46 Il percorso svelato

Sfiniti e smunti, ma pronti ad aprirsi in grandi sorrisi di trionfo, si sedettero intorno al fuoco congratulandosi a vicenda. Saphira ruggì di gioia, spaventando i cavalli. Eragon fissava le fiamme. Era orgoglioso di aver coperto sessanta leghe in cinque giorni. Era un’impresa notevole, perfino per un cavaliere in grado di cambiare cavalcatura regolarmente.

Sono fuori dall’Impero. Era un pensiero strano. Era nato nell’Impero, era sempre vissuto sotto il regno di Galbatorix, aveva perso la famiglia e i suoi migliori amici per colpa dei suoi servi, ed era stato più volte sul punto di morire nel suo dominio. Adesso era libero. Lui e Saphira non sarebbero più stati costretti a seminare soldati, evitare le città o nascondere la loro identità. Era una constatazione dal sapore agrodolce, perché gli costava la perdita del suo mondo.

Alzò gli occhi alle stelle che luccicavano nel firmamento. E anche se il pensiero di costruirsi una casa nella sicurezza dell’isolamento lo attirava, era stato testimone di troppe atrocità commesse in nome di Galbatorix, dall’omicidio alla schiavitù, per volgere le spalle all’Impero. Non era più soltanto una questione di vendetta per la morte di Garrow e di Brom: da Cavaliere, era suo dovere difendere coloro che non avevano la forza di resistere alla tirannia di Galbatorix.

Con un sospiro abbandonò le sue meditazioni e guardò l’elfa distesa accanto a Saphira. La luce arancione del falò dava al suo volto una calda morbidezza. Piccole ombre le danzavano sotto gli zigomi. Piano piano nella sua mente andò formandosi un’idea.

Eragon poteva sentire i pensieri delle persone e degli animali - e comunicare con loro in quella maniera, se voleva - ma era una cosa che aveva fatto di rado, tranne che con Saphira. Ricordava sempre rammonimento di Brom: non violare la mente di una persona se non è assolutamente necessario. Salvo quell’unica volta in cui aveva tentato di sondare la coscienza di Murtagh, Eragon si era trattenuto dal farlo.

Ora, tuttavia, cominciava a chiedersi se fosse possibile parlare all’elfa immersa in quel sonno indefinito. Potrei riuscire a capire dai suoi ricordi perché rimane così remota. Ma se poi si riprende, mi perdonerà per questa intrusione? Comunque finisca, devo tentare. È in queste condizioni da quasi una settimana. Senza parlare delle sue intenzioni né con Murtagh né con Saphira, s’inginocchiò al fianco dell’elfa e le posò il palmo sulla fronte.

Eragon chiuse gli occhi ed estese un filamento di pensiero, come per saggiare il terreno, verso la mente dell’elfa. La trovò senza difficoltà. Non era confusa o piena di dolore cóme si era aspettato, ma lucida e cristallina, come una nota emessa da una campana di vetro. All’improvviso un pugnale di ghiaccio gli trapassò il cervello. Un dolore lancinante gli esplose dietro gli occhi, schizzando spruzzi di colore. Provò a sottrarsi all’attacco, ma si ritrovò prigioniero in una morsa di ferro.. Eragon lottò come un disperato, facendo ricorso a ogni difesa che riusciva a immaginare. Il pugnale lo colpì di nuovo. Allora innalzò freneticamente le proprie barriere per attutire l’impatto. Il dolore fu meno lacerante della prima volta, ma gli fece perdere la concentrazione. L’elfa ne approfittò per schiacciare le sue difese.

Una coltre soffocante lo avvolse, spegnendogli i pensieri. La forza soverchiante lentamente si contrasse, spremendo da lui la vita goccia a goccia, anche se tentava di resistere, perché non voleva arrendersi.

L’elfa strinse la morsa ancora più forte, per estinguerlo come una candela. Disperato, Eragon gridò nell’antica lingua: «Eka ai fricai un Shur’tugal!» “Sono un Cavaliere e un amico!” L’abbraccio mortale non si allentò, ma la stretta si fermò e da lei emanò sorpresa.

