50 In cerca di risposte

«Di qua» ordinò l’uomo calvo. Fece un passo indietro, il pugnale sempre premuto contro il mento di Murtagh, poi voltò a destra per imboccare una porta ad arco. I guerrieri lo seguirono prudenti, concentrati su Eragon e Saphira. I cavalli furono scortati in un altro tunnel.

Stordito dal turbine di eventi, Eragon si affrettò a seguire Murtagh. Scoccò un’occhiata a Saphira per avere la conferma che Arya fosse ancora legata sulla sua sella. Deve prendere l’antidoto! pensò, in preda al panico, sapendo che anche in quel momento lo Skilna Bragh stava scavando la sua strada di morte nella carne dell’elfa.

Seguì l’uomo calvo lungo uno stretto corridoio, sempre sotto la minaccia delle armi. Passarono davanti alla scultura, di uno strano animale con folte penne. Il corridoio piegò a sinistra, poi a destra. Si aprì una porta ed entrarono in una stanza spoglia, grande abbastanza perché Saphira vi si potesse muovere con agio. Si udì un cupo rimbombo quando la porta si chiuse, seguito da un raspare metallico che segnalò lo scatto del chiavistello.

Eragon studiò la sala, con Zar’roc ancora stretta in pugno. Le pareti, il pavimento e il soffitto erano di lucido marmo bianco, che rifletteva l’immagine spettrale di ogni presente, come uno specchio di latte screziato. In ciascuno degli angoli splendeva una delle insolite lanterne. «C’è qualcuno...» cominciò a dire Eragon, ma l’uomo calvo lo zittì con un gesto.

«Non parlare! Devi aspettare finché non sarai stato messo alla prova.» Spinse Murtagh contro uno dei guerrieri, che subito gli premette la lama sulla gola. L’uomo calvo giunse le mani. «Togliti le armi e dammele.» Un nano sganciò la spada di Murtagh e la lasciò cadere a terra con un sonoro clangore.

Pur restio a separarsi da Zar’roc, Eragon slacciò il fodero e lo depose, insieme alla spada, sul pavimento. Vicino posò l’arco e la faretra, e poi spinse le armi verso i guerrieri. «Ora allontanati dal drago e avvicinati a me, lentamente» ordinò l’uomo calvo.

Sconcertato, Eragon fece qualche passo avanti, ma quando furono a meno di un metro di distanza, l’uomo disse: «Fermati lì! Ora, elimina le difese che circondano la tua mente e preparati a farmi ispezionare i tuoi pensieri e i tuoi ricordi. Se provi a nascondermi qualcosa, prenderò quello che voglio con la forza... e questo ti farà impazzire. Se non ti sottometti, il tuo compagno verrà ucciso.»

«Perché?» chiese Eragon, atterrito.

«Per assicurarmi che non sei al servizio di Galbatorix e per capire perché centinaia di Urgali bussano alla nostra porta» ringhiò l’uomo calvo. I suoi occhi molto vicini non smettevano di guizzare da una parte e dall’altra. «Nessuno può entrare nel Farthen Pur senza aver passato l’esame.»

«Non c’è tempo. Abbiamo bisogno di un guaritore!» protestò Eragon.

«Silenzio!» ruggì L’uomo, stringendo con le dita lunghe e scarne i bordi del mantello. «Finché non avrai risposto, le tue parole non hanno significato!»

«Ma sta morendo!» ribattè Eragon infuriato, indicando Arya. Erano in una situazione difficile, ma non avrebbe permesso che accadesse nulla finché qualcuno non si fosse preso cura di Arya.

«Dovrà aspettare! Nessuno uscirà di qui finché non avremo scoperto la verità. A meno che...»

Il nano che aveva salvato Eragon dal lago s’intromise nella discussione. «Ma sei cieco, Egraz Carn? Non vedi che c’è un’elfa in sella al drago? Non possiamo tenerla qui, se è in pericolo di vita. Ajihad e il re pretenderanno la nostra testa, se la lasciamo morire!»

