«È cominciata» gli annunciò Arya con espressione dolente. Le truppe nell’accampamento erano già deste e vigili, le armi in pugno. Orik roteò la scure per sciogliere i muscoli del braccio. Arya incoccò una freccia, pronta a scagliarla.
«Qualche minuto fa è arrivato un esploratore da uno dei tunnel» disse Murtagh a Eragon. «Gli Urgali stanno arrivando.»
Insieme guardarono il nero ingresso della galleria attraverso le schiere di guerrieri e le file di pali appuntiti. Passò un lungo minuto, poi un altro, e un altro. Senza distogliere gli occhi dal tunnel, Eragon salì in groppa a Saphira, reggendo il peso rassicurante di Zar’roc. Al suo fianco, Murtagh montò su Tornac. Poi un uomo gridò: «Li sento!»
I guerrieri s’irrigidirono; le mani si strinsero intorno alle armi. Nessuno si muoveva; nessuno respirava. Da qualche parte, un cavallo nitrì.
Roche grida di Urgali squarciarono l’aria mentre sagome nere eruttavano dall’apertura del tunnel. Al comando stabilito, i calderoni di pece bollente vennero inclinati verso la fenditura, riversando fiumi di liquido ustionante nella bocca famelica della galleria. I mostri ulularono di dolore, agitando le braccia. Una torcia venne scagliata sulla pece ribollente, intrappolando gli Urgali in un inferno. Nauseato, Eragon guardò oltre la piana del Farthen Dùr e vide gli altri due battaglioni impegnati nella stessa carneficina. Rinfoderò Zar’roc e incordò l’arco.
Altri Urgali presto spensero i fuochi di pece e si. arrampicarono dai tunnel, calpestando i corpi bruciati dei compagni. Si ammassarono, compatti come un solido muro davanti agli uomini e ai nani. Dietro la palizzata che Orik aveva aiutato a costruire, la prima linea di arcieri liberò una pioggia di frecce. Eragon e Arya aggiunsero i loro dardi allo sciame fatale e li videro falciare i ranghi degli Urgali.
La linea dei mostri vacillò, minacciando di spezzarsi, ma i nemici si ripararono con gli scudi e sostennero l’attacco. Di nuovo gli arcieri tirarono, ma gli Urgali continuavano ad affiorare a un ritmo spaventoso.
Eragon era sconvolto dalla loro quantità. Dovevano ucciderli uno per uno? Gli parve un compito impossibile. L’unica nota incoraggiante era il fatto di non vedere soldati di Galbatorix con gli Urgali. Non ancora, almeno.
L’esercito avversario formava una solida massa di corpi che sembrava estendersi all’infinito. Vessilli logori e macchiati furono innalzati dal folto dei mostri. Lugubri note echeggiarono nel Farthen Dùr quando i corni di guerra risuonarono. L’intero gruppo di Urgali caricò con selvagge grida di guerra. Si lanciarono contro le file di pali appuntiti, coprendoli di sangue viscido e corpi inerti, mentre i ranghi dell’avanguardia venivano schiacciati contro le difese. Una nube di frecce nere volò oltre la barriera, ricadendo sui difensori accovacciati. Eragon si nascose dietro lo scudo, e Saphira si coprì la testa. Le frecce tintinnarono innocue contro la sua armatura.
Respinta dai picchetti, l’orda degli Urgali esitò, confusa. I Varden si raggrupparono in attesa del nuovo assalto. Dopo una breve pausa, le grida di guerra risuonarono ancora, mentre gli Urgali riprendevano le forze. L’attacco fu feroce. L’impeto portò gli Urgali attraverso la foresta di paletti, dove ima linea di picchieri scagliò freneticamente le armi contro i mostri, nel tentativo di arrestare la marea. I picchieri opposero resistenza, ma l’orrida massa di Urgali era inarrestabile, e furono sopraffatti.
Con la prima linea di difesa spezzata, i corpi principali delle due forze si scontrarono per la prima volta. Un ruggito assordante si levò dagli uomini e dai nani mentre si lanciavano nella mischia. Saphira levò un cupo bramito e si scagliò nel cuore della battaglia, immergendosi in un turbine di rumori e azioni confuse.
