e ne assaporò la fredda levigatezza. Dentro, le lettere erano stampa te in lucido inchiostro rossiccio. Mentre sfogliava le pagine, l’occhio gli cadde su una colonna di scrittura diversa dal resto. Le parole erano lunghe e scorrevoli, tutte linee leggiadre e punte aguzze.

Eragon portò il libro a Brom. «Cos’è?» domandò, indicando la strana scrittura.

Brom esaminò la pagina da vicino e inarcò un sopracciglio, sorpreso. «Jeod, vedo che hai ampliato la tua collezione Dove l’hai preso? Non ne vedo uno da secoli.»

Jeod tese il collo per vedere il libro. «Ah, sì, il Domia abr Wyrda. Passò un uomo da queste parti qualche anno fa, e cercò di venderlo a un commerciante del porto. Per fortuna mi trovavo anch’io lì, e riuscii a salvare il libro, oltre che il collo di quell’uomo. Non aveva idea di quello che aveva tra le mani.»

«È strano, Eragon, che tu abbia preso proprio questo volume, il Dominio del Fato» disse Brom. «Di tutti gli oggetti di questa casa, probabilmente è il più prezioso. Contiene la storia completa di Alagasëia, da prima dell’arrivo degli elfi fino a qualche decennio fa. Il libro è molto raro ed è il migliore nel suo genere. Quando fu scritto, l’Impero lo giudicò blasfemo e mandò al rogo l’autore. Heslant il Monaco. Non credevo che ne esistessero ancora delle copie. La scrittura di cui mi hai chiesto appartiene all’antica lingua.»

«E cosa dice?» domandò Eragon.

Brom impiegò qualche minuto per decifrare le righe. «È un brano di un poema elfico che narra degli anni in cui si combattè contro i draghi. Qui descrive uno dei loro re. Ceranthor, che si lancia in battaglia. Gli elfi amano questo poema e lo recitano spesso, anche se ci vogliono tre interi giorni per farlo, così da non ripetere gli errori del passato. A volte lo cantano in modo così sublime che anche le pietre si mettono a piangere.»

Eragon tornò alla sua sedia, tenendo il libro con delicatezza, È sorprendente che un uomo morto possa parlare ancora alla gente attraverso queste pagine. Finché questo libro sopravvive, anche le sue idee vivranno. Chissà se contiene informazioni sui Ra’zac.

Continuò a sfogliare il libro,mentre Brom e Jeod chiacchieravano.Le ore passavano e Eragon cominciò a sonnecchiare. Mosso a pietà per la sua stanchezza, Jeod congedò i suoi ospiti. «Il maggiordomo vi mostrerà le vostre stanze»

Salendo le scale, il domestico disse: «Se avete bisogno di qualcosa, tirate il cordone di fianco a l letto.» Si fermò davanti a tre porte, s’inchinò e scomparve.

Mentre Brom entrava nella camera a destra, Eragon lo chiamò. «Posso parlarti?»

«Lo hai appena fatto. A ogni modo entra pure.»

Eragon si chiuse la porta alle spalle. «Saphira e io abbiamo avuto un’idea. C’è un …»

Brom lo interruppe con un gesto della mano, poi tirò le tende della finestra. «Quando parli di certe cose, controlla prima che non ci siano orecchie indiscrete in ascolto.»

«Scusa» disse Eragon, rimproverandosi per l’imprudenza. «Stavo dicendo, esiste un modo per evocare l’immagine di qualcosa che non puoi vedere?»

Brom si sedette sul bordo del letto.«Quella di cui parli si chiama cristallomanzia. E’ un tipo di divinazione possibile ed estremamente utile in determinate circostanze, ma presenta uno svantaggio. Puoi divinare soltanto persone, luoghi e cose che hai già visto. Per esempio se volessi vedere i Ra’zac, ci riusciresti, ma non vedresti il luogo in cui si trovano. E ci sono anche altri problemi. Diciamo che vuoi divinare la pagina di un libro che hai già visto. Potresti vederla solo se il libro fosse aperto a quella pagina. Se il libro fosse chiuso mentre tenti di vederlo con la cristallomanzia, la pagina ti apparirebe tutta nera.»

«Perché non si possono divinare oggetti che uno non ha visto?» domandò Eragon, affascinato dalle enormi potenzialità della cristallomanzia, malgradi i suoi limiti. Chissà se posso divinare qualcosa a leghe di distanza e usare la magia per influire su ciò che sta accadendo lì.

«Perché» rispose Brom paziente «per usare la cristallomanzia devi conoscere quello che stai guardando e dove dirigere il tuo potere. Per esempio, se un estraneo ti venisse descritto anche nei minimi particolari, ti sarebbe comunque impossibile vederlo, per non parlare dell’ambiente e delle cose che lo circondano. Devi conoscere ciò che vuoi divinare prima di poterlo divinare. Ho risposto alla tua domanda?»

Eragon prese qualche secondo per pensare. «Ma come si fa? Si evoca l’immagine nell’aria?»

