49 Un grave dilemma

Eragon rimase senza parole. La sua mente si rifiutava di accettare la verità delle parole di Murtagh. I Rinnegati non hanno mai avuto figli, meno che mai Morzan. Morzan! L’uomo che tradì i Cavalieri consegnandoli a Galbatorix. Colui che fu il più fedele servitore del re per il resto della sua vita. Non può essere vero!

Lo sconcerto di Saphira lo raggiunse un istante dopo. La dragonessa piombò dal cielo schiantando alberi e cespugli per atterrare accanto a lui, con le fauci spalancate e la coda. alta e minacciosa. Sta’

pronto a tutto, lo avvertì. Potrebbe essere capace di usare la magia.

«Sei il suo erede?» disse Eragon, e tese lentamente una mano verso Zar’roc. Che cosa potrebbe volere da me? Lavora per il re, dunque?

«Non l’ho scelto io!» gridò Murtagh, il viso deformato dal dolore. Si strappò la tunica e la camicia di dosso con un gesto disperato e rimase a torso nudo. «Guarda!» disse, volgendo la schiena a Eragon.

Circospetto, Eragon si protese verso di lui, strizzando gli occhi nell’oscurità. Sulla pelle abbronzata e muscolosa di Murtagh c’era una lunga, nodosa cicatrice bianca, che correva dalla spalla destra fino al fianco sinistro: la testimonianza di un terribile dolore.

«La vedi?» disse Murtagh in tono amaro. Parlava con voce calma, adesso, come se si sentisse sollevato per avere finalmente svelato il suo segreto. «Avevo solo tre anni quando mi è stata inflitta. Durante uno dei suoi attacchi di violenza, Morzan mi scagliò contro la sua spada mentre correvo. La mia schiena è stata squarciata da quella stessa spada che tu ora porti... l’unica cosa che mi aspettavo di ricevere in eredità, finché Brom non la tolse al cadavere di mio padre. Sono stato fortunato, suppongo.., c’era un guaritore nei paraggi che mi impedì di morire. Devi capire, io non amo l’Impero né il re. Non ho stretto alcuna alleanza con loro, né ho intenzione di farti del male!» La sua voce era quasi implorante.

Eragon tolse la mano dall’elsa di Zar’roc. «Allora tuo padre» disse con voce tremante «fu ucciso da...»

«Sì, da Brom» disse Murtagh. Si mise di nuovo la tunica, con estremo distacco.

Un corno risuonò alle loro spalle, inducendo Eragon a gridare: «Vieni, fuggiamo.» Murtagh frustò le redini dei cavalli e li costrinse a uno stanco trotto, gli occhi fissi avanti, mentre Arya sobbalzava inerte sulla sella di Fiammabianca, Saphira rimase al fianco di Eragon, tenendo il passo con agio grazie alle lunghe zampe. Potresti camminare meglio sulla riva del fiume, le disse lui, vedendola costretta a districarsi in un groviglio di rami.

Non ti lascio da solo con lui.

Eragon le fu grato per la protezione. Il figlio di Morzan! Mentre correvano, disse: «La tua storia è difficile da credere. Come faccio a sapere che non menti?»

«E perché dovrei mentire?»

«Potresti...»

Murtagh lo interruppe. «Non posso provarti niente, per ora. Dovrai restare nel dubbio finché non arriveremo dai Varden. Loro mi riconosceranno subito.»

«Devo sapere» insistette Eragon. «Sei forse un servo dell’Impero?»

«No. Se lo fossi, che cosa ci guadagnerei a viaggiare con te? Se avessi voluto catturarti o ucciderti, ti avrei lasciato in prigione.» Murtagh inciampò sopra un tronco caduto.

«Forse stai guidando gli Urgali dai Varden.»

«È possibile» disse Murtagh. «ma allora perché resto con te? Ora so dove si nascondono i Varden. Che ragione avrei di consegnarmi a loro? Se volessi attaccarli, tornerei indietro e mi unirei agli Urgali.»

«Forse sei un sicario» tentò Eragon in tono indifferente.

«Forse. Non puoi saperlo, giusto?»

Saphira.

La coda della dragonessa sibilò sulla sua testa. Se avesse voluto ucciderti, avrebbe potuto farlo molto tempo fa.

Un ramo graffiò la nuca di Eragon, tracciando un solco sanguinante. Il ruggito della cascata era sempre più vicino. Voglio che tu non perda d’occhio Murtagh quando arriviamo dai Varden.

