Per lungo tempo Eragon fu consapevole soltanto del dolore lancinante al fianco. Ogni respiro una pugnalata, come se fosse stato colpito lui, e non Brom.
Aveva perso il senso del tempo: non sapeva dire se fossero passate settimane, o soltanto pochi minuti. Quando alla fine tornò in sé, aprì gli occhi su un fuoco che ardeva a qualche metro di distanza. Aveva ancora le mani legate, ma l’effetto della droga doveva essere finito perché riusciva a pensare di nuovo con lucidità. Saphira, sei ferita?
No, ma tu e Brom sì. La dragonessa era china su Eragon, le ali distese a proteggerlo.
Saphira, non sei stata tu ad accendere il fuoco, vero? E non puoi esserti liberata da sola da quelle catene.
No.
Come pensavo. Eragon si alzò sulle ginocchia e vide un giovane uomo seduto dall’altra parte del fuoco.
Lo straniero, che indossava logori abiti da viaggio, emanava un’aura tranquilla, rassicurante. Tra le mani reggeva un arco; al suo fianco un lungo spadone a una mano e mezza. In grembo aveva un corno bianco filigranato d’argento, e da uno stivale gli spuntava il manico di un pugnale. Il suo viso serio e gli occhi penetranti erano incorniciati da una massa di ricci castani. Sembrava di qualche anno più grande di Eragon, ed era appena più alto. Alle sue spalle era legato un cavallo grigio da battaglia. Lo straniero studiava Saphira, circospetto.
«Chi sei?» chiese Eragon, respirando a fatica.
Le mani dell’uomo strinsero l’arco. «Mi chiamo Murtagh.» La sua voce era bassa e controllata, ma venata d’emozione.
Eragon si fece passare le mani sotto le gambe, per averle davanti a sé. Strinse i denti quando il fianco gli mandò una fitta di dolore. «Perché ci hai aiutati?»
«I Ra’zac non sono soltanto nemici vostri. Li stavo seguendo.»
«Sai chi sono?»
«Sì.»
Eragon si concentrò sulle funi che gli legavano i polsi ed evocò il potere magico, ma all’ultimo istante esitò, sentendo lo sguardo di Murtagh su di sé. Infine decise che non gli importava. «Jierda!» borbottò. Le funi gli caddero recise dai polsi, e lui si massaggiò le mani per far circolare il sangue. Murtagh emise un fischio d’ammirazione. Eragon si fece forza e provò ad alzarsi, ma il dolore alle costole lo trattenne, e ricadde indietro, respirando a fatica tra i denti serrati. Murtagh fece per aiutarlo, ma Saphira lo fermò con un ringhio. «Ti avrei aiutato anche prima, ma quel tuo drago non mi ha permesso di avvicinarmi.»
«Si chiama Saphira» precisò Eragon. Lascialo venire! Non posso farcela da solo. In fondo ci ha salvato la vita. Saphira emise un altro ringhio, ma chiuse le ali e si ritrasse, Murtagh la guardò deciso e si fece avanti.
Afferrò il braccio di Eragon e piano piano lo aiutò a mettersi in piedi. Eragon lanciò un grido di dolore, e sarebbe caduto senza il sostegno del giovane uomo. Si avvicinarono al fuoco, dove Brom era disteso. «Come sta?» chiese Eragon.
«Male» rispose Murtagh, e lo aiutò ad accoccolarsi per terra. «Il coltello gli è penetrato fra le costole. Potrai dedicarti a lui fra un minuto, ma adesso è meglio controllare che cosa ti ha fatto quel Ra’zac.» Lo aiutò a sfilarsi la camicia. «Oh!»
«Già» assentì Eragon debolmente. Sul fianco sinistro si estendeva un brutto livido violaceo. La pelle, rossa e gonfia, era lacerata in diversi punti, Murtagh appoggiò una mano sul livido ed esercitò una lieve pressione. Eragon. strillò, e Saphira diede in un ringhio di ammonimento.