Un secondo dopo seguì il sospetto, ma Eragon sapeva che lei gli avrebbe creduto: non poteva mentire nell’antica lingua. Tuttavia, per quanto avesse detto di essere un amico, questo non significava che non volesse farle del male. Per quanto ne sapeva lei, Eragon si riteneva un amico, e ciò rendeva vera l’affermazione dal suo punto di vista, ma lei poteva non considerarlo tale. L’antica lingua ha i suoi limiti, pensò Eragon, sperando che l’elfa fosse abbastanza curiosa da correre il rischio di lasciarlo libero.

Lo fu. La pressione si allentò, e le barriere intorno alla mente di lei si abbassarono esitanti. L’elfa permise che i loro pensieri si toccassero con circospezione, come due animali selvaggi quando s’incontrano per la prima volta. Un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Eragon. La mente di lei era remota. Era vasta e potente, carica di ricordi di innumerevoli anni. Pensieri oscuri aleggiavano lontani dalla vista e dal contatto; manufatti della sua razza lo fecero rabbrividire quando gli sfiorarono la coscienza: Eppure attraverso tutte le sensazioni scintillava una melodia di selvaggia, ipnotica bellezza, che incarnava la sua identità,

Come ti chiami? gli domandò lei, nell’antica lingua. La sua voce era stanca, incrinata da una quieta disperazione,

Eragon, E tu? La coscienza di lei lo attirò più vicino, invitandolo a immergersi nelle correnti dei suo sangue. Lui si oppose al richiamo con difficoltà, anche se il suo cuore anelava ad accoglierlo. Per la prima volta comprese la malìa degli elfi. Erano creature magiche, libere dalle leggi mortali della terra, diverse dagli esseri umani come i draghi lo erano dagli animali.

... Arya. Perché mi hai chiamata in questo modo? Sono ancora prigioniera dell’Impero?

No, sei libera! disse Eragon. Anche se conosceva poche parole dell’antica lingua, riuscì a formulare il messaggio: Anch’io ero prigioniero a Gil’ead, ma sono fuggito e, ti ho salvata. Da allora sono passati cinque giorni; abbiamo attraversato la regione più stretta del Deserto di Hadarac e ora siamo accampati ai piedi dei Monti Beor, io, il mio amico e la dragonessa Saphira. Per tutto questo tempo tu non ti sei mossa né hai detto una parola.

Ah... e così era Gil’ead. Fece una pausa. So che le mie ferite sono state sanate, ma non capivo perché... per prepararmi a qualche nuovo tipo di tortura, pensavo. Ora capisco che sei stato tu. In tono più dolce aggiunse: Malgrado questo, non mi sono risvegliata, e tu sei perplesso.

Sì.

Durante la prigionia mi hanno dato un raro veleno, lo Skilna Bragh, insieme a una, droga per sopprimere i miei poteri. Ogni mattina mi davano l’antidoto per quel veleno: per forza, se mi rifiutavo. Senza di esso sarei morta nel giro di poche ore. Ecco perché sono in trance... rallenta l’effetto dello Skilna Bragh, anche se non può fermarlo,.. Ho pensato di svegliarmi per porre fine alla mia esistenza e negare a Galbatorix la soddisfazione di, tenermi prigioniera, ma mi sono trattenuta, nella speranza che tu fossi un alleato... La sua voce si spense in un soffio.

Quanto a lungo puoi rimanere in questo stato? chiese Eragon.

Per settimane, ma temo che non mi resti più molto tempo. Questo sonno non può bloccare la morte per sempre. La sento già nelle mie vene. Se non ricevo presto l’antidoto, mi arrenderò al veleno in tre, quattro giorni

Dove si trova l’antidoto?

Esiste soltanto in due luoghi al di fuori dell’Impero: tra la mia gente e dai Varden. Purtroppo la mia casa è ben più lontana di un volo di drago.

E i Varden? Avremmo voluto portarti da loro, ma non sappiamo dove sono.

Te lo dirò... semi dai la tua parola che non rivelerai mai dove si trovano a Galbatorix o a chiunque lo serva, E dovrai giurarmi che non mi hai ingannata in alcun modo e che non hai intenzione di fare del male.agli elfì, ai nani, ai Varden o alla razza dei draghi.