Con le zanne e gli artigli, la dragonessa dilaniò un Urgali. I suoi denti erano letali quando una spada, la sua coda un maglio gigantesco. In sella, Eragon parò il colpo di mazza di un capo Urgali, proteggendole le ali vulnerabili. Zar’roc sembrava lieta che tanto sangue scorresse lungo la sua lama cremisi.
Con la coda dell’occhio, Eragon vide Orik mozzare teste di Urgali con precisi fendenti della sua ascia. A fianco del nano c’era Murtagh su Tornac, il volto distorto da un ghigno malevolo: furente, roteava la spada, sbaragliando ogni avversario. Poi Saphira si volse, ed Eragon vide Arya scavalcare con un agile balzo il corpo senza vita di un avversario.
Un Urgali investì con furia cieca un nano ferito e si scagliò contro la zampa destra di Saphira, quella davanti. La sua spada slittò sull’armatura in.una pioggia di scintille. Eragon lo colpì alla testa, ma Zar’roc rimase impigliata nelle sue corna e gli fu strappata di mano. Eragon imprecò, e da Saphira si tuffò sull’Urgali, schiacciandogli il muso con lo scudo. Liberò Zar’roc dalle corna e fece appena in tempo a evitare la carica di un altro Urgali.
Saphira, ho bisogno di te! gridò, ma la confusione della battaglia li aveva separati. All’improvviso un Kull si avventò su di lui, con la mazza pronta a colpire. Sapendo che non avrebbe avuto il tempo di levare lo scudo per proteggersi, Eragon urlò; «Jierda!» La testa del Kull scattò all’indietro con uno schianto secco: gli si era spezzato il collo. Altri quattro Urgali placarono la sete di sangue di Zar’roc, poi Murtagh piombò con Tornac fra gli assalitori.
«Salta su!» gridò, e si sporse dal fianco del destriero per issare Eragon in sella. Galopparono verso Saphira, circondata da dodici lancieri Urgali che la pungolavano con le loro armi. Erano già riusciti a perforarle entrambe le ali, e il suo sangue bagnava il terreno. Ogni volta che si avventava contro uno degli Urgali, gli altri serravano i ranghi e le puntavano le lance contro gli occhi, costringendola a indietreggiare. Cercava di spazzare via le lance a colpi di artìgli, ma gli Urgali balzavano indietro e la evitavano.
La vista di Saphira insanguinata riempì di furia Eragon. Smontò da Tornac con un grido selvaggio e infilzò l’Urgali più vicino affondandogli Zar’roc nel petto fino all’elsa, nella frenesia di salvare la dragonessa. Il suo assalto le fornì l’occasione di liberarsi. Con un calcio fece volare via un Urgali, poi trottò verso di lui. Eragon si afferrò a una delle punte dorsali e le montò in sella. Murtagh alzò la mano in segno di saluto e si lanciò alla carica di un altro manipolo di Urgali.
In tacita intesa con Eragon, Saphira spiccò il volo e si levò sugli eserciti in lotta, cercando un attimo di tregua dalla frenesia. Il ragazzo aveva il respiro affannato, ì muscoli ancora tesi, pronti a respingere un altro attacco. Ogni fibra del suo essere formicolava di energia, e si sentiva più vivo che mai.
Saphira volò in circolo tanto a lungo da permettere a entrambi di recuperare le forze, poi scese verso gli Urgali, sfiorando il terreno per evitare di essere facilmente avvistata. Piombò sui nemici da dietro, dove erano radunati gli arcieri.
Prima che gli Urgali se ne rendessero conto, Eragon mozzò la testa di due arcieri; Saphira ne sventrò altri tre. Riprese quota in fretta al suono dell’allarme, salendo oltre la portata delle frecce. Ripeterono la tattica su un altro versante dell’esercito nemico. La velocità e la scaltrezza di Saphira, combinate con la scarsa illuminazione, rendevano quasi impossibile per gli Urgali prevedere dove avrebbe attaccato poco dopo. Eragon usava l’arco quando Saphira era in aria, ma presto si ritrovò a corto di frecce. L’unica cosa che gli rimase nella faretra fu la magia ma voleva conservarla fino al momento in cui fosse stata assolutamente necessaria.