Gli occhi dell’uomo calvo si ridussero a due fessure lampeggianti di collera. Dopo qualche istante, riprese il controllo e disse: «Ma certo. Orik, non vogliamo che questo accada.» Schioccò due dita e indicò Arya. «Fatela scendere di lì.» Due guerrieri umani rinfoderarono le spade e si avvicinarono esitanti a Saphira, che li fissò truce. «Svelti, svelti!»

Gli uomini slegarono Arya dalla sella e deposero l’elfa sul suolo. Uno degli uomini ne scrutò il volto, poi esclamò, sorpreso: «È la portatrice dell’uovo di drago. Arya!»

«Che cosa?» esclamò l’uomo calvo. Gli occhi del nano Orik si spalancarono per lo stupore. L’uomo calvo squadrò Eragon con rinnovata curiosità e disse: «Dovrai darci parecchie spiegazioni.»

Eragon sostenne il suo sguardo con determinazione. «È stata avvelentata con lo Skilna Bragh mentre era in prigione. Soltanto il Nettare di Tùnivor può salvarla.»

Il volto dell’uomo divenne una maschera impassibile. Rimase immobile; solo le sue labbra si contraevano ogni tanto. «D’accordo. Portatela dai guaritori, e dite loro che cosa le occorre. Sorvegliatela finché la cerimonia non sarà completata. Poi avrò altri ordini per voi.» I guerrieri annuirono e trasportarono Arya fuori dalla stanza. Eragon li guardò uscire, col desiderio di accompagnarli. La sua attenzione tornò sull’uomo calvo, che disse; «Ora basta, abbiamo già perso troppo tempo. Preparati a essere esaminato.»

Eragon non voleva che quell’arrogante testa di biglia gli frugasse nella mente, mettendo a nudo ogni suo pensiero o emozione, ma sapeva che resistere sarebbe stato inutile. L’aria era tesa. Lo sguardo di Murtagh gli bruciava la fronte. Alla fine chinò il capo e disse: «Sono pronto.»

«Bene, allora...»

L’uomo calvo fu di nuovo interrotto da Orik, che disse in tono aspro: «Sarà meglio che tu non gli faccia del male, Egraz Carn, altrimenti il re avrà qualcosa da dirti.»

L’uomo calvo gli rivolse uno sguardo irritato, poi si voltò verso Eragon con un sorriso maligno.

«Solo se resiste.» Chinò il capo e cominciò a pronunciare una serie di parole impercettibili. Eragon risucchiò il fiato con un gemito di dolore quando qualcosa di acuto gli trafisse la mente all’improvviso.

Sgranò gli occhi e cominciò a innalzare barriere intorno alla propria coscienza. L’attacco era di una potenza inaudita.

Non farlo! gridò Saphira. I suoi pensieri si unirono a quelli di lui, donandogli forza. Così metti in pericolo Murtagh! Eragon esitò, digrignò i denti, poi si costrinse ad abbassare le difese, esponendosi all’indagine. Un sentore di delusione emanava dall’uomo calvo, che intensificò il suo attacco. La forza sprigionata dalla sua mente aveva qualcosa di marcio, di malsano; c’era un che di profondamente sbagliato in essa.

Vuole che mi opponga! esclamò Eragon mentre una nuova ondata di dolore lo travolgeva. Un secondo dopo parve calare, ma solo per essere sostituita da una terza. Saphira fece del suo meglio per sopprimerla, ma nemmeno lei poteva arginarla.

Dagli quello che vuole, suggerì, frenetica, ma proteggi il resto. Ti aiuterò io. La sua forza è superiore alla mia, e già sto consumando le mie energie per schermare il nostro dialogo.

Ma perché fa male?

Il dolore viene da te.

Eragon fece una smorfia mentre l’indagine scavava più a fondo, cercando informazioni, come un chiodo infilato nel suo cranio. L’uomo calvo trovò i suoi ricordi d’infanzia e prese a sfogliarli.