Quello che chiedeva Arya era abbastanza semplice, se non avessero conversato nell’antica lingua. Eragon sapeva che lei pretendeva un giuramento più vincolante della vita stessa. Una volta fatto, non avrebbe mai potuto essere infranto. Ne sentì il peso mentre impegnava solennemente la sua parola.

Giuro di... Una serie di immagini vertiginose gli balenò nella mente all’improvviso. Si ritrovò a cavalcare lungo la catena dei Beor, viaggiando per molte leghe verso oriente. Fece del suo meglio per ricordare il percorso, mentre monti aguzzi e colline gli passavano accanto di corsa. Ecco che puntava a sud, seguendo ancora le montagne. Poi tutto vorticò bruscamente, e il ragazzo entrò in una valle stretta e tortuosa che serpeggiava attraverso le montagne, alla base di una cascata spumeggiante che si riversava in un profondo lago.

L’immagine si fermò. È lontano, disse Arya, ma non farti scoraggiare dalla distanza. Quando arriverai al Lago Kóstha-mérna, alla fine del fiume Zannadorso, raccogli una pietra, battila contro la rupe vicino alla cascata e grida: Ai varden abr du Shur’tugals gata vanta. Verrai ammesso.

Probabilmente ti sfideranno, ma non vacillare, per quanto possa sembrarti pericoloso.

Che cosa dovrebbero darti contro il veleno? chiese lui.

Le tremò la voce, ma poi riprese le forze. Di’ loro... di darmi il Nettare di Tùnivor. Adesso devi lasciarmi... ho consumato già troppe energie. Non provare più a parlarmi, a meno che tu non ce la faccia a raggiungere i Varden. In quel caso, c’è un’informazione che dovrò darti perché i Varden sopravvivano. Addio, Eragon. Cavaliere dei Draghi... la mia vita è nelle tue mani.

Arya si ritrasse dal contatto. Le melodie ultraterrene che erano echeggiate durante rincontro svanirono. Eragon rabbrividì e si costrinse ad aprire gli occhi. Murtagh e Saphira erano al suo fianco e lo osservavano preoccupati. «Stai bene?» gli chiese Murtagh. «Sei rimasto li immobile per quasi un quarto d’ora.»

«Davvero?» disse Eragon, battendo le palpebre.

Sì, e avevi l’espressione di un gargoyle col mal di stomaco, commentò Saphira, asciutta. Eragon si alzò, massaggiandosi le ginocchia indolenzite. «Ho parlato con Arya!» Murtagh inarcò un sopracciglio, come se si stesse chiedendo se era uscito di senno. «L’elfa» spiegò Eragon. «Si chiama così.»

E che cosa può guarirla? domandò Saphira, impaziente.

Eragon raccontò loro tutta la conversazione. «Quanto sono lontani i Varden?» chiese Murtagh.

«Non ne sono sicuro» confessò Eragon. «Da quello che mi ha mostrato, il loro rifugio è più lontano che da qui a Gil’ead.»

«E dovremmo riuscire a farcela in tre o quattro giorni?» esclamò Murtagh, infuriato. «Ma se ci abbiamo messo cinque lunghissimi giorni per arrivare qui! Che intenzioni hai? Di uccidere i cavalli? Sono stremati.».

«Ma se non facciamo niente, lei morirà! Se è troppo per i cavalli, Saphira potrà volare avanti con me e Ayra; almeno arriveremo dai Varden in tempo. Tu potrai raggiungerci con calma.»

Murtagh sbuffò e incrociò le braccia. «Ovvio. Murtagh, la bestia da soma. Murtagh, lo scudiero. Avrei dovuto ricordare che di questi tempi non servo ad altro. Oh, e non dimentichiamoci che ogni soldato dell’Impero mi sta cercando perché, guarda caso, tu non sei stato capace di difenderti e sono dovuto venire io a salvarti. Già, suppongo che seguirò le tue istruzioni e porterò i cavalli, da bravo servo.»

Eragon rimase sconcertato dall’improvviso veleno nella voce di Murtagh. «Ma cosa ti prende? Ti sono molto riconoscente per quello che hai fatto. Non c’è motivo di arrabbiarti con me! Non ti ho chiesto io di accompagnarmi o di salvarmi da Gil’ead. L’hai scelto tu. Non ti ho costretto.»