I voli di Saphira sui combattenti fornirono a Eragon una straordinaria visione di come procedeva lo scontro. Nel Farthen Dùr erano in corso tre battaglie distinte, una per ogni tunnel aperto. Gli Urgali erano svantaggiati dalla dispersione delle forze, e dall’incapacità di far uscire tutto l’esercito in una volta dalle gallerie. Anche così, però, i Varden e i nani non riuscivano a impedire ai mostri di avanzare e ripiegavano lentamente verso Tronjheim. I difensori sembravano insignificanti contro la massa di Urgali, che erano sempre più numerosi via via che sciamavano dai tunnel.
I gruppi di Urgali si stringevano intorno a diversi stendardi, ciascuno a rappresentare un clan, ma non era chiaro chi fosse il comandante in capo di tutte le truppe. I clan si ignoravano a vicenda, come se ricevessero ordini da qualcun altro. Eragon sperava di individuare presto il comandante, così da poterlo uccidere.
Rammentando gli ordini di Ajihad, prese a passare informazioni ai Gemelli. Parvero molto interessati alla notizia dell’apparente mancanza di un capo fra gli Urgali e lo interrogarono a fondo. Lo scambio fu breve e formale.
Infine i Gemelli, gli dissero: Hai l’ordine di assistere Rothgar; le cose stanno andando male per il suo battaglione.
Vado, rispose Eragon.
Saphira volò rapida verso i nani assediati, abbassandosi in direzione di Rothgar. Protetto da un’armatura d’oro, il re dei nani era alla testa di un gruppo di sudditi e brandiva Volund, il martello dei suoi antenati. La sua barba bianca catturò il bagliore delle lanterne quando il nano alzò il viso verso Saphira. Nei suoi occhi brillò una scintilla di ammirazione.
Saphira atterrò accanto ai nani e si volse per affrontare gli Urgali all’assalto. Perfino il più ardito dei Kull vacillò davanti alla sua ferocia, e questo permise ai nani di sferrare per primi l’attacco. Eragon cercò di tenere Saphira al sicuro. Il suo fianco sinistro era protetto dai nani, ma di fronte e a destra ribolliva una fiumana di nemici. Il ragazzo non ebbe pietà per loro e sfruttò ogni vantaggio, usando la magia dove Zar’roc non arrivava. Una lancia rimbalzò sul suo. scudo, ammaccandolo, lasciandogli una spalla contusa. Scrollandosi di dosso il dolore, fracassò il cranio di un Urgali, confondendo ossa e cervello con il metallo.
Guardava con timore reverenziale Rothgar che, pur molto vecchio sia per gli uomini che per i nani, in battaglia era ancora insuperabile. Nessun Urgali, che fosse Kull o altro, riusciva ad affrontare il re dei nani e le sue guardie e a sopravvivere. Ogni volta che Volund colpiva, il gong della morte suonava per un altro nemico. Dopo che una. lancia ebbe trafitto uno dei suoi guerrieri. Rothgar afferrò l’arma e con forza inaudita la rispedì al mittente, a oltre venti iarde di distanza. Un tale eroismo contagiò Eragon, che corse qualche rischio in più per dimostrarsi all’altezza del potente re. Si lanciò verso un gigantesco Kull piuttosto lontano e per poco non cadde di sella. Prima che riprendesse l’equilibrio, il Kull schivò le difese di Saphira e roteò la spada. Il colpo si abbattè sull’elmo di Eragon, spingendolo all’indietro.
Stordito, con la vista annebbiata e le orecchie ronzanti, Eragon tentò di rimettersi dritto, ma il Kull era già pronto a sferrare un altro colpo. Mentre il braccio del Kull calava, una sottile lama d’acciaio comparve all’improvviso dal suo torace. Ululando, il mostro rovinò a terra. Dietro lui sorrideva Angela.
La maga indossava un lungo manto rosso sopra una superba corazza con decori di smalto nero e verde. Portava una strana arma, un lungo bastone di legno con una lama su ciascuna estremità. Angela fece un cenno a Eragon, poi corse via, roteando il bastone spada come un derviscio. Vicino a lei c’era Solembum, sotto le sembianze di un ragazzino dai capelli irti. Impugnava un piccolo pugnale nero, i denti aguzzi scoperti in un ringhio felino.
