CAPITOLO XIII

Avevo una ragione, per tornare in ufficio. Un espresso che conteneva uno scontrino color arancio doveva esser gia arrivato a destinazione, ormai. La maggior parte delle finestre del palazzo erano buie, ma non tutte.

In parecchi mestieri, oltre al mio, si lavora di notte. L'uomo dell'ascensore tiro fuori un "salve" dal fondo della gola, e mi porto al mio piano. Nel corridoio c'erano varie porte aperte, illuminate, dietro le quali le donne di servizio stavano ancora spazzando i detriti delle ore perdute. Voltai l'angolo, accompagnato dal ronzio bavoso d'un aspirapolvere entrai nell'ufficio buio e apersi le finestre. Rimasi seduto alla scrivania senza far nulla, senza nemmeno pensare. Niente espresso. Tutti i rumori del palazzo, all'infuori dell'aspirapolvere, parevan esser scesi fluttuando nella strada ed essersi persi nel volgere di innumerevoli ruote. Poi, in un punto imprecisato del vestibolo esterno un uomo comincio a fischiettare Lili Marlene, con eleganza e virtuosismo. Sapevo chi era. Il guardiano notturno che controllava le porte degli uffici. Accesi la lampada da tavolo, e lui passo, senza controllare la mia. I suoi passi s'allontanarono, poi ritornarono con un suono diverso, piu strascicato. Trillo il campanello della sala d'aspetto, che era ancora aperta. Doveva essere l'espresso. Andai fuori a prenderlo. Solo che non era l'espresso.

Un grassone in calzoni azzurro cielo stava chiudendo la porta con la magnifica flemma che solo i grassi riescono a raggiungere. Non era solo, ma al primo momento guardai solo lui. Era un uomo di proporzioni generose.

Ne giovane ne bello. Pero aveva un'aria solida. Sopra ai pantaloni di gabardine portava una giacca da riposo a due colori, che sarebbe stata rivoltante su una zebra. Il colletto della camicia giallo-canarino era tutto aperto, ma non poteva essere diversamente se doveva permettere a un collo di quelle dimensioni di spuntar fuori. L'uomo era a capo scoperto, e il suo grosso cranio era decorato con una ragionevole quantita di capelli color salmone pallido. Il naso era stato rotto e rimesso a posto, molto bene, ma, in ogni caso, non era mai stato un esemplare da esposizione.

Insieme al grassone c'era una creatura sparuta con gli occhi rossi e il naso intasato. Circa vent'anni, statura uno e ottanta, esile come una canna da pesca. Aveva un tic al naso, uno alla bocca, uno alle mani, e pareva molto infelice. Il grassone mi sorrise con aria brillante.

– Il signor Marlowe, vero?

– E chi altri? – chiesi.

– E un po' tardi, per una visita d'affari – dichiaro lui e aperse le mani, nascondendomi mezzo ufficio. – Spero che non ve ne abbiate a male. O forse siete troppo impegnato per accettare altri incarichi?

– Non prendetemi in giro. Ho i nervi a pezzi – dissi. – Chi e il vostro amico?

– Vieni avanti Alfred – ordino il grassone al suo compagno. – E smettila di comportarti come una ragazzina.

– Col cavolo – borbotto Alfred.

L'omone si rivolse a me, con aria placida.

– Perche tutti i pivellini continuano a dire cosi? Non e divertente. Non e spiritoso. Non significa niente. Un bel problema, Alfred. Sono riuscito a fargli smettere la polverina. Temporaneamente, almeno. Di "tanto piacere" al signor Marlowe, Alfred.

– S'impicchi – disse Alfred.

Il grassone sospiro.

– Mi chiamo Toad – annuncio. – Joseph P. Toad.

Non feci commenti.

– Avanti, ridete – mi invito. – Ci sono abituato. Mi porto dietro questo nome da quando son nato. – Venne verso di me, con la mano tesa. La presi e lui mi guardo negli occhi, sorridendo amabilmente. – Benissimo, Alfred – disse senza voltarsi. Alfred esegui quel che mi parve un gesto molto vago e insignificante alla fine del quale mi trovai una grossa automatica puntata addosso.

– Attenzione Alfred – ordino il grassone tenendo la mia mano in una stretta che avrebbe piegato una putrella. – Non ancora.