«Di solito no» disse Brom, scuotendo la testa canuta. «Questo richiede molta più energia che proiettarla su una superficie riflettente come l’acqua o uno specchio. Alcuni Cavalieri viaggiavano in lungo e in largo, cercando di vedere il più possibile. Così, quando scoppiava una guerra o si verificava qualche altro tipo di calamità, erano in grado di divinare qualunque evento si svolgesse nei confini di Alagasëia.»

«Posso provarci?» disse Eragon.

Brom lo fissò con aria severa. «No, non adesso. Sei stanco e questa pratica richiede molta energia. Ti insegnerò le parole, ma devi promettermi che stanotte non farai alcun tentativo. E comunque preferirei che tu aspettassi finché non lasciamo Teirm. Ho tante altre cose da insegnarti.»

Eragon sorrise. «Prometto.»

«D’accordo, allora.» Brom si protese verso di lui e gli sussurrò all’orecchio: «Draumr kópa.»

Eragon impiegò un istante per imparare le parole. «Magari dopo aver lasciato Teirm posso provare a vedere Roran. Vorrei sapere che cosa sta facendo. Temo che i Ra’zac lo inseguano.»

«Non ho intenzione di spaventarti, ma è più che probabile» disse Brom. «Anche se Roran non c’era mentre i Ra’zac battevano Carvahall, sono sicuro che hanno fatto domande su di lui. Chissà, può darsi che l’abbiano incontrato mentre erano a Therinsford. A ogni buon conto, dubito che la loro curiosità sia stata soddisfatta. Tu sei ancora uccel di bosco, in fin dei conti, e il re probabilmente li ha minacciati di atroci punizioni se non ti trovano. Se le loro ricerche continuano ad andare a vuoto, credo che torneranno indietro per interrogare Roran. È solo questione di tempo.»

«Ma se questo è vero, l’unico modo per salvare Roran è far sapere ai Ra’zac dove mi trovo: così inseguiranno me invece di lui.»

«No, nemmeno questo funzionerebbe. Non stai usando il cervello» lo rimproverò Brom. «Se non riesci a capire i tuoi nemici, come puoi aspettarti di anticipare le loro mosse? Anche se tu rivelassi la tua posizione, i Ra’zac darebbero lo stesso la caccia a Roran. E sai perché?»

Eragon pensò a ogni possibilità. «Be’, se resto nascosto abbastanza a lungo da innervosirli, cattureranno Roran per costringermi a uscire allo scoperto. E se questo non funziona, lo uccideranno solo per farmi soffrire. E se divento un nemico pubblico dell’Impero, potrebbero usarlo come esca per catturarmi. E se mi incontro con Roran e loro lo scoprono, lo tortureranno per scoprire il mio nascondiglio.»

«Bravo. Così la situazione è posta nei giusti termini» disse Brom.

«Ma allora qual è la soluzione? Non posso permettere che lo uccidano!»

Brom intrecciò le dita. «La soluzione mi pare ovvia. Roran dovrà imparare a difendersi da solo. Magari può suonarti spietato, ma come hai detto tu stesso, non puoi rischiare di incontrarti con lui. Forse non te lo ricordi... all’epoca deliravi… ma quando siamo partiti da Carvahall, ti dissi di aver lasciato una lettera di avvertimento per Roran perché non fosse del tutto impreparato al pericolo. Se ha un briciolo di buon senso, quando i Ra’zac si faranno di nuovo vedere a Carvahall, seguirà il mio consiglio e fuggirà.»

«Non mi piace» disse Eragon in tono mesto.

«Già, ma dimentichi una cosa.»

«Cosa?»

«C’è una nota positiva in tutto questo. Il re non può permettersi di lasciare in circolazione un Cavaliere che non sia sotto il suo controllo. Galbatorix è l’unico Cavaliere vivo, oltre a te, ma credo che gli piacerebbe averne un altro al suo servizio. Prima di uccidere te o Roran, ti proporrà di servirlo. Purtroppo, se mai riuscisse ad avvicinarsi abbastanza da farti questa offerta, ormai sarebbe troppo tardi per te per rifiutare e restare vivo.»

«E la chiami una nota positiva!»

«È l’unica cosa che può proteggere Roran. Finché il re non sa da che parte stai, non rischierà di allontanarti da sé facendo del male a tuo cugino. Tienilo bene a mente. I Ra’zac hanno ucciso Garrow, ma credo che sia stata una decisione sventata, presa in modo arbitrario. Da ciò che conosco di Galbatorix, non avrebbe mai approvato un atto simile, a meno di non averne un tornaconto.»

«Ma come farò a respingere la proposta del re se mi troverò sotto minaccia di morte?» disse Eragon, pungente.

Brom sospirò. Si avvicinò a un tavolino e immerse le dita in un bacile d’acqua di rose. «Galbatorix vuole che tu scelga di aiutarlo. Altrimenti sei più che inutile per lui. Perciò la domanda è questa: se mai ti dovessi trovare di fronte a questa scelta, sarai disposto a morire per ciò in cui credi? Perché questo è l’unico modo che avrai di rifiutarti.»

La domanda rimase senza risposta.

Alla fine Brom disse: «È un arduo dilemma, a cui non potrai rispondere finché non ti troverai ad affrontarlo. Rammenta che molte persone sono morte per le proprie convinzioni; succede spesso. Il vero coraggio consiste nel vivere e soffrire per ciò in cui credi.»

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