Quelli non gli servono... fallo uscire di lì! gridò Eragon, infuriato.

Non posso senza metterti in pericolo, disse Saphira. Posso nascondergli le cose, ma prima che le veda. Pensa in fretta, e dimmi che cosa vuoi che nasconda!

Eragon cercò di concentrarsi, nonostante il dolore. Ripercorse rapido tutti i suoi ricordi, da quando aveva trovato l’uovo di Saphira. Nascose parti delle sue conversazioni con Brom, comprese le parole antiche che il vecchio gli aveva insegnato, mentre lasciò intatti i ricordi dei viaggi attraverso la Valle Palancar, Yazuac. Daret e Teirm. Chiese però a Saphira di nascondere tutto ciò che ricordava di Angela l’indovina e di Solembum. Saltò dal furto commesso nella fortezza di Teirm alla morte di Brom, dalla prigionia a Gil’ead alla rivelazione di Murtagh della propria vera identità. Eragon avrebbe voluto nascondere anche quella, ma Saphira si rifiutò. I Varden hanno il diritto di sapere a chi stanno dando asilo, specie se è il figlio di un Rinnegato!

Fallo e basta, si ostinò Eragon, lottando contro un’altra ondata di dolore. Non voglio essere io a rivelarlo, almeno non a quest’uomo.

Lo scoprirà non appena esaminerà Murtagh, lo avvertì Saphira.

Fallo, ho detto.

Nascosta l’informazione più importante, Eragon non potè far altro che aspettare che l’uomo calvo portasse a termine la sua ispezione. Era come restare immobile mentre ti vengono strappate le unghie con una pinza arrugginita. Il suo corpo era rigido, la mascella serrata. La stia pelle emanava un forte calore e un rivolo di sudore gli colava dietro il collo. Sentiva ogni secondo, e i minuti passavano con esasperante lentezza.

Il calvo si aggirava pigramente fra le sue esperienze, come un rampicante spinoso che si fa strada verso il sole. Prestava attenzione a molte cose che Eragon considerava irrilevanti, come sua madre, Selena, e parve indugiarvi di proposito, per prolungare la sofferenza. Passò molto tempo a sfogliare i ricordi dei Ra’zac e poi dello Spettro. Soltanto quando ebbe scandagliato tutte le avventure di Eragon, l’uomo calvo cominciò a ritirarsi dalla sua mente.

Quando ne uscì, a Eragon parve che gli sfilassero una scheggia dal cervello. Rabbrividì, vacillò e si accasciò a terra. Un paio di braccia robuste lo afferrarono un istante prima che toccasse il pavimento, adagiandolo con delicatezza sul freddo marmo. Sentì Orik che esclamava alle sue spalle: «Hai esagerato! Non era abbastanza forte per questo.»

«Sopravviverà, ed è questo che conta» rispose gelido l’uomo calvo.

Il nano sbuffò, seccato, poi chiese: «Cos’hai trovato?»

Silenzio.

«Allora, ci possiamo fidare o no?»

Le parole giunsero stentate. «Lui... non è vostro nemico.» In tutta la stanza echeggiarono sospiri di sollievo.

Eragon socchiuse le palpebre tremanti e provò ad alzarsi di scatto. «Sta’ calmo» disse Orik, e gli cinse le spalle con un braccio per aiutarlo a mettersi in piedi. Eragon ondeggiò incerto sulle gambe, guardando in tralice l’uomo calvo, Saphira emise un sordo brontolio di gola.

L’uomo calvo li ignorò. Si rivolse a Murtagh, che era ancora sotto la minaccia della spada. «Adesso tocca a te.»

Murtagh si irrigidì e scosse il capo. La spada gli graffiò il collo e un rivoletto di sangue gli macchiò la pelle. «No.»

«Non ti proteggeremo, se ti rifiuti.»

«Eragon è stato dichiarato degno di fiducia, perciò non puoi influenzarmi minacciando di ucciderlo. Capisci bene che qualunque cosa tu dica o faccia, non servirà a costringermi ad aprire la mente.»

