CAPITOLO XXV

Era una Mercury nera, trasformabile, con il soffietto chiaro. Il soffietto era rialzato. Quando mi appoggiai al finestrino Dolores Gonzales scivolo verso di me, lungo il sedile di pelle.

– Guidate voi, amigo, per favore. Non mi e mai piaciuto guidare.

La luce del bar-farmacia le batte sul viso. Si era cambiata ancora d'abito, ma era sempre in nero, a parte una camicetta color fiamma. Pantaloni e una specie di cappa sciolta, come una giacca da riposo maschile.

Mi appoggiai alla portiera della macchina.

– Perche non mi ha chiamato lei?

– Non ha potuto. Non sapeva il numero, e aveva pochissimo tempo.

– Perche?

– A quanto ho capito mi parlava mentre una persona aveva lasciato la stanza per un momento.

– E dove sarebbe il posto da cui chiamava?

– Non so il nome della via. Ma so ritrovare la casa. Vi prego, salite in macchina e spicciamoci.

– Forse salgo – risposi. – E forse non salgo affatto. La vecchiaia e l'artrite mi han reso prudente.

– Sempre la battuta pronta – osservo lei. – Siete un uomo ben strano.

– Sempre la battuta pronta, quando e possibile – convenni. – Ma in realta sono un tipo molto comune, con una testa sola… una testa che e stata messa alla prova molto duramente, a volte. Volte che, in genere, cominciavano cosi.

– Farete all'amore con me, questa notte? – mi chiese con voce morbida.

– Ecco un'altra domanda alla quale e difficile rispondere. Probabilmente no.

– Non perdereste il vostro tempo. Non sono una di quelle bionde sintetiche con la carnagione che pare carta vetrata. Quelle ex lavandaie con le mani larghe e ossute, le ginocchia appuntite e i seni senza mordente.

– Cerchiamo di lasciare in pace il sesso, per una mezz'ora – proposi.

– E una cosa magnifica. Come i gelati di cioccolato con la panna montata sopra. Ma ci sono dei momenti in cui preferireste impiccarvi, piuttosto che mangiarli. Credo che forse mi convenga impiccarmi.

Girai attorno alla macchina, m'insinuai sotto al volante e avviai il motore.

– Andiamo verso ovest – disse la ragazza. – Attraversiamo Beverly Hills e poi proseguiamo in quella direzione.

Innestai la marcia e voltai l'angolo, puntando verso Sunset Boulevard.

Dolores tiro fuori una delle sue lunghe sigarette marrone.

– Avete portato una rivoltella?

– No. A che mi servirebbe? – La mia ascella premeva contro la Luger, nella fondina a tracolla.

– Forse e meglio di no.

La ragazza infilo la sigaretta nelle molle d'oro e l'accese con l'accendisigari d'oro. La luce che le batteva sul viso pareva inghiottita dagli occhi neri, senza fondo.

– In che specie di grana si trova, la signorina Weld?

– Non lo so. Mi ha detto solo che era in un guaio, che aveva molta paura e aveva bisogno di voi.

– Avreste dovuto essere in grado di inventare una frottola migliore.

Non mi rispose. Mi fermai a un semaforo e mi voltai a guardarla. Piangeva sommessamente, nel buio.

– Non torcerei un capello, a Mavis Weld – balbetto. – Ma non mi aspetto che mi crediate.

– D'altronde – soggiunsi – il fatto che non abbiate una storia pronta depone a vostro favore.

Comincio a scivolare verso di me, lungo il sedile.

– Rimanete dalla vostra parte – ordinai. – Devo guidare questa baracca.

– Non volete che vi appoggi la testa sulla spalla?

– Non con questo traffico.

Mi fermai, all'angolo di Fairfax Avenue, col semaforo verde per permettere a un pedone di voltare a sinistra. Dietro di me alcuni clackson suonarono rabbiosamente. Quando ripartii la macchina che veniva subito dopo la mia mi si porto al fianco e un uomo corpulento in maglione, mi grido:

– Ma va a guidare un bidet!

E mi taglio la strada cosi di colpo che dovetti frenare.