Potrebbe fare qualche idiozia, e non voglio che lo uccidano per errore.

Farò del mio meglio, disse lei, facendosi largo a spallate fra due alberi e strappando via brani di corteccia. Il corno suonò ancora. Eragon si gettò un’occhiata alle spalle, certo di vedere gli Urgali sbucare dalle tenebre. La cascata tuonava incessante davanti a loro, soffocando ogni altro suono della notte.

La foresta terminò, e Murtagh fece fermare i cavalli. Si trovavano su una spiaggia di ghiaia a sinistra della foce dello Zannadorso. Il profondo Lago Kóstha-mérna riempiva la valle, sbarrando loro il cammino. L’acqua scintillava di miriadi di stelle. Le pareti della montagna riducevano il passaggio intorno al Kóstha-mérna a una sottile fascia di terra su entrambi i lati del lago, ciascuna non più larga di qualche passo. All’estremità più lontana del lago, un’ampia cortina d’acqua scrosciante si tuffava da una nera rupe in ribollenti globi di spuma.

«Andiamo verso la cascata?» chiese Murtagh, scuro in. volto.

«Sì.» Eragon assunse la guida del gruppo e aprì la strada lungo la riva sinistra del lago. La ghiaia sotto i loro piedi era umida e viscida. Non c’era quasi spazio per Saphira tra la parete scoscesa e il lago; doveva camminare con una zampa nell’acqua.

Erano a metà strada verso la cascata, quando Murtagh gridò: «Gli Urgali!»

Eragon si volse e scivolò sui ciottoli. Sulla riva del Kóstha-mérna, dove erano passati solo qualche minuto prima, enormi sagome affioravano dalla foresta. Gli Urgali si ammassarono sulla riva del lago. Uno di loro fece un cenno verso Saphira; parole gutturali giunsero da sopra l’acqua. Subito l’orda si divise e cominciò ad avanzare su entrambe le sponde del lago, lasciando Eragon e Murtagh senza via d’uscita. Le rive strette costringevano i grossi Kull a marciare in fila indiana.

«Corri!» urlò Murtagh, sguainando la spada e schiaffeggiando i fianchi dei cavalli. Saphira spiccò il volo senza preavviso e puntò verso gli Urgali.

«No!» gridò Eragon, e poi, con la mente: Torna indietro, ma la dragonessa continuò, sorda ai suoi richiami. Con uno sforzo doloroso, Eragon distolse lo sguardo da Saphira e continuò a correre, sfilando Zar’roc dal fodero.

Saphira si gettò in picchiata sugli Urgali, ruggendo con ferocia. I mostri cercarono di disperdersi, ma erano intrappolati contro il fianco della montagna. La dragonessa afferrò un Kull fra gli artigli e sollevò la creatura urlante, sbranandola con le zanne poderose. Un momento dopo, il corpo ridotto al silenzio precipitò nel lago, mutilato di una gamba e un braccio.

I Kull proseguivano intorno al Kóstha-mérna, ostinati. Con il fumo che le usciva dalle narici, Saphira si tuffò di nuovo su di loro, zigzagando e ondeggiando per evitare nugoli di frecce nere scoccate contro di lei. Molte le sfiorarono i fianchi squamosi, senza lasciare che qualche graffio insignificante, ma la dragonessa ruggì quando alcune le trafissero le ali.

Le braccia di Eragon ebbero uno spasmo di solidarietà, e dovette trattenersi dal correre in aiuto della dragonessa. La paura gli invase le vene quando vide la fila di Urgali avvicinarsi. Cercò di correre più in fretta, ma i suoi muscoli erano troppo stanchi, le rocce troppo scivolose.

Poi, con un tonfo sonoro, Saphira s’immerse nel Kóstha-mérna, lasciando solo una serie di onde concentriche a incresparne la superficie. Gli Urgali guardarono nervosi l’acqua scura che lambiva loro i piedi. Uno grugnì qualcosa di indecifrabile e puntò la lancia verso il lago.