L’uomo calvo arricciò le labbra e inarcò quello che sarebbe stato un sopracciglio, se ne avesse avuto uno. «E la tua vita? Posso sempre minacciare quella.»

«Mi è del tutto indifferente» rispose Murtagh ostinato, con una tale forza nella voce da non lasciare ombra di dubbio sulla sua sincerità.

L’uomo calvo esplose. «Non hai scelta!» Si avvicinò a Murtagh e gli posò il palmo sulla fronte, premendo le dita aperte per tenergli ferma la testa. Murtagh si irrigidì, il volto duro come il ferro, i pugni stretti, i muscoli del collo gonfi. Era chiaro che si stava opponendo all’attacco con tutte le sue forze. L’uomo calvo scoprì i denti per la rabbia e la delusione; le sue dita affondarono senza pietà nella carne di Murtagh.

Eragon prese ad agitarsi, ben conoscendo la lotta che si svolgeva fra i due. Non puoi aiutarlo? chiese a Saphira.

No, rispose lei in tono sommesso. Non permette a nessuno di entrargli nella mente.

Orik si accigliò nel guardare i contendenti. « Ilf carnz orodum» mormorò, poi si fece avanti e gridò:

«Basta!» Afferrò la mano dell’uomo calvo e la scostò dalla fronte di Murtagh con una forza sproporzionata rispetto alla sua taglia.

L’uomo calvo indietreggiò barcollando, poi si rivolse a Orik con rabbia. «Come osi?» ululò. «Hai criticato la mia autorità, hai aperto i cancelli senza permesso, e ora questo! Non sei altro che un insolente e un traditore. Credi che il tuo re continuerà a proteggerti, quando lo saprà?»

Orik non si lasciò intimorire. «Tu li avresti lasciati morire! Se avessi aspettato solo un altro istante, gli Urgali li avrebbero uccisi.» Indicò Murtàgh, che ansimava. «Non abbiamo il diritto di torturarlo per estorcergli informazioni! Ajihad non approverebbe. Non dopo che hai esaminato il Cavaliere e lo hai trovato degno di fiducia. E ricorda, ci hanno riportato Arya.»

«Allora permetteresti loro di entrare senza esame? Sei così stupido da metterci tutti, a rischio?» disse l’uomo calvo, schiumando di collera a stento repressa; sembrava pronto a balzare alla gola del nano.

«Sa usare la magia?»

«Cosa...»

«Sa usare la magia?» ruggì Orik. La sua voce roca echeggiò per tutta la sala. L’uomo calvo perse di colpo ogni espressione. Si intrecciò le mani dietro la schiena.

«No.»

«Allora di che cosa hai paura? È impossibile che fugga, e non può fare niente di male con tutti noi qui, soprattutto se i tuoi poteri sono così grandi come sostieni. E comunque non ascoltare me; chiedi a Ajihad cosa vuole.»

L’uomo calvo fissò Orik per un momento, con espressione indecifrabile, poi alzò gli occhi al soffitto e li chiuse. Le sue spalle assunsero una rigidezza innaturale, mentre le sue labbra si muovevano senza emettere suono. Rughe profonde gli solcarono la pallida pelle della fronte, e le sue dita si strinsero, come se stesse strangolando un nemico invisibile. Rimase così per parecchi minuti, assorto in una muta conversazione.

Quando aprì gli occhi, ignorò deliberatamente Orik per ordinare brusco ai guerrieri: «Uscite subito!» Mentre gli uomini abbandonavano la sala in ranghi ordinati, si rivolse a Eragon e disse in tono gelido: «Poiché non sono riuscito a completare il mio esame, tu e... il tuo amico resterete qui, stanotte. Se cerca di fuggire, verrà ucciso.» Detto questo, si voltò e usci dalla stanza, il cranio rasato che scintillava pallido alla luce delle lanterne.

