LIV

Mi ero meritato un po’ di riposo prima di tornare a quella lunga notte del 1204 e di mandare lì il mio alter ego a continuare le ricerche. Feci il bagno, dormii, scopai due o tre volte una schiava odorosa di aglio, e rimuginai. Ritornò Kolettis: non aveva avuto fortuna. Ritornò Plastiras: niente. Andarono giù per la linea, per riprendere il loro lavoro di Corrieri. Compers, Herschel e Melamed, sacrificando parte della licenza in corso, comparvero e cominciarono immediatamente a cercare Sauerabend.

Più erano numerosi i Corrieri che si offrivano volontari per aiutarmi nel momento del bisogno, e peggio mi sentivo.

Decisi di consolarmi tra le braccia di Pulcheria.

Voglio dire: siccome ero nell’epoca giusta, e siccome Jud B aveva trascurato di andarla a trovare, mi pareva giusto. C’eravamo pur dati una specie di appuntamento, no? Una delle ultime cose che mi aveva detto Pulcheria, dopo quella notte delle notti, era stata: — C’incontreremo ancora fra due giorni, sì? Penserò io a tutto.

Quanto tempo era passato?

Almeno due settimane sulla base in tempo attuale del 1105, calcolai. Forse tre.

Pulcheria doveva mandarmi un messaggio alla villa di Metaxas, dicendomi dove e come potevamo incontrarci per la seconda volta. A causa di Sauerabend, l’avevo dimenticato. Cominciai ad aggirarmi per la villa, chiedendo ai domestici e al maggiordomo di Metaxas se era arrivato dalla città qualche messaggio per me.

— No — dissero quelli. — Nessun messaggio.

— Pensateci bene. Aspetto un messaggio importante dal palazzo dei Dücas. Da Pulcheria Dücas.

— Da chi?

— Pulcheria Dücas.

— Nessun messaggio, signore.

Indossai i miei abiti migliori e andai a Costantinopoli. Avrei osato presentarmi non invitato a palazzo Dücas? Osai. La mia identità fasulla di provinciale avrebbe giustificato l’eventuale violazione delle norme dell’etichetta.

Al portone di palazzo Dücas suonai per chiamare i servitori. Uscì un vecchio paggio, lo stesso che quella famosa notte mi aveva accompagnato nella stanza in cui Pulcheria mi si era data. Gli sorrisi amichevolmente: il paggio ricambiò impassibile lo sguardo. Mi aveva dimenticato, pensai.

Dissi: — I miei omaggi al nobile Leone e alla nobile Pulcheria. Vorresti avere la cortesia di avvertirli che Gheorghios Markezinis dell’Epiro è venuto a far loro visita?

— Al nobile Leone e alla nobile… — ripeté il paggio.

— Pulcheria — dissi io. — Mi conoscono. Sono cugino di Themistoklis Metaxas e… — Esitai: mi sentivo ancor più stupido del solito, a fornire il mio pedigree a un paggio. — Chiamami il maggiordomo — ordinai seccamente.

Il paggio rientrò in fretta.

Dopo un lungo indugio un individuo dall’aria imperiosa, nell’equivalente bizantino di una livrea, venne a scrutarmi.


— Sì?

— I miei omaggi al nobile Leone e alla nobile Pulcheria. Abbi la cortesia di dir loro…

— La nobile chi?

— La nobile Pulcheria, moglie di Leone Dücas. Sono Gherghios Markezinis dell’Epiro, cugino di Themistoklis Metaxas, e qualche settimana fa ho partecipato alla festa offerta da…

— La moglie di Leone Dücas — fece gelido il maggiordomo, — si chiama Euprepia.

— Euprepia?

— Euprepia Dücas, la padrona di casa. Cosa cerchi, uomo? Se vieni ubriaco a metà della giornata a disturbare il nobile Leone, io…

— Aspetta — dissi. — Euprepia! Non Pulcheria? — Un bisante d’oro balenò nella mia mano e svolazzò rapidamente sul palmo aperto del maggiordomo. — Non sono ubriaco, e si tratta di una cosa molto importante. Quand’ è stato che Leone ha sposato questa… questa Euprepia?

— Quattro anni fa.

— Quattro… anni… fa. No, è impossibile. Cinque anni fa ha sposato Pulcheria, che…

— Certamente ti sbagli. Il nobile Leone si è sposato una volta sola, con Euprepia Macrembolitissa, la madre di suo figlio Basilio e di sua figlia Zoe.

La mano si protese. Vi lasciai cadere un altro bisante d’oro.

Mormorai, stordito: — Il suo figlio maggiore è Niceta, che non è ancora nato, e non dovrebbe avere nessun figlio di nome Basilio, e… Mio Dio, mi stai prendendo in giro?

— Giuro davanti a Cristo Pantocratore di aver detto solo la verità — dichiarò con voce sonante il maggiordomo.

Battei le dita sulla borsa dei bisanti e dissi, ormai disperato: — Potrei ottenere un’udienza dalla nobile Euprepia?

— Forse sì. Ma non è qui. Da tre mesi, ormai, riposa nel palazzo dei Dücas sulla costa di Trebisonda, dove attende un altro figlio.

— Tre mesi. Dunque non c’è stata una festa, qui, qualche settimana fa?

— No, signore.

— Non c’era qui l’imperatore Alessio? Né Themistoklis Metaxas? Né Gheorghios Markezinis dell’Epiro? Né…

— Nessuno, signore. Posso esserti utile in qualche altra cosa?

— Non credo — dissi io, e mi allontanai dalla porta di palazzo Dücas come se fossi stato colpito dalla collera degli dei.

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