XXV

Era una comitiva numerosa: dodici turisti, Metaxas, e io. Aggiungevano sempre qualche turista in più, nei suoi giri, perché era un Corriere eccezionale e richiestissimo. Mi accodai come assistente, facendo esperienza in vista del mio primo viaggio da solo che sarebbe avvenuto la volta successiva.

La nostra dozzina era costituita da tre giovani e graziose ragazze sole, studentesse di Princeton che facevano il giro di Bisanzio a spese dei rispettivi genitori, i quali ci tenevano che imparassero qualcosa; due delle solite coppie benestanti di mezza età, una di Indianapolis e una di Milano; due arredatori abbastanza giovani, maschio e frodo, di Beirut; un manipolatore di reazioni di New York, da poco divorziato, sui quarantacinque e affamato di donne; un insegnante delle superiori di Milwaukee, piccoletto e con la faccia tonda, che voleva arricchire la propria cultura, e sua moglie; insomma, il solito assortimento.

Al termine della prima riunione introduttiva tutt’e tre le ragazze di Princeton, i due arredatori, e la moglie di Indianapolis smaniavano visibilmente per la voglia di andare a letto con Metaxas! Nessuno prestava molta attenzione a me.

— Sarà diverso, dopo l’inizio del giro — mi disse Metaxas per consolarmi. — Molte delle ragazze ti diventeranno disponibili. A te piacciono le donne, vero?

Aveva ragione lui. La prima notte su per la linea si scelse una delle ragazze di Princeton, e le altre due si rassegnarono prontamente ad accettare la seconda scelta.

Non so perché, Metaxas optò per una rossa tutta lentiggini e con i piedi grossi. Mi lasciò una bruna alta, fresca e snella, così impeccabile sotto ogni punto di vista che doveva essere senza dubbio il prodotto di uno dei migliori elaboratori genetici del mondo; e una graziosa e gaia bionda con gli occhi ardenti, la pelle liscia e i seni di una dodicenne. Scelsi la bruna e me ne pentii: a letto sembrava di plastica. Verso l’alba la scambiai con la bionda, e le cose andarono meglio.

Metaxas era un Corriere straordinario. Conosceva tutto e tutti, e ci sistemava in posizioni superbe per assistere ai grandi eventi.

— Adesso — spiegò, — siamo nel gennaio del 532. Regna l’imperatore Giustiniano. Ambisce a conquistare il mondo e a governarlo da Costantinopoli, ma quasi tutti i suoi maggiori trionfi sono ancora nel futuro. La città, come vedete, è ancora molto simile a quella che era nel secolo precedente. Davanti a voi c’è il Grande Palazzo; dietro c’è l’Haghia Sophia ricostruita da Teodosio II seguendo la vecchia pianta basilicale, e non ancora modificata con le famose cupole. In città c’è tensione: presto ci saranno guerre civili. Venite da questa parte.

Tremando per il freddo seguimmo Metaxas per la città, lungo scorciatoie e strade che non avevo percorso quando ero stato lì con Capistrano. Neppure una volta, durante la visita, scorsi l’altro me stesso o Capistrano o altri di quella comitiva: una delle doti leggendarie di Metaxas era la sua capacità di trovare sempre nuove vie d’accesso alle scene d’obbligo.

Naturalmente era necessario. In quel momento c’erano cinquanta o cento Metaxas che guidavano comitive nella città giustinianea. Per orgoglio professionale non voleva intersecare nessuno degli altri se stesso.

— Ora, a Costantinopoli esistono due fazioni — disse Metaxas. — Gli Azzurri e i Verdi. Sono circa un migliaio di uomini per parte, tutti facinorosi, e di gran lunga più influenti di quanto indichi il loro numero. Le fazioni sono qualcosa di meno che partiti politici, qualcosa di più di semplici organizzazioni di sostenitori di squadre sportive, ma presentano le caratteristiche degli uni e delle altre. Gli Azzurri sono più aristocratici, i Verdi hanno legami con le classi inferiori e con gli ambienti mercantili.

Ogni fazione sostiene un colore nei giochi dell’ippodromo, e appoggia una certa linea di politica governativa. Giustiniano simpatizza da tempo per gli Azzurri, e i Verdi diffidano di lui; ma come imperatore si è sforzato di apparire neutrale. In realtà vorrebbe sopprimere entrambe le fazioni, che considera una minaccia per il suo potere. Ogni notte, ormai, le fazioni si scatenano per le strade. Guardate: quelli sono gli Azzurri.

Indicò con un cenno del capo un gruppo di bravacci dall’aria insolente, dall’altra parte della strada: otto o nove sfaccendati con i lunghi capelli sciolti sulle spalle e festoni di barbe e baffi: portavano corti soltanto i capelli sulla fronte. Avevano una tunica stretta ai polsi ma che poi si allargava enormemente fino alle spalle; indossavano brache e cappa sgargianti e portavano una corta spada a due tagli.