L’acqua esplose quando la testa di Saphira emerse dagli abissi. Le sue fauci si richiusero sulla lancia, spezzandola come un fuscello mentre la strappava dalle mani del Kull con un violento strattone. Prima che potesse ghermire l’Urgali, i suoi compagni le scagliarono addosso le lance e la colpirono sul muso, Saphira arretrò, sibilando furiosamente, e frustò l’acqua con la coda. Il Kull in testa alla fila cercò di passare, armato della lancia tesa contro la dragonessa, ma fu costretto a fermarsi quando lei fece schioccare i denti a un soffio dalle sue gambe. Tutta la fila di Urgali si fermò mentre lei li teneva a bada. Nel frattempo quelli sull’altra sponda del lago continuavano a correre verso la cascata.

Questi li ho intrappolati, disse Saphira a Eragon, ma fate in fretta... non posso trattenerli all’infinito. Gli arcieri sulla riva stavano già mirando contro di lei. Eragon si concentrò per correre più forte, ma lo stivale scivolò su una pietra e lui cadde in avanti. Murtagh lo afferrò all’ultimo istante per gli avambracci e continuarono a correre insieme, gridando per incitare i cavalli. Erano quasi alla cascata. Il fragore era assordante, come quello di una valanga. Una bianca parete d’acqua si riversava dalla rupe, precipitando con furia sulle rocce di sotto, dove sollevava una nube di goccioline polverizzate che si posarono sui loro volti accaldati. A quattro iarde dalla cortina spumeggiante, la spiaggia si allargava, dando loro un certo spazio di manovra.

Saphira ruggì quando la lancia di un Urgali le lacerò un fianco, e si ritrasse sott’acqua. A quel punto i Kull ripresero a correre come ossessi. Ancora poche centinaia di piedi e li avrebbero raggiunti.

«Che cosa facciamo?» chiese Murtagh con freddezza.

«Non lo so. Lasciami pensare!» esclamò Eragon, cercando le istruzioni finali fra i ricordi di Arya. Scrutò il terreno finché non trovò una pietra grande quanto una mela, l’afferrò e la battè sulla rupe vicino alla cascata, gridando: «Ai varden abr du Shur’tugals gata vanta!»

Non accadde nulla.

Provò di nuovo, gridando più forte, ma riuscì soltanto a farsi male alla mano. Si voltò disperato verso Murtagh. «Siamo in trappo...» Le sue parole furono interrotte dalla comparsa improvvisa di Saphira, che affiorò dal lago e li inondò di acqua gelata. Atterrò sulla spiaggia e si accovacciò, pronta alla battaglia.

I cavalli indietreggiarono terrorizzati, cercando di fuggire. Eragon li raggiunse con la mente per calmarli. Dietro di te! gridò Saphira. Eragon si volse e vide il primo Urgali che correva verso di lui, lancia in resta. Da vicino, il Kull era alto quanto un piccolo gigante, con braccia e gambe grossi come tronchi.

Murtagh ritrasse il braccio e scagliò la spada con incredibile prontezza. La lunga lama fece un giro completo su sè stessa e colpì di punta il Kull in pieno petto. L’enorme Urgali crollò in terra con un gorgoglio strozzato. Prima che un altro Kull potesse attaccare, Murtagh scattò verso il cadavere ed estrasse la spada.

Eragon alzò la mano, col palmo rivolto in avanti, e gridò: «Jierda theirra kalfis!» Lungo la riva risuonarono schiocchi agghiaccianti. Una ventina di Urgali caddero nel Kóstha-mérna urlando e tenendosi le gambe, da cui spuntavano frammenti d’osso. Senza rompere il passo, il resto degli Urgali marciò sui compagni caduti. Eragon lottò contro la stanchezza, appoggiandosi a Saphira per avere un sostegno.

Una raffica di frecce, impossibile da vedere al buio li sfiorò per andare a schiantarsi contro la roccia. Eragon e Murtagh si abbassarono, coprendosi la testa. Con un piccolo ringhio, Saphira fece un balzo in avanti per proteggere loro e i cavalli con i suoi fianchi corazzati. Un coro di schiocchi metallici annunciò che la seconda raffica di frecce era rimbalzata sulle sue squame.

«E adesso?» gridò Murtagh. La rupe non mostrava alcun ingresso. «Non possiamo restare qui!»

Eragon udì Saphira ringhiare quando una freccia le lacerò la sottile membrana del bordo di un’ala. Si guardò intorno, in preda alla disperazione, cercando di capire perché le istruzioni di Arya non avevano fuzionato. «Non lo so! Dovrebbe essere proprio questo, il luogo!»

