XXI

Quella notte prendemmo alloggio in una locanda affacciata sul Corno d’Oro; oltre l’acqua, dove un giorno sarebbero sorti l’Hilton e gli uffici contabili, c’era soltanto un buio impenetrabile. La locanda era un robusto edificio di legno, con la sala da pranzo al pianterreno ed enormi stanze rozze, tipo dormitorio, al piano di sopra. Mi aspettavo che mi facessero dormire sul pavimento sopra bracciate di paglia: ma no, c’erano letti veri e propri, e materassi imbottiti di stracci. Gli impianti igienici erano fuori, dietro l’edificio. Non c’erano bagni: dovevamo andare ai bagni pubblici, se tenevamo alla pulizia. Ci misero tutti e dieci in una stanza, ma per fortuna nessuno se la prese.


Clotilde, quando si svestì, andò in giro indignata a mostrarci i lividi bluastri lasciati dalla stretta del venditore di lampade sulla sua morbida coscia bianca; la sua angolosa amica, Lise, assunse di nuovo un’espressione cupa, poiché non aveva niente da mostrare.

Quella notte dormimmo poco. Tanto per cominciare c’era troppo chiasso, poiché i festeggiamenti del battesimo imperiale proseguirono rumorosi in tutta la città fin quasi all’alba. Ma chi poteva dormire, del resto, sapendo che oltre la porta stava il mondo dell’inizio del quinto secolo?

La notte prima, sedici secoli più giù per la linea, Capistrano mi aveva generosamente aiutato a superare una crisi d’insonnia. Lo rifece. Mi alzai e mi avvicinai alla finestrella, guardando i falò di gioia accesi nella città, e quando Capistrano se ne accorse, mi venne vicino e disse: — Capisco. È difficile dormire, all’inizio.

— Sì.

— Devo procurati una donna?

— No.

— Facciamo quattro passi, allora?

— Possiamo abbandonarli? — domandai, guardando i nostri otto turisti.

— Non andremo lontano. Resteremo proprio qui davanti, a portata di mano nel caso che succeda qualcosa.

L’aria era pesante e mite. Brani di canzoni oscene salivano dalla zona delle taverne. Ci avviammo da quella parte: le taverne erano ancora aperte e affollate di soldati ubriachi. Le olivastre prostitute offrivano la loro mercanzia. Una ragazza, che poteva avere si e no sedici anni, portava una moneta legata a uno spago tra i seni nudi. Capistrano me la indicò, e ridemmo. — Magari la moneta è la stessa fece. — Ma i seni sono diversi? — Io scrollai le spalle. — Forse anche gli stessi seni — dissi, pensando alla ragazzetta non ancora nata che la notte prima ci era stata offerta presso la Yedikule. Capistrano acquistò due fiasche di resinoso vino greco, e ritornammo alla locanda: sedemmo tranquilli nella sala comune, e bevemmo in attesa che passasse l’oscurità.

Parlò quasi sempre lui. Come molti Corrieri temporali, aveva avuto una vita complessa, piena di giravolte, e distillò la sua autobiografia tra un sorso e l’altro di vino. Nobili antenati spagnoli, disse (non mi parlò della bisnonna turca se non mesi dopo, una volta che era completamente ubriaco); matrimonio in giovane età con una vergine di ottima famiglia; istruzione nelle migliori università europee. Poi l’inesplicabile declino: ambizioni perdute, patrimonio perduto, moglie perduta. — La mia vita — disse, — è andata in pezzi quando avevo ventisette anni. Avevo bisogno di una totale reintegrazione di personalità. Come vedi, il tentativo non è completamente riuscito. Parlò di una serie di matrimoni temporanei, di avventure più o meno criminali, di esperimenti con droghe allucinogene al cui confronto l’erba e gli aleggiatori erano cose innocenti. — Quando si era arruolato come Corriere temporale, era stata un’alternativa al suicidio. — Ho consultato un terminale chiedendo un bit a casaccio — disse. — Positivo, sarei diventato Corriere. Negativo, avrei preso il veleno. Il bit era positivo. Ed eccomi qui. — E finì il suo vino.


Quella notte, Capistrano mi apparve come un prodigioso miscuglio tra un romantico tragico e disperato e un ciarlatano amante degli effetti drammatici. Certo, ero sbronzo anch’io ed ero molto giovane. Ma gli dissi quanto ammiravo la sua ricerca di un’identità; e intanto, in segreto, aspiravo a imparare l’arte di apparire così distrutto, così incantevolmente perduto.

— Vieni — disse lo spagnolo quando finì il vino. — Andiamo a sbarazzarci dei cadaveri.

