29 Un errore fatale

Al mattino, Eragon e Brom andarono a recuperare i bagagli nella stalla e si prepararono alla partenza, Jeod salutò Brom mentre Helen li osservava dalla porta. Con uno sguardo solenne, i due si scambiarono una stretta di mano. «Mi mancherai, vecchio» disse Jeod.

«Anche tu» rispose Brom, confuso. Inchinò la testa canuta e si rivolse a Helen. «Grazie per la tua ospitalità; sei stata molto gentile.» La donna avvampò. Eragon si disse che pareva sul punto di sferrargli uno schiaffo. Brom proseguì, imperturbabile. «Hai un bravo marito; abbi cura di lui. Esistono ben pochi uomini dotati del suo stesso coraggio e della sua determinazione. Ma perfino lui non può affrontare i tempi difficili senza il sostegno di chi ama.» S’inchinò di nuovo e disse cortesemente; «È solo un suggerimento, mia signora.».

Eragon notò l’ombra dell’indignazione e del dolore attraversare il volto di Helen. I suoi occhi lampeggiarono mentre chiudeva la porta di botto. Jeod sospirò e si passò una mano fra i capelli. Eragon lo ringraziò per l’aiuto e montò in sella a Cadoc. Scambiati gli ultimi saluti, lui e Brom si allontanarono.

Al cancello sud di Teirm, le guardie li fecero passare senza degnarli di una seconda occhiata. Mentre varcavano la gigantesca muraglia, Eragon colse un movimento nell’ombra. Solembum era accucciato a terra e dimenava la coda. Gli occhi insondabili del gatto marinaro li seguirono. Mentre la città rimpiccioliva alle loro spalle, Eragon chiese: «Sai niente dei gatti marinari?»

Brom parve sorpreso. «Perché questa improvvisa curiosità?»

«Ho sentito qualcuno che ne parlava in città. Non sono veri, giusto?» disse Eragon, fingendo di non sapere nulla sull’argomento.

«Diciamo di sì. Durante gli anni di gloria dei Cavalieri, erano famosi quanto i draghi. I re e gli elfi li tenevano per compagnia, anche se i gatti marinari erano liberi di fare quello che volevano. Si è sempre saputo poco di loro. Temo che la loro razza si sia praticamente estinta, ormai.»

«Sapevano usare la magia?» disse Eragon.

«Non si sa, ma certo è che potevano fare cose insolite. Sembrava che sapessero sempre che cosa succedeva e in un modo o nell’altro si intromettevano.» Brom si rialzò il cappuccio per ripararsi dal vento tagliente.

«Che cos’è l’Helgrind?» chiese ancora Eragon dopo un, minuto di silenzio.

«Lo vedrai quando arriveremo a Dras-Leona.»

Quando Teirm scomparve dietro di loro, Eragon dilatò la mente e chiamò: Saphira! La forza del suo grido mentale fu così potente che Cadoc appiattì le orecchie, disturbato.

Saphira rispose e gli venne incontro volando a tutta velocità, Eragon e Brom videro una sagoma scura sbucare da una nuvola, accompagnata da un sordo boato, quando Saphira dispiegò le ali. Il sole splendeva dietro le sottili membrane, rendendole translucide ed evidenziando il reticolo di vene scure. La dragonessa atterrò in un turbine.

Eragon lanciò le redini di Cadoc a Brom. «Ci vediamo a pranzo.»

Brom annuì, ma sembrava preoccupato. «Divertiti» disse, poi guardò Saphira e sorrise. «Mi fa piacere rivederti.»

Anche a me.

Eragon balzò sulle spalle di Saphira e si tenne stretto mentre lei spiccava il volo. Reggiti forte, disse a Eragon. Con il vento di coda, Saphira sfrecciò verso l’alto e con un sonoro ruggito di gioia fece un giro completo su se stessa. Eragon urlò eccitato e allargò le braccia nel vento, stringendo solo le gambe.

Non sapevo di potermi reggere senza sella durante le tue evoluzioni, disse, con un sorriso di pura gioia.

Nemmeno io, ammise lei, ridendo in quel suo modo strano. Eragon l’abbracciò forte e insieme volarono diritti, padroni del cielo.