«Oh, non apertamente, no. Ma che altro potevo fare, se non aiutarti con i Ra’zac? E poi, a Gil’ead, come potevo lasciarti lì e avere la coscienza a posto? Il problema con te» disse Murtagh, puntando l’indice contro il petto di Eragon «è che sei così sprovveduto che costringi chiunque a prendersi cura di te!»

Le parole punsero Eragon sul vivo; riconobbe un seme di verità in esse. «Non mi toccare» sibilò. Murtagh scoppiò in una risata dura. «Altrimenti che cosa fai? Mi prendi a pugni? Ma se non sai nemmeno...» Fece per pungolarlo di nuovo col dito, quando Eragon gli afferrò il braccio e lo colpì allo stomaco.

«Ho detto non mi toccare!»

Murtagh si piegò in due, imprecando. Poi urlò e si avventò su Eragon. Caddero rotolandosi in un groviglio di braccia e gambe. Nessuno dei due sembrava voler risparmiare all’avversario duri colpi. Eragon sferrò un calcio verso il fianco destro di Murtagh, lo mancò e prese in pieno il falò. Scintille e tizzoni volarono dappertutto.

Continuarono a. picchiarsi, avvinghiati, cercando di assumere una posizione di vantaggio. Eragon riuscì a infilare i piedi sotto il torace di Murtagh e spinse con tutte le forze, Murtagh volò oltre la sua testa con una capriola, e atterrò dì schiena, con uno schianto secco.

Il fiato gli uscì dalla gola con un rantolo. Si rialzò e si volse di scatto, ansante, per affrontare Eragon. Si scagliarono di nuovo l’uno contro l’altro. La coda di Saphira piombò fra di loro, con un ruggito assordante. Eragon ignorò la dragonessa e cercò di scavalcare il serpente azzurro con un salto, ma lei gli fece lo sgambetto con una zampa artigliata e lo spedì a terra.

Basta!

Invano Eragon cercò di spostare la zampa muscolosa di Saphira dal petto, e vide che anche Murtagh era immobilizzato come lui. Saphira ruggì ancora, facendo schioccare le fauci. Voltò la testa verso Eragon e lo perforò con occhi lampeggianti. Proprio voi! Azzuffarvi come cani randagi per un avanzo di carne. Che cosa direbbe Brom!

Eragon si sentì avvampare e distolse lo sguardo. Sapeva benissimo che cosa avrebbe detto Brom. Saphira continuò a tenerli inchiodati a terra, per lasciar sbollire l’ira, poi disse a Eragon,. con una punta di asprezza: Ora, se non vuoi passare tutta la notte sotto la mia zampa.. chiedi con garbo a Murtagh che cosa lo turba. Girò il collo sinuoso verso Murtagh e lo fissò con impassibili occhi azzurri. E digli che non sopporterò insolenze da nessuno dei due.

Non ci consenti di alzarci? si lamentò Eragon.

No.

Eragon si volse riluttante verso Murtagh, assaggiando il sapore del sangue che gli scorreva dentro la guancia Murtagh evitò il suo sguardò e prese a fissare il cielo. «Allora? Ci libera o no?»

«No, a meno che non parliamo…Vuole che ti chieda qual è il vero problema» disse Eragon, imbarazzato.

Saphira ringhiò per tutta conferma e continuò a fissare Murtagh. Era impossibile sfuggire al suo sguardo implacabile. Murtagh alzò le spalle e borbottò qualcosa fra i denti. Gli artigli di Saphira premettero sul suo petto, e la sua coda frustò l’aria. Murtagh le scoccò un’occhiata furente, poi a voce alta disse: «Te l’ho già detto. Non voglio andare dai Varden.»

Eragon aggrottò la fronte. Era tutto lì? «Non vuoi... o non puoi?»

Murtagh cercò di spostare la zampa di Saphira, poi si arrese con un’invettiva. «Non voglio! Si aspettano da me delle cose che non posso dar loro.»

«Hai rubato qualcosa, per caso?»

«Vorrei che fosse così semplice.»

Eragon roteò gli occhi, esasperato. «E allora cos’è? Hai ucciso qualche persona importante o hai corteggiato la donna sbagliata?»