«Grazie» mormorò Eragon a Orik.

Il nano borbottò una frase di assenso. «Farò in modo che vi portino da mangiare» disse. Mormorò una serie di parole sottovoce, poi uscì, scuotendo il capo. Il chiavistello scattò di nuovo. Eragon si sedette, stranamente stordito dopo l’eccitazione della giornata e la marcia forzata. Aveva le palpebre pesanti. Saphira si accovacciò accanto a lui. Dobbiamo stare attenti. Sembra che qui abbiamo tanti nemici quanti nell’Impero. Eragon annuì, troppo stanco per parlare.

Murtagh, gli occhi vitrei e vuoti, fece scivolare la schiena contro la parete e si sedette. Teneva la manica della camicia premuta contro il taglio sul collo, per fermare il sangue. «Stai bene?» gli chiese Eragon. Murtagh annuì stancamente. ««È riuscito a sapere qualcosa da te?»

«No.»

«Come hai fatto a resistergli? È molto forte.»

«Sono... sono stato ben addestrato.» Nella sua voce risuonò una nota amara.

Li avvolse una cappa di silenzio. Lo sguardo di Eragon indugiò su ciascuna delle lanterne appese negli angoli. Lasciò vagare i pensieri, finché non si riscosse per dire: «Non gli ho permesso di sapere chi sei.»

Murtagh parve sollevato. Chinò il capo e disse: «Ti ringrazio di non avermi tradito.»

«Non ti hanno riconosciuto.»

«No.»

«Ma sostieni ancora di essere il figlio di Morzan?» «Sì» sospirò Murtagh.

Eragon fece per parlare, ma si fermò quando sentì del liquido caldo piovergli su una mano. Abbassò lo sguardo e rimase sbalordito nel vedere una grossa goccia di sangue scuro colargli sulla pelle. Era caduta dall’ala di Saphira. Dimenticavo che sei ferita! esclamò, alzandosi con uno sforzo. Devo curarti.

Sta’ attento. È facile commettere errori, quando si è così stanchi.

Lo so. Saphira aprì una delle ali e la distese sul pavimento. Mentre Murtagh lo osservava, Eragon fece scorrere le mani sulla calda membrana azzurra, dicendo: «Waise heill» ogni volta che scopriva un foro di freccia. Per loro fortuna, tutte le ferite furono abbastanza facili da rimarginare, perfino quelle sul muso.

Completata l’opera, Eragon si abbandonò contro il fianco di Saphira, respirando affannoso. Sentiva il grande cuore della dragonessa pulsare con il costante battito della vita. «Spero che facciano in fretta a portarci il cibo» disse Murtagh.

Eragon scrollò le spalle; era troppo stanco per avere . fame. Incrociò le braccia, avvertendo la mancanza del peso di Zar’roc al suo fianco. «Perché sei qui?»

«Che cosa?»

«Se sei davvero il figlio di Morzan, come mai Galbatorix ti permette di gironzolare libero per tutta l’Alagasëia? Come hai fatto a trovare i Ra’zac da solo? Perché non ho mai sentito dire che i Rinnegati hanno avuto dei figli? E che cosa ci fai qui?» La sua voce era cresciuta d’intensità fino a diventare quasi un grido.

Murtagh si passò le mani sul viso. «È una lunga storia.»

«Non abbiamo impegni» ribattè Eragon.

«È troppo tardi per parlare.»

«Probabilmente domani non ne avremo il tempo.»

Murtagh si abbracciò le gambe e appoggiò il mento sulle ginocchia, dondolando avanti e indietro, gli occhi fissi sul pavimento di marmo. «Non è...» cominciò, ma s’interruppe. «D’accordo, ma non ho intenzione di fermarmi... perciò mettiti comodo. La mia storia non è affatto breve.» Eragon si sistemò meglio contro il fianco di Saphira e annuì, Saphira guardava entrambi con grande interesse. La prima frase di Murtagh fu esitante, ma via via la sua voce assunse forza e sicurezza. «Per quanto ne so... io sono l’unico figlio dei Tredici Servi, o Rinnegati, come sono anche chiamati. Potrebbero essercene degli altri, poiché i Tredici sono sempre stati abili a nascondere quello che volevano, ma ne dubito, per ragioni che ti spiegherò in seguito.