– Col cavolo – dichiaro Alfred.

La pistola puntava contro il mio petto. Il dito del ragazzo si irrigidi intorno al grilletto. Io lo guardai contrarsi. Sapevo di preciso, al secondo, quando la pressione avrebbe fatto scattare il cane. Ma mi pareva che non facesse nessuna differenza. Tutta quella scena stava accadendo altrove, in un film di quart'ordine. Non accadeva a me.

Il cane dell'automatica scatto, con un minorino secco, sul nulla. Alfred abbasso la pistola con un verso di disappunto, e l'arma spari, per dove era venuta. Il ragazzo comincio di nuovo coi suoi tic. Non vi era stata ombra di nervosismo, nel suo modo di manovrare la rivoltella. Mi domandai quale stupefacente avesse cessato di prendere.

Il ciccione mi lascio libera la mano, sempre con lo stesso sorriso cordiale sul viso rubicondo. Si diede una pacca su una tasca.

– Ce l'ho io, il caricatore – spiego. – C'e stato poco da fidarsi, di Alfred, ultimamente. Magari vi avrebbe sparato, quella carognetta.

Alfred si sedette su una sedia, l'inclino, contro il muro, e si mise a respirare per la bocca.

Io riportai i calcagni sul pavimento.

– Scommetto che vi ha spaventato – disse Joseph P. Toad.

Sentivo un sapore di sale, sulla lingua.

– Non siete poi cosi coriaceo – affermo Toad, piantandomi un dito polposo nello stomaco.

Mi tirai da parte, per sottrarmi al dito, e studiai gli occhi del visitatore.

– Andiamo nel mio salotto privato – invitai.

Gli voltai le spalle, varcai la soglia e andai nell'altro ufficio. Fu una fatica improba, ma ci arrivai. Sudai per tutto il tragitto. Girai attorno alla scrivania, e rimasi in piedi, in attesa. Il signor Toad mi segui placidamente. Il tossicomane entro, dietro di lui, sempre scosso dai suoi tic.

– Non avete in giro qualche fumetto d'avventure? – chiese Toad. – Lo tengono tranquillo.

– Sedetevi – invitai. – Adesso guardo.

Lui poso le mani sui braccioli della poltrona. Io apersi di scatto un cassetto e strinsi le dita intorno al calcio della Luger. La sollevai lentamente, fissando Alfred. Alfred non mi degno d'uno sguardo. Stava contemplando un angolo del soffitto e cercava di dominare le contrazioni della bocca.

– Piu avventuroso di cosi non ce la faccio – dichiarai.

– Non vi servira – disse l'omone cordialmente.

– Magnifico – risposi, e mi parve che parlasse un altro, molto 'ontano, da dietro un muro. Udivo a malapena le parole. – Ma se per caso dovesse venir utile, eccola qua. E questa e carica. Devo provarvelo?

Il grassone parve preoccupato, per quanto poteva esserlo un tipo come lui.

– Mi spiace che la prendiate cosi – dichiaro. – Io sono tanto abituato ad Alfred che non ci faccio piu neanche caso. Ma forse avete ragione. Forse dovrei fare qualcosa, per lui.

– Gia. Avreste dovuto farlo oggi nel pomeriggio, prima di venire qui. E troppo tardi, ormai.

– Ma no… un momento, Marlowe…

Toad avanzo una mano. Io le assestai un colpo, con la Luger. Lui fu svelto, ma non abbastanza. Col mirino della pistola gli apersi la pelle, sul dorso della mano. Il ciccione l'afferro con l'altra, e comincio a succhiarsi il taglio.

– Ehi! Vi prego! Alfred e mio nipote! E figlio di mia sorella! E un po' sotto la mia responsabilita. Non farebbe male a una mosca, vi do parola!

– La prossima volta che venite a trovarmi terro una mosca pronta, cosi lui si divertira a non farle male.