Murtagh le scoccò un’occhiata esitante, poi prese una coperta. «Credo che ti sia rotto qualche costola. Difficile a dirsi, ma almeno due, se non di più. Sei fortunato a non sputare sangue.» Strappò la coperta in tante fasce con cui bendò il torace di Eragon.
Eragon si rimise la camicia. «Già... fortunato.» Trasse un breve respiro, si avvicinò a Brom e vide che Murtagh gli aveva tagliato la tunica per fasciargli la ferita. Con dita tremanti, in ginocchio accanto al vecchio, cominciò a svolgere la benda.
«Sarebbe meglio non farlo» gli disse Murtagh. «O si dissanguerà a morte.»
Eragon lo ignorò e scoprì la ferita. Era piccola e sottile, ma molto profonda. Il sangue sgorgava a fiotti. Come aveva imparato quando Garrow era stato ferito, un colpo inflitto dai Ra’zac era lento a guarire.
Si tolse i guanti, mentre con la mente si affannava a cercare le parole guaritrici che Brom gli aveva insegnato. Aiutami, Saphira, supplicò. Sono troppo debole per farcela da solo.
Saphira si accoccolò accanto a lui, fissando lo sguardo su Brom. Sono qui, Eragon. Quando la mente di lei si fuse con la sua, Eragon avvertì una nuova ondata di energia nel corpo. Evocò i loro poteri congiunti e si concentrò sulle parole. La sua mano, sospesa sulla ferita, tremava. «Waise heill!» esclamò. Il suo palmo luccicò, e la pelle di Brom si rimarginò come se non fosse mai stata intaccata, Murtagh osservò la scena con muto stupore.
Accadde tutto in pochi istanti. Quando il bagliore svanì, Eragon si sedette, sentendosi male. Non l’avevamo mai fatto prima, disse.
Saphira annuì. Insieme possiamo evocare incantesimi che da soli ci sarebbero impossibili.
Murtagh osservò il fianco di Brom e chiese: «È guarito del tutto?»
«Posso solo curare ciò che sta in superficie. Non ne so abbastanza per guarire i danni interni. Adesso dipende da lui. Io ho fatto tutto quello che era in mio potere.» Eragon chiuse gli occhi per un momento e mormorò debolmente: «Mi... mi sento la testa fra le nuvole.»
«Probabilmente hai bisogno di mangiare qualcosa» disse Murtagh. «Ti preparo una zuppa.»
Mentre Murtagh cucinava, Eragon lo osservò, domandandosi chi fosse. La sua spada e il suo arco erano di squisita fattura, come anche il corno. O era un ladro, o una persona ricca... molto ricca.
Perché dava la caccia ai Ra’zac? Come sono diventati suoi nemici? Forse lavora per i Varden?
Murtagh gli porse una scodella di zuppa. Eragon ne assaggiò un cucchiaio, e poi chiese: «Quanto tempo è passato da quando i Ra’zac sono fuggiti?»
«Un paio d’ore.»
«Allora dobbiamo andarcene prima che tornino con i rinforzi.»
«Tu forse sei in grado di viaggiare» disse Murtagh, poi indicò Brom. «ma lui no. Non ci si alza per fare una cavalcata dopo aver ricevuto una pugnalata alle costole.»
Se riusciamo a fare una barella, puoi portare Brom fra i tuoi artigli come hai fatto con Garrow? chiese Eragon a Saphira.
Sì, ma l’atterraggio sarà difficile.
Tentiamo comunque. Eragon si rivolse a Murtagh. «Lo può portare Saphira, ma dobbiamo costruire una barella. Ci pensi tu? lo non ne ho la forza.»
«Aspetta qui.» Murtagh si allontanò dall’accampamento con la spada sguainata, Eragon zoppicò fino alle bisacce e raccolse l’arco da dove l’avevano gettato i Ra’zac. Lo incordò, trovò la faretra, e infine recuperò Zar’roc, che giaceva nell’ombra. Poi prese una coperta per la barella.
