17 Tuoni, fulmini e saette

Il mattino dopo, Eragon evitò di ripensare agli ultimi avvenimenti; i ricordi erano ancora troppo dolorosi. Cercò piuttosto di concentrarsi su come scovare e uccidere i Ra’zac. Lo farò col mio

arco, decise, immaginando di trafiggere con le frecce le figure avvolte nei mantelli.

Si alzò a fatica; ogni movimento gli procurava fitte acute, e aveva un dito gonfio, bollente. Quando furono pronti a ripartire, montò in sella a Cadoc e disse in tono acido; «Di questo passo, mi ridurrai in poltiglia.»

«Non ci andrei così pesante se non fossi convinto che sei abbastanza forte da resistere» disse Brom.

«Una volta tanto, non mi dispiacerebbe se mi sottovalutassi» borbottò il ragazzo.

Cadoc scalpitò irrequieto quando Saphira si avvicinò. La dragonessa scrutò il cavallo con un’espressione di vago orrore e disse: Non c’è posto dove nascondermi nelle pianure, perciò è inutile che voli tanto in alto. D’ora in poi resterò sopra dì voi.

Si alzò in volo, mentre i due viaggiatori iniziavano la discesa. A tratti il sentiero scompariva, costringendoli a trovare da soli la via. A volte dovevano smontare di sella e condurre i cavalli a mano, reggendosi agli alberi per non scivolare. Il terreno disseminato di ciottoli era scivoloso e infido. La fatica li lasciò accaldati e irritati, malgrado il freddo.

Intorno a mezzogiorno raggiunsero il fondo della valle e si fermarono a riposare. L’Anora curvava alla loro sinistra e proseguiva verso nord. Un vento pungente spazzava l’arida pianura, sollevando mulinelli di terra polverosa che finiva loro negli occhi.

Eragon provò un senso di inquietudine davanti alla piattezza del paesaggio, privo di dune o alture. Aveva trascorso tutta la vita circondato da colline e montagne, e senza di esse si sentiva esposto, vulnerabile come un topolino sotto lo sguardo famelico di un’aquila.

A valle, il sentiero si divideva in tre. Il primo ramo procedeva verso nord, in direzione di Ceunon, una delle maggiori città del nord; il secondo tagliava le pianure; il terzo portava a sud. Esaminarono tutte e tre le diramazioni in cerca di tracce dei Ra’zac, e alla fine trovarono le loro impronte che puntavano verso le praterie.

«Pare che siano andati verso Yazuac» disse Brom con aria perplessa.

«Dove si trova?»

«A est, a quattro giorni di viaggio se tutto va bene. È un piccolo villaggio sul fiume Ninor.» Indicò l’Anora che si allontanava verso nord. «Questa è la nostra ultima possibilità di rifornirci d’acqua. Dobbiamo riempire gli otri prima di tentare di attraversare la pianura. Non ci sono altre sorgenti o corsi d’acqua fra qui e Yazuac.»

Eragon sentì montare in sé l’eccitazione della caccia. Tempo qualche giorno, forse anche meno di una settimana,. e avrebbe usato le sue frecce per vendicare la morte di Garrow. E poi... Non riusciva a pensare a che cosa sarebbe potuto accadere dopo.

Riempirono gli otri, fecero abbeverare i cavalli, e bevvero anche loro il più possibile. Anche Saphira si dissetò al fiume. Rinvigoriti, puntarono a est per intraprendere la traversata delle pianure. Eragon decise che sarebbe stato il vento a farlo impazzire per primo; era il colpevole di tutto ciò che lo tormentava: le labbra screpolate, la lingua secca, gli occhi lacrimosi. Le raffiche incessanti li seguirono per tutto il giorno, e la sera il vento aumentò invece di placarsi.

In mancanza di un qualunque tipo di riparo, furono costretti ad accamparsi all’aperto. Eragon trovò un cespuglio secco, una pianta bassa e resistente che prosperava in condizioni estreme, e lo sradicò. Con i rami fece una piccola catasta e cercò di accenderla, ma i rametti produssero soltanto un fumo acre. Deluso, scagliò la scatola con l’acciarino a Brom. «Non ci riesco, con questo dannato vento. Vedi se ci riesci tu; altrimenti avremo una cena fredda.»