Avevano l’aria brutale e pericolosa.

— Aspettatemi qui — disse Metaxas, e si avvicinò a quegli uomini. Loro gli diedero manate sulle spalle, risero, lanciarono esclamazioni d’allegria. Non potei ascoltare la conversazione, ma vidi che Metaxas dava strette di mano e parlava rapidamente, con fare confidenziale. Uno degli Azzurri gli offri una fiasca di vino, e lui bevve una lunga sorsata; poi, abbracciando l’uomo in una simulazione di ubriachezza, gli sottrasse abilmente la spada e finse di trafiggerlo. I facinorosi applaudirono e scherzarono. Poi Metaxas indicò noi: quelli annuirono, guardarono avidamente le donne, ammiccarono, gesticolarono. Finalmente venimmo convocati dall’altra parte della strada.

— I miei amici ci invitano all’ippodromo tome loro ospiti — disse Metaxas. — Le corse cominciano la settimana prossima. Questa notte possiamo partecipare alle loro baldorie.

Quasi non riuscivo a crederlo. Quando ero venuto lì con Capistrano ce n’eravamo andati in giro furtivamente, cercando di non farci notare, perché quelli erano tempi di stupri e di omicidii, la notte, e dopo il tramonto le leggi non avevano più il minimo valore. Come mai Metaxas osava portarci a contatto con quei delinquenti?


Osava, osava. E quella notte girammo Costantinopoli e vedemmo gli Azzurri mentre rapinavano e stupravano e uccidevano. Per gli altri cittadini, la morte era in agguato a ogni angolo: noi eravamo immuni, testimoni privilegiati del regno del terrore. Metaxas presiedeva quel vagabondaggio d’incubo come un Satana in formato ridotto, spassandosela con i suoi amici Azzurri e arrivando addirittura a indicar loro un paio di vittime.

La mattina dopo, mi parve che fosse stato tutto un sogno. I fantasmi della violenza erano svaniti con la notte: nel pallido sole invernale ispezionammo la città e ascoltammo i commenti storici di Metaxas.

— Giustiniano — disse, — fu un grande conquistatore, un grande legislatore, un grande diplomatico e un grande costruttore. Questo è il giudizio della storia. Però abbiamo anche la Storia segreta di Procopio, secondo il quale Giustiniano era un mascalzone e un imbecille e sua moglie Teodora era una puttana malvagia e diabolica. Conosco questo Procopio: un brav’uomo, abile scrittore, un po’ puritano, un po’ troppo credulone. Ma sul conto di Giustiniano e Teodora ha ragione in pieno.

Giustiniano è un grand’uomo nelle grandi cose, ma terribilmente malvagio nelle cose meschine. Teodora — (e sputò) — è una puttana tra le puttane. Balla nuda ai pranzi di stato; mette in mostra pubblicamente il corpo; va a letto con i suoi servi. Ho sentito dire che si dà anche ai cani e agli asini. Ê depravata esattamente come afferma Procopio.

A Metaxas brillavano gli occhi. Senza bisogno che me lo dicesse, capii che doveva aver diviso il letto di Teodora.

Più tardi, quel giorno stesso, mi bisbigliò: — Posso combinarti un appuntamento. I rischi sono minimi. Avevi mai sognato di poter dormire con l’imperatrice di Bisanzio?

— I rischi…

— Che rischi? Hai il timer! Puoi scappare! Ascolta, ragazzo, quella è un’acrobata!

Ti attorciglia i calcagni attorno agli orecchi. Ti consuma. Posso combinare tutto io.

L’imperatrice di Bisanzio! La moglie di Giustiniano!

— Non in questo viaggio ribattei. — Un’altra volta. Sono ancora troppo nuovo del mestiere.

— Hai paura di lei.

— Non sono ancora pronto a scopare un’imperatrice — dissi, solennemente.

— Lo fanno tutti!

— I Corrieri?

— Quasi tutti.

— Al prossimo viaggio — promisi. L’idea mi sgomentava. Dovetti schermirmi in qualche modo. Metaxas equivocò; non ero timido, e non avevo paura di essere sorpreso da Giustiniano o qualcosa del genere. Ma non me la sentivo di attraversare in quel modo il corso della storia. Viaggiare su per la linea era ancora una fantasia, per me: scopare la famigerata Teodora avrebbe reso troppo reale tale fantasia.

Metaxas rise di me, e per qualche tempo pensai che mi disprezzasse. Ma poi disse: — Sta bene. Non voglio farti fretta. Ma quando ti sentirai pronto, non fartela scappare.

Te la consiglio personalmente.

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