Murtagh tornò con due rami che posò paralleli sul terreno. In mezzo legò la coperta, e alla fine depose con cautela Brom sulla barella improvvisata, legandolo con altre funi. Saphira afferrò i due rami tra gli artigli e spiccò il volo. «Non avrei mai pensato di vedere una cosa simile» commentò Murtagh con uno strano tono di voce.
Mentre Saphira svaniva nel cielo scuro, Eragon si avvicinò a Cadoc e montò a fatica in sella.
«Grazie di averci aiutati. Adesso faresti meglio ad andartene. Allontanati da noi il più in fretta possibile. Sarai in pericolo, se l’Impero ti scopre con noi. Non possiamo proteggerti, e io non voglio cheti accada nulla di male per causa nostra.»
«Bel discorsetto, non c’è che dire» dichiarò Murtagh, spegnendo il fuoco. «ma dove andrete? Conosci un posto nelle vicinanze dove potrete stare al sicuro?»
«No» ammise Eragon.
Gli occhi di Murtagh scintillarono, mentre faceva scorrere le dita sull’elsa della spada. «In questo caso, credo che vi accompagnerò finché non sarete fuori pericolo. Per parte mia, non ho niente di meglio da fare; anzi, se resto con voi ho maggiori probabilità di incontrare i Ra’zac che se fossi da solo. Accadono cose interessanti, intorno a un Cavaliere.»
Eragon esitò, indeciso se accettare aiuto da uno sconosciuto. Capiva di essere troppo debole per cavarsela da solo. Se Murtagh si rivelasse indegno di fiducia, Saphira potrà sempre cacciarlo via.
«D’accordo, unisciti a noi, se vuoi.»
Murtagh annuì e montò sul suo cavallo da guerra. Eragon prese le redini di Fiammabianca, e insieme si allontanarono dall’accampamento, inoltrandosi nella natura selvaggia. La falce di luna alta nel cielo spandeva una luce fioca, che, Eragon lo sapeva, avrebbe soltanto aiutato i Ra’zac a rintracciarli.
Avrebbe voluto fare altre domande allo straniero, ma rimase in silenzio, risparmiando energie per la cavalcata. All’approssimarsi dell’alba, Saphira disse: Dobbiamo fermarci. Ho le ali stanche e Brom ha bisogno di cure. Ho scoperto un buon posto dove riposarci, a circa due miglia da dove vi trovate.
La trovarono accucciata ai piedi di un cumulo di arenaria che sorgeva dal terreno come una grande collina. Le sue pendici erano perforate da cavità di varie misure, e tutt’intorno erano disseminate gobbe simili. Saphira sembrava compiaciuta. Ho scoperto una caverna impossibile da scorgere da terra. E abbastanza grande da ospitarci tutti, compresi i cavalli. Seguitemi. Si voltò e cominciò a risalire la china, gli artigli che affondavano facilmente nella pietra arenaria. I cavalli erano invece in difficoltà, perché gli zoccoli scivolavano. Eragon e Murtagh dovettero tirare e spingere gli animali per quasi un’ora prima di raggiungere il nascondiglio.
La caverna era lunga una trentina di metri e larga venti, eppure aveva un ingresso molto piccolo che la proteggeva dalle intemperie e da occhi indiscreti. Il fondo era inghiottito dalle tenebre, che rivestivano le pareti come arazzi di soffice velluto nero.
«Perfetto» disse Murtagh. «Raccolgo la legna per il fuoco.» Eragon corse da Brom. Saphira lo aveva posato su una piccola sporgenza di roccia, verso il fondo. Eragon prese la mano abbandonata di Brom e scrutò angosciato il suo volto rugoso. Dopo qualche minuto, sospirò e tornò al falò che Murtagh aveva acceso.
Mangiarono in silenzio, poi provarono a dare un po’ d’acqua a Brom, che però non bevve. Sfiniti, distesero a terra le coperte e si addormentarono.