Brom s’inginocchiò davanti al mucchietto di sterpi e lo guardò con aria polemica. Dispose qualche rametto in modo diverso e poi soffregò l’acciarino, provocando una cascata di scintille. Ancora fumo e nient’altro. Brom si accigliò e provò di nuovo, ma non ebbe miglior fortuna di Eragon.

«Brisingr!» imprecò furente, soffregando di nuovo l’esca. All’improvviso comparvero delle fiamme, e il vecchio si ritrasse con un’espressione soddisfatta. «Ci siamo. Probabilmente covava all’interno.»

Si esercitarono con le spade finte mentre il cibo cuoceva, ma erano così stanchi che smisero presto. Dopo aver mangiato, si distesero accanto a Saphira e si addormentarono confortati dal suo tepore. Lo stesso vento gelido li salutò il mattino dopo, spazzando la spaventosa desolazione. Le labbra di Eragon si erano spaccate durante la notte; ogni volta che sorrideva o parlava, si coprivano di minute goccioline di sangue. Leccarle non faceva che peggiorare le cose. Lo stesso era per Brom. Lasciarono che i cavalli bevessero dalle loro scorte d’acqua prima di montarli. La giornata trascorse monotona, in un’estenuante, ininterrotta cavalcata.

Il terzo giorno Eragon si svegliò riposato. Quello, e il fatto che il vento era calato, lo mise di buonumore. Ma la sua allegria si spense quando vide che il cielo davanti a loro era nero di nubi pesanti.

Brom guardò le nuvole e fece una smorfia. «Di norma non mi andrei a ficcare in una tempesta come quella, ma dato che ci colpirà qualunque cosa facciamo, credo che sia meglio fare ancora un po’ di strada.»

L’aria era ancora quieta quando raggiunsero il fronte temporalesco. Mentre entravano nella sua ombra, Eragon alzò lo sguardo. L’enorme nuvola aveva una forma strana: assomigliava a una cattedrale con il vasto soffitto a volta. Con uno sforzo d’immaginazione, vide anche i pilastri, le vetrate, i banchi e i gargoyle ghignanti, Era di una bellezza selvaggia.

Mentre Eragon abbassava lo sguardo, un’onda gigantesca spazzò l’erba davanti a loro e la appiattì. Gli ci volle un secondo per realizzare che l’onda era una formidabile raffica di vento. Anche Brom la vide, e incurvarono le spalle, preparandosi alla tempesta.

Il fortunale era quasi su di loro quando Eragon ebbe un pensiero terribile e si voltò sulla sella, gridando sia con la voce che con la mente; «Saphira! Atterra!» Brom si fece pallido. La videro scendere in picchiata verso il terreno. Non ce la farà mai!

Saphira volò dalla parte da cui erano venuti, per guadagnare tempo. Mentre la guardavano, l’ira della tempesta si abbattè su di loro come un maglio. Eragon annaspò e strinse con forza la sella, mentre un ululato selvaggio gli invadeva le orecchie. Cadoc vacillò e piantò gli zoccoli nel terreno, con la criniera che svolazzava. Il vento artigliava i vestiti di Eragon con dita invisibili, mentre l’aria si oscurava di nuvole gonfie di polvere.

Il ragazzo socchiuse gli occhi, cercando Saphira. La vide atterrare pesantemente e poi accovacciarsi, affondando gli artigli nel terreno. Il vento la raggiunse mentre cominciava a chiudere le ali, e con un violento strattone le riaprì e la trascinò in aria. Per un attimo rimase, sospesa, sorretta dalla forza della tempesta. Poi il vento la fece ricadere di schianto sul dorso.

Con uno sforzo sovrumano, Eragon costrinse Cadoc a voltarsi e a galoppare verso la dragonessa, spronandolo sia con i tacchi che con la mente. Saphira gridò. Cerca di restare a terra. Sto arrivando! Avvertì, un fiero sì in risposta. Mentre si avvicinavano a Saphira. Cadoc ricalcitrò; così Eragon smontò e corse da solo verso di lei.

