XIV

Di colpo fu il 1935.

Non notammo nessun cambiamento nella squallida stanza in cui ci trovavamo, ma sapemmo di essere su per la linea.

Portavamo scarpe strette e abiti buffissimi e avevamo vero denaro contante, dollari degli Stati Uniti, perché lì l’impronta del pollice non era moneta legale. L’uomo mandato avanti a preparare la visita ci aveva fatto le prenotazioni in un grande albergo di New Orleans che dava su Canal, proprio al limitare del vecchio quartiere francese, per la prima parte del nostro soggiorno; e dopo che Jeff Monroe ci ebbe impartito un ultimo invito alla circospezione, uscimmo e girammo l’angolo.

Il traffico automobilistico era fantastico, per quell’anno che si presumeva «depresso». Ed era fantastico anche il baccano. Passeggiammo a due per due, con Jeff in testa. Facevamo un gran guardare, ma questo non avrebbe insospettito nessuno. La gente del posto avrebbe semplicemente pensato che eravamo turisti arrivati freschi dall’Indiana. Niente, nella nostra curiosità, ci rivelava come turisti arrivati freschi freschi dal 2059.

Thibodeaux, il dirigente dell’azienda elettrica, non riusciva a mandar giù lo spettacolo dei cavi all’aperto, penzolanti da un palo all’altro. — Ho letto tutte queste cose — disse più volte. — Ma non ci avevo mai creduto!

Le donne ridacchiavano parecchio, per via della moda. Era un’umida e afosa giornata di settembre, eppure erano tutti coperti. Le donne non riuscivano a capirlo.

Il clima ci diede fastidio. Prima non eravamo mai stati esposti alla vera umidità: nelle città sotterranee non esiste, naturalmente, e solo un pazzo può salire in superficie quando il clima è brutto. Perciò sudavamo e sbuffavamo.

E in albergo l’aria condizionata non c’era. Suppongo che non l’avessero ancora inventata.

Jeff ci fece sistemare tutti in albergo. Quando lui ebbe finito di firmare, l’impiegato (che naturalmente era umano e non un terminale di computer) suonò un campanello e gridò: — Servizio! — E un plotone di gentili inservienti negri venne a prendere i nostri bagagli.

Udii la signora Bienvenu, la moglie dell’avvocato, che bisbigliava al marito: — Credi che siano schiavi?

— No! — rispose lui, di scatto. — Gli schiavi sono stati emancipati settant’anni fa!

L’impiegato doveva aver udito. Chissà cosa ne pensò.


Il Corriere aveva sistemato me e Flora Chambers in un’unica stanza. Spiegò che ci aveva registrati come signori Elliott, perché non era lecito assegnare a una coppia non sposata la stessa stanza d’albergo anche se i due facevano parte della stessa comitiva turistica. Flora mi rivolse un sorriso smorto ma speranzoso e disse: — Fingeremo di avere un legame temporaneo!

Monroe le lanciò un’occhiataccia. — Qui non si parla delle consuetudini di giù per la linea!

— Nel 1935 non ci sono relazioni temporanee?

Silenzio! — sibilò Monroe.

Aprimmo le valige, facemmo il bagno, e uscimmo a vedere la città. Visitammo Basin Street e ascoltammo alcuni rispettabili brani di jazz primitivo. Poi proseguimmo per qualche isolato fino a Bourbon Street, per bere qualcosa e assistere a uno spogliarello. Il locale era pieno: e ci sbalordiva che tanti adulti, uomini e donne, fossero capaci di starsene lì seduti un’ora buona, sopportando la musica mediocre e l’atmosfera inquinata, solo per attendere che comparisse una ragazza e si togliesse qualche indumento.

Quando finalmente si spogliò, tenne minuscole capsule lucenti sui capezzoli e un pezzo triangolare di stoffa sulla regione pubica. Chiunque s’interessi veramente alla nudità può vederne ben di più ogni giorno, in un bagno pubblico. Ma naturalmente, ci dicemmo, quella era un’epoca repressiva, sessualmente strozzata.