– Una volta mi piaceva, questa citta – dissi, tanto per dire qualcosa, per non pensare cosi intensamente. – Tanto tempo fa. Allora c'erano due file d'alberi, lungo il Wilshire Boulevard. Beverly Hills era un paesotto di campagna. Westwood era un gruppo di colline, e i suoi lotti di terreno erano in vendita per millecento dollari, e nessuno li voleva. Hollywood era un gruppo di case di legno, lungo la linea del tram interurbano. Los Angeles era un enorme agglomerato di brutte case, asciutto e pieno di sole, senza stile e senza eleganza, ma bonario e tranquillo. Aveva il magnifico clima sul quale si blatera tanto, oggigiorno. La gente dormiva fuori la notte, sotto il portico. Le conventicole che si ritenevano intellettuali la chiamavano l'Atene d'America. Non lo era, ma non era nemmeno un bordello illuminato al neon.

Attraversammo la Cienega e imboccammo la curva dello Strip. Alle Danze era uno sfolgorio di luci. La terrazza era stipata. Il parcheggio faceva pensare alle formiche, su un frutto troppo maturo.

– Adesso abbiamo elementi come Steelgrave che possiedono i ristoranti. Abbiamo tipi come il grassone che mi ha urlato dietro poco fa. C'e il danaro che corre a fiumi, e ci sono imbroglioni, sicari, sfruttatori di donne, e gangsters di secondo piano, immigrati da New York, da Chicago, da Detroit… da Cleveland. Ci sono i ritrovi di lusso, i locali notturni che questi gangsters dirigono, gli hotels e le case-albergo che possiedono, e i ladri, gli imbroglioni, e le donne-bandito che vi abitano. Abbiamo le industrie di lusso. Gli invertiti decoratori d'interni, le lesbiche figuriniste di moda; tutte le scorie di una grande citta senza cuore, che ha meno personalita d'un bicchiere di carta. E nei quartieri suburbani il caro, vecchio papa in ciabatte legge la pagina sportiva dei quotidiani davanti a una finestra ornamentale, e pensa che lui e un uomo altolocato perche ha un garage con tre macchine. Mamma, davanti alla toilette a tre specchi cerca di cancellarsi le borse sotto agli occhi a forza di cosmetici. E il figlio ed erede e incollato al telefono e chiama tutta una serie di ragazzette delle scuole superiori, che parlano un inglese che fa pieta e tengono gli antifecondativi pronti in borsetta.

– Tutte le grandi citta sono cosi, amigo.

– Le citta vere hanno una loro ossatura, sotto la parte deperibile. Los Angeles ha Hollywood… e la odia. Dovrebbe ritenersi piu che fortunata, invece. Senza Hollywood sarebbe come quei magazzini che servono le province, dietro ordinazione postale. Tutto quel che c'e nel catalogo lo si potrebbe trovare piu bello altrove.

– Siete amaro, questa sera, amigo.

– Ho avuto qualche seccatura. L'unica ragione per cui guido questa macchina, in vostra compagnia e che ho avuto tante grane che una di piu mi sembrera il tocco finale, l'inzuccheratura della torta.

– Avete fatto qualcosa di male? – domando la ragazza e scivolo verso di me.

– Ho solo collezionato qualche cadavere – spiegai. – Dipende dai punti di vista. I poliziotti non vedono di buon occhio che i dilettanti facciano il loro lavoro. Hanno gia la loro organizzazione.

– Che cosa vi faranno?

– Puo darsi che mi caccino dalla citta, e non mi farebbero ne caldo ne freddo. Non vi appiccicate cosi. Questo braccio mi occorre per cambiare le marce.

Lei si scosto rabbiosamente.

– Siete odioso. Non e facile andare d'accordo con voi – protesto. – Al Lost Canyon Road girate a destra.

Dopo un po' passammo le University Heights. Tutte le luci della citta erano accese, ora. Scendevano lungo il declivio della collina, come un enorme tappeto e correvano verso sud, perdendosi in una distanza quasi infinita. Un aeroplano ronzava, sopra di noi, perdendo quota, e i due fari di segnalazione ammiccavano, alternativamente. A Lost Canyon presi a destra, sfiorando i grandi cancelli che conducono a Bel Air. La strada comincio a salire, in tornanti. C'erano troppe automobili. I fari gettavano un riverbero rabbioso sull'asfalto bianco che si snodava come una serpe. Dal passo scendeva una brezza leggera. Portava il profumo della salvia selvatica, l'aroma acre degli eucalipti e il tranquillo odore della polvere. Sul fianco della collina ammiccavano molte finestre. Passammo accanto a una casa a due piani, in stile spagnolo che doveva esser costata non meno di settantamila dollari. Sulla facciata c'era un'insegna luminosa: "Cairn, Terriers di razza".

– La prima a destra – ordino Dolores.