– Non fate cosi, signore. Vi prego, non fate cosi. Ho una propostina molto simpatica…

– Silenzio – ordinai. Mi sentivo la faccia bruciare. Facevo fatica a parlare chiaro. Mi pareva d'essere un po' ubriaco. – Un mio amico… – dissi lentamente, con la lingua grossa – un mio amico mi ha raccontato la storia di un tale al quale avevano fatto uno scherzo come questo. Era seduto alla scrivania, come me. Aveva una pistola, proprio come l'ho io. C'erano due uomini, dall'altra parte della scrivania, rome voi e Alfred. A un certo punto l'uomo dalla mia parte della scrivania ha cominciato a perdere la calma. E stato piu forte di lui. Ha cominciato a tremare. Non e piu riuscito a dire una parola. E in mano aveva la pistola. Cosi, senza una parola, ha sparato due colpi da sotto lo scrittoio, mirando proprio all'altezza del vostro ventre.

L'omone divento verdastro in faccia e fece l'atto di alzarsi. Ma poi cambio idea. Trasse di tasca un fazzoletto dai colori strazianti e si asciugo il viso.

– L'avete visto al cinema – disse.

– Precisamente – convenni. – Ma l'uomo che aveva scritto il soggetto mi ha raccontato dove aveva preso l'idea. Quella non l'aveva trovata in nessun film. – Deposi la Luger sullo scrittoio, davanti a me, e dissi con voce piu naturale. – Dovete fare attenzione con le armi da fuoco, signor Toad. Non si puo mai sapere che effetto puo fare a un uomo vedersi scattare in piena faccia una "quarantacinque" dell'esercito, specialmente se non sa che e scarica. A me… Mi ha innervosito un po' per un istante. Non ho piu fatto una puntura di morfina, dall'ora di colazione.

Toad mi studio attentamente, stringendo gli occhi. Il giovane Alfred si alzo, s'avvicino a un'altra sedia, la volto con una pedata, si sedette e appoggio la testa unta contro la parete. Ma il suo naso e le mani non cessarono mai di contrarsi.

– Ho sentito dire che eravate un tipo piuttosto duro – dichiaro Toad lentamente, con gli occhi freddi, all'erta.

– Vi hanno informato male. Sono un ragazzo sensibilissimo. Per un nonnulla vado in convulsioni.

– Gia. Capisco. – Toad mi fisso a lungo, senza aprir bocca. – Forse questa partita l'abbiamo giocata male. Posso mettere una mano in tasca?

Non sono armato.

– Accomodatevi – dissi. – Mi farebbe un piacere immenso vedere che cercate di puntarmi una pistola contro.

Toad si acciglio, poi, molto lentamente, sfilo di tasca un portafogli di cinghiale e ne trasse un biglietto da cento dollari, nuovo e frusciante. Lo depose sull'orlo dello scrittoio, poi ne tiro fuori un altro, identico, poi, uno per uno, altri tre. Li depose accuratamente in fila sulla scrivania, facendoli combaciare. Alfred riporto sul pavimento le gambe anteriori della sedia e fisso il danaro con le labbra tremanti.

– Cinque centoni – disse Toad. Chiuse il portafogli e se lo ficco in tasca. Io seguii con lo sguardo ogni suo singolo gesto. – Per niente. Solo per badare ai fatti vostri. Chiaro?

Io mi limitai a guardarlo.

– Voi non state cercando nessuno – prosegui il grassone. – Non riuscite a trovare nessuno. Non avete tempo di lavorare per nessuno. Non sentite niente e non vedete niente, Siete fuori da tutto. Pulito. Una pulizia da cinquecento dollari. D'accordo?

Nell'ufficio non si udiva alcun suono. Solo Alfred, che tirava su col naso. L'omone, giro il capo a meta.

– Sta buono, Alfred. Ti daro un pizzico di polverina, quando ce ne andremo. Cerca di fare il bravo. – E si succhio di nuovo il taglio sulla mano.

– Con voi per modello dovrebbe essergli facile – dichiarai.

– Impiccati – m'invito Alfred.

– Vocabolario limitato – osservo l'omone. – Molto limitato. Allora, capita l'idea, compare? – M'indico il danaro. Io pasticciai col calcio della Luger. Lui si chino un poco in avanti. – Mettevi calmo, da bravo. E molto semplice. Si tratta di una caparra. Voi non fate nulla, per meritarla. Non far niente e il vostro compito precipuo. Se continuate a non far nulla per un lasso ragionevole di tempo alla fine ricevete altri cinquecento dollari.

Semplice, no?

– E per conto di chi non dovrei far nulla?

– Per me, Joseph P. Toad.

– Che mestiere fate?

– Potete chiamarmi consulente commerciale.