«I miei genitori si conobbero in un piccolo villaggio, non ho mai saputo quale, mentre mio padre era in viaggio per conto del re. Morzan si mostrò gentile con mia madre, senza dubbio.un inganno per conquistare la sua fiducia, e quando lui ripartì, lei andò con lui. Viaggiarono insieme per qualche tempo e com’è nella natura di queste cose, mia madre finì per innamorarsi di lui, Morzan si compiacque di scoprirlo, non solo perché gli dava l’opportunità di tormentarla, ma soprattutto perché riconobbe il vantaggio di avere una persona al suo servizio che non lo avrebbe mai tradito.

«Così, quando Morzan tornò alla corte di Galbatorix, mia madre divenne lo strumento dei suoi complotti. La usava per portare messaggi segreti, e le insegnò qualche rudimento di magia, che la aiutava a non farsi scoprire e in qualche occasione a ottenere informazioni dalla gente. Lui faceva del suo meglio per proteggerla dal resto dei Tredici, non perché provasse dei sentimenti per lei, ma perché loro l’avrebbero usata contro di lui, se ne avessero avuta l’occasione. Per tre anni le cose andarono avanti così, finché mia madre non rimase incinta.»

Murtagh fece una pausa, inanellandosi una ciocca di capelli intomo al dito. Poi riprese in tono serrato: «Mio padre, se non altro, era un uomo molto astuto. Sapeva che la gravidanza avrebbe messo in pericolo sia lui che mia madre, per non parlare del bambino, ossia me. E così una notte la fece sparire di nascosto dal palazzo e la portò nel suo castello. Una volta giunti sani e salvi, evocò potenti incantesimi per impedire a chiunque, tranne pochi servi fidati, di entrare nella sua proprietà. In questo modo la gravidanza rimase segreta a tutti, tranne che a Galbatorix.

«Galbatorix conosceva i più intimi dettagli delle vite dei Tredici: le loro tresche, le loro dispute e, cosa più importante, i loro pensieri. Si divertiva a vederli litigare fra loro e spesso parteggiava per l’uno o per l’altro, solo per il gusto della battaglia. Ma per qualche ragione non rivelò mai la mia esistenza.

«Non appena venni alla luce, fui affidato a una balia perché mia madre potesse tornare al fianco di Morzan. Non aveva scelta. Morzan le permetteva di venirmi a fare visita a mesi alterni, ma per il resto eravamo separati. Passarono altri tre anni, durante i quali Morzan mi procurò... la cicatrice sulla schiena.» Murtagh tacque per qualche istante, il volto corrucciato.

«Sarei cresciuto in questo modo se Morzan non fosse stato chiamato a cercare l’uovo di Saphira. Non appena partì, mia madre, che era rimasta a palazzo, sparì. Nessuno sa dove andò, né perché. Il re mandò i suoi uomini a cercarla, ma nessuno riuscì a trovarla: senza dubbio fu grazie all’addestramento che lei aveva ricevuto da Morzan.

«All’epoca della mia nascita, soltanto cinque dei Tredici erano ancora in vita. Quando Morzan partì, il numero si era ridotto a tre; quando alla fine affrontò Bfom a Gil’ead, era l’unico rimasto. I

Rinnegati trovarono la morte sotto diverse forme: suicidio, agguati, abuso di magia... ma perlopiù fu opera dei Varden. Il re fu sconvolto da una collera terribile per la loro perdita.

«Tuttavia, prima che la notizia della morte di Morzan e degli altri giungesse alle sue orecchie, mia madre tornò. Erano passati molti mesi da quando era scomparsa. Stava male, come se soffrisse di una grave malattia, e col tempo peggiorò. Nel giro di due settimane morì.»