Imboccai la svolta. La strada divenne piu stretta e piu ripida. Vi erano case, dietro i muri e le siepi folte di cinta, ma non si vedeva niente. Poi arrivammo a una biforcazione. Proprio sulla V, era ferma una macchina della polizia, col faro rosso acceso. Sul ramo destro della forcella c'erano ferme altre due macchine, ad angolo retto. Una torcia elettrica oscillo, su e giu. Io rallentai e andai a fermarmi accanto alla macchina della polizia. Dentro c'erano due agenti, che fumavano. Non si mossero.

– Che cosa succede?

– Non ne ho la minima idea, amigo. – La voce di Dolores era sommessa, contenuta. Come se avesse un po' paura. Non sapevo di che.

Un uomo alto, quello con la torcia, si avvicino alla nostra macchina, mi pianto il fascio di luce in faccia, poi l'abbasso.

– Questa strada non e aperta, stasera – annunzio. – Dove andate?

Innestai il freno e presi la pila che la ragazza aveva tirato fuori da un vano del cruscotto. Feci scattare l'interruttore e illuminai l'uomo alto. Indossava un paio di calzoni di lusso, una camicia sportiva, con le iniziali sul taschino, e una sciarpa a pallini annodata al collo. Portava gli occhiali e aveva i capelli neri, ondulati e lucidissimi. Faceva terribilmente Hollywood.

– Potete darmi qualche spiegazione… o state inventando la legge? – domandai.

– La legge e la, se volete consultarla. – Nella voce dell'uomo c'era una nota di disprezzo. – Noi siamo semplicemente dei privati cittadini. Abitiamo nei dintorni. Questo e un quartiere d'abitazione. E noi vogliamo che rimanga tale.

Un uomo con un fucile da caccia usci dall'ombra e si mise accanto allo spilungone. Teneva il fucile sotto il braccio sinistro, con la canna puntata verso terra. Ma non aveva l'aria di portarlo per zavorra.

– Per me va benissimo – assicurai. – Non avevo intenzioni diverse.

Vogliamo solo andare in un posto.

– In che posto? – chiese l'uomo, freddamente.

Mi rivolsi a Dolores.

– In che posto?

– E una casa bianca, sulla collina, quasi in vetta.

– E che cosa avete intenzione di fare, una volta la? – chiese lo spilungone.

– L'uomo che ci abita e mio amico – replico la mia compagna, in tono provocante.

Lo spilungone le illumino il viso con la torcia, per un istante.

– Voi andate benissimo – dichiaro. – Ma il vostro amico non ci piace. Non ci va la gente che cerca di operare delle case da gioco in un quartiere come questo.

– Io non so niente di case da gioco – ribatte Dolores aspramente.

– Neanche la polizia – dichiaro lo spilungone. – E non vuole nemmeno interessarsene. Come si chiama il vostro amico, cara?

– Non vi riguarda – rimbecco Dolores, come se sputasse.

– Andate a casa a far la calza, cara – l'invito l'uomo alto, e si rivolse a me. – La strada e bloccata, questa sera. E ora sapete il perche.

– Credete di farcela a mantenere il blocco?

– Ci vorra qualcuno piu importante di voi per indurci a cambiare programma. Dovreste vedere le nostre cartelle delle tasse. E quegli scimmiotti sulla macchina radiocomandata… e ce n'e un'altra quantita, in municipio… si limitano a fare una faccia da scemi quando si chiede loro di far rispettare la legge.

Girai la maniglia e spalancai la portiera. L'uomo si tiro da parte per lasciarmi scendere. Mi avvicinai alla macchina della polizia. I due uomini erano adagiati pigramente contro lo schienale. L'altoparlante era bassissimo, e mandava un borbottio appena udibile. Uno dei due masticava gomma, ritmicamente.

– Che ne direste di rompere il blocco e di lasciar passare i cittadini? – gli chiesi.

– Non abbiamo ordini, bellezza. Siamo qui solo per mantenere l'ordine.

Se qualcuno fa scoppiare una cagnara la facciamo finire noi.

– Dicono che c'e una casa da gioco, sulla cresta.

– Dicono – ripete l'agente.

– Non ci credete?

– Non mi provo nemmeno – affermo lui, e sputo, al di sopra della mia spalla.

– E se io avessi degli affari urgenti, lassu?

L'uomo mi fisso, senza espressione e sbadiglio.

– Grazie mille, bellezza, – gli dissi.

Tornai alla Mercury, trassi di tasca il portafogli e diedi un biglietto da visita allo spilungone. Lui l'illumino con la torcia e chiese:

– Be'?