A mezzogiorno Eragon aveva le gambe doloranti per aver cavalcato senza sella, e le mani e il volto intorpiditi dal gelo. Le squame di Saphira erano calde al tatto, ma lei non poteva fare niente per impedire che lui sentisse freddo. Quando atterrarono per il pranzo, Eragon s’infilò le mani sotto le ascelle e trovò un posto al sole dove sedersi. Mentre lui e Brom mangiavano, Eragon chiese a Saphira: Ti dispiace se vado un po’ su Cadoc? Aveva deciso di fare altre domande a Brom sul suo passato.

No, ma raccontami tutto quello che dice. Eragon non fu sorpreso che Saphira conoscesse i suoi piani. Era impossibile nasconderle qualcosa, quando erano legati attraverso la mente. Finito di mangiare, la dragonessa volò via ed Eragon cavalcò accanto a Brom sulla pista. Dopo un po’, rallentò l’andatura e disse: «Devo parlarti. Volevo farlo quando siamo arrivati a Teirm, ma poi ho deciso di aspettare un momento migliore. Adesso.»

«Di che cosa?» disse Brom.

Eragon tacque un istante. «Ci sono un sacco di cose che non capisco. Per esempio, chi sono i tuoi amici, e perché ti nascondevi a Carvahall? Ti ho affidato la mia vita, ecco perché viaggio ancora con te, ma devo saperne di più su chi sei e che cosa fai. Cos’hai rubato a Gil’ead, e che cos’è il tuatha du orothrim che devi farmi passare? Credo di meritare una spiegazione, dopo tutto quello che è successo.»

«Hai origliato le nostre conversazioni.»

«Soltanto una volta.»

«Vedo che devi ancora imparare le buone maniere» disse Brom accigliato, lisciandosi la barba.

«Che cosa ti fa pensare che tu c’entri qualcosa?»

«Niente, in realtà» disse Eragon, stringendosi nelle spalle. «Solo che è una strana coincidenza che tu fossi nascosto a Carvahall quando ho trovato l’uovo di Saphira e che sapessi tante cose sui draghi. Più ci penso, meno mi sembra un caso, E ci.sono altri indizi che al momento ho ignorato, ma che adesso che ci ripenso mi sembrano importanti. Come il fatto che tu sapessi dei Ra’zac e del motivo per cui sono fuggiti quando ti sei avvicinato. E non posso fare a meno di chiedermi se hai qualcosa a che fare con la comparsa dell’uovo di Saphira. Ci sono troppe cose che non ci hai detto, e Saphira e io non possiamo permetterci di ignorare cose che potrebbero rivelarsi pericolose.»

Rughe profonde si disegnarono sulla fronte di Brom, mentre il vecchio tirava le redini per fermare Fiammabianca. «Non vuoi aspettare?» disse. Eragon scosse il capo, ostinato. Brom sospirò. «Non sarebbe un problema se tu non fossi così diffidente, ma immagino che in quel caso non varrebbe la pena di dedicarti il mio tempo.» Eragon non seppe se considerarlo un complimento. Brom si accese la pipa e soffiò una nuvoletta di fumo. «Risponderò alle tue domande» disse. «ma devi capire che non posso rivelarti tutto.» Eragon fece per protestare, ma Brom gli fece cenno di non interromperlo.

«Non è per capriccio che tengo per me certe informazioni, ma perché non voglio rivelare segreti che non mi appartengono. Ci sono altre storie intrecciate a questa. Dovrai parlare con gli altri esseri coinvolti per sapere il resto.»

«D’accordo. Raccontami quello che puoi» disse Eragon.

«Sei sicuro?» gli chiese Brom. «Ci sono validi motivi dietro la mia reticenza. Ho cercato di proteggerti da forze che ti avrebbero dilaniato. Una volta che le avrai conosciute e avrai saputo quali sono i loro scopi, non avrai mai più l’opportunità di vivere tranquillamente. Dovrai scegliere da che parte stare e resistere. Allora, vuoi ancora sapere?»

«Non posso vivere nell’ignoranza» disse Eragon in tono sommesso.

