XLVI

Le feste bizantine erano a base di musica, danze di schiave, cena, e molto vino. Le ore passavano; le candele si consumavano; i notabili radunati si sbronzarono un po’.

Nell’addensarsi dell’oscurità mi mescolai con disinvoltura con i membri delle grandi famiglie, facendo conoscenza con uomini e donne che si chiamavano Comneno, Foca, Skleros, Dalassenes, Diogenes, Botaniates, Tzimisces e Dücas. Conversai elegantemente e mi sorpresi della mia disinvoltura. Vidi intrighi adulterini intessersi sottilmente (ma non troppo) dietro le spalle di mariti alticci. Augurai la buonanotte all’imperatore Alessio, che m’invitò a fargli visita a Blachernae, poco lontano da lì.

Tenni a bada Eudocia, che aveva bevuto troppo e aveva voglia di una sveltina in una sala isolata. (Infine scelse Basilio Diogenes, che doveva avere settant’anni). Risposi evasivamente a molte domande sul conto di mio «cugino» Metaxas, che tutti conoscevano ma le cui origini erano un mistero per tutti. E poi, tre ore dopo il mio arrivo, mi accorsi che finalmente stavo parlando con Pulcheria.

Eravamo in un angolo della grande sala, rischiarato da due candele agonizzanti.

Lei era arrossata in volto, eccitata, perfino agitata: i seni le si sollevavano, e una fila di goccioline le imperlava il labbro superiore. Non avevo mai visto una simile bellezza.

— Guarda — disse. — Leone sonnecchia. Ama il vino più di ogni altra cosa.


— Deve amare la bellezza — replicai io. — Ne ha raccolta tanta intorno a sé.

— Adulatore!

— No. Cerco di dire la verità.

— Non ci riesci spesso — commentò Pulcheria. — Chi sei?

— Markezinis dell’Epiro, cugino di Metaxas.

— Questo mi spiega ben poco. Voglio dire, cosa cerchi a Costantinopoli?

Feci un profondo respiro. — Adempiere il mio destino trovando colei che devo trovare, colei che amo.

Il colpo andò a segno. Le ragazze di diciassette anni sono sensibili a cose del genere: perfino a Bisanzio, dove le fanciulle maturano presto e si sposano a dodici anni. Chiamatemi Heathcliff.

Pulcheria si lasciò sfuggire un gemito, incrociò castamente le braccia sugli alti seni e rabbrividì. Credo che le pupille le si siano dilatate per un attimo.

— È impossibile — disse.

— Nulla è impossibile.

— Mio marito…

— Dorme — dissi io. — Questa notte… sotto questo tetto…

— No. Non possiamo.

— Pulcheria, tu cerchi di opporti al destino.

— Gheorghios!

— Un legame ci unisce… un legame che si estende attraverso il tempo…

— Sì, Gheorghios!

Adesso calma, bis-bis-multi-bisnipote: non parlare troppo. È un banale cronoreato, vantarsi di provenire dal futuro.

— Era la volontà del fato — sussurrai. — Doveva essere così!

— Sì! Sì!

— Stanotte.

— Stanotte, sì.

— Qui.

— Qui — disse Pulcheria.

— Presto.

— Quando gli ospiti se ne andranno. Quando Leone sarà a letto. Ti farò nascondere in una stanza, al sicuro… verrò io da te…

— Sapevi che sarebbe accaduto — dissi. — Lo sai dal giorno in cui ci siamo incontrati nella bottega di spezie.

— Sì. L’ho capito immediatamente. Che magia hai operato su di me?

— Nessuna, Pulcheria. La magia ci domina entrambi. Ci attira l’una verso l’altro, foggiando questo momento, filando l’ordito del nostro destino per creare il nostro incontro, sconvolgendo gli stessi confini del tempo…

— Parli in modo così strano, Gheorghios. In modo così splendido. Devi essere un poeta!

— Forse.

— Tra due ore sarai mio.

— E tu mia — dissi.

— E per sempre.


Rabbrividii pensando alla spada della Pattuglia temporale sospesa sulla mia testa.

— Per sempre, Pulcheria.

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