– E come potrei chiamarvi, ancora, oltre agli epiteti che inventerei da me?

– Potreste definirmi un tizio che vuole aiutare un tizio che non vuole creare difficolta a un altro tizio.

– E come posso chiamare quell'ammirevole creatura? – m'informai.

Joseph P. Toad riuni le cinque banconote da cento dollari, ne pareggio bene i margini e spinse il pacchetto verso di me lungo la scrivania.

– Potreste chiamarlo un tale che preferisce sparger danaro, piuttosto che sangue – spiego. – Pero non avrebbe scrupoli a sparger sangue, se capisse che non puo farne a meno.

– E come se la cava, con uno scalpello da ghiaccio? Lo vedo per mio conto che disastro e, con una quarantacinque.

L'omone si addento il labbro inferiore poi lo tiro all'infuori, col pollice e l'indice e ne mordicchio l'interno delicatamente, come una mucca che rumina.

– Non stavamo parlando di scalpelli da ghiaccio – riprese finalmente.

– Stavamo dicendo che voi potreste partire col piede sbagliato, e farvi male, molto male. Mentre se non partite, con nessun piede, vi trovate seduto bello comodo e vi arrivano soldi in casa.

– Chi e la bionda? – domandai. Lui ci penso sopra, e tentenno il capo.

– Forse siete gia andato troppo in la – sospiro. – Forse e troppo tardi, per fare affari.

Dopo un istante si protese verso di me e disse con gentilezza:

– E va bene. Mi mettero in contatto col principale e sentiro fin dove vuol spingersi. Forse possiamo ancora concludere. Comunque finche non avrete mie notizie restiamo intesi cosi. Chiaro?

Questa gliela passai per buona. Lui puntello le mani sulla scrivania e si alzo, molto lentamente, cogli occhi fissi sulla pistola che facevo scorrere sulla cartella.

– I quattrini potete tenerli – disse. – Andiamo Alfred.

Si volto, e usci pesantemente dall'ufficio. Gli occhi di Alfred lo seguirono, con uno sguardo obliquo, poi si posarono di scatto sul danaro. Come per incanto la grossa automatica riapparve nella sua fragile destra. Con un guizzo d'anguilla Alfred si accosto alla scrivania. Sempre con la pistola puntata contro di me, afferro le banconote con la mano sinistra e se le fece sparire in tasca. Mi rivolse un sorriso freddo, gentile, vuoto, chino brevemente il capo e si allontano, a quanto pareva senza rendersi conto, per un solo istante, che anch'io avevo una rivoltella in mano.

– Andiamo, Alfred – chiamo aspramente il grassone, dall'ingresso dell'altro ufficio. Il ragazzo varco la soglia e spari.

L'uscio che dava sul corridoio si aperse e si richiuse. Lungo l'atrio risonarono dei passi. Poi silenzio. Rimasi seduto al mio posto, ripensando alla scena, cercando di decidere se si trattava di pura idiozia, o era una nuova tecnica per far prendere uno spavento a una persona.

Cinque minuti dopo squillo il telefono. Una voce robusta, simpatica disse:

– Oh, a proposito signor Marlowe, voi conoscete Sherry Ballou, vero?

– No.

– Sheridan Ballou e Soci. Il grande agente teatrale. Dovreste conoscerlo, un giorno o l'altro.

Rimasi col ricevitore in mano, in silenzio, per un momento. Poi domandai:

– E il suo agente?

– Puo darsi – dichiaro Joseph P. Toad, e fece una breve pausa. – Certo avrete capito che siamo una coppia di attori da strapazzo, signor Marlowe. Ecco tutto. Due attori da strapazzo. Qualcuno voleva scoprire qualcosa, sul vostro conto, e questa era sembrata la via piu semplice. Ora non ne sono tanto sicuro.

Non risposi. Misi giu il ricevitore. Il telefono riprese a suonare immediatamente.

Una voce provocante disse:

– Io non vi piaccio molto, vero, amigo?

– Certo che mi piacete. Ma non continuate a tormentarmi.

– Sono a casa, al Chateau Bercy. Mi sento sola.

– Fatevi mandar su una dama di compagnia.

– Ma vi prego… Non e il modo di parlare. E una questione della massima importanza.

– Non ne dubito. Ma non e di quelle che si trattano nel mio ramo.