«Un meritevole intento... Va bene. C’è una guerra in corso fra i Varden e l’Impero, in Alagaësia. Il loro conflitto tuttavia travalica i meri limiti di uno scontro d’armi. Sono invischiati in una titanica lotta per il potere. E questa lotta è imperniata su di te.»

«Me?» esclamò Eragon, incredulo. «È impossibile. Io non c’entro niente con nessuno dei due.»

«Non ancora» disse Brom. «ma la tua stessa esistenza è il fulcro della loro guerra. I Varden e l’Impero non combattono per il controllo di questa terra o del suo popolo. Il loro obiettivo è controllare la prossima generazione, di Cavalieri, di cui tu sei il primo. Chiunque controlli i nuovi Cavalieri, diventerà il padrone incontrastato di Alagaësia.»

Eragon tacque per riflettere sulle affermazioni di Brom Gli sembrava incomprensibile che tante persone fossero interessate a lui e a Saphira. Nessuno, oltre a Brom, lo aveva mai considerato importante. L’idea che l’Impero e i Varden combattessero per lui era troppo astratta per afferrarla del tutto. Prese a dar voce alle sue obiezioni. «Ma tutti i Cavalieri furono uccisi tranne i Rinnegati, che si unirono a Galbatorix. E per quanto ne so, anche loro sono morti, ormai. E a Carvahall tu mi hai detto che nessuno sa se ci sono draghi in Alagaësia.»

«Ho mentito sui draghi» disse Brom semplicemente. «Anche se i Cavalieri sono scomparsi, restano ancora tre uova di drago, tutte in possesso di Galbatorix. In realtà ne ha due, dato che Saphira è nata. Il re rubò le tre uova durante l’ultima grande battaglia contro i Cavalieri.»

«E così potrebbero esserci presto altri due nuovi Cavalieri, entrambi fedeli al re?» disse Eragon, avvilito.

«Già» rispose Brom. «In questo momento è in atto una feroce battaglia contro il tempo. Galbatorix sta cercando disperatamente di trovare le persone per cui le uova si schiuderanno, mentre i Varden impiegano ogni mezzo per uccidere i suoi candidati o rubare le uova.» .

«Ma l’uovo di Saphira da dove viene? Come hanno fatto a sottrarlo al re?. E perché tu sai tutte queste cose?» incalzò Eragon.

«Quante domande» rise Brom, una risata amara. «C’è un altro capitolo che riguarda tutto questo, che si svolse molto prima che tu nascessi. Quando io ero più giovane, ma forse non altrettanto saggio. Odiavo l’Impero, per ragioni che non svelerò, e volevo danneggiarlo a ogni costo. Il mio fervore mi condusse da uno studioso, Jeod, che affermava di aver scoperto un libro che mostrava un passaggio segreto per entrare nel castello di Galbatorix. Subito accompagnai Jeod dai Varden, che sono i miei amici, come li chiami tu, e loro si impegnarono a rubare le uova.»

I Varden!

«Tuttavia qualcosa andò storto, e il nostro ladro riuscì a prenderne soltanto uno. Per qualche motivo fuggì con esso e non tornò dai Varden. Quando non si trovarono né lui né l’uovo, Jeod e io fummo mandati a cercarlo.» Lo sguardo di Brom si perse nel vuoto e la sua voce assunse un tono curioso.

«Quello fu l’inizio di una delle più grandi ricerche nella storia. Eravamo in competizione con i Ra’zac e Morzan, l’ultimo dei Rinnegati e il più scaltro servitore del re.»

«Morzan!» lo interuppe Eragon. «Ma fu lui a tradire i Cavalieri!» Ed era successo tantissimo tempo prima! Morzan doveva essere decrepito. Ricordare quanto vivevano i Cavalieri lo turbò.

«E allora?» disse Brom, inarcando un sopracciglio. «Sì, era vecchio, ma ancora forte e crudele. Fu uno dei primi seguaci del re e di gran lunga il più fedele. E poiché tra noi scorreva già cattivo sangue, la ricerca dell’uovo si trasformò in uno scontro personale. Quando venne individuato a Gil’ead, ini precipitai in città e combattei contro Morzan per impossessarmene. Fu un duello senza esclusione di colpi, ma alla fine lo uccisi. Durante lo scontro, mi separai da Jeod. Non c’era tempo per cercarlo, così presi l’uovo e lo portai dai Varden, che mi chiesero di addestrare chiunque fosse diventato il nuovo Cavaliere. Acconsentii e decisi di nascondermi a Carvahall, dov’ero stato altre volte prima, finché i Varden non si fossero messi in contatto con me. Cosa che non è successa.»