Poi spense la torcia e rimase in silenzio. Il suo viso comincio a prendere forma, pallido e vago, nell'oscurita.

– Sono qui per affari – dissi. – E sono affari importanti, per me. Lasciatemi passare e forse domani non avrete bisogno del posto di blocco.

– Siete grande, a parole, buon uomo.

– Vi sembra che io abbia i quattrini per frequentare una casa da gioco privata?

– Lei potrebbe averli – l'uomo lancio una rapida occhiata a Dolores.

– Puo darsi che vi abbia portato dietro come guardia del corpo. – Si rivolse al suo amico col fucile. – Tu che ne pensi?

– Rischiamola. Sono solo due e non hanno bevuto.

Lo spilungone accese di nuovo la torcia e la fece ondeggiare, avanti e indietro. Un motore si avvio. Una delle macchine del blocco raggiunse a marcia indietro il bordo della via. Io montai sulla Mercury, l'avviai, passai attraverso lo spazio libero. Nello specchietto retrovisivo guardai la macchina di blocco che riprendeva posizione e spegneva i fari.

– E l'unica via per andare e venire di qui?

– Loro lo credono, amigo. Ce n'e un'altra, ma e una strada privata, che attraversa una tenuta. Avremmo dovuto girare dalla parte della valle.

– Per poco non passavamo – brontolai. – Nessuno puo essere in un guaio serio…

– Sapevo che avreste trovato un mezzo di cavarvela, amigo…

– Qualcosa mi puzza – dissi in tono velenoso. – E non sono i lilla selvatici.

– Che uomo sospettoso. Non volete nemmeno darmi un bacio?

– Avreste dovuto provare un po' di questa tecnica poco fa, al posto di blocco. Il piu alto dei due aveva l'aria di sentirsi solo. Avreste potuto portarlo in un boschetto.

Lei mi diede un manrovescio sulla bocca.

– Figlio d'un cane – disse con noncuranza. – La prima a sinistra, prego. – Arrivammo al sommo della salita e la strada termino bruscamente in uno spiazzo nero circolare, bordato di pietre dipinte di bianco. Proprio di fronte a noi c'era una cinta di rete metallica con un cancello nel mezzo e un'insegna: "Strada Privata. Divieto di Transito". Il cancello era aperto e da un pilastro pendeva un grosso lucchetto appeso a una catena. Girai con la macchina intorno a un cespuglio di oleandri bianchi e mi trovai nella corte destinata alla macchina; sul retro di una bassa casa bianca con il tetto di tegole e un garage a quattro posti, sotto un terrazzo dalla balaustra di mattoni. Non veniva luce, dalla casa. La luna, alta nel cielo, gettava un chiarore bluastro sui muri intonacati di bianco. Alcune finestre a pianterreno, avevano le imposte chiuse. Quattro cassette, piene di rifiuti erano allineate davanti ai gradini d'ingresso. C'era un grande bidone della spazzatura, rovesciato, vuoto. E c'erano due bidoni di metallo, piu piccoli, pieni di cartacce e di giornali vecchi.

Dalla casa non veniva un suono, un segno di vita. Fermai la Mercury, spensi i fari e il motore e rimasi seduto al mio posto. Dolores si ritiro in un angolo. Pareva che il sedile tremasse. Allungai una mano verso la ragazza e la sfiorai. Rabbrividiva.

– Che succede?

– Scendete… scendete, prego – disse, come se stesse battendo i denti.

– E voi?

Aperse la portiera dalla sua parte e balzo a terra. Scesi anch'io e lasciai lo sportello aperto, con le chiavi nella serratura. Dolores giro intorno alla macchina, e mi si fece vicina. Mi parve di sentirla tremare, prima ancora che mi toccasse. Poi mi si appoggio contro, coscia contro coscia, petto contro petto. Mi passo le braccia intorno al collo.

– Sto facendo una terribile sciocchezza – sussurro. – Lui mi uccidera, per questo… come ha ucciso Stein. Baciatemi.

La baciai. Le sue labbra erano secche, brucianti.

– Lui e qui?

– Si.

– E chi altro?

– Nessuno, eccetto Mavis. Uccidera anche lei.

– Sentite…

– Baciatemi ancora. Non ho molto da vivere, amigo. Quando si fa da esca per le vittime, a un uomo come quello… si muore giovani.

La spinsi via, ma con delicatezza.