«E poi che cosa accadde?» incalzò Eragon.

Murtagh si strinse nelle spalle. «Sono cresciuto. Il re mi portò a palazzo e diede disposizioni per la mia educazione. A parte questo, mi lasciò in pace.»

«Allora perché te ne andasti?»

Murtagh proruppe in una risata amara. «Fuggii, per meglio dire. Il giorno del mio diciottesimo compleanno, il re mi mandò a chiamare nei suoi appartamenti per una cena. L’invito mi sorprese, perché mi ero sempre tenuto in disparte dalla vita di corte e lo avevo incontrato di rado. Avevamo parlato qualche volta, ma sempre alla presenza degli altri nobili.

«Accettai l’invito, naturalmente, perché sapevo che sarebbe stato poco saggio rifiutare. La cena fu sontuosa, ma per tutto il tempo i suoi occhi neri non si staccarono da me. Il suo sguardo èra inquietante; sembrava che cercasse un segreto sul mio volto. Non sapevo come comportarmi e feci del mio meglio per imbastire una conversazione affabile, ma lui non voleva parlare, e così mi arresi.

«Finita la cena, cominciò a parlare lui. Non hai mai sentito la sua voce, perciò mi è difficile farti capire quanto fosse affascinante, quanto le sue parole fossero intriganti. Era come un serpente che mi sussurrasse parole mielate nelle orecchie. Non ho mai sentito un uomo più convincente e impressionante. Mi descrisse una visione: l’immagine dell’Impero come avrebbe voluto che fosse. In tutto il paese sarebbero sorte splendide città, popolate dai più valorosi guerrieri, da artigiani, musicisti e filosofi. Gli Urgali sarebbero stati finalmente estirpati. E l’Impero si sarebbe espanso in ogni direzione fino a raggiungere i quattro angoli di Alagasëia. Pace e prosperità avrebbero regnato, ma la cosa davvero meravigliosa era la sua intenzione di riportare in auge i Cavalieri perché governassero con giustizia i suoi feudi.

«Lo ascoltai incantato per quelle che devono essere state ore intere. Quando ebbe finito gli chiesi come poteva restaurare l’ordine dei Cavalieri, dato che tutti sapevano che non erano rimaste uova di drago. Galbatorix si irrigidì e mi fissò, pensieroso. Per lunghi minuti rimase in silenzio, ma poi mi tese la mano e disse; “Figlio del mio amico, vuoi essere al mio fianco nel realizzare questo paradiso?”

«Sebbene conoscessi la storia di come lui e mio padre avevano assunto il potere, il sogno che aveva dipinto per me era troppo allettante, troppo seducente per ignorarlo. Mi sentii colmare di eccitazione per la missione, e gli diedi la mia, parola. Ovviamente compiaciuto. Galbatorix mi diede la sua benedizione e mi congedò dicendo; “Ti chiamerò quando arriverà il momento.”

«Passarono parecchi mesi. Quando mi mandò a chiamare, sentii rinascere in me quell’ardore evocato dalla sua visione. Ci incontrammo da soli come la prima volta, ma quel giorno non lo trovai cordiale né affascinante. I Varden avevano appena distrutto tre delle sue brigate nel sud del paese, e la sua ira era esplosa. Mi incaricò con voce terribile di guidare un reparto di soldati e andare a distruggere Cantos, dove si sapeva che i ribelli avevano un nascondiglio. Quando gli chiesi che cosa dovevamo fare del popolo e come avremmo fatto a sapere se erano colpevoli, lui gridò: “Sono tutti traditori! Bruciateli sul rogo e seppellite le loro ceneri nel fango!” Continuò a inveire contro i suoi nemici, descrivendo come avrebbe bruciato le terre di chiunque lo avesse ostacolato.