Ancora frastornato dal colpo alla testa, Eragon riuscì a raddrizzarsi sulla sella. Saphira si alzò in volo e rimase in aria il tempo per farlo riprendere. Mentre scrutava la piana del Farthen Dùr, il ragazzo vide con suo sommo sgomento che tutti e tre i fronti versavano in cattive acque. Né Ajihad, né Jormundur, né Rothgar riuscivano a fermare gli Urgali. Erano troppi.
Eragon si chiese quanti Urgali poteva uccidere in una volta facendo ricorso alla magia. Conosceva fin troppo bene i propri limiti,. Se ne avesse uccisi tanti da fare la differenza, probabilmente sarebbe stato un suicidio. Forse era proprio quello che serviva per vincere.
La battaglia continuava incessante, ora dopo ora. I Varden e i nani erano sfiniti, ma gli Urgali ricevevano sempre rinforzi freschi.
Per Eragon era un incubo. Anche se lui e Saphira combattevano allo stremo, c’era sempre un altro Urgali a prendere il posto di quello appena Ucciso. Gli faceva male tutto il corpo, soprattutto la testa. Ogni volta che usava la magia, perdeva un po’ più di energia. Saphira era in condizioni migliori, ma le sue ali erano trafitte da tante piccole ferite.
Mentre parava un colpo, i Gemelli lo chiamarono con urgenza. Si sentono forti rumori sotto Tronjheim. Sembra che gli Urgali stiano cercando di scavare sotto la città! Tu e Arya dovete venire subito per far crollare le gallerie che stanno scavando.
Eragon si liberò dell’avversario con un affondo. Veniamo subito. Cercò Arya e la vide impegnata con un gruppo di Urgali. Saphira aprì un varco per l’elfa, lasciando una scia di corpi schiacciati, Eragon le tese una mano e disse: «Sali!»
Arya saltò in groppa a Saphira senza esitare. Cinse la vita di Eragon con il braccio destro e continuò a impugnare la spada insanguinata nella sinistra. Mentre Saphira si dava lo slancio per spiccare il volo, un Urgali corse verso di lei ululando e la colpì in pieno petto con un’ascia.
Saphira ruggì di dolore e barcollò, proprio mentre le sue zampe si staccavano da terra. Dispiegò le ali con uno schiocco sonoro per riprendere l’equilibrio ed evitare di schiantarsi al suolo, poi virò bruscamente da un lato, sfiorando il terreno con la punta dell’ala destra. Sotto di loro, l’Urgali ritrasse il braccio, pronto a scagliare l’ascia. In quell’istante. Arya gridò e alzo il palmo, e un globo di energia color smeraldo guizzò dalla sua mano contro l’Urgali, uccidendolo sul colpo. Con uno sforzo colossale, Saphira recuperò l’assetto di volo e si alzò, sfiorando le teste dei guerrieri. Si allontanò dal campo di battaglia con potenti colpi d’ala. Respirava con affanno.
Stai bene? le domandò Eragon, preoccupato. Non riusciva a vedere dov’era stata colpita.
Sopravviverò, rispose lei, ma la parte davanti della mia armatura è schiacciata verso l’interno. Mi fa male e mi impedisce di muovermi.
Ce la fai ad arrivare sulla rocca?
... vedremo.
Eragon riferì ad Arya le condizioni di Saphira. «Resterò io con Saphira quando atterreremo» si offrì l’elfa. «E quando l’avrò liberata dall’armatura, ti raggiungerò.»
«Grazie» disse lui. Il volo fu faticoso per Saphira, che planava ogni volta che poteva. Quando ebbero raggiunto la rocca, atterrò pesantemente su Isidar Mithrim, dove avrebbero dovuto trovarsi i Gemelli per assistere alla battaglia: ma il luogo era deserto. Eragon balzò a terra e trasalì nel vedere i danni provocati dall’Urgali. Quattro placche metalliche del pettorale di Saphira erano state schiacciate verso l’interno, diminuendo la sua capacità di piegarsi e respirare. «Buona fortuna» le disse, posandole una mano sul fianco; poi corse via sotto l’arco.