«Perché non chiedi all’elfa, per sicurezza?» disse Murtagh. Lasciò la spada, afferrò l’arco dalla sella di Tornac e con un rapido movimento scoccò un freccia, nascondendosi tra le punte del dorso di Saphira. Un istante dopo, un altro Urgali cadde in acqua.

«Adesso? Ma se sta per morire! Dove trova l’energia per parlarmi?»

«Non lo so» gridò Murtagh. «ma sarà meglio che pensi a qualcosa, perché non possiamo respingere un intero esercito!»

Eragon, chiamò Saphira in tono concitato.

Che cosa c’è?

Siamo dalla parte sbagliata del lago! Ho visto i ricordi di Arya attraverso di te, e mi sono appena resa conto che non è questo il posto giusto. Chinò la testa contro il petto mentre un’altra sventagliata di frecce sibilava verso di loro. La sua coda si dibatte per il dolore quando venne colpita. Non posso continuare così! Mi fanno a pezzi!

Eragon rinfoderò Zar’roc ed esclamò: «I Varden sono dall’altra parte del lago. Dobbiamo passare sotto la cascata!» Si accorse con terrore che gli Urgali sull’altra sponda del Kóstha-mérna erano quasi arrivati alla meta.

Gli occhi di Murtagh andarono all’immane diluvio che sbarrava loro la strada. «Non ce la faremo mai con i cavalli, nemmeno se riuscissimo a restare in piedi.»

«Ci penserò io a convincerli» ribatte Eragon. «E Saphira porterà Arya.» Le grida e i muggiti degli Urgali fecero nitrire di rabbia Fiammabianca. L’elfa oscillò sulla sella, ignara del pericolo. Murtagh scrollò le spalle. «Sempre meglio che farsi sventrare da questi mostri.» Si affrettò a tagliare le corde che reggevano Arya sulla sella di Fiammabianca, ed Eragon prese l’elfa mentre scivolava a terra.

Sono pronta, disse Saphira, e si preparò, le zampe davanti poggiate a terra. Gli Urgali in avvicinamento esitarono, senza capire le sue intenzioni.

«Ora!» gridò Eragon. Lui e Murtagh issarono Arya sul dorso di Saphira, poi le infilarono le gambe nei nodi scorsoi che sostituivano le staffe. Nel momento stesso in cui ebbero finito, Saphira dispiegò le ali e si alzò in volo sul lago. Gli Urgali ulularono di rabbia nel vederla fuggire e scoccarono una scarica di frecce che rimbalzarono sul suo ventre. I Kull sull’altra sponda raddoppiarono il passo per raggiungere la cascata prima di lei.

Eragon dilatò la mente per entrare nei pensieri spaventati dei cavalli. Usando l’antica lingua, disse loro che se non nuotavano attraverso la cascata, sarebbero stati uccisi e mangiati dagli Urgali. Anche se non capirono tutto quello che disse, gli animali ne colsero il senso, e tanto bastò. Fiammabianca e Tornac scrollarono la testa, poi si gettarono sotto la cascata fragorosa, lanciando alti nitriti quando l’acqua li percosse sul dorso. Cominciarono a nuotare, lottando per tenere la testa fuori dall’acqua. Murtagh rinfoderò la spada e balzò dietro di loro; scomparve sotto la spuma ribollente, per riemergere poco dopo, sputacchiando.

Gli Urgali erano alle spalle di Eragon; sentiva i loro passi crepitare sulla ghiaia. Con un selvaggio grido di guerra, si tuffò dietro Murtagh, chiudendo gli occhi un attimo prima che l’acqua gelida lo colpisse.

Il peso terribile della cascata gli piovve sulle spalle con una potenza inaudita; il suo boato indifferente gli riempì le orecchie. Fu trascinato sul fondo, dove si sbucciò le ginocchia contro il letto roccioso del lago. Fece leva con le gambe e schizzò fuori dall’acqua con tutto il torso, ma prima che riuscisse a prendere una boccata d’aria, la cascata lo spinse di nuovo sotto.

Non riusciva a vedere altro che una bianca macchia indistinta mentre la spuma gli vorticava intorno. Cercò freneticamente di raggiungere la superficie, per espandere i polmoni in fiamme, ma riuscì a fare appena una bracciata e il diluvio gli impedì di risalire. Il panico prese il sopravvento, ed Eragon cominciò a dibattersi, lottando contro l’acqua. Appesantito da Zar’roc e dai vestiti bagnati, affondò di nuovo, incapace di pronunciare le antiche parole che lo avrebbero salvato.