Le bevande e le altre spese ai nightclub vennero tutte caricate su un unico conto, e Jeff Monroe provvedeva a pagare. Il Servizio temporale non voleva che noi turisti ignoranti maneggiassimo della moneta che non conoscevamo, se non quando era assolutamente necessario. Inoltre il Corriere teneva abilmente a bada gli ubriachi che continuavano ad assediare il nostro gruppo, i mendicanti, le prostitute in cerca di clienti, e altre sfide alla nostra capacità di fronteggiare la situazione sociale del 1935.

— Essere Corriere — osservò Flora Chambers, — è un lavoro difficile.

— Ma pensa a tutti i viaggi gratis — dissi io.

Eravamo profondamente impressionati dalla bruttezza della gente di su per la linea.

Sapevamo che lì non c’erano centri genetici, che la microchirurgia estetica era sconosciuta, e che la genetica estetica, se qualcuno ne avesse parlato nel 1935, sarebbe stata giudicata una cospirazione fascista o comunista contro il diritto degli uomini liberi di avere figli brutti. Tuttavia non potemmo evitare di provare stupore e sbigottimento nel vedere gli orecchi male appaiati, le carnagioni butterate, i denti storti, i nasi grossi, tutta quella gente non programmata e non riveduta e corretta. Il membro più brutto della nostra comitiva era una bellezza sensazionale, in confronto alla media del 1935.

Commiserammo tutti coloro che erano costretti a vivere in quell’ epoca meschina e oscurantista.

Quando tornammo nella nostra stanza d’albergo. Flora si tolse tutti gli indumenti e si gettò sul letto a gambe aperte. — Sbattimi! — gridò. — Sono sbronza.

Ero un po’ sbronzo anch’io, e così la sbattei.

Madison Jefferson Monroe aveva prudentemente concesso a ognuno di noi una sola bevanda alcolica durante l’intera serata. Nonostante tutte le tentazioni non ci era stato concesso il bis, e avevamo dovuto accontentarci di bibite analcoliche. Non poteva correre il rischio che dicessimo qualcosa di pericoloso sotto l’influenza dell’alcol, sostanza cui non eravamo abituati. Ma quell’unica dose bastò a sciogliere alcune lingue e a mandare in corto circuito alcuni cervelli, e sfuggirono alcune frasi che avrebbero potuto provocare guai se qualcuno le avesse udite.

Mi stupiva vedere la gente del ventesimo secolo che beveva tanto senza crollare.

(— Abituati all’alcol mi aveva esortato Sam. — È il veleno mentale preferito in molti posti, su per la linea. Creati la tolleranza all’alcol, se no potrai avere dei problemi. — Io avevo replicato: — Niente droghe? — E lui: — Be’, troverai un po’ di erba qua e là, ma niente di veramente psichedelico. Non ci sono fiutatoi da nessuna parte. Impara a bere, Jud. Impara a bere).

Quella notte, più tardi, Jeff Monroe entrò in camera nostra. Flora giaceva esausta e inconscia; Jeff e io parlammo a lungo dei problemi dell’attività di Corriere. Lo trovai simpatico, nonostante la sua aria blanda e sfuggente.

Sembrava che il suo lavoro gli piacesse. La sua specialità consisteva negli Stati Uniti del ventesimo secolo, e l’unica cosa di cui si lagnava era la massacrante routine che gli imponeva di fare il giro dei delitti politici. — Nessuno ci tiene a vedere altro si lamentò. — Dallas, Los Angeles, Memphis, New York, Chicago, Baton Rouge, Cleveland, sempre le stesse cose. Non so dirti quanto sono stufo di aprirmi la strada a spintoni in mezzo alla folla, vicino a quel sottopassaggio, e indicare quella finestra del sesto piano, e vedere quella povera donna che si butta sul corpo del marito.

Almeno la faccenda di Huey Long è relativamente poco ricercata. Però a Dallas ci sono ormai venti me stesso. Ma la gente non ci tiene a vedere i momenti felici del ventesimo secolo?

— Perché, ce n’erano? — replicai.

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