Si fermò e lanciò un’imprecazione. Era in cima a Voi Turin, la Scala Infinita. Preoccupato com’era per le condizioni di Saphira, non aveva pensato a come scendere fino alla base di Tronjheim, dove gli Urgali stavano facendo irruzione. Non c’era tempo di usare le scale. Guardò lo stretto canale di scolo che correva al fianco dei gradini, afferrò uno dei cuscinetti di pelle e si gettò.
Lo scivolo di pietra era liscio come legno laccato. Con la pelle sotto di sé, accelerò quasi all’istante a una velocità spaventosa, mentre le pareti scorrevano indistinte ai lati e la curva dello scivolo lo premeva contro il muro. Eragon si distese per andare ancora più veloce. L’aria ruggiva intorno all’elmo, facendolo vibrare come un segnavento in una bufera. Lo scivolo era troppo stretto per lui, e più di una volta fu pericolosamente vicino a essere sbalzato fuori, ma se teneva le braccia e le gambe aderenti al corpo, tutto sarebbe filato liscio.
Fu una discesa rapidissima, ma gli ci vollero comunque una decina di minuti per raggiungere il fondo. Il canale terminava bruscamente ed Eragon continuò a scivolare sul pavimento di corniola ancora per diverse iarde.
Quando finalmente si fermò, era troppo stordito per camminare. Al primo tentativo di alzarsi gli venne il voltastomaco, così si accovacciò, la testa tra le mani, e aspettò che il mondo smettesse di vorticare. Quando si sentì meglio, si alzò e si guardò intorno, circospetto.
La grande sala era deserta, il silenzio irreale. Da Isidar Mithrim filtrava la consueta luce rosata, Esitò - dove doveva andare? - poi espanse la mente in cerca dei Gemelli. Niente. S’impietrì nel sentire un forte rimbombo risuonare per tutta Tronjheim.
Un’esplosione squarciò l’aria. Una lunga lastra del pavimento si deformò e saltò in aria, per oltre trenta piedi. Taglienti schegge di pietra si sparsero ovunque quando la lastra ricadde con uno schianto. Eragon incespicò all’indietro, sgomento, cercando a tentoni l’impugnatura di Zar’roc. Le figure mostruose degli Urgali presero a salire dalla voragine nel pavimento.
Eragon esitò. Doveva fuggire? O restare e chiudere il tunnel? Se anche fosse riuscito a sigillarlo prima che gli Urgali lo attaccassero, probabilmente stavano aprendo altre brecce nel suolo di Tronjheim. Non poteva trovarsi in tutti i posti a un tempo per impedire alla città-montagna di cadere nelle grinfie del nemico. Ma se corro a uno dei cancelli di Tronjheim e lo faccio saltare, i Varden potranno riprendere . Tronjheim senza bisogno di un assedio. Prima che potesse decidere, un soldato alto, con un’armatura completamente nera, emerse dal tunnel e lo guardò dritto negli occhi. Era Durza.
Lo Spettro impugnava la pallida spada graffiata da Ajihad. Al braccio portava uno scudo nero.e rotondo, con un’insegna cremisi. Il suo elmo nero recava ricchi decori, come quello di un generale, e intorno gli svolazzava un lungo manto di pelle di serpente. La follia ardeva nei suoi occhi rossicci, la follia di colui che detiene il potere e si trova nella posizione di usarlo.
Eragon sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza veloce o forte da sfuggire al nemico che aveva di fronte. Avvertì subito Saphira, pur sapendo che era impossibile per lei venire a salvarlo. Tese i muscoli in posizione di guardia e ripassò quanto gli aveva insegnato Brom sul fatto di affrontare un avversario capace di usare la magia. Non era incoraggiante. E Ajihad aveva detto che gli Spettri si potevano uccidere soltanto con un colpo al cuore.
Durza lo guardò con disprezzo e disse: «Kaz jtierl traz-hid! Otrag bagh.» Gli Urgali studiarono Eragon sospettosi e formarono un cerchio intorno al perimetro della sala. Durza si avvicinò lentamente a Eragon, con un’espressione di trionfo. «E così, mio giovane Cavaliere, ci incontriamo ancora. Sei stato sciocco a sfuggirmi, a Gil’ead. Alla fine, non è servito ad altro che a peggiorare le cose.»