«Il suo tono era così diverso da quando lo avevo incontrato la prima volta; mi fece capire che non possedeva la pietà o la lungimiranza per guadagnarsi la lealtà dei sudditi, e che governava soltanto con la forza bruta guidata dalle sue passioni. Fu in quel momento che mi decisi a fuggire per sempre da lui e da Urù’baen.

«Non appena rimasi da solo, io e il mio fedele servitore. Tornac, ci preparammo a fuggire. Partimmo quella notte stessa, ma in qualche modo Galbatorix anticipò le mie mosse, perché trovammo dei soldati appostati fuori dai cancelli. La mia spada assaggiò tanto di quel sangue che la sua lama non rifletteva più la luce delle lanterne. Sconfiggemmo le guardie... ma Tornac rimase ucciso.

«Solo, col cuore gonfio di angoscia, mi rifugiai in casa di un vecchio amico. Restando nascosto, mi informavo su ogni diceria, nel tentativo di prevedere le azioni di Galbatorix e predisporre il mio futuro. Durante quel periodo, mi giunse voce che i Ra’zac erano stati mandati a catturare o uccidere qualcuno. Ricordando i piani dì Galbatorix per i Cavalieri, decisi di trovare e seguire i Ra’zac, nel caso che fossero riusciti a trovare un drago. Ed ecco come ti ho trovato... Adesso non ho più segreti.»

Ancora non sappiamo se dice la verità, mormorò Saphira.

Lo so, disse Eragon, ma perché dovrebbe mentirci?

Potrebbe essere pazzo.

Ne dubito. Eragon fece scorrere un dito sulle dure squame di Saphira, osservando i riflessi della luce danzare su di loro. «Allora perché non ti unisci ai Varden? Forse al principio non si fiderebbero di te, ma una volta dimostrata la tua lealtà, ti tratteranno con rispetto. In un certo senso non sono tuoi alleati? Anche loro combattono per rovesciare il re. Non è quello che vuoi anche tu?»

«Ma devo spiegarti proprio tutto!» esclamò Murtagh esasperato. «Non voglio che Galbatorix scopra dove sono, e sarà inevitabile se comincia a girar voce che mi sono unito ai suoi nemici. Questi...»

S’interruppe, poi riprese con una smorfia: «... questi ribelli non vogliono soltanto rovesciare il re, ma distruggere l’Impero, e io non voglio che questo accada. Sarebbe l’anarchia. Il re è corrotto, sono d’accordo, ma il sistema è sano, E per quanto riguarda la possibilità di guadagnarmi il rispetto dei Varden... Ah! Una volta svelata la mia identità, mi tratterebbero come un criminale o peggio. Non solo; ma comincerebbero a sospettare anche di te, perché viaggiamo insieme!»

Ha ragione, disse Saphira.

Eragon la ignorò. «Non può essere tutto così nero» disse, cercando di assumere un tono ottimista. Murtagh sbuffò beffardo e distolse lo sguardo. «Sono sicuro che loro non ti...» La sua frase venne interrotta dal rumore della porta che si apriva. Attraverso uno spiraglio largo una spanna, vennero spinte all’interno della sala due scodelle. Seguirono una pagnotta e un pezzo di carne cruda; poi la porta si richiuse con un tonfo.

«Finalmente!» borbottò Murtagh, avvicinandosi al cibo. Gettò la carne a Saphira, che la prese al volo con uno schiocco di denti e la ingoiò intera. Poi divise in due la pagnotta, ne diede metà a Eragon, prese la sua scodella e si ritirò in un angolo.

Mangiarono in silenzio. «Adesso ho voglia di dormire» annunciò Murtagh, posando la scodella senza dire altro.

«Buonanotte» disse Eragon. Si distese accanto a Saphira, le braccia sotto la testa. Lei gli cinse il corpo con il lungo collo, come un gatto che si acciambella, e posò la testa accanto alla sua. Distese una delle ali sopra di lui come una tenda azzurra, avviluppandolo nell’oscurità.

Buonanotte, piccolo mio.

Un lieve sorriso comparve sulle labbra di Eragon, anche se stava già dormendo.

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