Lei fece un passo indietro e alzo rapidamente la destra. Stringeva una pistola, ora.

Guardai l'arma. La luna alta la faceva splendere debolmente. La ragazza me la teneva puntata tutta addosso, e la mano non le tremava piu.

– Che amico, mi farei, se tirassi il grilletto – disse.

– Quelli del blocco sentirebbero lo sparo.

Scosse il capo.

– No. C'e una collinetta in mezzo. Non credo che sentirebbero, amigo.

Pensai che la canna si sarebbe alzata, quando Dolores avesse tirato il grilletto. Se mi fossi buttato a terra al momento giusto…

Ma non ero cosi in gamba. Non dissi nulla. Mi sentivo la lingua grossa.

La ragazza continuo con una voce stanca, sommessa:

– Con Stein non ha avuto importanza. L'avrei ucciso con le mie mani, con piacere, quello schifoso… Morire non e una gran cosa. Uccidere non e una gran cosa. Ma adescare gli uomini, per condurli alla morte… – Si interruppe, con un suono che avrebbe potuto essere un singhiozzo. – Amigo, voi mi siete piaciuto, per qualche strana ragione. Dovrei avere superato da un pezzo certe stupidaggini. Mavis mi ha portato via Steelgrave ma non voglio che lui l'uccida. Il mondo e pieno di uomini con tanti soldi.

– Mi pare un ometto simpatico – osservai, tenendo sempre d'occhio la mano che stringeva la rivoltella. Nemmeno un piccolo fremito, ora. Dolores diede una risata sprezzante.

– Naturalmente. Per questo e quello che e. Voi credete di essere molto coriaceo, amigo. Ma siete tutto latte e burro, in confronto a Steelgrave. – Abbasso la rivoltella. Era il mio momento di balzare. Ma continuavo a non essere abbastanza in gamba.

– Ha ucciso una dozzina d'uomini – riprese la ragazza. – E per ciascuno ha avuto un sorriso. Lo conosco da molto tempo. L'ho conosciuto a Cleveland.

– Usava scalpelli da ghiaccio?

– Se vi do la rivoltella mi promettete d'ucciderlo?

– Mi credereste, se ve lo promettessi?

– Si.

Da un punto imprecisato, ai piedi della collina, venne il rombo d'una macchina. Ma mi parve remoto, come il pianeta Marte, senza senso, come il cicaleccio delle scimmie in una foresta brasiliana. Non aveva niente a che vedere, con me.

– Lo ucciderei, se ci fossi costretto – dichiarai, passandomi la lingua sulle labbra.

Ero un po' chino in avanti, con le ginocchia piegate, di nuovo pronto a balzare.

– Buona notte, amigo. Mi vesto di nero perche sono bella, cattiva… e perduta.

Mi porse la pistola. La presi e rimasi immobile, stringendola tra le dita.

Per un altro istante restammo in silenzio senza fare un gesto. Poi lei sorrise, scosse il capo e balzo in macchina. Avvio il motore e chiuse la portiera di scatto. Porto il motore al minimo e rimase seduta a guardarmi. Sorrideva, ora.

– Sono stata brava, vero? – bisbiglio.

La macchina arretro con violenza, e le gomme stridettero sull'asfalto. I fari si accesero. L'automobile giro a sinistra nella strada privata, e scomparve dietro una macchia d'oleandri. La luce dei fari guizzo tra gli alberi e spari e il rombo del motore si confuse col gracidio strascicato e lamentoso delle raganelle. Poi anche quello cesso e per un momento non vi fu alcun suono. E nessuna luce, eccetto la vecchia luna stanca.

Tirai fuori il caricatore dalla rivoltella. Conteneva sette proiettili. Un altro era in canna. Due di meno della carica completa. Fiutai la canna. Aveva sparato, dopo l'ultima volta che l'avevano pulita. Aveva sparato due volte, forse.

Tornai a infilare il caricatore al suo posto e tenni la rivoltella sulla palma della mano aperta. Impugnatura di osso bianco. Calibro trentadue.

Orrin Quest era stato colpito due volte. I due bossoli che avevo raccolto dal pavimento di quella stanza erano calibro trentadue.

E il giorno prima, nel pomeriggio, nella camera trentadue dell'albergo Van Nuys una ragazza bionda con un asciugamani davanti al viso mi aveva puntato contro un'automatica calibro trentadue con l'impugnatura di osso bianco.

A volte si va troppo in la, con la fantasia, in certe cose. Ma si puo anche non essere abbastanza fantasiosi.

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