«Non mi prenderai mai vivo» ringhiò Eragon.
«Tu credi?» disse lo Spettro, irridente. La luce dello zaffiro stellato conferiva alla sua pelle un colore ancor più cinereo. «Non vedo il tuo amico Murtagh ad aiutarti. Non può fermarmi, ora. Nessuno può!»
Eragon si sentì pervadere dal terrore. Come fa a sapere di Murtagh? Sforzandosi di assumere un tono beffardo, esclamò: «Come ci si sente a essere trapassati da una freccia?»
Il volto di Durza s’irrigidì per un istante. «Sarò ripagato col sangue per quanto mi è stato fatto. Ora dimmi dove si nasconde il tuo drago.»
«Mai.»
Il contegno dello Spettro vacillò. «Allora ti costringerò a dirmelo!» La, sua spada sibilò nell’aria. Nel momento in cui Eragon parava il colpo con lo scudo, un maglio gli penetrò nel cervello. Lottando per proteggere la sua coscienza, respinse Durza e attaccò con la propria mente.
Eragon aggredì con tutte le sue forze le strenue difese erette intorno alla mente di Durza: invano. Fece roteare Zàr’roc, cercando di prendere Durza alla sprovvista. Lo Spettro parò il fendente senza sforzo, poi fece un affondo con uno scatto fulmineo.
La punta della spada colse Eragon fra le costole, forandogli la cotta di maglia e mozzandogli il fiato. La maglia però scivolò e la lama gli mancò il fianco per un soffio. Un attimo di distrazione era quello che occorreva a Durza per entrare nella mente di Eragon e assumerne il controllo.
«No!» gridò Eragon, scagliandosi contro lo Spettro. Afferrò Durza, cercando di bloccargli il braccio che teneva la spada. Durza tentò di tagliargli la mano, ma era protetta dal guanto di maglia, che fece scivolare la lama. Mentre Eragon gli sferrava un calcio su uno stinco. Durza ringhiò e lo colpì da dietro con lo scudo nero, mandandolo a terra. Eragon sentì il sapore del sangue in bocca; il collo gli pulsava. Ignorando le ferite, rotolò su un fianco e scagliò il proprio scudo contro Durza. Malgrado la superiore rapidità dello Spettro, lo scudo pesante lo colpì al fianco. Mentre Durza vacillava, Eragon lo ferì al braccio con Zar’roc. Un rivolo di sangue colò lungo il braccio dello Spettro. Eragon respinse lo Spettro con la mente e penetrò nelle sue difese indebolite. Un fiume di immagini lo avvolse all’improvviso, scorrendogli nella coscienza...
Durza da ragazzo che viveva come un nomade con i suoi genitori nelle vaste pianure. La tribù li aveva abbandonati, chiamando suo padre spergiuro. Ma non era Durza all’epoca, era Carsaib... il nome che sua madre ripeteva pettinandogli i capelli...
Lo Spettro si voltò su se stesso, il viso ridotto a una maschera di dolore. Eragon tentò di controllare il torrente di ricordi, ma la loro forza era soverchiante.
In piedi su una collina, davanti alla tomba dei suoi genitori, pianse perché non avevano ucciso anche lui. Poi si voltò e si allontanò barcollando, verso il deserto...
Durza affrontò Eragon. Un terribile odio emanava dai suoi occhi rossi. Eragon era su un ginocchio, quasi in piedi, e lottava per sigillare la mente.
Gli apparve il vecchio, chino su Carsaib moribondo su una duna di sabbia. I giorni che ci erano voluti a Carsaib per riprendersi e la paura che lo aveva colto quando aveva scoperto che il suo salvatore era uno stregone. Come lo aveva implorato di insegnargli il controllo degli spiriti. Come alla fine Haeg aveva acconsentito. Lo chiamava “Ratto del Deserto”...
Eragon era in piedi. Durza caricò, la spada levata, dimenticando lo scudo nella sua furia.