«Come ha fatto l’uovo di Saphira a comparire sulla Grande Dorsale? Al re fu rubato un altro uovo?» domandò Eragon.

Brom borbottò. «Poco probabile. Il re pose le altre due uova sotto una sorveglianza così stretta che sarebbe stato un suicidio tentare di rubarle. No, Saphira è stata presa ai Varden, e credo di sapere come. Per proteggere l’uovo, il suo guardiano deve aver cercato di mandarmelo con la magia.

«I Varden non mi hanno cercato per spiegarmi come avevano perso l’uovo: quindi sospetto che i loro messaggeri siano stati intercettati dall’Impero e che i Ra’zac abbiano preso il loro posto. Immagino che non vedessero l’ora di acciuffarmi, dato che ho mandato a monte i loro piani.»

«Perciò i Ra’zac non sapevano di me quando sono arrivati a Carvahall» disse Eragon perplesso.

«Giusto» replicò Brom. «è se quell’imbecille di Sloan avesse tenuto il becco chiuso, non avrebbero mai saputo di te e gli eventi avrebbero preso un’altra piega. In un certo senso, ti devo la vita. Se i Ra’zac non avessero cominciato a cercarti, avrebbero tentato di cogliermi alla sprovvista, e quella sarebbe stata la fine di Brom il cantastorie. L’unica ragione per cui sono scappati è che io da solo sono più forte di due di loro, specie di giorno. Dovevano aver progettato di drogarmi durante la notte, per poi interrogarmi a proposito dell’uovo.»

«Hai mandato un messaggio ai Varden che parla di me?»

«Sì. E sono sicuro che vogliono che ti porti da loro il più presto possibile.»

«Ma tu non lo. farai, vero?»

Brom scosse il capo. «No, non lo farò.»

«Perché no? Rifugiarsi dai Varden dovrebbe essere più sicuro che dare la caccia ai Ra’zac, specie per un novellino come me.»

Brom sospirò e guardò Eragon con affetto. «I Varden sono un popolo pericoloso. Se andiamo da loro, resteremo invischiati nella loro politica e nelle loro macchinazioni. I loro capi ti manderebbero in missione solo per puntiglio, anche se tu non fossi abbastanza forte. Voglio che tu sia ben preparato prima di avvicinarti ai Varden. Almeno, mentre inseguiamo i Ra’zac, non devo preoccuparmi che qualcuno ti avveleni l’acqua. È il minore tra i due mali. E poi» aggiunse con un sorriso «l’addestramento ti fa bene. Il tuatha du orothrim è solo un livello di istruzione. Ti aiuterò a trovare i Ra’zac, e forse anche a ucciderli, perché sono miei nemici quanto tuoi. Ma poi dovrai fare una scelta.»

«Ossia?» disse Eragon, guardingo.

«Se unirti ai Varden o meno» disse Brom. «Se uccidi i Ra’zac, gli unici modi per sfuggire all’ira di Galbatorix sono cercare la protezione dei Varden, rifugiarti nel Surda, o implorare la pietà del re e unirti alle sue forze.

Anche se non uccidi i Ra’zac, alla fine dovrai lo stesso fare una scelta.»

Eragon sapeva che il miglior modo per salvaguardare la propria vita era unirsi ai Varden, ma non voleva trascorrere tutta l’esistenza a combattere l’Impero come loro. Meditò sui commenti di Brom, cercando di considerarli in ogni possibile aspetto. «Ancora non mi hai spiegato come mai sai tante cose sui draghi.»

«Non l’ho fatto, vero?» disse Brom con un sorriso ironico. «Per questo dovrai aspettare un altro momento.»

Perché io? si chiese Eragon. Che cosa lo rendeva così speciale da predestinarlo come Cavaliere?

«Hai mai conosciuto mia madre?» domandò all’improvviso.

Lo sguardo di Brom si fece grave. «Sì.»

«E com’era?»

