LIII

Metaxas, che non parlava da un quarto d’ora, disse infine: — Se quelli che devono partire sono pronti, chiamerò un cocchio per condurli in città.

Kolettis scosse il capo. — Non abbiamo ancora diviso le epoche. Ma ci metteremo un minuto.

Si consultarono laboriosamente, davanti al grafico. Decisero che Kolettis avrebbe esplorato il 700-725, Plastiras il 1150-1175, e io avrei ispezionato il 725-745. Pappas aveva portato con sé una tuta antipeste e intendeva controllare gli anni dell’epidemia, 745-747, nel caso che Sauerabend fosse finito proprio in quel periodo proscritto.

Considerando quello che chiaramente pensavano di me, mi stupiva che si fidassero a lasciarmi compiere un balzo nel tempo tutto da solo. Ma forse ritenevano che non potessi mettermi in guai peggiori. Andammo in città con uno dei cocchi di Metaxas.

Ognuno di noi aveva un ritratto di Sauerabend, piccolo ma molto somigliante, dipinto (su una lamina di legno verniciato) da un artista bizantino contemporaneo assoldato da Metaxas. L’artista aveva eseguito il lavoro basandosi su un’olografia: chissà cosa ne aveva pensato.

Quando arrivammo a Costantinopoli, ci dividemmo e uno alla volta ci smistammo nelle epoche che dovevamo esplorare, io mi materializzai su per la linea nel 725, e mi resi conto dello scherzetto che mi era capitato.

Era l’inizio dell’epoca dell’iconoclastia, quando l’imperatore Leone III aveva condannato il culto delle immagini dipinte. A quel tempo, quasi tutti i bizantini erano ferventi iconodúli — adoratori d’immagini — e Leone si era messo di buzzo buono a stroncare il culto delle icone: dapprima parlando e predicando, poi distruggendo un’immagine di Cristo nella Cappella della Chalke (o Casa Bronzea) di fronte al Grande Palazzo. Poi le cose erano peggiorate: le immagini e i fabbricanti di immagini erano stati perseguitati, e il figlio di Leone aveva emanato un proclama che dichiarava: — Verrà rifiutata, asportata e abiurata dalla Chiesa cristiana ogni immagine realizzata con qualunque materiale dall’arte malvagia dei pittori.

E proprio in quell’epoca io dovevo andarmene in giro con un piccolo ritratto di Conrad Sauerabend chiedendo alla gente: — Avete visto da qualche parte quest’uomo?

Il mio dipinto non era esattamente un’icona. Era improbabile che chi lo guardava scambiasse Sauerabend per un santo. Comunque mi creò parecchie difficoltà.

— Avete visto da qualche parte quest’uomo? — domandavo, e mostravo il ritratto.

Al mercato.

Nei bagni pubblici.

Sui gradini di Haghia Sophia.

Davanti al Grande Palazzo.

— Avete visto da qualche parte quest’uomo?

All’ippodromo, durante una partita di polo.

All’annuale distribuzione gratuita di pane e pesce ai poveri, l’11 maggio, per festeggiare l’anniversario della fondazione della città.

Davanti alla chiesa dei santi Sergio e Bacco.

— Sto cercando l’uomo di cui ho qui il ritratto.

Metà delle volte non riuscivo neppure a estrarre il dipinto. Quelli vedevano un uomo che tirava fuori dalla tunica un’icona, e scappavano gridando: — Cane iconodúlo! Adoratore d’immagini!

— Ma questo non è… Sto solo cercando… Non devi scambiare questo dipinto per…

Torna qui!

Fui preso a spintoni e a sputi. Venni maltrattato dalle guardie imperiali, e guardato male dai sacerdoti iconoclasti. Molte volte venni invitato a partecipare a cerimonie clandestine da iconodúli segreti.

Non ottenni informazioni sul conto di Conrad Sauerabend.

Comunque, nonostante tutte le difficoltà, c’era sempre qualcuno che guardava il ritratto. Nessuno aveva visto Sauerabend, sebbene alcuni «credessero» di aver notato qualcuno che somigliava all’uomo del dipinto. Sprecai due giorni per rintracciare uno dei presunti somiglianti, e scoprii che non gli somigliava affatto.

Continuai, balzando da un anno all’altro. Mi aggirai intorno ai gruppi di turisti, pensando che Sauerabend preferisse tenersi vicino a gente della sua epoca.

Niente. Nessuna traccia.

Finalmente, scoraggiato e con i piedi doloranti, ritornai al 1105. Alla villa di Metaxas trovai soltanto Pappas, che sembrava ancora più stanco e malconcio di me.

— È inutile — dissi. — Non lo troveremo. È come cercare… come cercare…

— Un ago in un cronopagliaio — suggerì Pappas.

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