XXXIV

Pensavo anche di aver meritato il diritto di trascorrere la licenza nella villa di Metaxas, nel 1105. Non ero più una peste, un apprendista: ero, a pieno diritto, membro della confraternita dei Corrieri temporali. E uno dei migliori in attività, secondo me. Non dovevo temere di essere accolto male in casa di Metaxas.

Controllai il quadro delle assegnazioni e scoprii che Metaxas, come me, aveva appena terminato un giro. Quindi doveva essere nella sua villa. Scelsi altri abiti bizantini, requisii una borsa di bisanti d’ oro e mi preparai a balzare nel 1105.

Poi rammentai il paradosso della discontinuità.

Non sapevo quando nel 1105 dovevo arrivare. E dovevo tener conto della base di Metaxas in tempo reale, lassù. Nel tempo attuale, per me, era il novembre 2059.

Metaxas era appena balzato su per la linea in qualche punto del 1105 che per lui corrispondeva al novembre del 2059. Supponiamo che quel punto fosse nel luglio del 1105. Se io, non sapendolo, mi fossi smistato — poniamo — nel marzo di quell’anno, il Metaxas che avrei trovato non avrebbe neppure saputo chi ero. Sarei stato un ficcanaso non invitato. Se fossi balzato — poniamo — nel giugno del 1105, sarei stato il novellino che Metaxas aveva appena accompagnato in un giro di addestramento. E se fossi saltato — mettiamo — nell’ottobre del 1105, avrei incontrato un Metaxas che era tre mesi più avanti di me sulla base del tempo attuale, e perciò conosceva particolari del mio futuro. Sarebbe stato il paradosso della discontinuità nella direzione opposta, e non ci tenevo a fare quell’esperienza: è pericoloso e un po’ spaventoso imbattersi in qualcuno che ha vissuto un periodo al quale tu non sei ancora arrivato, e nessuno, nel Servizio temporale, aspira a farlo.

Avevo bisogno d’aiuto.

Andai da Spiros Protopopolos e gli dissi: — Metaxas mi ha invitato ad andarlo a trovare, durante la mia licenza, ma non so quando si trova.

Guardingo, Protopopolos replicò: — Perché credi che io lo sappia? Non si confida, con me.

— Pensavo che ti avesse lasciato qualche indicazione della sua base in tempo attuale.

— Di cosa diavolo stai parlando?

Mi domandai se avevo commesso un tremendo errore. Facendomi coraggio, strizzai l’occhio e dissi: — Tu sai dov’è adesso Metaxas. E forse sai anche quando.

Avanti, Proto. So tutto. Non c’è bisogno di fare il riservato, con me.

Lui andò nell’altro ufficio e si consultò con Plastiras e Herschel. Certamente i due garantirono per me, perché Protopopolos rientrò e mi bisbigliò all’orecchio: — 17 agosto 1105. Salutalo da parte mia.

Lo ringraziai e me ne andai.

Metaxas abitava nei sobborghi, oltre le mura di Costantinopoli. Lì la terra costava pochissimo, all’inizio del secolo dodicesimo, grazie a fastidi come l’invasione dei barbari patzinachi nel 1090 e l’arrivo della canea disordinata dei crociati, sei anni dopo. Gli agricoltori che risiedevano fuori dalle mura avevano sofferto parecchio.

Molte splendide tenute erano state poste in vendita. Metaxas aveva acquistato nel 1095, quando i proprietari terrieri erano ancora sconvolti per i danni subiti a opera dei patzinachi e cominciavano a preoccuparsi della prossima ondata d’invasori.

Metaxas aveva un vantaggio, negato ai venditori: lui aveva già guardato giù per la linea e aveva visto che la situazione si sarebbe stabilizzata negli anni seguenti, sotto Alessio I Comneno. Sapeva che la campagna dove sorgeva la sua villa non avrebbe subito guai per tutto il dodicesimo secolo.