Il vecchio sospirò. «Era una donna ricca di orgoglio e dignità, come Garrow. Purtroppo furono proprio queste virtù la causa della sua rovina, e tuttavia i suoi maggiori pregi... Accorreva sempre in aiuto dei poveri e dei meno fortunati, senza badare alle proprie condizioni.»

«La conoscevi bene?» chiese Eragon, sorpreso. «Abbastanza bene da sentirne la mancanza quando scomparve.»

Cullato dal trotto di Cadoc, Eragon ricordò quando pensava che Brom fosse soltanto un vecchio scorbutico, bravo à raccontare storie. Per la prima volta si rese conto di quanto era stato ignorante. Riferì a Saphira quello che aveva appreso. La dragonessa rimase affascinata dalle rivelazioni di Brom, e disgustata al pensiero di essere stata una proprietà di Galbatorix. Alla fine disse: Non sei contento di non essere rimasto a Carvahall? Pensa a quante avventure interessanti ti saresti perso!

Eragon finse un borbottio di esasperazione.

Quando si fermarono per la sera, Eragon andò in cerca di acqua mentre Brom preparava la cena. Si inoltrò fra gli alberi in cerca di un ruscello o una sorgente. L’aria era umida e fredda, e si strofinò le mani per riscaldarsi.

Trovò un torrente a una certa distanza dall’accampamento, si accovacciò sulla sponda e osservò l’acqua che scorreva frangendosi sulle rocce. Immerse le mani nella gelida acqua di montagna; le dita gli si intorpidirono subito. A lei non importa di noi, o di nessuno, pensò. Rabbrividì e si alzò. Un’impronta insolita sulla sponda opposta del torrente catturò la sua attenzione. Aveva una forma strana ed era molto grande. Incuriosito, saltò oltre il torrente su una lastra di roccia, ma nel toccare terra il piede gli scivolò su una chiazza di muschio umido. Si afferrò a un ramo per sorreggersi, ma il ramo si spezzò e lui protese la mano per attutire la caduta. Tutto il suo peso gravò di colpo sul polso destro, che si ruppe con uno schiocco terribile. Un dolore lancinante gli trafisse il braccio. Mormorò una serie di imprecazioni a denti stretti per impedirsi di urlare. Accecato dal dolore, si rannicchiò sul terreno, tenendosi il polso, Eragon! fu il grido allarmato di Saphira. Che cosa ti è successo?

Ho il polso rotto... una cosa stupida... sono caduto

Arrivo, disse Saphira.

No… posso farcela. Non... venire. Gli alberi sono troppo fitti per... le tue ali.

Lei gli mandò una breve immagine di se stessa che schiantava gli alberi della foresta per andarlo a prendere, poi disse: Sbrigati.

Eragon si alzò a fatica, gemendo. L’impronta, a poca distanza da lui, era molto profonda e mostrava i buchi lasciati dagli stivali chiodati. All’istante Eragon rammentò le impronte che aveva visto intorno alla catasta di corpi a Yazuac. «Urgali» esclamò orripilato, col desiderio di avere Zar’roc con sé; non poteva usare l’arco con una mano sola. Levò il capo e gridò con la mente: Saphira! Gli Urgali! Proteggi Brom!

Balzò di nuovo oltre il ruscello per tornare all’accampamento, con il coltello da caccia in pugno. Vedeva nemici dietro ogni albero e cespuglio. Spero che almeno sia un solo Urgali. Piombò nell’accampamento e fece appena in tempo ad abbassarsi quando la coda di Saphira tagliò l’aria sopra di lui. «Fermati! Sono io» urlò.

Scusa, disse Saphira, le ali chiuse davanti a sé come un muro.

«Scusa?» ringhiò Eragon, correndo verso di lei. «Avresti potuto uccidermi! Dov’è Brom?»

«Sono qui» gracchiò la voce di Brom da dietro le ali di Saphira. «Di’ a questa idiota della tua dragonessa di liberarmi; a me non da retta.»

«Lascialo andare!» disse Eragon esasperato. «Ma non gli hai detto niente?»

No, rispose lei imbarazzata. Tu mi hai detto solo di proteggerlo. Levò le ali e Brom uscì con aria imbronciata.