L’arco lo colpì sulla testa. Una forte raffica gli fece perdere l’equilibrio e il ragazzo volò in avanti per ricadere sul petto. Scivolò, poi si rialzò con un ringhio, ignorando i graffi profondi che gli rigavano la pelle.

Saphira era a pochi metri da lui, ma Eragon non poteva avvicinarsi oltre senza rischiare di essere colpito dalle ali fluttuanti. La dragonessa lottava per richiuderle contro la tempesta furiosa. Il ragazzo corse verso la sua ala destra, deciso a trattenerla a terra, ma il vento afferrò la creatura e la fece capitombolare sopra di lui. Le aguzze punte dorsali mancarono la sua testa di un soffio. Saphira artigliò di nuovo il terreno nello sforzo di restare ancorata al terreno.

Le ali ripresero a gonfiarsi, ma prima che potessero trascinarla per aria, Eragon si gettò su quella sinistra. L’ala si accartocciò e Saphira la tenne saldamente chiusa contro il corpo. Eragon volteggiò sopra la sua schiena e cadde sull’altra. Ma all’improvviso l’ala si gonfiò, mandandolo a finire a terra. Eragon attuti l’impatto della caduta rotolando, poi balzò in piedi e afferrò di nuovo l’ala. Saphira cominciò a chiuderla, e lui spinse con tutte le sue forze. Il ventò lottò contro di loro per un momento, ma con un ultimo sforzo congiunto riuscirono a vincerlo.

Eragon si appoggiò a Saphira, ansante. Stai bene? La sentiva tremare,

Lei impiegò un istante per rispondere. Credo... credo dì sì. Sembrava scossa. Niente di rotto... Non riuscivo a far niente; il vento non mi lasciava andare, Ero in balia delle raffiche. Con un brivido, tacque.

Eragon la guardò, preoccupato. Non temere, sei al sicuro, adesso. Scorse Cadoc in lontananza, la schiena al vento. Con la mente, gli ordinò di tornare da Brom. Poi salì su Saphira, che cominciò ad arrancare lungo la strada, lottando contro la tempesta, mentre Eragon si teneva stretto al suo collo e teneva la testa bassa.

Quando ebbero raggiunto Brom, il vecchio urlò sopra il vento: «È ferita?»

Eragon fece un cenno di diniego e smontò. Cadoc gli trotterellò vicino con un nitrito. Mentre accarezzava la lunga guancia del baio. Brom indicò una nera cappa di pioggia che avanzava verso di loro in ondeggianti cortine grigie. «E poi, cos’altro ci aspetta?» gridò Eragon, stringendosi addosso i vestiti. Fece una smorfia quando il torrente li investì. La pioggia battente era fredda come ghiaccio; ben presto furono fradici e tremanti.

I lampi squarciavano il cielo, illuminando il mondo per poi lasciarlo ripiombare nel buio. L’orizzonte era solcato da fulmini azzurrini alti miglia, seguiti da tuoni che scuotevano la terra, Era uno spettacolo straordinario, ma anche di grande pericolo. Qua e là l’erba prese fuoco per i fulmini, piccoli incendi presto estinti dalla pioggia.

La furia degli elementi fu lenta a placarsi, ma con il trascorrere del giorno la tempesta si spostò altrove. Il cielo comparve di nuovo, nudo, imporporato dagli ultimi bagliori del sole morente. Il netto contrasto fra le zone in ombra e le nubi fulgide di colori attribuiva agli oggetti un nitore singolare: gli steli d’erba sembravano solidi come pilastri di marmo, le cose ordinarie assumevano una bellezza ultraterrena. Eragon aveva la sensazione di trovarsi dentro un dipinto.

La terra rinvigorita e odorosa di fresco schiarì le loro menti e risollevò i loro spiriti. Saphira si stiracchiò, tese il collo e ruggì, felice. I cavalli indietreggiarono spaventati, ma Eragon e Brom sorrisero davanti alla sua esuberanza.

Prima che la luce svanisse, si fermarono per la notte, scegliendo una piccola conca nel terreno. Troppo stanchi per giocare alla lotta, si addormentarono subito.

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