Gettammo le fiasche nel Corno d’Oro. Stavano comparendo le prime luminose striature dell’alba. Mentre tornavamo lentamente alla locanda, Capistrano disse: — Mi sono creato l’hobby di rintracciare i miei antenati, sai? È la mia ricerca personale.

Ecco, guarda questi nomi. — Mi mostrò un piccolo ma nutrito taccuino. — In ogni epoca che visito — disse, — cerco i miei antenati e li elenco qui. Ne conosco già diverse centinaia, fino al secolo quattordicesimo. Ti rendi conto di quanto è immenso il numero degli antenati di ogni individuo? Due genitori, quattro nonni, otto bisnonni… Basta risalire quattro generazioni e hai già trenta antenati.

— Un hobby molto interessante — dissi io.

Gli occhi di Capistrano sfolgorarono. — È più di un hobby! Più di un hobby! È una questione di vita o di morte! Ascolta, amico mio: quando sarò stanco dell’esistenza più del solito, basterà che io trovi uno di questi individui, uno solo, e lo uccida! Che gli tolga la vita quando è ancora bambino, per esempio. E poi tornare al tempo attuale. E in quel momento, rapidamente, senza sofferenze, la mia vita cesserà di essere esistita!

— Ma la Pattuglia temporale…

— Non può far nulla — disse Capistrano. — Cosa può fare? Se il mio delitto viene scoperto, mi prendono e mi cancellano dalla storia per cronoreato, giusto? Se il delitto non viene scoperto (e perché dovrebbero scoprirlo?), mi sono cancellato da me. In tutt’e due i casi, io non esisto più. Non è il sistema di suicidio più affascinante?

— Eliminando i tuoi antenati — dissi io, potresti cambiare in misura notevole il tempo attuale. Ed elimineresti anche i tuoi fratelli e le tue sorelle, gli zii, i nonni, e i loro fratelli… e tutto questo eliminando un unico puntello dal passato!

Capistrano annuì con fare solenne. — Me ne rendo conto. E perciò compilo le genealogie, capisci: per accertare qual è il modo migliore di cancellare me stesso.

Non sono Sansone: non ho nessuna intenzione di farmi crollare addosso il tempio.

Cercherò la persona adatta da eliminare (una che sia veramente peccaminosa, tra l’altro, perché non voglio uccidere un innocente): eliminerò quell’individuo e conseguentemente me stesso, e forse i mutamenti nel tempo attuale non saranno poi così grandi. Se lo saranno, la Pattuglia li scoprirà e li cancellerà, e mi darà comunque la via d’uscita cui aspiro.

Mi domandavo se era pazzo o soltanto ubriaco. Un po’ l’uno e un po’ l’altro, decisi.

Avrei voluto dirgli che se desiderava a tal punto uccidersi avrebbe causato molto meno fastidi a tutti gli altri se si fosse semplicemente buttato nel Bosforo.


Provavo un fremito di terrore all’idea che l’intero Servizio temporale potesse essere popolato di tanti Capistrano, tutti alla ricerca del modo più interessante e autodistruttivo di cambiare il passato.

Di sopra, le prime luci rischiaravano gli otto dormienti, rannicchiati a due per due.

Le coppie di anziani coniugi dormivano pacificamente; i due bei ragazzi di Londra erano sudati e scarmigliati, dopo non so che frenetica attività; Clotilde, sorridente, dormiva con la mano infilata tra le pallide cosce di Lise, e la mano sinistra di Lise cingeva il seno destro di Clotilde, virginale ma sodo. Mi distesi sul mio letto solitario e mi addormentai rapidamente. Poco dopo Capistrano mi svegliò, e insieme svegliammo gli altri. Mi sentivo addosso diecimila anni.

Mangiammo agnello freddo a colazione e uscimmo per fare un rapido giro della città, nelle prime luci. Quasi tutte le cose più interessanti non erano state ancora costruite, o avevano ancora l’aspetto primitivo; non rimanemmo a lungo. A mezzogiorno andammo all’Augusteum per smistarci. — La prossima tappa — annunciò Capistrano, — sarà il 532, dove vedremo la città del tempo di Giustiniano e assisteremo ai tumulti che l’hanno distrutta rendendo possibile la costruzione della città molto più bella e grandiosa che ha acquistato fama eterna. — Arretrammo nelle ombre delle rovine di Haghia Sophia, perché i passanti non restassero sconvolti alla vista di dieci persone che svanivano. Regolai tutti i timer. Capistrano estrasse il telecomando e diede il segnale generale. Ci smistammo.

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