«Ho trovato un’impronta di Urgali. Ed è fresca.»

Il volto di Brom si fece serio. «Sella i cavalli. Ce ne andiamo.» Spense il fuoco, ma Eragon non si mosse. «Che cosa ti è successo al braccio?»

«Mi sono rotto il polso» rispose il ragazzo, vacillando.

Brom lanciò un’imprecazione e sellò Cadoc per lui. Aiutò Eragon a salire in groppa e disse:

«Dobbiamo steccarti il braccio appena possibile. Nel frattempo, cerca di non muovere il polso.»

Eragon afferrò saldamente le redini con la sinistra. Brom si rivolse a Saphira: «È quasi buio; faresti meglio a volare sopra di noi. Se arrivano gli Urgali, ci penseranno due volte prima di attaccarci con te nelle vicinanze.»

Sarà meglio per loro, altrimenti non penseranno mai più, ribattè Saphira mentre spiccava il volo. La luce sbiadiva in fretta, e i cavalli erano stanchi, ma i due viaggiatori li spronavano senza posa. Il polso di Eragon, gonfio e rosso, continuava a pulsare. A un miglio dall’accampamento. Brom si fermò. «Ascolta» disse.

Eragon udì un corno da caccia risuonare in lontananza. Seguì un silenzio agghiacciante. «Devono aver scoperto dove eravamo» disse Brom. «e probabilmente hanno visto anche le tracce di Saphira. Ora ci inseguiranno. Non è nella loro natura farsi sfuggire una preda.» Poi suonarono altri due comi, più vicini, questa volta. Eragon rabbrividì. «La nostra unica possibilità è fuggire al galoppo» disse Brom. Levò la testa al cielo e il suo volto sbiancò per lo sforzo di chiamare Saphira.

La dragonessa piombò dal cielo notturno e atterrò. «Lascia Cadoc e va’ con lei. Sarai più al sicuro» ordinò Brom. «E tu?» protestò Eragon.

«Non ti preoccupare per me. Vai!» Privo di energie per discutere, Eragon montò su Saphira, mentre Brom lanciava Fiammabianca. al galoppo, insieme a Cadoc. Saphira volava sopra di lui.

Eragon si reggeva a Saphira meglio che poteva; faceva una smorfia ogni volta che i suoi movimenti gli davano una scossa al polso. I corni suonarono vicinissimi, e fu invaso da una nuova ondata di terrore. Brom si precipitò nel sottobosco, esortando al massimo i cavalli. I corni squillarono dietro di lui, poi tacquero.

I minuti passarono. Dove sono gli Urgali? si chiese. Eragon. A un tratto udì un debole suono in lontananza. Sospirò di sollievo, abbandonandosi sul collo di Saphira, mentre sotto di loro Brom rallentava il galoppo forsennato. C’è mancato poco, disse Eragon.

Già, ma non possiamo fermarci finché... Saphira fu interrotta da uno squillo di corno proprio sotto di loro, Eragon trasalì sorpreso, e Brom riprese la sua frenetica ritirata. Urgali cornuti, gridando con voci rauche, galoppavano di gran carriera sulla pista, guadagnando terreno. Erano quasi in vista di Brom; il vecchio non sarebbe riuscito a seminarli. Dobbiamo fare qualcosa! esclamò Eragon.

Che cosa?

Atterra davanti agli Urgali!

Sei impazzito? ruggì Saphira, sbigottita.

Atterra! So quello che faccio, disse Eragon. Non c’è tempo per inventarci qualcos’altro. Stanno per raggiungere Brom!

Come vuoi,. Saphira si spinse oltre gli Urgali, poi virò, preparandosi ad atterrare sul sentiero. Eragon si concentrò per raggiungere il cuore del suo potere e avvertì la familiare barriera che lo separava dalla magia Aspettò ancora prima di infrangerla. Avvertì un muscolo del collo contrarsi. Mentre gli Urgali accorciavano la distanza, Eragon gridò: «Ora!» Saphira dispiegò le ali di colpo e atterrò sul sentiero in una nuvola di polvere e ciottoli.

