XXXIX

Per tutto il resto di quel viaggio fui un Corriere penoso.

Incupito, chiuso in me stesso, malato d’amore, confuso, trascinai la mia comitiva attraverso gli eventi classici (l’invasione veneziana del 1204 e la conquista turca del 1453) in un modo meccanico e banale. Forse i miei turisti non si accorgevano che tiravo via, o non se la prendevano. Forse davano la colpa al guaio causato da Marge Hefferin. Conclusi bene o male il giro e li scaricai sani e salvi giù per la linea, nel tempo attuale, sbarazzandomi così di loro.

Ero di nuovo in licenza, e la mia anima era contagiata dal desiderio.

Andare nel 1105? Accettare l’offerta di Metaxas e lasciare che mi presentasse a Pulcheria?

L’idea mi agghiacciava.

I regolamenti della Pattuglia temporale vietano esplicitamente ogni forma di fraternizzazione tra i Corrieri (o altri viaggiatori nel tempo) e coloro che vivono su per la linea. L’unico contatto che possiamo avere con i residenti del passato è casuale e incidentale: comprare un sacchetto di olive, chiedere come arrivare da qui ad Haghia Sophia, cose del genere. Con gli abitanti delle epoche precedenti non ci è permesso fare amicizia, addentrarci in disquisizioni filosofiche, o avere rapporti sessuali.

Specialmente con i nostri antenati.

Il tabù dell’incesto, in se stesso, non mi spaventava molto: come tutti i tabù non ha più molto valore, e anche se avrei esitato a portare a letto mia sorella o mia madre non riuscivo a trovare una ragione convincente per astenermi da Pulcheria. C’era qualche residuo di puritanesimo, magari, ma sapevo che si sarebbe dileguato in un minuto se Pulcheria fosse stata disponibile.

Ciò che mi tratteneva, in realtà, era il deterrente universale: la paura della punizione. Se la Pattuglia temporale mi avesse sorpreso a far l’amore con la mia multi-bis-bisnonna, mi avrebbe sicuramente espulso dal Servizio, magari mi avrebbe arrestato, e addirittura avrebbe potuto cercare di ottenere la pena di morte per cronoreato di primo grado, in quanto avevo tentato di diventare l’antenato di me stesso. Erano possibilità che mi atterrivano.

Come potevano sorprendermi?

Alla mia mente si presentavano molti copioni diversi. Per esempio: Ottengo di essere presentato a Pulcheria. Riesco a trovarmi in intimità con lei.

Allungo le mani: lei strilla; le guardie della famiglia mi afferrano e mi uccidono. La Pattuglia temporale, visto che non mi ripresento dopo la licenza, mi rintraccia, scopre l’accaduto, mi salva, e poi mi accusa formalmente di cronoreato.

Oppure:

Ottengo di essere presentato, eccetera, e seduco Pulcheria. Nel momento culminante, il marito fa irruzione in camera da letto e mi trafigge. Segue il resto del copione.


Oppure:

M’innamoro così disperatamente di Pulcheria che mi nascondo insieme a lei in qualche lontano punto del tempo, diciamo il 400 a.C. o il 1600 d.C; poi viviamo felici fino a quando la Pattuglia temporale ci cattura, rispedisce lei al momento appropriato del 1105, e accusa me di cronoreato.

Oppure:

Una decina di altre possibilità, che finiscono tutte nello stesso modo malinconico.

Perciò resistetti alla tentazione di trascorrere la mia licenza nel 1105 a sbavare dietro a Pulcheria. Invece, per intonarmi al mio umore lugubre in quel momento di concupiscenza insaziata, mi iscrissi al giro della Morte Nera.

Solo gli eccentrici, i depravati, gli individui dotati di una mentalità malsana e pervertita hanno voglia di fare un giro simile, il che significa che le richieste sono parecchie. Ma come Corriere in vacanza, riuscii a lasciare a terra un cliente pagante e a entrare nella prima comitiva in partenza.

Ci sono quattro accessi regolari alla Morte Nera. Un giro parte dalla Crimea per il 1347 e mostra la peste che si diffonde in Asia. Il culmine di quel giro è l’assedio di Kaffa (un porto commerciale dei genovesi sul Mar Nero) da parte del khan Janibeg dei mongoli kipchak. Gli uomini di Janibeg erano contagiati dalla peste, e il khan ne catapultò i cadaveri nella città per infettare i genovesi. Se si vuole fare questo giro occorre prenotarsi con un anno d’anticipo.

I genovesi portarono la Morte Nera verso occidente, nel Mediterraneo; e il secondo giro conduce in Italia, nell’autunno del 1347, per vedere la diffusione dell’epidemia nell’entroterra. Si assiste ai roghi degli ebrei bruciati in massa perché si credeva che avessero causato l’epidemia avvelenando i pozzi. Il terzo giro porta nella Francia del 1348, e il quarto in Inghilterra, nella tarda primavera del 1349.

L’ufficio prenotazioni mi spedì al giro inglese. A mezzogiorno feci un salto a Londra e raggiunsi la comitiva due ore prima della partenza. Il nostro Corriere era un uomo alto e cadaverico di nome Riley, con le sopracciglia irsute e i denti guasti. Era un tipo un po’ strambo; ma del resto bisogna esserlo, per specializzarsi in un giro turistico del genere. Mi accolse con modi amichevoli, anche se lugubri, e mi fece assegnare un abbigliamento adatto alla peste.

Un abito da peste è più o meno una tuta spaziale, completamente nera. Si porta un normale autorespiratore con quattordici giorni di carica, si mangia per mezzo di un tubo, e si eliminano i rifiuti in un modo complesso e difficile. Naturalmente tutto ciò ha lo scopo di mantenere del tutto isolati dall’ambiente infetto. Ai turisti viene detto che se aprono la tuta anche solo per dieci secondi verranno abbandonati permanentemente nell’epoca della peste; e sebbene questo non sia affatto vero, non c’è stato ancora un solo turista che abbia voluto vedere se era un bluff.

È uno dei pochi giri che parte e arriva da punti fissi. Non vogliamo che le comitive, al ritorno, si materializzino di qua e di là portando la peste sulla tuta: perciò il Servizio ha delimitato con vernice rossa le aree di lancio ai capolinea medioevali di ciascuno dei quattro giri turistici della peste. Quando la tua comitiva è pronta per tornare indietro, vai in un’area di lancio e da lì scendi giù per la linea. In questo modo ti materializzi entro una cupola sterile sigillata: ti tolgono la tuta, e tu vieni sottoposto a meticolose fumigazioni prima di essere riammesso nel ventunesimo secolo.


— Quella che state per vedere — disse Riley, con voce sonante, — non è né una ricostruzione né una simulazione né un’approssimazione. È la realtà, per nulla esagerata.

Ci smistammo su per la linea.

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