All’improvviso una mano forte lo afferrò per il collo della tunica e lo trascinò fuori dall’acqua. Il suo salvatore fendeva il lago con rapide e potenti bracciate. Eragon sperò che fosse Murtagh e non un Urgali. Raggiunsero la spiaggia di ciottoli ed Eragon prese a tremare violentemente: tutto il suo corpo era scosso da terribili spasmi,

Un fragore di combattimento proruppe alla sua destra; si volse, aspettandosi una carica di Urgali. I mostri sulla riva opposta cadevano sotto una pioggia di frecce scagliate dai crepacci che costellavano la rupe. Decine di Urgali già galleggiavano a pancia in su nell’acqua, trafitti da molti dardi. Quelli sulla stessa riva di Eragon subivano la stessa sorte: non potevano riunirsi, né ritirarsi da quella posizione scoperta, poiché schiere di guerrieri erano comparse alle loro spalle, dove il lago incontrava la parete della montagna. L’unica cosa che impedì al Kull più vicino di avventarsi su Eragon fu la pioggia costante di frecce: gli arcieri invisibili sembravano decisi a dare del filo da torcere agli Urgali,

Una voce roca accanto a lui disse: «Akh Guntéraz dorzàda! Ma che cosa credevi? Stavi per annegare!» Eragon si voltò, sorpreso. Non c’era Murtagh vicino a lui, ma un uomo piccolo, che gli arrivava appena al gomito.

Il nano era impegnato a strizzarsi la lunga barba intrecciata. Aveva il torace ampio e robusto, e portava una cotta di maglia senza maniche, da cui spuntavano le braccia tozze e muscolose. Intorno alla vita aveva una cintura a cui era appesa un’ascia di guerra. In testa portava una calotta di cuoio cerchiata di ferro, con il simbolo di un martello circondato da dodici stelle. Nonostante l’elmetto, a stento. sfiorava i quattro piedi di altezza. Guardò con desiderio la battaglia e disse: « Barzul, come mi piacerebbe tuffarmi nella mischia!»

Un nano! Eragon estrasse Zar’roc e si guardò intorno, in cerca di Saphira e Murtagh. Nella rupe si erano aperti due portali di pietra alti dodici piedi, che si affacciavano su un lungo tunnel, alto quasi trenta piedi, che si snodava nelle misteriose profondità della montagna. Una fila di lampade senza fiamma emanava ima pallida luce azzurrognola che si riversava sul lago.

Saphira e Mùrtagh erano davanti al tunnel, circondati da uno strano miscuglio di uomini e nani. Vicino a Murtagh c’era un uomo calvo, senza barba, vestito di un lungo abito oro e porpora. Era più alto degli altri umani, e teneva un pugnale alla gola di Murtagh.

Eragon fece per evocare il potere, ma l’uomo dal lungo vestito disse con voce aspra, minacciosa:

«Fermati! Se usi la magia, ucciderò il tuo caro amico, che è stato così gentile da dirci che sei un Cavaliere. Non credere che io non sappia che cosa stai facendo. Non puoi nascondermi niente.»

Eragon cercò di parlare, ma l’uomo scoprì i denti e premette più forte il coltello contro la gola di Murtagh. «Non fiatare! Se dici o fai qualcosa che non ti ho ordinato, lui morirà. E ora, tutti dentro.»

Tornò nel tunnel; spingendo Murtagh davanti a sé senza smettere di tenere d’occhio Eragon.

Saphira, che cosa devo fare? chiese rapido Eragon, mentre gli uomini e i nani seguivano il sequestratore di Murtagh, portando i cavalli con sé.

Va’ con loro, gli suggerì lei, e spera che restiamo in vita. Entrò anche lei nel tunnel, attirandosi occhiate nervose. A malincuore, Eragon la seguì, sentendo il peso degli sguardi dei guerrieri. Il suo salvatore, il nano, camminava al suo fianco, una mano posata sull’impugnatura dell’ascia.

Esausto, Eragon entrò barcollando nel ventre della montagna. I portali di pietra si richiusero alle loro spalle quasi senza far rumore, Eragon si guardò indietro e vide una parete ininterrotta lì dove un attimo prima c’era l’apertura. Erano in trappola. Ma erano al sicuro?

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