Gli Urgali gridarono allarmati e strattonarono le redini dei cavalli. Gli animali si arrestarono all’istante e andarono a urtare l’uno contro l’altro; tuttavia gli Urgali riuscirono rapidamente a districarsi per affrontare Saphira ad armi snudate, Erano dodici, dodici orribili, creature dal ghigno brutale. Eragon si chiese come mai non fuggissero. Aveva creduto che alla vista di Saphira se la sarebbero data a gambe. Perché aspettano? Vogliono attaccarci o no?

Rimase di stucco quando l’Urgali più grosso si fece avanti e biascicò: «Il nostro padrone desidera parlare con te, umano!» Il mostro parlava con un forte accento gutturale.

È una trappola, lo ammonì Saphira prima che Eragon dicesse qualcosa. Non starli a sentire.

Almeno fammi scoprire che cosa ha da dire, ragionò lui, incuriosito, ma in guardia. «Chi è il tuo padrone?» domandò.

L’Urgali rise beffardo. «Uno di bassa lega come te non è degno di conoscere il suo nome. Egli domina il cielo e la terra. Per lui tu non sei altro che un’insulsa formica. Tuttavia ha deciso che devi essere portato al suo cospetto vivo. Ritieniti onorato di aver ricevuto una tale notizia!»

«Non verrò mai con voi o con un altro dei miei nemici!» dichiarò Eragon, ripensando a Yazuac.

«Che serviate uno Spettro, un altro Urgali o qualche mostro deforme di cui non ho mai sentito parlare, non ho alcuna intenzione di parlare con lui.»

«Grave errore» ringhiò l’Urgali, mostrando i denti. «Non c’è modo di sfuggirgli. Alla fine ti troverai comunque davanti al nostro padrone. Se resisti, colmerà i tuoi giorni di dolore.»

Eragon si chiese chi avesse il potere di portare gli Urgali sotto tin’unica bandiera. C’era forse una terza potenza sconosciuta nel territorio, oltre all’Impero e ai Varden? «Tieniti pure la tua offerta e di’ al tuo padrone che mi auguro che i corvi si mangino presto le sue viscere!»

Un brontolio di rabbia si diffuse fra gli Urgali; il loro capo ululò, digrignando i denti. «Allora ti trascineremo da lui con la forza!» A un suo cenno, gli Urgali si avventarono su Saphira. Eragon levò la mano destra e gridò: «Jierda!»

No! esclamò Saphira, troppo tardi, però.

I mostri esitarono vedendo il palmo di Eragon rifulgere. Lampi di luce guizzarono dalla sua mano e colpirono ciascuno dei mostri al ventre. Gli Urgali vennero scagliati in aria e scaraventati contro gli alberi; poi ricaddero inerti al suolo.

Improvvisamente prosciugato di ogni energia, Eragon scivolò dal dorso di Saphira. Si sentiva la mente annebbiata. Quando Saphira si chinò su di lui, si rese conto che forse si era spinto troppo oltre. L’energia necessaria a respingere dodici Urgali era enorme. Fu invaso dal panico, mentre lottava per restare sveglio.

Ai margini del suo campo visivo scorse uno degli Urgali rimettersi in piedi a fatica, la spada in pugno. Eragon cercò di avvertire Saphira, ma era troppo debole. No... pensò debolmente. L’Urgali strisciò alle spalle di Saphira finché non superò la sua coda, pronto ad affondarle la spada nel collo.

No!... Saphira si volse di scatto e ruggì selvaggiamente. I suoi artigli colpirono con una rapidità straordinaria. Sangue zampillò dappertutto, mentre le due metà del corpo del mostro cadevano a terra, separate.

Saphira fece schioccare le fauci soddisfatta e tornò da Eragon. Circondò con delicatezza il suo busto con le zampe insanguinate, poi ringhiò e spiccò il volo. La notte lo avvolse in un manto nero, fatto di dolore. Il rumore ipnotico del battito d’ali di Saphira lo fece cadere in una sorta di trance: su, giù; su, giù; su, giù…

Quando Saphira finalmente atterrò, Eragon si rese conto a stento che Brom parlava con lei. Non capì che cosa dicevano, ma dovevano aver preso una decisione, perché Saphira si levò di nuovo in volo.

Dal torpore scivolò nel sonno, che lo fasciò come una morbida coperta.

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