CAPITOLO V

Meno di due minuti dopo George W. Hicks se ne ando per i fatti suoi. Se ne ando cosi quietamente che non l'avrei udito, se non fossi stato in ascolto aspettando appunto quello. Udii il lieve suono metallico della maniglia che girava. Poi qualche passo lento. Poi l'uscio che si chiudeva, molto delicatamente. I passi si allontanarono. Udii, a distanza, lo scricchiolio delle scale. Poi piu nulla. Aspettai il suono della porta di strada. Non venne. Uscii dal numero quindici e percorsi il vestibolo, diretto nuovamente alle scale.

Dal piano inferiore venne il cigolio d'una porta che si apriva, con estrema prudenza. Guardai giu e vidi Hicks entrare nell'appartamento del direttore. L'uscio si richiuse alle sue spalle. Aspettai di udire delle voci. Niente.

Mi strinsi nelle spalle e tornai alla camera quindici. Sul comodino c'era una piccola radio, di sotto al letto disfatto spuntava un paio di pantofole; un vecchio accappatoio era appeso all'avvolgibile verde, pieno di spiragli, per parare il riverbero del sole.

Esaminai tutto questo come se significasse qualcosa, poi uscii sul pianerottolo e richiusi la porta col passe-partout. Dopo di che feci un altro pellegrinaggio alla camera quattordici. Ora la porta non era piu chiusa a chiave. Perquisii il locale con meticolosa attenzione e non trovai nulla che avesse a che vedere con Orrin P. Quest. Non m'aspettavo di trovarlo. Non vi era ragione perche dovessi trovarlo. Ma bisogna sempre guardare.

Scesi a pianterreno, ascoltai dietro la porta del direttore e non udii nulla.

Entrai e andai a deporre le chiavi sulla scrivania. Lester B. Clausen giaceva di fianco, sul divano, col viso rivolto al muro: morto per il mondo. Perquisii la scrivania, trovai un vecchio mastro che pareva riguardare gli affitti ricevuti e le spese fatte e nient'altro. Sfogliai di nuovo il registro degli ospiti. Non era aggiornato ma il tipo che dormiva sul divano bastava a spiegare questa negligenza. Orrin P. Quest se ne era andato. Un'altra persona aveva occupato la stanza registrata a nome di Hicks. L'ometto che contava il danaro in cucina si intonava magnificamente col quartiere. Il fatto che girasse con una pistola e un pugnale in saccoccia era un'eccentricita mondana che non avrebbe causato alcun commento, in Idaho Street.

Presi la piccola guida telefonica di Bay City, che pendeva da un gancio, accanto alla scrivania. Pensavo che non sarebbe stato molto faticoso pescare l'individuo che si faceva chiamare "dottore" o "Vince" e aveva un numero di telefono che cominciava con uno-tre-cinque-sette-due. Innanzitutto sfogliai il registro degli ospiti. Una cosa che avrei dovuto fare prima. La pagina con la registrazione di Orrin P. Quest era stata strappata. Un tipo prudente, il signor George W. Hicks. Molto prudente.

Chiusi il registro, lanciai un'altra occhiata a Lester B. Clausen, arricciai il naso all'aria viziata, all'odore dolciastro e nauseante del gin e di svariate altre cose, e mi avviai alla porta d'ingresso. Come vi giunsi mi venne improvvisamente un'idea. Un ubriaco del tipo di Clausen avrebbe dovuto russare molto forte. Avrebbe dovuto russare da spellarsi la laringe, con un bell'assortimento di grugniti, gorgoglii e sbuffamenti. Invece non emetteva alcun suono. Aveva una coperta marrone dell'esercito avvolta intorno alle spalle e alla parte inferiore del capo. Sembrava molto tranquillo, molto a suo agio. Gli andai vicino, e guardai giu. Qualcosa che non era una piega della stoffa, fatta a caso, gli rialzava la coperta sul collo. Scostai un lembo della stoffa. Un'impugnatura quadrata di legno giallo sporgeva dalla nuca di Lester B. Clausen. Sul fianco dell'impugnatura una scritta diceva: Omaggio delle Ferramenta Crumsen e C. L'oggetto spuntava proprio sotto al rilievo occipitale.

Era il manico d'uno scalpello da ghiaccio.

Lasciai il quartiere guidando tranquillamente, a cinquanta all'ora. Ai margini della citta, mi chiusi in una cabina telefonica stradale e chiamai il comando di Polizia.

– Polizia di Bay City, parla Moot – annunzio una voce velata.

Io dissi:

– Idaho Street, numero quattrocentoquarantanove. Nell'appartamento del direttore. Si chiama Clausen.

– E con questo? – chiese la voce – Noi che si fa?

– Non saprei – risposi. – E un problema, per me. Ma l'uomo si chiama Lester B. Clausen. L'avete annotato?

– E perche e tanto importante? – domando la voce, senza alcun sospetto.

– Il giudice istruttore ci terra a saperlo – risposi e attaccai il ricevitore.

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