«No, sono nato» rispose Murtagh, enigmatico. Spinse di nuovo la zampa di Saphira. Questa volta lei li liberò entrambi. Si alzarono sotto il suo sguardo vigile e si spazzolarono la polvere dal fondo delle braghe.

«Continui a evitare la domanda» disse Eragon, tastandosi il labbro spaccato.

«E allora?» ribatté secco Murtagh, marciando impettito verso i margini del campo. Dopo un attimo sospirò. «Non importa il motivo per cui mi trovo in questa situazione, ma posso dirti che i Varden non mi accoglierebbero a braccia aperte nemmeno se portassi loro la testa del re. Oh, magari mi saluterebbero cordialmente e mi farebbero entrare nei loro consigli, ma fidarsi di me? Mai. Se arrivassi in circostanze meno opportune, come quelle attuali, mi metterebbero ai ferri.»

«Non vuoi dirmi di che cosa si tratta?» insistette Eragon. «Anch’io ho fatto cose di cui non vado orgoglioso, perciò non ti giudico.»

Murtagh scosse piano il capo, gli occhi che luccicavano. «Non è questo. Non ho fatto niente per meritare questo trattamento; sarebbe stato più facile rimediare, se fosse così. No... il mio unico crimine è quello di esistere.» Si fermò per prendere un respiro tremante. «Capisci, mio padre...»

Un acuto sibilo di Saphira troncò il suo discorso. Guardate!

I due seguirono il suo sguardo rivolto a ovest, Murtagh impallidì. «Demoni!»

A una lega circa di distanza, parallela alla catena montuosa, marciava una colonna di figure. La linea delle truppe, a centinaia, si allungava per oltre un miglio. La polvere si alzava sotto i loro talloni. Le armi scintillavano nella luce morente. Un alfiere procedeva in testa, su un carro nero, tenendo alto un vessillo cremisi.

«È l’Impero» disse Eragon avvilito. «Ci hanno trovati... in qualche modo.» Saphira protese il collo oltre la sua spalla e guardò la colonna.

«Già, ma quelli sono Urgali, non uomini» disse Murtagh.

«Come fai a saperlo?»

Murtagh indicò il vessillo. «Quella bandiera porta il simbolo personale di un capoclan degli Urgali. È una belva spietata, incline a violenti attacchi di follia.»

«L’hai già incontrato?»

Gli occhi di Murtagh si socchiusero. «Una volta, per poco. Conservo ancora le cicatrici di quell’incontro. Questi Urgali potrebbero non essere stati mandati a cercarci, ma sono sicuro che ormai ci hanno visti e che ci seguiranno. Quel capo non è tipo da lasciarsi sfuggire un drago, specie se gli è giunta notizia di Gil’ead.»

Eragon corse al fuoco e lo soffocò con qualche manciata di terra. «Dobbiamo fuggire! Tu non vuoi andare dai Varden, ma io devo portare Arya da loro prima che muoia. Facciamo un compromesso: tu mi accompagni finché non raggiungiamo il Lago Kóstha-mérna, poi andrai per la tua strada.»

Murtagh esitò, ed Eragon si affrettò ad aggiungere: «Se te ne vai adesso, sotto gli occhi degli Urgali, ti inseguiranno. Che cosa vuoi fare, affrontarli da solo?»

«D’accordo» disse Murtagh, gettando le bisacce in groppa a Tornac. «ma quando saremo vicini ai Varden, me ne andrò, questo è sicuro.»

Eragon moriva dalla voglia di interrogare ancora Murtagh, ma non con gli Urgali alle spalle. Raccolse le sue cose e sellò Fiammabianca. Saphira batté le ali e si alzò in volo, girando in cerchio sopra di loro per vigilare mentre abbandonavano l’accampamento.

Da che parte devo andare? domandò.

A est, lungo i Monti Beor.

Saphira bloccò le ali, approfittò di una corrente ascensionale per salire e dondolò nella colonna d’aria calda, restando sospesa sopra i cavalli. Chissà perché gli Urgali sono qui. Forse sono stati mandati per attaccare i Varden.

Allora dobbiamo cercare di avvertirli, disse Eragon, guidando Fiammabianca oltre ostacoli poco visibili. Mentre la notte scendeva, gli Urgali svanirono nell’oscurità dietro di loro.

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