Passai nell’Istanbul vecchia e mi feci portare in tassi alle rovine delle mura, e poi avanti per circa cinque chilometri. Naturalmente nel tempo attuale non era campagna suburbana, ma solo una grigia estensione della città moderna.

Quando calcolai di essere arrivato alla distanza giusta, premetti il pollice sulla piastra e congedai il tassi. Poi mi piazzai sul marciapiede, verificando tutto per il balzo. Alcuni bambini mi videro in costume bizantino e si avvicinarono per assistere allo spettacolo, sapendo che dovevo tornare indietro nel tempo. Mi chiamarono allegramente in turco, forse chiedendomi di portarli con me.

Un bambinetto angelicamente sudicio mi disse in un francese comprensibile: — Spero che ti taglino la testa.

I bambini sono così soavemente sinceri, no? E così deliziosamente ostili, in tutte le epoche.

Regolai il timer, rivolsi un gesto osceno al ragazzino, e andai su per la linea.


1 palazzoni grigi sparirono. Lo squallore novembrino lasciò il posto allo splendido sole d’agosto. L’aria che respiravo divenne improvvisamente pura e fragrante. Ero accanto a un’ampia strada selciata che correva tra due prati verdi. Un modesto cocchio tirato da due cavalli si avvicinò e si fermò davanti a me.

Un giovanotto magro, in semplici abiti da contadino, si sporse e disse: — Signore, Metaxas mi ha mandato a prenderti.

— Ma… non mi aspettava…

Mi affrettai a tacere prima di dire qualcosa di sbagliato. Evidentemente Metaxas mi aspettava. Ero andato a finire chissà come nel paradosso della discontinuità?

Con una scrollatina di spalle montai sul cocchio.

Mentre viaggiavamo verso occidente, il mio auriga mi indicò con il capo gli ettari di vigneti sulla sinistra della strada e la piantagione di fichi sulla destra. — Tutto questo — disse con fierezza, — appartiene a Metaxas. Sei già venuto qui altre volte?

— No, mai — risposi.

— È un grand’uomo, il mio padrone. È amico dei poveri e alleato dei potenti. Tutti lo rispettano. Il mese scorso è stato qui l’imperatore Alessio in persona.

Mi sentii prendere dai brividi. Era già abbastanza grave che Metaxas si fosse creato un’identità a tempo attuale dieci secoli su per la linea: cos’avrebbe detto, la Pattuglia temporale, del fatto che frequentava gli imperatori? Impartiva consigli, senza dubbio: alterava il futuro grazie alla sua conoscenza degli eventi; si cementava nella matrice storica di quell’epoca quale stimato consigliere della corona! C’era qualcuno che potesse vantare una simile faccia tosta?

I fichi e le viti lasciarono il posto a campi di grano. — Anche questi appartengono a Metaxas — disse l’auriga.

Avevo immaginato che Metaxas vivesse in una piccola ma comoda villa su un ettaro o due di terreno, con un giardino davanti e magari un orticello dietro. Non avevo pensato che fosse un ricchissimo proprietario terriero.

Passammo davanti a branchi di bestiame al pascolo, a un mulino azionato da buoi, a un laghetto indubbiamente ben fornito di pesci, e poi arrivammo a un doppio filare di cipressi che fiancheggiava un viale secondario diramatosi dalla strada principale.

Lo percorremmo, e apparve una splendida villa: e all’entrata attendeva Metaxas, abbigliato come si conveniva a un uomo che frequentava l’imperatore.

— Jud! — esclamò. Ci abbracciammo. — Amico mio! Fratello mio! Jud, mi hanno parlato del giro che hai guidato! Magnifico! I tuoi turisti non finivano mai di elogiarti!

— Chi te l’ha detto?

— Kolettis e Pappas. Sono qui. Vieni, vieni, vieni! Vino per il mio ospite! E abiti freschi! Entra, Jud, entra!

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