I giorni trascorsi ad allenarsi sotto il sole cocente, sempre all’erta, in cerca delle lucertole che catturavano per cibarsi. Come il suo potere cresceva lentamente, dandogli orgoglio e fiducia. Le settimane trascorse a curare il maestro, ammalato dopo un incantesimo fallito. La gioia di quando Haeg si era ripreso...
Non c’era tempo per reagire... non c’era tempo...
I banditi che avevano attaccato durante la notte, uccidendo Haeg. La rabbia che Carsaib aveva provato e gli spiriti che aveva evocato per vendicarsi. Ma gli spiriti erano più forti di quanto avesse previsto. Lo tradirono e si impossessarono del suo corpo e della sua mente. Aveva gridato.
Era... IO SONO DURZA!
La spada si abbattè con violenza sulla schiena di Eragon, lacerando metallo e carne. Il ragazzo urlò di dolore e cadde di nuovo in ginocchio. La sofferenza lo faceva stare piegato in due e sopprimeva ogni pensiero. Vacillò, appena cosciente del sangue che gli scorreva, copioso sulle reni. Durza disse qualcosa che non riuscì a capire.
Col cuore gonfio di angoscia, Eragon alzò gli occhi al cielo, il volto rigato di lacrime. Era finita, l Varden e i nani distrutti. Lui era stato sconfitto. Saphira si sarebbe immolata per salvarlo - lo aveva già fatto - e Arya sarebbe stata catturata di nuovo o uccisa. Perché doveva finire così? Che giustizia era? Tutto per niente.
Mentre guardava Isidar Mithrim scintillare sopra il suo corpo martoriato, un lampo di luce esplose nei suoi occhi, accecandolo. Un istante dopo, la sala risuonò di un rumore assordante. Poi i suoi occhi si schiarirono, e rimase a bocca aperta per lo stupore.
Lo zaffiro stellato era infranto. Un enorme ventaglio di frammenti acuminati pioveva verso il lontano pavimento, i muri trafitti da mille schegge. Al centro della sala, intenta a calare in picchiata, c’era Saphira. Dalle sue fauci spalancate eruttò una vampa di fuoco gialla e azzurra. Sul suo dorso cavalcava Arya: i capelli al vento, le mani alzate, i palmi scintillanti di magica luce verde. Il tempo parve rallentare mentre Eragon vide Durza alzare la testa verso il soffitto. Prima la sorpresa, poi la rabbia deformò i lineamenti dello Spettro. Con un ringhio sprezzante, alzò la mano e la puntò contro Saphira, le labbra pronte a mormorare una parola.
Un’insospettabile riserva di energia divampò dentro Eragon, richiamata dai più profondi recessi del suo essere. Le sue dita si strinsero intorno all’elsa di Zar’roc. Sfondò la barriera della mente e prese controllo della magia. Tutto il suo dolore e.la sua rabbia si concentrarono in un’unica parola:
«Brisingr!»
Zar’roc fiammeggiò di luce rossa, la lama percorsa da una vampa senza calore…
Si scagliò in avanti…
E colpì Durza dritto al cuore.
Durza, esterrefatto, abbassò lo sguardo sulla lama che gli sporgeva dal petto. La sua bocca era aperta, ma invece di parole ne sgorgò un ululato terrificante. La spada cadde dalle dita prive di forza. Afferrò Zar’roc come volesse strapparsela dalla carne, ma la lama era conficcata in profondità.
Poi la pelle di Durza divenne trasparente: sotto di essa non c’erano carne né ossa, ma un turbinio notturno. Gridò ancora più forte mentre le tenebre pulsavano, spaccandogli la pelle. Con un ultimo grido. Durza si lacerò dalla testa ai piedi, liberando le tenebre che si divisero in tre rivoli, pronti a fuggire attraverso le mura di Tronjheim, fuori dal Farthen Dùr. Lo Spettro era morto.
All’improvviso svuotato di ogni energia, Eragon cadde riverso, con le braccia spalancate. Sopra di lui, Saphira e Arya avevano quasi raggiunto terra, sembrava che stessero per schiantarsi al suolo insieme ai resti di Isidar Mithrim. Mentre la sua vista si annebbiava, Saphira. Arya e la miriade di frammenti, tutto parve fermarsi e restare immobile, a mezz’aria.