– Quella sporcacciona… Che cosa vi ha detto di me? – sibilo la ragazza.

– Niente. O forse vi ha chiamata sgualdrinella meticcia. Vi dispiace?

La cosa la diverti. La sua risatella argentina duro per qualche secondo.

– Sempre la battuta pronta, voi. Non e cosi? Ma, vedete, io non sapevo, allora, che voi foste un investigatore. Questo fa una grande differenza.

Avrei potuto spiegarle quanto si sbagliava. Invece dissi soltanto:

– Signorina Gonzales, avete accennato qualcosa a proposito di affari.

Di che affari si tratta, ammesso che non stiate prendendomi in giro?

– Vi piacerebbe guadagnare molto danaro? Una somma enorme di danaro?

– Intendete, senza farmi prendere a revolverate?

Il suono di un'inspirazione aspra, improvvisa, giunse lungo il filo.

– Si – mormoro lei, in tono pensoso. – C'e anche questo da considerare. Ma voi siete cosi coraggioso, cosi forte, cosi…

– Saro in ufficio domattina alle nove, signorina Gonzales. Saro infinitamente piu coraggioso, domattina. Ora, se volete scusarmi…

– Avete un appuntamento? E bella? Piu bella di me?

– Oh, per Cristo, – scattai – pensate sempre soltanto a quello?

– Crepa, tesoro – ribatte lei, e appese di scatto il ricevitore.

Spensi le luci e me ne andai. A meta del corridoio incontrai un uomo che stava guardando i numeri. Aveva un espresso in mano. Cosi dovetti tornare in ufficio a riporre la busta in cassaforte. E mentre lo stavo facendo suono il telefono.

Lo lasciai suonare. Ne avevo abbastanza, per un giorno. Non ne volevo sapere, ecco. Poteva anche essere la Regina di Saba in pigiama di cellophane… o senza pigiama… ma ero troppo stanco, per occuparmene. Mi sembrava di avere una secchia di sabbia bagnata, al posto del cervello.

Il telefono stava ancora suonando, quando arrivai alla porta. Niente da fare. Dovetti tornare indietro. L'istinto fu piu forte della stanchezza. Sollevai il ricevitore.

La vocetta tremula di Orfamay Quest disse:

– Oh, signor Marlowe, e tanto tempo che sto cercando di parlarvi. Sono cosi sconvolta. Sono…

– Domattina – interruppi. – L'ufficio e chiuso.

– Vi prego, signor Marlowe… solo perche ho perso la pazienza un momento…

– Domattina.

– Ma vi dico che devo vedervi. – La vocina urlava, quasi. – E tremendamente importante. E importantissimo.

– Uuuuuuh!

Lei tiro su col naso.

– Voi… voi mi avete baciata.

– Ne ho baciate di meglio, da allora. – All'inferno lei, all'inferno tutte le donne.

– Ho avuto notizie di Orrin.

Questo mi lascio interdetto, per un momento, poi scoppiai a riridere.

– Siete un'adorabile bugiarda. Saluti.

– Ma e vero. Mi ha chiamata, al telefono. Qui, dove abito.

– Ottimo – dissi – Quindi non avete piu bisogno di un investigatore.

E se anche vi occorresse ne avete uno piu bravo di me, in famiglia. Io non sono nemmeno riuscito a scoprire dove abitate.

Vi fu una breve pausa. Se non altro le stavo ancora parlando: era riuscita a impedirmi di mettere giu la cornetta. Questo dovevo riconoscerlo.

– Gli avevo scritto dove avrei alloggiato – disse Orfamay, finalmente.

– Gia. Solo che la lettera non gli e arrivata perche si e trasferito e non ha lasciato il nuovo indirizzo. Ricordate? Riprovate qualche altra volta, quando saro meno stanco. Buona notte, signorina Quest. E non e piu necessario che mi diciate dove abitate, ormai. Non lavoro per voi.

– Benissimo, signor Marlowe. Sono pronta a chiamare la polizia, ora… e "delitto" e una gran brutta parola… non credete?

– Venite su – dissi. – Vi aspetto.

Deposi il ricevitore e tirai fuori la bottiglia del whisky. Non c'era nessuna traccia di flemma nel mio modo di versare il liquore e di buttarlo giu.

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